La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene - 21

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Si potrebbero riempir le conchiglie anche con la polpa del pollo lesso
tritato conservando le stesse proporzioni.
479. Storione
Mi permetta il lettore di fare un po' di storia su questo pesce
interessantissimo.
Lo storione appartiene all'ordine dei Ganoidi, da _Ganus_ che vuol
dire lucente, per la lucentezza delle squame, e al sott'ordine dei
Chondrostei per avere lo scheletro cartilagineo. Costituisce la
famiglia degli _Acipenser_ che si qualifica appunto per questi due
distintivi e per la pelle a cinque serie longitudinali di placche a
smalto. È un pesce che ha la bocca posta alla faccia inferiore del
capo, priva di denti e in forma di succhiatoio protrattile, con cirri
nasali ossia tentacoli, per cercare sotto le acque, nel fango, il
nutrimento che pare consista di piccoli animalucci.
Sono animali molto in pregio per le loro carni, per le uova che
costituiscono il caviale e per l'enorme vescica natatoria con cui si
forma l'ittiocolla o colla di pesce. In primavera rimontano i fiumi per
deporre le uova in luoghi tranquilli lungo le sponde.
L'Italia ne alberga diverse specie, la più stimata delle quali, come
cibo, è l'_Acipenser sturio_ (storione comune); lo si riconosce pel
muso acuto, pel labbro inferiore carnoso e nel mezzo diviso, non
che pei cirri nasali semplici e tutti eguali tra loro. Frequenta
a preferenza le foci del Ticino e del Po ove, non è gran tempo, ne
fu pescato uno che pesava Kg. 215; ma la specie che prende maggior
sviluppo è l'_Acipenser huso_, il quale raggiunge fino a due metri e
più di lunghezza, con ovaia grandi un terzo dell'animale, ed è questa
particolarmente che somministra il caviale e l'ittiocolla. Il primo
è formato dalle uova crude degli storioni, passate per setaccio onde
levarne i filamenti che le inviluppano, indi salate e fortemente
compresse; la seconda preparasi sulle spiagge del mar Caspio o sulle
coste dei fiumi che vi sboccano, ma più che altrove ad Astrachan. Non
farà meraviglia la quantità straordinaria che se ne trova in commercio
(servendo l'ittiocolla a molti usi) se si considera che talvolta nel
Volga si pescano da quindici a ventimila storioni al giorno; e di
là, cioè dalle provincie meridionali della Russia, ci viene anche
il caviale. Fu annunziato che dei pescatori dei Danubio presero, non
ha guari, uno storione del peso di otto quintali e che la spoglia di
questo enorme pesce, lungo metri 3,30, figura nel Museo di Vienna.
Fra le specie estinte si annovera il _Magadictis_, che raggiungeva la
lunghezza di 10 a 12 metri.
480. Storione in fricandò
Lo storione è buono in tutte le maniere: lesso, in umido, in gratella.
Quanto all'umido, potete trattarlo nel seguente modo: prendetene un
pezzo grosso del peso almeno di grammi 500, spellatelo e steccatelo
con lardelli di lardone conditi avanti con sale e pepe; poi legatelo
in croce, infarinatelo, mettetelo al fuoco con olio e burro e
conditelo ancora con sale e pepe. Quando sarà rosolato da tutte le
parti bagnatelo con brodo per tirarlo a cottura e prima di levarlo
strizzategli sopra un limone per mandarlo in tavola col suo sugo.
481. Acciughe alla marinara
Questo piccolo pesce dalla pelle turchiniccia e quasi argentata,
conosciuto sulle spiagge dell'Adriatico col nome di _sardone_,
differisce dalla sarda o sardella in quanto che questa è stiacciata,
mentre l'acciuga è rotonda e di sapor più gentile. Ambedue le specie
appartengono alla stessa famiglia, e quando son fresche, ordinariamente
si mangiano fritte. Le acciughe però sono più appetitose in umido con
un battutino d'aglio, prezzemolo, sale, pepe e olio; quando son quasi
cotte si aggiunge un po' d'acqua mista ad aceto.
