La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene - 01

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IGIENE * ECONOMIA * BUON GUSTO
LA SCIENZA IN CUCINA
E
L'ARTE DI MANGIAR BENE

MANUALE PRATICO PER LE FAMIGLIE
COMPILATO DA PELLEGRINO ARTUSI
(790 ricette)

Un pasto buono ed un mezzano
Mantengon l'uomo sano.
Molto cibo e mal digesto
Non fa il corpo sano e lesto.
Piglia il cibo con misura
Dai due regni di natura.
_Prima digestio fit in ore._

25.ª EDIZIONE
e in Appendice:
“La Cucina per gli stomachi deboli”
Pubblicate copie 138,000

_Si vende in FIRENZE presso:_
GLI EREDI DI PELLEGRINO ARTUSI — Via Niccolini, 7
R. BEMPORAD & FIGLIO — Via Cavour, 20
1922


Riservati i diritti d'Autore
a termini di Legge


LA STORIA DI UN LIBRO
CHE RASSOMIGLIA
ALLA STORIA DELLA CENERENTOLA

_Vedi giudizio uman come spesso erra._
Avevo data l'ultima mano al mio libro _La scienza in cucina e l'Arte di
mangiar bene_, quando capitò in Firenze il mio dotto amico Francesco
Trevisan, professore di belle lettere al liceo Scipione Maffei di
Verona. Appassionato cultore degli studi foscoliani, fu egli eletto
a far parte del Comitato per erigere un monumento in Santa Croce al
Cantor dei Sepolcri. In quella occasione avendo avuto il piacere di
ospitarlo in casa mia, mi parve opportuno chiedergli il suo savio
parere intorno a quel mio culinario lavoro; ma ohimè! che, dopo averlo
esaminato, alle mie povere fatiche di tanti anni pronunziò la brutta
sentenza: _Questo è un libro che avrà poco esito._
Sgomento, ma non del tutto convinto della sua opinione, mi pungeva
il desiderio di appellarmi al giudizio del pubblico; quindi pensai di
rivolgermi per la stampa a una ben nota casa editrice di Firenze, nella
speranza che, essendo coi proprietari in relazione quasi d'amicizia
per avere anni addietro spesovi una somma rilevante per diverse mie
pubblicazioni, avrei trovato in loro una qualche condiscendenza. Anzi,
per dar loro coraggio, proposi a questi Signori di far l'operazione
in conto sociale e perchè fosse fatta a ragion veduta, dopo aver loro
mostrato il manoscritto, volli che avessero un saggio pratico della
mia cucina invitandoli un giorno a pranzo, il quale parve soddisfacente
tanto ad essi quanto agli altri commensali invitati a tener loro buona
compagnia.
Lusinghe vane, perocchè dopo averci pensato sopra e tentennato
parecchio, uno di essi ebbe a dirmi: — Se il suo lavoro l'avesse fatto
Doney, allora solo se ne potrebbe parlar sul serio. — Se l'avesse
compilato Doney —; io gli risposi —; probabilmente nessuno capirebbe
nulla come avviene del grosso volume _Il re de' cuochi_; mentre con
questo Manuale pratico basta si sappia tenere un mestolo in mano, che
qualche cosa si annaspa.
Qui è bene a sapersi che gli editori generalmente non si curano più che
tanto se un libro è buono o cattivo, utile o dannoso; per essi basta,
onde poterlo smerciar facilmente, che porti in fronte un nome celebre o
conosciutissimo, perchè questo serva a dargli la spinta e sotto le ali
del suo patrocinio possa far grandi voli.
Da capo dunque in cerca di un più facile intraprenditore, e conoscendo
per fama un'altra importante casa editrice di Milano, mi rivolsi ad
essa, perchè pubblicando _d'omnia generis musicorum_, pensavo che in
quella farragine potesse trovare un posticino il mio modesto lavoro. Fu
per me molto umiliante questa risposta asciutta asciutta: — Di libri di
cucina non ci occupiamo.
— Finiamola una buona volta —; dissi allora fra me —; di mendicare
l'aiuto altrui e si pubblichi a tutto mio rischio e pericolo; —; e
infatti ne affidai la stampa al tipografo Salvadore Landi; ma mentre
ne trattavo le condizioni mi venne l'idea di farlo offrire ad un altro
editore in grande, più idoneo per simili pubblicazioni. A dire il vero
trovai lui più propenso di tutti; ma, ohimè (di nuovo) a quali patti!
L. 200 prezzo dell'opera e la cessione dei diritti d'autore. Ciò, e la
riluttanza degli altri, provi in quale discredito erano caduti i libri
di cucina in Italia!
A sì umiliante proposta uscii in una escandescenza, che non occorre
