La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene - 28

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burro e aspergetela di zucchero a velo e farina. Dopo averla cotta
al forno o al forno da campagna copritela con una crosta tenera come
quella del N. 645, oppure con un intonaco di cioccolata in questa
maniera:
Mettete al fuoco grammi 30 di burro e grammi 100 di cioccolata a
pezzetti e quando sarà bene sciolta aggiungete grammi 30 di zucchero a
velo e distendete il composto sul dolce quando non sarà più a bollore.
Se non temessi di seccare il lettore, qui verrebbe opportuna un'altra
digressione sulla cucina tedesca.
Mi resterà memorabile finchè vivo il trattamento della tavola rotonda
di un grande albergo ai bagni di Levico. Cominciando dal fritto o
dal lesso fino all'arrosto inclusivo tutti i piatti nuotavano in un
abbondante sugo sempre eguale, dello stesso gusto e sapore, con qual
delizia dello stomaco potete immaginarlo e, come se ciò fosse poco al
suo tormento, quei piatti spesso spesso venivano in tavola accompagnati
da un timballo di capellini, — di capellini, capite! — che in questo
modo devono sottostare a doppia e lunga cottura: un vero impiastro.
Quanta differenza dal gusto nostro! Ai capellini in brodo il mio
cuoco ha l'ordine di far alzare appena il bollore, ed io li prevengo
aspettandoli in tavola.
La cucina italiana, che può rivaleggiare con la francese, e in qualche
punto la supera, per la grande affluenza oggigiorno di forestieri
in Italia che, si vuole, vi lascino da trecento milioni all'anno e,
secondo calcoli approssimativi, con un crescendo eccezionale di altri
duecento milioni in oro nell'anno santo 1900, va a perdere, a poco
a poco, in questo miscuglio turbinoso di popoli viaggianti, il suo
carattere particolare e questa modificazione nel vitto già è cominciata
a manifestarsi più specialmente nelle grandi città e nei luoghi più
battuti dai forestieri. Ebbi a persuadermene di recente a Pompei, ove,
entrato con un mio compagno di viaggio in un ristoratore in cui ci
aveva preceduto una comitiva di tedeschi, uomini e donne, ci fu servito
il medesimo trattamento di loro. Venuto poi il padrone a chiederci
gentilmente se noi eravamo rimasti contenti, io mi permisi di fargli
qualche osservazione, sullo sbrodolo nauseoso dei condimenti ed ei mi
rispose: «Bisogna bene che la nostra cucina appaghi il gusto di questi
signori forestieri, essendo quelli che ci danno il guadagno». Forse per
la stessa ragione, sento dire che la cucina bolognese ha subìto delle
variazioni e non è più quella famosa di una volta.
645. Torta tedesca
Eccovi un'altra torta della stessa nazione e buona anche questa, anzi
eccellente.
Raccontavano i nostri nonni che quando, sullo scorcio del XVIII secolo,
i Tedeschi invasero l'Italia, avevano nei loro costumi qualche cosa
del bruto; e facevano inorridire a vederli preparare, ad esempio, un
brodo colle candele di sego che tuffavano in una pentola d'acqua a
bollore, strizzandone i lucignoli; ma quando nel 1849 sfortunatamente
ci ricascarono addosso, furono trovati assai rinciviliti e il sego non
era visibile che ne' grandi baffi delle milizie croate col quale li
inzafardavano, facendoli spuntare di qua e di là dalle gote, lunghi
un dito e ritti interiti. Però, a quanto dicono i viaggiatori, una
predilezione al sego predomina ancora nella loro cucina, la quale
dagl'Italiani è trovata di pessimo gusto e nauseabonda per untumi di
grasso d'ogni specie e per certe minestre sbrodolone che non sanno di
nulla. Al contrario tutti convengono che i dolci in Germania si sanno
fare squisiti e voi stessi potrete, così alto alto, giudicare del
vero, da questo che vi descrivo e dagli altri del presente trattato che
portano il battesimo di quella nazione.
Zucchero, grammi 250.
Farina, grammi 125.
Mandorle dolci, grammi 125.
Burro, grammi 100.
Cremor di tartaro, grammi 15.
Bicarbonato di soda, grammi 5.
Rossi d'uovo, N. 8.
Chiare, N. 5.
Odore di vainiglia.
Le mandorle sbucciatele, asciugatele bene al sole o al fuoco e
pestatele finissime in un mortaio con una delle dette chiare.