Già saprete che i pesci turchini sono i meno digeribili fra le specie
vertebrate.
482. Acciughe fritte
Se volete dare più bell'aspetto alle acciughe e alle sardine fritte,
dopo aver levata loro la testa e averle infarinate, prendetele a una
a una per la coda, immergetele nell'uovo sbattuto e ben salato, poi di
nuovo nella farina, e buttatele in padella nell'olio a bollore. Meglio
ancora se, essendo grosse, le aprite per la schiena incidendole con un
coltello di taglio fine e levate loro la spina, lasciandole unite per
la coda.
483. Sarde ripiene
Per questo piatto ci vogliono sarde delle più grosse. Prendetene da 20
a 24 che tante bastano per la quantità del ripieno qui sotto descritto.
Le sarde lavatele, togliete loro la testa, e con le dita sparatele
dalla parte del buzzo per estrarne la spina.
Formate un composto con: midolla di pane, gr. 30; acciughe salate, N.
3; un rosso d'uovo; mezzo spicchio d'aglio; un pizzico di regamo.
La midolla di pane inzuppatela nel latte e poi strizzatela. Le
acciughe nettatele dalle scaglie e dalla spina, e poi tritate e
mescolate ogni cosa insieme servendovi per ultimo della lama di un
coltello per ridurre il composto ben fine. Spalmate con esso le sarde
e richiudetele; indi tuffatele ad una ad una nella chiara d'uovo
rimasta, dopo averla sbattuta, avvolgetele nel pangrattato, friggetele
nell'olio, salatele alquanto e servitele con spicchi di limone.
484. Broccioli fritti
Se vi trovate sulla montagna pistoiese in cerca di clima fresco, di
aria pura e di paesaggi incantevoli, chiedete i broccioli, un pesce
d'acqua dolce, dalla forma del ghiozzo di mare e di sapore delicato
quanto ed anche più della trota. Una signora di mia conoscenza, dopo
una lunga passeggiata per quelle montagne, trovava tanto buone le
polpette del prete di Piansinatico che le divorava.
485. Totani in gratella
I totani (_Loligo_) appartengono all'ordine de' cefalopodi e sono
conosciuti nel litorale adriatico col nome di _calamaretti_. Siccome
quel mare li produce piccoli, ma polputi e saporiti, cucinati fritti,
sono giudicati dai buongustai un piatto eccellente. Il Mediterraneo,
messe a confronto le stesse specie, dà pesce più grosso, ed ho visto
de' totani dell'apparente peso di grammi 200 a 300; ma non sono sì
buoni come quelli dell'Adriatico. Questi, anche tagliati a pezzi,
riuscirebbero duri in frittura, quindi meglio è cuocerli in gratella
ripieni, oppure, se sono grossissimi, in umido. Questo pesce racchiude
nell'interno una lamina allungata flessibile, la _penna_, ch'altro non
è se non un rudimento di conchiglia che va tolto prima di riempirlo.
Tagliate al totano i tentacoli, che sono le sue braccia lasciandogli
il sacco e la testa, e tritateli colla lunetta insieme con prezzemolo
e pochissimo aglio. Mescolate questo battutino con molto pangrattato,
conditelo con olio, pepe e sale, e servitevi di tal composto per
riempire il sacco del pesce; per chiudere la bocca del detto sacco
infilzatela con uno stecchino, che poi leverete. Conditelo con olio,
pepe e sale e cuocetelo, come si è detto, in gratella.
Se vi trovate a Napoli non mancate di fare una visita all'Acquario nei
giardini della Villa Nazionale ove, fra le tante meraviglie zoologiche,
osserverete con piacere questo cefalopodo di forme snelle ed eleganti
nuotare e guizzare con moltissima grazia ed ammirerete pur anche la
sveltezza e la destrezza che hanno le sogliole di scomparire a un
tratto fra la sabbia, di cui si ricoprono, per occultarsi forse al
nemico che le insegue.