ripetere, e mi avventurai a tutte mie spese e rischio; ma scoraggiato
come ero, nella prevenzione di fare un fiasco solenne, ne feci tirare
mille copie soltanto.
Accadde poco dopo che a Forlimpopoli, mio paese nativo, erasi indetta
una gran fiera di beneficenza e un amico mi scrisse di contribuirvi con
due esemplari della vita del Foscolo; ma questa essendo allora presso
di me esaurita, supplii con due copie della _Scienza in cucina e l'Arte
di mangiar bene_. Non l'avessi mai fatto, poichè mi fu riferito che
quelli che le vinsero invece di apprezzarle le misero alla berlina e le
andarono a vendere al tabaccaio.
Ma nè anche questa fu l'ultima delle mortificazioni subite, perocchè
avendone mandata una copia a una _Rivista_ di Roma, a cui ero
associato, non che dire due parole sul merito del lavoro e fargli
un poco di critica, come prometteva un avviso dello stesso giornale
pei libri mandati in dono, lo notò soltanto nella rubrica di quelli
ricevuti, sbagliandone perfino il titolo.
Finalmente dopo tante bastonature, sorse spontaneamente un uomo di
genio a perorar la mia causa. Il professor Paolo Mantegazza, con
quell'intuito pronto e sicuro che lo distingueva, conobbe subito che
quel mio lavoro qualche merito lo aveva, potendo esser utile alle
famiglie; e, rallegrandosi meco, disse: — Col darci questo libro voi
avete fatto un'opera buona e perciò vi auguro cento edizioni.
— Troppe, troppe! — risposi —; sarei contento di due. — Poi con molta
mia meraviglia e sorpresa, che mi confusero, lo elogiò e lo raccomandò
all'uditorio in due delle sue conferenze.
Cominciai allora a prender coraggio e vedendo che il libro
propendeva ad aver esito, benchè lento da prima, scrissi all'amico di
Forlimpopoli, lagnandomi dell'offesa fatta ad un libro che forse un
giorno avrebbe recato onore al _loro_ paese; la stizza non mi fece dir
_mio_.
Esitata la prima edizione, sempre con titubanza, perchè ancora non ci
credevo, misi mano alla seconda, anche questa di soli mille esemplari;
la quale avendo avuto smercio più sollecito dell'antecedente, mi
diè coraggio d'intraprender la terza di copie duemila e poi la
quarta e quinta di tremila ciascuna. A queste seguono, a intervalli
relativamente brevi, sei altre edizioni di quattromila ciascuna e
finalmente, vedendo che questo manuale, quanto più invecchiava più
acquistava favore e la richiesta si faceva sempre più viva, mi decisi
a portare a seimila, a diecimila, poi a quindicimila, il numero delle
copie di ciascuna delle successive edizioni. Con questa venticinquesima
si è giunti in tutto al numero di 138.000 copie date alla luce finora,
e quasi sempre con l'aggiunta di nuove ricette (perchè quest'arte
è inesauribile); la qual cosa mi è di grande conforto specialmente
vedendo che il libro è comprato anche da gente autorevole e da
professori di vaglia.
Punzecchiato nell'amor proprio da questo risultato felice, mi premeva
rendermi grato al pubblico con edizioni sempre più eleganti e corrette
e sembrandomi di non vedere in chi presiedeva alla stampa tutto
l'impegno per riuscirvi, gli dissi un giorno in tono di scherzo: —
Dunque anche lei, perchè questo mio lavoro sa di stufato, sdegna forse
di prenderlo in considerazione? Sappia però, e lo dico a malincuore,
che con le tendenze del secolo al materialismo e ai godimenti della
vita, verrà giorno, e non è lontano, che saranno maggiormente ricercati
e letti gli scritti di questa specie; cioè di quelli che recano diletto
alla mente e danno pascolo al corpo, a preferenza delle opere, molto
più utili all'umanità, dei grandi scienziati.
Cieco chi non lo vede! Stanno per finire i tempi delle seducenti
e lusinghiere ideali illusioni e degli anacoreti; il mondo corre
assetato, anche più che non dovrebbe, alle vive fonti del piacere, e
però chi potesse e sapesse temperare queste pericolose tendenze con una
sana morale avrebbe vinto la palma.
Pongo fine a questa mia cicalata non senza tributare un elogio e un
ringraziamento ben meritati alla Casa Editrice Bemporad di Firenze,
la quale si è data ogni cura di far conoscere questo mio Manuale al
pubblico e di divulgarlo.