Lavorate prima il burro da solo con un mestolo, rammorbidendolo un
poco d'inverno a bagnomaria, aggiungete i rossi ad uno ad uno, indi
lo zucchero e lavorate queste cose insieme almeno mezz'ora. Unite al
composto le mandorle e rimestate ancora, poi le quattro chiare montate
e la farina fatta cadere da un vagliettino, mescolando adagio. Per
ultimo versate le polveri che servono per rendere il dolce più soffice
e più leggiero e cuocetelo al forno in una teglia, non troppo piena,
unta col burro diaccio e spolverizzata di zucchero a velo e di farina.
Per isciogliere bene le mandorle nel composto non vi è altro mezzo
che versare una porzione di questo sopra le medesime, macinandole col
pestello.
Ora che è fatta la cappa bisogna pensare al cappuccio, che è una crosta
tenera che le si distende al disopra. Occorre per la medesima:
Burro, grammi 100.
Zucchero a velo, grammi 100.
Caffè in polvere, grammi 30.
Fate bollire la detta polvere in pochissima acqua per ottenere due o
tre cucchiaiate soltanto di caffè chiaro, ma potentissimo. Lavorate il
burro per circa mezz'ora, rammorbidito d'inverno a bagno-maria, girando
il mestolo sempre per un verso; aggiungete lo zucchero e lavoratelo
ancora molto, per ultimo il caffè a mezzi cucchiaini per volta
arrestandovi quando sentite che il gusto del caffè è ben pronunziato.
Versate il composto sopra la torta quando sarà diaccia e distendetelo
pari pari con un coltello da tavola; ma per averlo bene eguale ed unito
passategli sopra a poca distanza una paletta infocata.
A vostra norma, questa crosta di gusto delicatissimo, deve avere
il colore del caffè latte. Al caffè, volendo, si può sostituire la
cioccolata infusa, come quella descritta nella torta precedente, di
pane bruno alla tedesca.
646. Torta di mandorle e cioccolata
Per chi ama la cioccolata, questa, se non m'inganno, è una torta
squisita.
Mandorle, grammi 150.
Zucchero, grammi 150.
Cioccolata, grammi 100.
Farina di patate, grammi 60.
Burro, grammi 50.
Latte, decilitri 3.
Uova, N. 4.
Odore di vainiglia.
Le mandorle sbucciatele, asciugatele bene al sole o al fuoco e
pestatele finissime nel mortaio insieme con un terzo del detto
zucchero. Fate un intriso al fuoco col detto burro, la farina di
patate e il latte versato a poco per volta. Quando sarà giunto a
consistenza versate la cioccolata grattata, lo zucchero rimasto e, dopo
essersi sciolti bene l'uno e l'altra, aggiungete le mandorle pestate,
rimestando continuamente. Quando il composto sarà bene amalgamato
dategli l'odore collo zucchero vanigliato e lasciatelo diacciare per
unirvi le uova frullate a parte.
Con grammi 100 di farina fate la pasta matta del N. 153 e con la
medesima, regolandovi come nella Torta di ricotta N. 639, versatela in
una teglia ove riesca della grossezza di oltre un dito, per cuocerla
nel forno da campagna. Va tagliata a mandorle come quella, quando sarà
ben diaccia.
647. Pasticcini di pasta beignet coperti di cioccolata
Servitevi della ricetta N. 631, ma teneteli più piccoli onde ottenerne
da 20 a 23. Riempiteli con crema, o panna montata, o conserva di
frutte.
Frullate nella cioccolatiera sul fuoco questo composto:
Cioccolata, grammi 120.
Zucchero in polvere, grammi 50.
Acqua, decilitri 1.
Quando sarà ben frullato, come la cioccolata che si serve in tazza,
versatelo così a bollore sui pasticcini a suolo per suolo che
disporrete in bella mostra sopra un vassoio ove facciano la colma.
È un piatto che è bene farlo il giorno stesso che deve esser servito,
perchè altrimenti indurisce.
Questa dose potrà bastare per sei persone.
648. Dolce Roma
Un signore, che non ho il bene di conoscere, ebbe la gentilezza di
mandarmi da Roma questa ricetta, della quale gli sono grato sì perchè
trattasi di un dolce di aspetto e di gusto signorile e sì perchè era
descritto in maniera da farmi poco impazzire alla prova. C'era però
una lacuna da riempire, e cioè di dargli un nome, chè non ne aveva; ed
io, vista la nobile sua provenienza, ho creduto mio dovere metterlo in
compagnia del Dolce Torino e del Dolce Firenze, dandogli il nome della
città che un giorno riempirà di fama il mondo come in antico.