Tornando ai _calamaretti_, che è un pesce alquanto indigesto, ma
ottimo in tutte le stagioni dell'anno, dopo aver loro levata la penna e
strizzati gli occhi, lavateli, asciugateli, infarinateli e friggeteli
nell'olio: ma avvertite non vi passino di cottura, la qual cosa è
facile se non si sta molto attenti. Streminziscono allora e si rendono
ancora più indigesti. Conditeli caldi con sale e pepe.
486. Cicale ripiene
Non crediate che voglia parlarvi delle cicale che cantano su per gli
alberi; intendo dire invece di quel crostaceo, squilla (_Squilla
mantis_), tanto comune nell'Adriatico e colà cognito col nome di
_cannocchia_.
È un crostaceo sempre gustoso a mangiarsi; ma migliore assai quando in
certi mesi dell'anno, dalla metà di febbraio all'aprile, è più polputo
del solito, e racchiude allora un cannello rosso lungo il dorso, detto
volgarmente _cera_ o _corallo_, il quale non è altro che il ricettacolo
delle uova di quel pesce. È buono lesso, entra con vantaggio, tagliato
a pezzi, nella composizione di un buon cacciucco ed eccellente è in
gratella, condito con olio, pepe e sale; se lo aggradite anche più
appetitoso, sparatelo lungo il dorso, riempitelo con un battutino di
pangrattato, prezzemolo e odore d'aglio e condite tanto il ripieno che
il pesce con olio, pepe e sale.
487. Cicale fritte
Alla loro stagione, cioè quando hanno la _cera_, com'è detto al numero
precedente, si possono friggere nel seguente modo e ne merita il conto.
Dopo averle lavate, lessatele in poca acqua, coperte da un pannolino
con un peso sopra; 15 minuti di bollitura ritengo siano sufficienti.
Sbucciatele dopo cotte e, messa a nudo la polpa, tagliatela in due
pezzi, infarinatela, doratela nell'uovo frullato e salato, e friggetela
nell'olio.
488. Cicale in umido
Se non vi rincresce di adoperare le unghie, d'insudiciarvi le dita
e di bucarvi fors'anche le labbra, eccovi un gustoso e piacevole
trastullino.
Prima di cuocerle tenete le cicale nell'acqua fresca, che così non
iscolano, anzi rigonfiano. Fate un battuto con aglio, prezzemolo e
olio; rosolato che sia collocateci le cicale intere e conditele con
sale e pepe. Quando avranno preso il condimento bagnatele con sugo
di pomodoro o conserva e servitele sopra a fette di pane asciugate
al fuoco. Prima di mandarle in tavola fate loro un'incisione con le
forbici lungo il dorso per poterle sbucciare più facilmente.
489. Sparnocchie
Le cicale mi rammentano le sparnocchie che, a prima vista, le
rassomigliano; ma esaminato bene questo crostaceo ha la forma di un
grosso gambero di mare del peso comunemente di 50 o 60 grammi. È di
sapore più delicato dell'arigusta e, come questa, si usa mangiarlo
lesso; ma perchè non perda sapore meglio è di arrostirlo in gratella,
senza condimento alcuno, e dopo sgusciarlo e condirlo con olio, pepe,
sale ed agro di limone. Le sparnocchie piccole si possono anche, come i
gamberi, infarinare e friggerle così naturali, oppure nel modo indicato
per le cicale.
490. Anguilla
L'_Anguilla vulgaris_ è un pesce dei più singolari. Benchè il
valligiano di Comacchio pretenda di conoscere, da certi caratteri
esterni, il maschio e la femmina non si è riusciti ancora per quanto
lo si sia studiato, a distinguerne il sesso, forse perchè la borsa
spermatica del maschio è simile all'ovario della femmina.