PREFAZIO

La cucina è una bricconcella; spesso e volentieri fa disperare, ma dà
anche piacere, perchè quelle volte che riuscite o che avete superata
una difficoltà, provate compiacimento e cantate vittoria.
Diffidate dei libri che trattano di quest'arte: Sono la maggior parte
fallaci o incomprensibili, specialmente quelli italiani; meno peggio
i francesi: al più al più, tanto dagli uni che dagli altri potrete
attingere qualche nozione utile quando l'arte la conoscete.
Se non si ha la pretesa di diventare un cuoco di baldacchino non
credo sia necessario per riuscire, di nascere con una cazzaruola in
capo basta la passione, molta attenzione e l'avvezzarsi precisi: poi
scegliete sempre per materia prima roba della più fine, che questa vi
farà figurare.
Il miglior maestro è la pratica sotto un esercente capace; ma anche
senza di esso, con una scorta simile a questa mia, mettendovi con molto
impegno al lavoro, potrete, io spero, annaspar qualche cosa.
Vinto dalle insistenze di molti miei conoscenti e di signore, che mi
onorano della loro amicizia, mi decisi finalmente di pubblicare il
presente volume, la cui materia, già preparata da lungo tempo, serviva
per solo mio uso e consumo. Ve l'offro dunque da semplice dilettante
qual sono, sicuro di non ingannarvi, avendo provati e riprovati più
volte questi piatti da me medesimo; se poi voi non vi riuscirete alla
prima, non vi sgomentate; buona volontà ed insistenza vuol essere, e
vi garantisco che giungerete a farli bene e potrete anche migliorarli,
imperocchè io non presumo di aver toccato l'apice della perfezione.
Ma, vedendo che si è giunti con questa alla trentacinquesima edizione
e alla tiratura di duecentottantatremila esemplari, mi giova credere
che nella generalità a queste mie pietanze venga fatto buon viso e che
pochi, per mia fortuna, mi abbiano mandato finora in quel paese per
imbarazzo di stomaco o per altri fenomeni che la decenza mi vieta di
nominare.
Non vorrei però che per essermi occupato di culinaria mi gabellaste per
un ghiottone o per un gran pappatore; protesto, se mai, contro questa
taccia poco onorevole, perchè non sono nè l'una nè l'altra cosa. Amo il
bello ed il buono ovunque si trovino e mi ripugna di vedere straziata,
come suol dirsi, la grazia di Dio. Amen.