Scegliete mele di qualità fine, non troppo mature e di media grossezza.
Pesatene 600 grammi, che non potranno essere più di cinque o sei di
numero; levate loro il torsolo col cannello di latta e sbucciatele. Poi
mettetele a cuocere con decilitri due di vino bianco alcoolico e gr.
130 di zucchero, avvertendo che non si rompano bollendo e voltandole, e
che non passino troppo di cottura. Levatele asciutte, collocatele col
foro verticale in un vaso decente da potersi portare in tavola e che
regga al fuoco, e versatevi sopra una crema fatta con:
Latte, decilitri N. 4.
Rossi d'uovo, N. 3.
Zucchero, grammi 70.
Farina, grammi 20.
Odore di zucchero vanigliato.
Ora montate con la frusta le tre chiare rimaste, quando saranno ben
sode uniteci grammi 20 di zucchero a velo e con queste coprite la
crema; indi ponete il dolce nel forno da campagna, o soltanto sul
fornello del focolare col solo coperchio del medesimo, con fuoco sopra
e poco sotto per rosolare la superficie, e prima di mandarlo in tavola
spalmatelo mediante un pennello col sciroppo ristretto rimasto dalla
cottura delle mele.
Potrà bastare per sette od otto persone.
649. Dolce Torino
Formate questo dolce sopra un vassoio o sopra un piatto e dategli la
forma quadra.
Savoiardi, grammi 100.
Cioccolata, grammi 100.
Burro fresco, grammi 100.
Zucchero a velo, grammi 70.
Un rosso d'uovo.
Latte, cucchiaiate N. 2.
Odore di zucchero vanigliato.
Tagliate i savoiardi in due parti per il lungo e bagnateli col rosolio,
oppure, il che sarebbe meglio, metà col rosolio e metà con l'alkermes,
per poterli alternare onde facciano più bella mostra. Lavorate
dapprima il burro con lo zucchero e il rosso d'uovo; ponete al fuoco
la cioccolata, grattata o a pezzetti, col latte, e quando sarà bene
sciolta versatela calda nel burro lavorato, uniteci l'odore e formate
così una poltiglia mescolandola bene.
Disponete sul vassoio un primo strato dei detti savoiardi e spalmateli
leggermente con la detta poltiglia; indi sovrapponete un altro
strato di savoiardi, poi un terzo strato ancora, spalmandoli sempre
leggermente. Il resto della poltiglia versatelo tutto sopra ed ai lati
pareggiandolo meglio che potete. Il giorno dopo, prima di servirlo,
lisciatelo tutto alla superficie con la lama di un coltello scaldata
al fuoco, e in pari tempo, piacendovi, ornatelo con una fioritura di
pistacchi oppure di nocciuole leggermente tostate, gli uni e le altre
tritate finissime.
Grammi 40 di nocciuole pesate col guscio o grammi 15 di pistacchi
potranno bastare. Già saprete che questi semi vanno sbucciati
coll'acqua calda.
È una dose per sei o sette persone.
650. Dolce Firenze
Avendolo trovato nell'antica e bella città dei fiori senza che alcuno
siasi curato di dargli un nome, azzarderò chiamarlo dolce Firenze; e
se, per la sua modesta natura, esso non farà troppo onore alla illustre
città, può scusarsi col dire: Accoglietemi come piatto da famiglia e
perchè posso indolcirvi la bocca con poca spesa.
Zucchero, grammi 100.
Pane sopraffino, grammi 60.
Uva sultanina, grammi 40.
Uova, N. 3.
Burro, quanto basta.
Latte, mezzo litro.
Odore di scorza di limone.
Il pane tagliatelo a fette sottili, arrostitele leggermente,
imburratele calde da ambedue le parti e collocatele in un vaso concavo
e decente da potersi portare in tavola. Sopra le fette del pane
spargete l'uva e la buccia grattata del limone. Frullate bene le uova
in un pentolo con lo zucchero, poi uniteci il latte e questo miscuglio
versatelo nel vaso sopra gl'ingredienti postivi, senza toccarli. Per
cuocerlo posate il vaso sopra un fornello del focolare con poco fuoco,
copritelo col coperchio del forno da campagna col fuoco sopra, e
servitelo caldo.