L'anguilla comune abita le acque dolci; ma per generare ha bisogno
di scendere in mare. Questa discesa, che chiamasi la _calata_, ha
luogo nelle notti oscure e principalmente nelle burrascose dei mesi di
ottobre, novembre e dicembre, e n'è allora più facile ed abbondante la
pesca.
Le anguille neonate lasciano il mare ed entrano nelle paludi o nei
fiumi verso la fine di gennaio e in febbraio, e in questo ingresso,
che dicesi la _montata_, vengono pescate alla foce de' fiumi in gran
quantità col nome di _cieche_ e la piscicoltura se ne giova per
ripopolare con esse gli stagni ed i laghi, nei quali, se manca la
comunicazione con le acque salse del mare, non si possono riprodurre.
Recenti studi nello stretto di Messina hanno rilevato che questo
pesce, e i murenoidi congeneri, hanno bisogno di deporre le uova negli
abissi del mare a una profondità non minore di 500 metri, e che, a
similitudine delle rane, subiscono una metamorfosi. Il _Leptocephalus
brevirostris_ che ha l'aspetto di una foglia di oleandro, trasparente
come il vetro, ritenuto finora una specie a sè, non è che il primo
periodo di vita, la larva di questo essere, che poi si trasforma in
anguilla capillare, le così dette _cieche_ le quali quando rimontano i
fiumi in cerca delle acque dolci, non sono lunghe mai meno di cinquanta
millimetri. Delle vecchie anguille poi, che sono scese al mare, non si
sa che ne avvenga; forse restando nella profonda oscurità degli abissi
marini, muoiono sotto a quella enorme pressione, o si modificano per
adattarsi all'ambiente in cui si trovano.
Un'altra singolarità dei murenoidi in genere è quella del loro sangue,
che iniettato nel torrente della circolazione dell'uomo è velenoso e
mortale, mentre cotto e mangiato è innocuo.
L'anguilla, per la conformazione speciale delle sue branchie, a
semplice fessura, per la sua forma cilindrica e per le squamme assai
minute e delicate può vivere molto tempo fuori dell'acqua: ma ogni
qualvolta si sono incontrate a strisciar sulla terra, il che avviene
specialmente di notte, si sono viste proceder sempre nella direzione di
un corso d'acqua, per tramutarsi forse da un luogo ad un altro, o per
cercare, nei prati circostanti alla loro dimora, il cibo che consta di
piccoli animali.
Sono celebri le anguille delle valli di Comacchio, paese della bassa
Romagna, il quale si può dire viva della pesca di questo pesce che,
fresco o marinato, si spaccia non solo in Italia, ma si spedisce
anche fuori. È così produttivo quel luogo che in una sola notte buia
e burrascosa dell'ottobre 1905 furono pescati chilogrammi 150.000 di
anguille, e più meraviglioso ancora è il risultato finale della pesca
di quell'annata che troverete descritto alla ricetta N. 688.
In alcuni luoghi d'Italia chiamansi _capitoni_ quando son grosse, e
_bisatti_ quando son piccole ed abitano tutti i fiumi di Europa meno
quelli che si versano nel Mar Nero, non eccettuato il Danubio e i suoi
affluenti.
La sola differenza di forma tra l'anguilla d'acqua dolce e quella di
mare, conosciuta col nome di _conger_ o _congro_, è che la prima ha
la mascella superiore più breve dell'inferiore e l'individuo prende
meno sviluppo, imperocchè trovansi dei _conger_ fin di tre metri di
lunghezza. Forse, da questo grosso pesce serpentiniforme, è derivata la
favola del serpente di mare, sostenuta un tempo anche da persone degne
di fede che ne esageravano la grandezza, probabilmente per effetto di
allucinazione.