L'AUTORE A CHI LEGGE

Due sono le funzioni principali della vita: la nutrizione e la
propagazione della specie; a coloro quindi che, rivolgendo la mente a
questi due bisogni dell'esistenza, li studiano e suggeriscono norme
onde vengano sodisfatti nel miglior modo possibile, per render meno
triste la vita stessa, e per giovare all'umanità, sia lecito sperare
che questa, pur se non apprezza le loro fatiche, sia almeno prodiga di
un benigno compatimento.
Il senso racchiuso in queste poche righe, premesse alla terza edizione,
essendo stato svolto con più competenza in una lettera familiare a me
diretta dal chiarissimo poeta Lorenzo Stecchetti, mi procuro il piacere
di trascrivervi le sue parole.
«Il genere umano — egli dice — dura solo perchè l'uomo ha l'istinto
della conservazione e quello della riproduzione e sente vivissimo il
bisogno di sodisfarvi. Alla sodisfazione di un bisogno va sempre unito
un piacere e il piacere della conservazione si ha nel senso del gusto e
quello della riproduzione nel senso del tatto. Se l'uomo non appetisse
il cibo o non provasse stimoli sessuali, il genere umano finirebbe
subito.
«Il gusto e il tatto sono quindi i sensi più necessari, anzi
indispensabili alla vita dell'individuo e della specie. Gli altri
aiutano soltanto e si può vivere ciechi e sordi, ma non senza
l'attività funzionale degli organi del gusto.
«Come è dunque che nella scala dei sensi i due più necessari alla
vita ed alla sua trasmissione sono reputati più vili? Perchè quel
che sodisfa gli altri sensi, pittura, musica, ecc., si dice arte, si
ritiene cosa nobile, ed ignobile invece quel che sodisfa il gusto?
Perchè chi gode vedendo un bel quadro o sentendo una bella sinfonia
è reputato superiore a chi gode mangiando un'eccellente vivanda? Ci
sono dunque tali ineguaglianze anche tra i sensi che chi lavora ha una
camicia e chi non lavora ne ha due?
«Deve essere pel tirannico regno che il cervello esercita ora su tutti
gli organi del corpo. Al tempo di Menenio Agrippa dominava lo stomaco,
ora non serve nemmeno più, o almeno serve male. Tra questi eccessivi
lavoratori di cervello ce n'è uno che digerisca bene? Tutto è nervi,
nevrosi, nevrastenia, e la statura, la circonferenza toracica, la forza
di resistenza e di riproduzione calano ogni giorno in questa razza
di saggi e di artisti pieni d'ingegno e di rachitide, di delicatezze
e di glandule, che non si nutre, ma si eccita e si regge a forza di
caffè, di alcool e di morfina. Perciò i sensi che si dirigono alla
cerebrazione sono stimati più nobili di quelli che presiedono alla
conservazione, e sarebbe ora di cassare questa ingiusta sentenza.
«O santa bicicletta che ci fa provare la gioia di un robusto appetito
a dispetto dei decadenti e dei decaduti, sognanti la clorosi, la tabe e
i gavoccioli dell'arte ideale! All'aria, all'aria libera e sana, a far
rosso il sangue e forti i muscoli! Non vergogniamoci dunque di mangiare
il meglio che si può e ridiamo il suo posto anche alla gastronomia.
Infine anche il tiranno cervello ci guadagnerà, e questa società malata
di nervi finirà per capire che, anche in arte, una discussione sul
cucinare l'anguilla, vale una dissertazione sul sorriso di Beatrice.
«Non si vive di solo pane, è vero; ci vuole anche il companatico;
e l'arte di renderlo più economico, più sapido, più sano, lo dico
e lo sostengo, è vera arte. Riabilitiamo il senso del gusto e non
vergogniamoci di sodisfarlo onestamente, ma il meglio che si può, come
ella ce ne dà i precetti.»