Potrà bastare per cinque persone.
651. Sformato cogli amaretti coperto di zabaione
Amaretti, grammi 100.
Zucchero, grammi 100.
Farina di patate, grammi 80.
Latte, mezzo litro.
Uova, N. 3.
Ponete lo zucchero e la farina di patate in una cazzaruola e versateci
il latte diaccio a poco per volta, mescolando.
Pestate gli amaretti nel mortaio per ridurli in polvere, e se per
la loro qualità ciò non avviene, bagnateli con un gocciolo di latte,
passateli dallo staccio e indi uniteli al composto che metterete al
fuoco per assodarlo. Tolto dal fuoco, quando sarà tiepido versateci le
uova, prima i rossi, poi le chiare montate. Ungete col burro diaccio
uno stampo col buco in mezzo e versateci il composto per cuocerlo nel
forno da campagna; cotto che sia riempitelo e copritelo con lo zabaione
del N. 684 e mandatelo in tavola.
652. Sformato di farina dolce
Un signore di Barga di onorevole casato, che non ho il piacere di
conoscere personalmente, invaghito (com'egli dice), per bontà sua, di
questo mio libro, ha voluto gratificarsi meco, mandandomi la presente
ricetta che credo meritevole di essere pubblicata ed anche lodata.
Farina dolce, ossia di castagne, grammi 200.
Cioccolata, grammi 50.
Zucchero, grammi 30.
Burro, grammi 25.
Cedro candito, grammi 20.
Mandorle dolci, N. 12 e qualche pistacchio.
Latte, mezzo litro.
Uova, N. 3.
Panna montata coll'odore di vainiglia, grammi 150.
Prima sbucciate le mandorle e i pistacchi; questi tagliateli a metà,
quelle a filetti o a pezzetti e tostatele. Anche il candito foggiatelo
a pezzettini.
Sciogliete al fuoco la cioccolata in un decilitro del detto latte,
poi uniteci lo zucchero e il burro e lasciatela da parte. Ponete
la farina in un tegame e versateci il resto del latte a poco per
volta, mescolando bene onde non si formino bozzoli; poi unitela alla
cioccolata e mettete il composto al fuoco per cuocerlo. Cotto che
sia lasciatelo freddare per aggiungere le uova, prima i rossi, poi le
chiare montate, e per ultimo le mandorle, i pistacchi e il candito.
Ora prendete uno stampo col buco in mezzo, ungetelo col burro diaccio e
versateci il composto per assodarlo a bagno-maria. Prima di sformarlo
contornatelo tutto di ghiaccio trito frammisto a sale per gelarlo, e
mandatelo in tavola col ripieno della panna surricordata.
Potrà bastare per sette od otto persone.
653. Dolce di marroni con panna montata
Marroni sani e grossi una trentina circa, grammi 500.
Zucchero a velo, grammi 130.
Cioccolata, grammi 60.
Rosolio di cedro, cucchiaiate N. 3.
Cuocete i marroni nell'acqua come fareste per le ballotte, sbucciateli
e passateli caldi. La cioccolata riducetela in polvere e poi con tutti
gl'ingredienti formate un impasto. Prendete un piatto grande, tondo
e decente, collocateci in mezzo un piattino da caffè rovesciato e con
lo staccio di crine sopra passate tutto il composto girando via via il
piatto onde venga distribuito egualmente. Compita l'operazione, levate
in bel modo, nettandolo, il piattino da caffè ed il vuoto che resta in
mezzo riempitelo con grammi 300 di panna montata.
È tanto da poter bastare ad otto persone.
654. Biscottini puerperali
Il sesso che, a buon diritto, porta il titolo di gentile, non tanto per
la gentilezza delle maniere quanto per quel delicato senso morale che
lo rende naturalmente proclive a tutto ciò che può recare un vantaggio,
un conforto all'umanità, ha molto contribuito a che l'elenco delle mie
ricette riuscisse più copioso e svariato.
Una signora di Conegliano mi scrive, quasi meravigliandosi, che non
ha trovato nel mio libro _la pinza dell'Epifania e_ (non ridete) _i
biscottini puerperali_; due cose, secondo lei, di non poca importanza.