491. Anguilla arrosto
Potendo, preferite sempre le anguille di Comacchio che sono le migliori
d'Italia se non le superano quelle del lago di Bolsena rammentate da
Dante.
Quando l'anguilla è grossa e si voglia cuocere allo spiedo è meglio
spellarla. Tagliatela a rocchi lunghi tre centimetri ed infilateli
tra due crostini con qualche foglia di salvia oppure di alloro se
non temete che questo, pel suo odore troppo acuto, vi torni a gola.
Cuocetela in bianco a fuoco moderato e per ultimo datele una bella
fiammata per farle fare la crosticina croccante. Per condimento sale
soltanto e spicchi di limone quando si manda in tavola.
L'anguilla mezzana, a parer mio, riesce più gustosa cotta in gratella
con la sua pelle, la quale, rammollita con agro di limone quando è
portata in tavola, può offrire, succhiandola, un sapore non sgradito.
Per condimento sale e pepe soltanto. I Comacchiesi, per la gratella
adoperano anguille mezzane, le spellano se sono un po' grosse, le
ripuliscono soltanto se sottili, le inchiodano con la testa sopra
un'asse, le sparano con un coltello tagliente, levano la spina e così
aperte con le due mezze teste, le mettono in gratella, condite solo di
sale e pepe a mezza cottura. Le mangiano bollenti.
L'anguilla richiede nel pasteggiare vino rosso ed asciutto.
492. Anguille alla fiorentina
Prendete anguille di mezzana grandezza, sbuzzatele e spellatele
praticando una incisione circolare sotto alla testa, che terrete
ferma con un canovaccio onde non isgusci per l'abbondante mucosità di
questo pesce, e tirate giù la pelle che verrà via tutta intera. Allora
tagliatela a pezzi lunghi un dito o poco meno, che condirete con olio,
sale e pepe, lasciandoli stare per un'ora o due.
Per cuocerle servitevi di una teglia o di un tegame di ferro, copritene
il fondo con un velo d'olio, due spicchi d'aglio interi e foglie di
salvia; fate soffriggere per un poco e, presi i pezzi dell'anguilla uno
alla volta, involgeteli nel pangrattato e disponeteli nel tegame uno
accanto all'altro versando lor sopra il resto del condimento. Cuoceteli
fra due fuochi e quando avranno preso colore, versate nel tegame un
gocciolo d'acqua.
La carne di questo pesce, assai delicato e gustoso, riesce alquanto
indigesta per la sua soverchia oleosità.
493. Anguilla in umido
Meglio è che per questo piatto le anguille sieno grosse anzi che no, e,
senza spellarle, tagliatele a pezzetti corti.
Tritate un battuto piuttosto generoso di cipolla e prezzemolo,
mettetelo al fuoco con poco olio, pepe e sale e quando la cipolla
avrà preso colore gettateci l'anguilla. Aspettate che abbia succhiato
il sapore del soffritto per tirarla a cottura con sugo di pomodoro
o conserva sciolta nell'acqua. Procurate che vi rimanga dell'intinto
in abbondanza se volete servirla in tavola sopra a crostini di pane
arrostito appena. Sentirete un manicaretto delicato, ma non confacente
a tutti gli stomachi.
494. Anguilla col vino
Prendete un'anguilla di circa mezzo chilogrammo, o più d'una, dello
stesso peso in complesso, non essendo necessario per questo piatto
che sieno grosse; strofinatele con la rena per nettarle dalla
mucosità, lavatele e tagliatele a rocchi. Ponete in un tegame uno
spicchio d'aglio tagliato a fettine, tre o quattro foglie di salvia
tritata all'ingrosso, la corteccia di un quarto di limone e non molto
olio. Mettetelo al fuoco e, quando il soffritto avrà preso colore,
collocateci le anguille e conditele con sale e pepe. Allorchè l'umido
comincia a scemare andate scalzandole con la punta di un coltello onde
non si attacchino e rosolate che sieno versateci sugo di pomodoro o
conserva, e rivoltatele. Rosolate anche dall'altra parte, versateci un
buon dito di vino rosso o bianco asciutto mischiato a due dita d'acqua,
copritele e lasciatele finir di cuocere a fuoco lento. Mandatele in
tavola con alquanto del loro intinto e servitele a quattro persone, a
cui potranno bastare.