ALCUNE NORME D'IGIENE

Tiberio imperatore diceva che l'uomo, giunto all'età di trentacinque
anni, non dovrebbe avere più bisogno di medico. Se questo aforismo,
preso in senso largo è vero, non è men vero che il medico, chiamato a
tempo, può troncare sul bel principio una malattia ed anche salvarvi da
immatura morte; il medico poi se non guarisce, solleva spesso, consola
sempre.
La massima dell'imperatore Tiberio è vera in quanto che l'uomo arrivato
a metà del corso della vita dovrebbe avere acquistata tanta esperienza
sopra sè stesso da conoscere ciò che gli nuoce e ciò che gli giova e
con un buon regime dietetico governarsi in modo da tenere in bilico
la salute, la qual cosa non è difficile se questa non è minacciata da
vizii organici o da qualche viscerale lesione. Oltre a ciò dovrebbe
l'uomo, giunto a quell'età, essersi persuaso che la cura profilattica,
ossia preventiva, è la migliore, che ben poco evvi a sperare dalle
medicine e che il medico più abile è colui che ordina poco e cose
semplici.
Le persone nervose e troppo sensibili, specialmente se disoccupate ed
apprensive, si figurano di aver mille mali che hanno sede solo nella
loro immaginazione. Una di queste, parlando di sè stessa, diceva un
giorno al suo medico: «Io non capisco come possa campare un uomo
con tanti malanni addosso». Eppure non solo è campata con qualche
incomoduccio comune a tanti altri; ma essa ha raggiunto una tarda età.
Questi infelici ipocondriaci, che altro non sono, meritano tutto il
nostro compatimento imperocchè non sanno svincolarsi dalle pastoie
in cui li tiene una esagerata e continua paura, e non c'è modo a
persuaderli, ritenendosi ingannati dallo zelo di coloro che cercano
di confortarli. Spesso li vedrete coll'occhio torvo e col polso in
mano gettar sospiri, guardarsi con ribrezzo allo specchio ed osservare
la lingua; la notte di soprassalto balzar dal letto, spaventati per
palpitar del cuore in sussulto. Il vitto per essi è una pena, non
solo per la scelta de' cibi; ma ora temendo di aver mangiato troppo,
stanno in apprensione di qualche accidente, ora volendo correggersi
con astinenza eccessiva hanno insonnia la notte e sogni molesti. Col
pensiero sempre a sè stessi pel timore di prendere un raffreddore o
un mal di petto, escono ravvolti in modo che sembrano fegatelli nella
rete, e ad ogni po' d'impressione fredda che sentono soprammettono
involucri sopra involucri da disgradarne, sto per dir, le cipolle.
Per questi tali non c'è medicina che valga e un medico coscienzioso
dirà loro: divagatevi, distraetevi, passeggiate spesso all'aria
aperta per quanto le vostre forze il comportano, viaggiate, se avete
quattrini, in buona compagnia e guarirete. S'intende bene che io
in questo scritto parlo alle classi agiate, chè i diseredati dalla
fortuna sono costretti, loro malgrado, a fare di necessità virtù e
consolarsi riflettendo che la vita attiva e frugale contribuisce alla
robustezza dei corpo e alla conservazione della salute. Da questi
preliminari passando alla generalità di una buona igiene, permettetemi
vi rammenti alcuni precetti che godono da lungo tempo la sanzione
scientifica, ma che non sono ripetuti mai abbastanza; e per primo,
parlandovi del vestiario, mi rivolgo alle signore mamme e dico ad esse:
cominciate a vestir leggieri, fino dall'infanzia, i vostri bambini,
che poi fatti adulti con questo metodo risentiranno meno le brusche
variazioni dell'atmosfera e andranno meno soggetti alle infreddature,
alle bronchiti. Se poi, durante l'inverno, non eleverete ne' vostri
appartamenti il calore delle stufe oltre ai 12 o 14 gradi, vi salverete
probabilmente dalle polmoniti che sono così frequenti oggigiorno.
Alle prime frescure non vi aggravate, a un tratto, di troppi panni,
basta un indumento esterno e precario per poterlo deporre e riprendere
a piacere nel frequente alternarsi della stagione fino a che non saremo
entrati nel freddo costante. Quando poi vi avvicinate alla primavera
rammentatevi allora del seguente proverbio che io trovo di una verità
indiscutibile:
Di aprile non ti alleggerire,
Di maggio va' adagio,
Di giugno getta via lo cotticugno,
Ma non lo impegnare
Chè potrebbe abbisognare.
Cercate di abitar case sane con molta luce e ventilate: dov'entra il
sole fuggono le malattie. Compassionate quelle signore che ricevono
quasi all'oscuro, che quando andate a visitarle inciampate nei mobili
e non sapete dove posare il cappello. Per questo loro costume di vivere