Racconta la detta signora che la sera della vigilia di quella festa,
in tutte le colline e la pianura della bella Conegliano, i componenti
di ogni famiglia di contadini, dopo aver fatto fuochi e grandi baldorie
nell'aia del podere e recitate orazioni per invocare dal Cielo ubertoso
il futuro raccolto, si ritirano in casa, tutti felici e contenti, ove
li aspetta _la pinza sotto il camin annaffiata con del buon vin_.
Mentre quei buoni contadini mangiano la pinza, — che per essere, più
che ad altri, dicevole a quelle genti e a quel clima, io non descrivo,
— secondo i dettami della signora rivolgerò le mie cure ai _biscottini
puerperali_, perchè essa li giudica nutrienti e delicati, opportuni a
riparare la spossatezza di chi ha dato alla luce un figliuolo.
Rossi d'uovo, N. 8.
Zucchero a velo, grammi 150.
Cacao in polvere, grammi 40.
Burro, grammi 40.
Odore di vainiglia mediante zucchero vanigliato.
Ponete questi ingredienti in un vaso e, con un mestolo, lavorateli
per oltre un quarto d'ora; poi versate il composto in quattro scatole
di carta, lunghe otto e larghe sei centimetri circa. Collocate le
medesime in una teglia di rame coperta, posatela sopra un fornello con
pochissimo fuoco sotto e sopra onde il composto assodi alquanto senza
fare la crosticina perchè si deve prender su a cucchiaini: quindi è
affatto improprio il nome di _biscottini_.
655. Ribes all'inglese
Ribes, grammi 300.
Zucchero, grammi 120.
Acqua, decilitri 2.
Nettate il ribes dai gambi, mettetelo al fuoco colla detta acqua
e quando avrà alzato il bollore versate lo zucchero. Due minuti di
bollitura bastano, dovendo il ribes restare intero. Versatelo in una
compostiera e servitelo diaccio come frutta cotta. I semi, se non si
vogliono inghiottire, si succhiano e si sputano.
Nella stessa guisa si possono condizionare le ciliege marasche senza
levare il nocciolo e facendole bollire con un pezzetto di cannella.
656. Prugne giulebbate
Prendete prugne secche di Bosnia che sono grosse, lunghe e polpute a
differenza delle prugne di Marsiglia piccole, tonde, magre, coperte da
quel velo bianco che a Firenze chiamasi _fiore_, le quali non farebbero
al caso. Per una quantità di grammi 500, dopo averle lavate e tenute in
molle per due ore nell'acqua fresca, levatele asciutte e mettetele al
fuoco con:
Vino rosso buono, decilitri 4.
Acqua, decilitri 2.
Marsala, un bicchierino.
Zucchero bianco, grammi 100.
Un pezzetto di cannella.
Fatele bollire adagio per mezz'ora a cazzaruola coperta, che può
bastare, ma prima di toglierle dal fuoco accertatevi che siansi
rammorbidite abbastanza, perchè il più o il meno di cottura può
dipendere dalla qualità della frutta.
Levatele asciutte collocandole nel vaso dove volete servirle, e
lo sciroppo che resta fatelo restringere al fuoco per otto o dieci
minuti a cazzaruola scoperta e poi versatelo anch'esso nel vaso sopra
le prugne. All'odore della cannella, che mi sembra quello che più
si addice, potete sostituire la vainiglia o la scorza di cedro o di
arancio.
È un dolce che si conserva a lungo e di gusto delicato, aggradito
specialmente dalle signore. Non vorrei passare per il sior Todero
Brontolon se anche qui tocco il tasto dell'industria nazionale nel
vedere che questo frutto si paga L. 1,50 il chilogrammo, ritenendo che
si potesse coltivare in Italia la specie di susina che si presta meglio
ad essere seccata e messa in commercio a quest'uso.
657. Budino di semolino
Dosi precise:
Latte, decilitri 8.
Semolino, grammi 150.
Zucchero, grammi 100.
Uva passolina, grammi 100.
Burro, grammi 20.
Uova, N. 4.
Rhum, 3 cucchiaiate.
Sale, una presa.
Odore di scorza di limone.
Alcuni aggiungono pezzetti di candito, ma il troppo condimento talvolta
guasta. Dopo averlo preparato e tolto dal fuoco cuocetelo in uno stampo
liscio o lavorato, unto prima col burro e spolverizzato di pangrattato.
Mancando il forno comune o da campagna, i budini possono cuocersi bene
anche in un fornello del focolare.
Questo budino servitelo caldo.
658. Budino di semolino e conserve
Latte, mezzo litro.