495. Anguilla in umido all'uso di Comacchio
I Comacchiesi non fanno mai uso d'olio per condir l'anguilla in
qualunque modo essa venga cucinata, il che si vede anche da questo
umido che potrebbe pur chiamarsi zuppa o cacciucco di anguille. Infatti
codesto pesce contiene tanto olio in sè stesso che l'aggiungerne guasta
anzichè giovare. La prova fattane avendo corrisposto alla ricetta
favoritami, ve la descrivo tal quale.
«Per un chilogrammo di anguille prendete tre cipolle, un sedano, una
bella carota, prezzemolo e la buccia di mezzo limone. Tagliate tutto,
meno il limone, a pezzi grossi e fate bollire con acqua, sale e pepe.
Tagliate le anguille a rocchi, lasciando però i rocchi uniti tra loro
da un lembo di carne. Prendete un pentolo adatto e fategli in fondo
uno strato di anguilla cui sopraporrete uno strato delle verdure dette
di sopra e quasi cotte (gettando via il limone), poi un altro strato
d'anguilla, un altro di verdura, ecc., fin che ce ne cape. Coprite
tutto coll'acqua dove le verdure bollirono; mettete il pentolo ben
turato a bollire adagio, scuotendolo, girandolo, ma non frugando mai
col mestolo perchè spappolereste ogni cosa. Noi usiamo circondare il
pentolo di cenere e brace fin più che a mezzo, davanti a un fuoco
chiaro di legna, sempre scuotendo e girando. Quando i rocchi, che
erano uniti per un lembo, si staccano l'un dall'altro, son presso che
cotti. Aggiungete allora un buon cucchiaio di aceto forte, conserva di
pomodoro e assaggiate il brodo per correggerlo di sale e di pepe (siate
generosi); fate dare altri pochi bollori e mandate magari il pentolo
in tavola, perchè è vivanda di confidenza. Servite in piatti caldi, su
fette di pane».
Avverto io che qui si tratta di anguille mezzane e non ispellate, che
le cipolle, se sono grosse, due bastano e che due bicchieri d'acqua
saranno sufficienti per cuocere le verdure. Le fette del pane sarà bene
di asciugarle al fuoco senza arrostirle.
496. Anguilla coi piselli
Mettetela in umido come quella del N. 493 e quando è cotta levatela
asciutta per cuocere i piselli nel suo intinto. Rimettetela poi fra
i medesimi per riscaldarla e servitela. Qui non ha luogo sugo di
pomodoro, ma acqua se occorre.
497. Cefali in gratella
Le anguille di Comacchio richiamano alla memoria i cefali abitatori
delle stesse valli i quali, quando sono portati ai mercati verso la
fine di autunno, sono belli, grassi e di ottimo sapore. I Comacchiesi
li trattano nella seguente maniera che persuade. Levano a questo pesce
le scaglie e le branchie ma non li sbuzzano perchè le interiora, come
nella beccaccia, dicono che sono il meglio. Li condiscono con sale e
pepe soltanto, e li pongono sulla gratella a fuoco ardente. Cotti che
siano li mettono tra due piatti caldi non lontani dal fuoco per cinque
minuti. Al momento di servirli rivolgono i piatti, che quel di sopra
vada sotto e il grasso colato rimanga così sparso e steso sopra il
pesce, mandandolo in tavola con limone da strizzare.
Al N. 688 è dato un cenno come li servono in Romagna.