quasi sempre nella penombra, di non far moto a piedi e all'aria libera
ed aperta, e perchè tende naturalmente il loro sesso a ber poco vino e
a cibarsi scarsamente di carne, preferendo i vegetali e i dolciumi, non
trovate fra loro le guance rosee, indizio di prospera salute, le belle
carnagioni tutto sangue e latte, non cicce sode, ma floscie e visi
come le vecce fatte nascere al buio per adornare i sepolcri il giovedì
santo. Qual maraviglia allora di veder fra le donne tante isteriche,
nevrotiche ed anemiche?
Avvezzatevi a mangiare d'ogni cosa se non volete divenire incresciosi
alla famiglia. Chi fa delle esclusioni parecchie offende gli altri e
il capo di casa, costretti a seguirlo per non raddoppiar le pietanze.
Non vi fate schiavi del vostro stomaco: questo viscere capriccioso, che
si sdegna per poco, pare si diletti di tormentare specialmente coloro
che mangiano più del bisogno, vizio comune di chi non è costretto dalla
necessita al vitto frugale. A dargli retta, ora con le sue nausee
ora col rimandarvi alla gola il sapore de' cibi ricevuti ed ora con
moleste acidità, vi ridurrebbe al regime de' convalescenti. In questi
casi, se non avete nulla a rimproverarvi per istravizio, muovetegli
guerra; combattetelo corpo a corpo per vedere di vincerlo; ma se poi
assolutamente la natura si ribella ad un dato alimento, allora solo
concedetegli la vittoria e smettete.
Chi non esercita attività muscolare deve vivere più parco degli altri
e a questo proposito Agnolo Pandolfini nel _Trattato del governo
della famiglia_, dice: «Trovo che molto giova la dieta, la sobrietà,
non mangiare, non bere, se non vi sentite fame o sete. E provo in me
questo, per cosa cruda e dura che sia a digestire, vecchio come io
sono, dall'un sole all'altro mi trovo averla digestita. Figliuoli miei,
prendete questa regola brieve, generale e molto perfetta. Ponete cura
in conoscere qual cosa v'è nociva, e da quella vi guardate; e quale vi
giova e fa pro quella seguite e continuate».
Allo svegliarvi la mattina consultate ciò che più si confà al vostro
stomaco; se non lo sentite del tutto libero limitatevi ad una tazza di
caffè nero, e se la fate precedere da mezzo bicchier d'acqua frammista
a caffè servirà meglio a sbarazzarvi dai residui di una imperfetta
digestione. Se poi vi trovate in perfetto stato e (avvertendo di
non pigliare abbaglio perchè c'è anche la falsa fame) sentite subito
bisogno di cibo, indizio certo di buona salute e pronostico di lunga
vita, allora viene opportuno, a seconda del vostro gusto, col caffè
nero un crostino imburrato, o il caffè col latte, oppure la cioccolata.
Dopo quattr'ore circa, che tante occorrono per digerire una colazione
ancorchè scarsa e liquida, si passa secondo l'uso moderno alla
colazione solida delle 11 o del mezzogiorno.
Questo pasto, per essere il primo della giornata, è sempre il più
appetitoso, e perciò non conviene levarsi del tutto la fame, se volete
gustare il pranzo e, ammenochè non conduciate vita attiva e di lavoro
muscolare, non è bene il pasteggiar col vino, perchè il rosso non è
di facile digestione e il bianco essendo alcoolico, turba la mente se
questa deve stare applicata.
Meglio è il pasteggiar la mattina con acqua pura e bere in fine un
bicchierino o due di vino da bottiglia, oppure il far uso di the
semplice o col latte che io trovo molto omogeneo; non aggrava lo
stomaco e, come alimento nervoso e caldo aiuta a digerire.
Nel pranzo, che è il pasto principale della giornata e, direi, quasi
una festa di famiglia, si può scialare, ma più durante l'inverno che
nell'estate, perchè nel caldo si richiedono alimenti leggieri e facili
a digerirsi. Più e diverse qualità di cibi, dei due regni della natura,
ove predomini l'elemento carneo, contribuiscono meglio a una buona
digestione specialmente se annaffiati da vino vecchio ed asciutto; ma
guardatevi dalle scorpacciate come pure da quei cibi che sono soliti
a sciogliervi il corpo, e non dilavate lo stomaco col troppo bere. A
questo proposito alcuni igienisti consigliano il pasteggiar coll'acqua
anche durante il pranzo, serbando il vino alla fine. Fatelo se ve ne
sentite il coraggio; a me sembra un troppo pretendere.
Se volete una buona regola, nel pranzo arrestatevi al primo boccone
che vi fa nausea e senz'altro passate al _dessert_. Un'altra buona
consuetudine contro le indigestioni e all'esuberanza di nutrimento è di
mangiar leggiero il giorno appresso a quello in cui vi siete nutriti di