Semolino, grammi 130.
Zucchero, grammi 70.
Burro, grammi 15.
Uova, N. 2.
Una presa di sale.
Odore di scorza di limone.
Diverse conserve di frutta.
Cuocete il semolino nel latte; aggiungete lo zucchero e il burro
quando è bollente; l'odore e il sale quando lo ritirate dal fuoco;
scocciate le uova quando è ancora caldo e mescolate ben bene. Preparate
uno stampo da budino, liscio o lavorato, unto col burro e cosparso
di pangrattato, e versateci a poco per volta il composto diaccio,
rifiorendolo via via di conserve a pezzetti o a cucchiaini secondo
che esse sieno liquide o sode; però avvertite che non vadano a toccare
le pareti dello stampo, perchè vi si attaccherebbero, e che non sieno
troppo in abbondanza, chè stuccherebbero. Servitelo caldo dopo averlo
cotto nel fornello.
Le conserve che, a mio gusto, più si prestano per questo dolce sono
quelle di lampone e di cotogne; ma possono andare anche quelle di
albicocche, di ribes e di pesche.
Per otto o dieci persone raddoppiate la dose.
659. Budino di farina di riso
Questo dolce nella sua semplicità è, a mio parere, di un sapore
assai delicato e, benchè cognito forse ad ognuno, non dispiacerà di
sentirne stabilite le dosi nelle seguenti proporzioni, che io credo non
abbisognino di essere nè aumentate nè diminuite.
Latte, litri 1.
Farina di riso, grammi 200.
Zucchero, grammi 120.
Burro, grammi 20.
Uova, N. 6.
Una presa di sale.
Odore di vainiglia.
Sciogliete prima la farina con la quarta parte del latte diaccio,
aggiungetene un poco del caldo quando è a bollore e versatela nel
resto del latte quando bolle; così impedirete che si formino bozzoli.
Quando è cotta aggiungete lo zucchero, il burro e il sale; ritiratela
dal fuoco e aspettate che sia tiepida per mescolarvi entro le uova e
l'odore. Cuocete questo budino come l'antecedente.
La composizione di questo dolce, il quale probabilmente non è di data
molto antica, mi fa riflettere che le pietanze pur anche vanno soggette
alla moda e come il gusto de' sensi varia seguendo il progresso
e la civiltà. Ora si apprezza una cucina leggiera, delicata e di
bell'apparenza e verrà forse un giorno che parecchi di questi piatti
da me indicati per buoni, saranno sostituiti da altri assai migliori.
I vini sdolcinati di una volta hanno lasciato libero il passo a quelli
generosi ed asciutti, e l'oca cotta in forno col ripieno d'aglio e di
mele cotogne, giudicato piatto squisito nel 1300, ha ceduto il posto
al tacchino ingrassato in casa, ripieno di tartufi, e al cappone in
galantina. In antico, nelle grandi solennità, si usava servire in
tavola un pavone lesso o arrosto con tutte le sue penne, spellato prima
di cuocerlo e rivestito dopo, contornato di gelatine a figure colorate
con polveri minerali nocive alla salute, e pei condimenti odorosi si
ricorreva al comino e al bucchero che più avanti vi dirò cos'era.
Le paste dolci si mantennero in Firenze di una semplicità e rozzezza
primitiva fin verso la fine del secolo XVI, nel qual tempo arrivò una
compagnia di Lombardi, che si diede a fare pasticci, offelle, sfogliate
ed altre paste composte d'uova, burro, latte, zucchero o miele;
ma prima d'allora nelle memorie antiche sembra che sieno ricordati
soltanto i pasticci ripieni di carne d'asino che il Malatesta regalò
agli amici nel tempo dell'assedio di Firenze quando la carestia,
specialmente di companatico, era grande.
Ora, tornando al bucchero, vi fu un tempo che, come ora la Francia, era
la Spagna che dava il tòno alle mode, e però ad imitazione del gusto
suo, al declinare del secolo XVII e al principio del XVIII, vennero in
gran voga i profumi e le essenze odorose. Fra gli odori, il bucchero
infanatichiva e tanto se ne estese l'uso che perfino gli speziali e
i credenzieri, come si farebbe oggi della vainiglia, lo cacciavano
nelle pasticche e nelle vivande. Donde si estraeva questo famoso odore
e di che sapeva? Stupite in udirlo e giudicate della stravaganza dei
gusti e degli uomini! Era polvere di cocci rotti e il suo profumo
rassomigliava a quello che la pioggia d'estate fa esalare dal terreno
riarso dal sole; odor di terra, infine, che tramandavano certi vasi
detti buccheri, sottili e fragili, senza vernice, dai quali forse ha
preso nome il color rosso cupo; ma i più apprezzati erano di un nero
lucente. Codesti vasi furono portati in Europa dall'America meridionale
la prima volta dai Portoghesi e servivano per bervi entro e per farvi
bollir profumi e acque odorose, poi se ne utilizzavano i frantumi nel
modo descritto.