498. Telline o arselle in salsa d'uovo
Le arselle non racchiudono sabbia come le telline e però a quelle
basta una buona lavatura nell'acqua fresca. Tanto le une che le altre
mettetele al fuoco con un soffritto di aglio, olio, prezzemolo e
una presa di pepe, scuotetele e tenete coperto il vaso onde non si
prosciughino. Levatele quando saranno aperte ed aggraziatele con la
seguente salsa: uno o più rossi d'uovo, secondo la quantità, agro di
limone, un cucchiaino di farina, brodo e un po' di quel sugo uscito
dalle telline. Cuocetela ad uso crema e versatela sulle medesime quando
le mandate in tavola.
Io le preferisco senza salsa e le fo versare sopra fette di pane
asciugate al fuoco. Così si sente più naturale il gusto del frutto di
mare. Per la stessa ragione non lo mettere il pomodoro nel risotto con
le telline.
499. Arselle o telline alla livornese
Fate un battutino di cipolla e mettetelo al fuoco con olio e una
presa di pepe. Quando la cipolla avrà preso colore unite un pizzico di
prezzemolo tritato non tanto fine e dopo poco gettateci le arselle o
le telline con sugo di pomodoro o conserva. Scuotetele spesso e quando
saranno aperte, versatele sopra a fette di pane arrostito, preparate
avanti sopra un vassoio.
Le arselle così cucinate sono buone; ma, a gusto mio, sono inferiori a
quelle del numero precedente.
500. Seppie coi piselli
Fate un battuto piuttosto generoso con cipolla, uno spicchio d'aglio
e prezzemolo. Mettetelo al fuoco con olio, sale e pepe, e quando
avrà preso colore passatelo da un colino strizzando bene. In questo
soffritto gettate le seppie tagliate a filetti, ma prima nettatele
com'è indicato al N. 74, bagnatele con acqua, se occorre, e quando
saranno quasi cotte versate i piselli grondanti dall'acqua fresca in
cui li avrete tenuti in molle.
501. Tinche alla sautè
Questo pesce (_Tinca vulgaris_) della famiglia dei ciprinoidi, ossia
dei carpi, benchè si trovi anche ne' laghi e ne' fiumi profondi, abita
di preferenza, come ognuno sa, le acque stagnanti dei paduli; ma ciò
che ignorasi forse da molti si è che esso, nonchè il carpio, offrono un
esempio della ruminazione fra i pesci. Il cibo arrivato nel ventricolo
è rimandato nella faringe coi movimenti antiperistaltici e dai denti
faringei, speciali a quest'uso, ulteriormente sminuzzato e triturato.
Prendete tinche grosse (nel mercato di Firenze vendonsi vive e sono,
nella loro inferiorità fra i pesci, delle migliori), tagliate loro le
pinne, la testa e la coda; apritele per la schiena, levatene la spina
e le lische e dividetele in due parti per il lungo. Infarinatele,
poi tuffatele nell'uovo frullato, che avrete prima condito con sale e
pepe; involgetele nel pangrattato, ripetendo per due volte quest'ultima
operazione. Cuocetele nella _sautè_ col burro e servitele in tavola
con spicchi di limone e con un contorno di funghi fritti, alla loro
stagione.
Qui viene opportuno indicare il modo di togliere o attenuare il lezzo
dei pesci di padule. Si gettano nell'acqua bollente, tenendoveli alcuni
minuti finchè la pelle comincia a screpolare, e si rinfrescano poi
nell'acqua diaccia prima di cuocerli. Questa operazione è chiamata dai
francesi _limoner_, da _limon_, fango.
502. Pasticcio di magro
Mancherei a un dovere di riconoscenza se non dichiarassi che parecchie
ricette del presente volume le devo alla cortesia di alcune signore che
mi favorirono anche questa, la quale, benchè in apparenza accenni ad un
vero e proprio _pasticcio_, alla prova è riuscita degna di figurare in
qualunque pranzo, se eseguita a dovere.