cibi gravi e pesanti.
Il gelato non nuoce alla fine del pranzo, anzi giova, perchè richiama
al ventricolo il calore opportuno a ben digerire; ma guardatevi sempre,
se la sete non ve lo impone, di bere tra un pasto e l'altro, per non
disturbare la digestione, avendo bisogno questo lavoro di alta chimica
della natura di non essere molestato.
Fra la colazione e il pranzo lasciate correre un intervallo di sette
ore, che tante occorrono per una completa digestione, anzi non bastano
per quelli che l'hanno lenta, cosicchè avendo luogo la colazione
alle undici, meglio è trasportare il pranzo alle sette; ma veramente
non si dovrebbe ritornare al cibo altro che quando lo stomaco chiama
con insistenza soccorso, e questo bisogno tanto più presto si farà
imperioso se lo provocate con una passeggiata all'aria libera oppure
con qualche esercizio temperato e piacevole.
«L'esercizio, dice il precitato Agnolo Pandolfini, conserva la vita,
accende il caldo e il vigore naturale, schiuma superchie e cattive
materie e umori, fortifica ogni virtù del corpo e de' nervi; è
necessario a' giovani, utile a' vecchi. Colui non faccia esercizio,
che non vuole vivere sano e lieto. Socrate, si legge, in casa ballava
e saltava per esercitarsi. La vita modesta, riposata e lieta fu sempre
ottima medicina alla sanità».
La temperanza e l'esercizio dei corpo sono dunque i due perni su cui
la salute si aggira; ma avvertite che _quando eccede, cangiata in vizio
la virtù si vede_, imperocchè le perdite continue dell'organismo hanno
bisogno di riparazione. Dalla pletora per troppo nutrimento guardatevi
dal cadere nell'eccesso opposto di una scarsa e insufficiente
alimentazione per non lasciarvi indebolire.
Durante l'adolescenza ossia nel crescere, l'uomo ha bisogno di molto
nutrimento; per l'adulto e specialmente pel vecchio la moderazione nel
cibo è indispensabile virtù per prolungare la vita.
A coloro che hanno conservata ancora la beata usanza de' nostri padri
di pranzare a mezzogiorno o al tocco, rammenterò l'antichissimo adagio:
_Post prandium stabis et post cenam ambulabis_; a tutti poi, che la
prima digestione si fa in bocca, quindi non si potrebbe mai abbastanza
raccomandare la conservazione dei denti, per triturare e macinare
convenientemente i cibi, che coll'aiuto della saliva, si digeriscono
assai meglio di quelli tritati e pestati in cucina, i quali richiedono
poca masticazione, riescono pesanti allo stomaco, come se questo
viscere sentisse sdegno per avergli tolto parte del suo lavoro; anzi
molti cibi riputati indigesti possono riescire digeribili e gustati
meglio mediante una forte masticazione.
Se con la guida di queste norme saprete regolar bene il vostro stomaco,
da debole che era il renderete forte, e se forte di natura, tale il
conserverete senza ricorrere ai medicamenti. Rifuggite dai purganti,
che sono una rovina se usati di frequente, e ricorrete ad essi ben di
rado e soltanto quando la necessità il richieda. Molte volte le bestie
col loro istinto naturale e fors'anche col raziocinio insegnano a noi
come regolarci: il mio carissimo amico Sibillone, quando prendeva
un'indigestione, stava un giorno o due senza mangiare e l'andava a
smaltire sui tetti. Sono quindi da deplorare quelle pietose mamme
che, per un'esagerazione del sentimento materno, tengono gli occhi
sempre intenti alla salute de' loro piccini e ad ogni istante che
li vedono un po' mogi o non obbedienti al secesso, con quella fisima
sempre in capo de' bachi, i quali il più sovente non sono che nella
loro immaginazione, non lasciano agir la natura che, in quella età
rigogliosa ed esuberante di vita, fa prodigi lasciata a se stessa; ma
ricorrono subito al medicamento, al clistere.
L'uso de' liquori che, a non istare in guardia diventa abuso, è
riprovato da tutti gli igienisti pei guasti irreparabili che cagionano
nell'organismo umano. Può fare eccezione soltanto un qualche leggero
poncino di cognac (sia pure con l'odore del rum) nelle fredde serate
d'inverno, perchè aiuta nella notte la digestione e vi trovate la
mattina con lo stomaco più libero e la bocca migliore.
Male, male assai poi fanno coloro che si lasciano vincere dal vino. A
poco a poco, sentono nausea al cibo e si nutrono quasi esclusivamente
di quello; indi si degradano agli occhi del mondo, diventando ridicoli,
pericolosi e bestiali. C'era un mercante che quando arrivava in una
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