Nell'_Odissea_ d'Omero, traduzione d'Ippolito Pindemonte, Antinoo dice:
. . . . . . . Nobili Proci,
Sentite un pensier mio. Di que'ventrigli
Di capre, che di sangue e grasso empiuti
Sul fuoco stan per la futura cena,
Scelga qual più vorrà chi vince, e quindi
D'ogni nostro convito a parte sia.
Nel Tom. 6º dell'_Osservatore Fiorentino_ si trova la descrizione di
una cena, la quale, per la sua singolarità, merita di riferirne alcuni
passi:
«Tra i piatti di maggior solennità si contava ancora il pavone, cotto
a lesso con le penne, e la gelatina, formata e colorita a figure. Un
certo senese, trattando a cena un Cortigiano di Pio II (alla metà del
1400 all'incirca) per nome Goro, fu sì mal consigliato in preparar
questi due piatti, che si fece dar la baia per tutta Siena; tantopiù
che non avendo potuto trovar pavoni, sostituì oche salvatiche, levato
loro i piedi ed il becco.
«Venuti in tavola i pavoni senza becco e ordinato uno che tagliasse; il
quale non essendo più pratico a simile uffizio, gran pezzo si affaticò
a pelare, e non potè far sì destro, che non empiesse la sala e tutta
la tavola di penne, e gli occhi e la bocca, e il naso e gli orecchi a
Messer Goro e a tutti...
«Levata poi questa maledizione di tavola, vennero molti arrosti pure
con assai comino; non pertanto tutto si sarebbe perdonato, ma il
padrone della casa, co' suoi consiglieri, per onorare più costoro,
aveva ordinato un piatto di gelatina a lor modo, e vollero farvi
dentro, come si fa alle volte a Firenze e altrove, l'arme del Papa, e
di Messer Goro con certe divise, e tolsero orpimento, biacca, cinabro,
verderame, ed altre pazzie, e fu posta innanzi a Messer Goro per
festa e cosa nuova, e Messer Goro ne mangiò volentieri e tutti i suoi
compagni per ristorare il gusto degli amari sapori del comino, e delle
strane vivande.
«E per poco mancò poi la notte, che non distendessero le gambe alcun di
loro, e massime Messer Goro ebbe assai travaglio di testa e di stomaco,
e rigettò forse la piumata delle penne selvatiche. Dopo questa vivanda
diabolica o pestifera vennero assai confetti, e fornissi la cena».
660. Budino alla tedesca
Midolla di pane sopraffine, grammi 140.
Burro, grammi 100.
Zucchero, grammi 80.
Uova, N. 4.
Odore di scorza di limone.
Una presa di sale.
Se trovate del pane in forma, uso inglese, servitevi di questo che è
meglio d'ogni altro. La midolla sminuzzatela o tagliatela a fette e
bagnatela con latte diaccio. Quando sarà bene inzuppata strizzatela
da un canovaccio e passatela dallo staccio. Il burro, d'inverno,
struggetelo a bagnomaria e lavoratelo con un mestolo insieme coi
rossi d'uovo finchè l'uno e gli altri siansi incorporati; aggiungete
le chiare, la midolla e lo zucchero e rimestate ancora. Versate il
composto in uno stampo unto col burro e spolverizzato di pangrattato
e cuocetelo come gli altri budini; cioè nel fornello. Se lo fate con
attenzione vi riescirà di bell'aspetto e di gusto delicato. Si serve
caldo.
661. Budino di patate
La patata è il tubero di una pianta della famiglia delle solanacee
originaria dell'America meridionale d'onde fu introdotta in Europa
verso la fine del secolo XVI; ma non si cominciò a coltivarla in grande
che al principio del XVIII a motivo della ostinatissima opposizione
del volgo sempre alieno alle novità. A poco per volta venne poi bene
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