Un pesce del peso di grammi 300 a 350.
Riso, grammi 200.
Funghi freschi, grammi 150.
Piselli verdi, grammi 300.
Pinoli tostati, grammi 50.
Burro, quanto basta.
Parmigiano, idem.
Carciofi, N. 6.
Uova, N. 2.
Cuocete il riso con grammi 40 di burro e un quarto di cipolla tritata,
salatelo, e quando è cotto con l'acqua occorrente legatelo con le dette
uova e grammi 30 di parmigiano.
Fate un soffritto con cipolla, burro, sedano, carota e prezzemolo e
in esso cuocete i funghi tagliati a fette, i piselli, e i carciofi
tagliati a spicchi e mezzo lessati. Tirate queste cose a cottura con
qualche cucchiaiata d'acqua calda e conditele con sale, pepe e gr, 50
di parmigiano grattato quando le avrete ritirate dal fuoco.
Cuocete il pesce, che può essere un muggine, un ragno o anche pesce a
taglio, in un soffritto d'olio, aglio, prezzemolo, sugo di pomodoro o
conserva e conditelo con sale e pepe. Levate il pesce, passate il suo
intinto e in questo sciogliete i pinoli che prima avrete abbrustoliti
e pestati. Togliete al pesce la testa, la spina e le lische, tagliatelo
a pezzetti, rimettetelo nel suo intinto e uniteci ogni cosa meno che il
riso.
Ora che gli elementi del pasticcio sono tutti pronti, fate la pasta per
rinchiudervelo, di cui eccovi le dosi:
Farina, grammi 400.
Burro, grammi 80.
Uova, N. 2.
Vino bianco o marsala, due cucchiaiate.
Sale, un pizzico.
Prendete uno stampo qualunque, ungetelo col burro e foderatelo colla
detta pasta tirata a sfoglia; poi riempitelo versandovi prima la
metà del riso, indi tutto il ripieno e sopra il ripieno il resto del
riso, ricoprendolo alla bocca colla stessa pasta. Cuocetelo al forno,
sformatelo e servitelo tiepido o freddo.
Eseguito nelle dosi indicate basterà per dodici persone.
503. Ranocchi in umido
Il modo più semplice è di farli con un soffritto di olio, aglio e
prezzemolo, sale e pepe, e quando sono cotti, agro di limone. Alcuni,
invece del limone, usano il sugo di pomodoro, ma il primo è da
preferirsi.
Non li spogliate mai delle uova che sono il meglio.
504. Ranocchi alla fiorentina
Togliete i ranocchi dall'acqua fresca dove li avrete posti dopo
averli tenuti per un momento appena nell'acqua calda se sono stati
uccisi d'allora. Asciugateli bene fra le pieghe d'un canovaccio e
infarinateli. Ponete una teglia al fuoco con olio buono e quando questo
comincia a grillettare buttate giù i ranocchi; conditeli con sale e
pepe rimuovendoli spesso perchè si attaccano facilmente. Quando saranno
rosolati da ambedue le parti, versate sui medesimi delle uova frullate,
condite anch'esse con sale e pepe e sugo di limone piacendovi; senza
toccarle, lasciatele assodare a guisa di frittata e mandate la teglia
in tavola.
Ai ranocchi va sempre tolta la vescichetta del fiele.
Volendoli fritti, infarinateli e, prima di buttarli in padella,
teneteli per qualche ora in infusione nell'uovo, condito con sale e
pepe; oppure, dopo infarinati, rosolateli appena da ambedue le parti
e, presi uno alla volta, immergeteli nell'uovo condito con pepe, sale e
agro di limone, rimettendoli poscia in padella per finire di cuocerli.
505. Aringa ingentilita
Signori bevitori, a questa aringa (_Clupea harengus_) posate la
forchetta; non è fatta per voi che avete il gusto grossolano.
Ordinariamente si ricerca l'aringa femmina come più appariscente per
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