La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene - 22

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la copiosa quantità delle uova; ma è da preferirsi il maschio che, co'
suoi spermatofori lattiginosi, ossia borsa spermatica, è più delicato.
Maschio o femmina che sia, aprite l'aringa dalla parte della schiena,
gettatene via la testa e spianatela; poi mettetela in infusione nel
latte bollente e lasciatevela dalle otto alle dieci ore. Sarebbe bene
che in questo spazio di tempo si cambiasse il latte una volta. Dopo
averla asciugata con un canovaccio, cuocetela in gratella come l'aringa
comune e conditela con olio e pochissimo aceto o, se più vi piace, con
olio e agro di limone.
C'è anche quest'altra maniera per togliere all'aringa il sapore troppo
salato. Mettetela al fuoco con acqua diaccia, fatela bollire per tre
minuti, poi tenetela per un momento nell'acqua fresca; asciugatela,
gettatene via la testa, apritela dalla parte della schiena e conditela
come la precedente.
La _Clupea harengus_ è il genere tipico dell'importantissima famiglia
dei Clupeini, la quale comprende, oltre alle aringhe, le salacche,
i salacchini, le acciughe, le sarde e l'_Alosa vulgaris_, o _Clupea
comune_, chiamata cheppia in Toscana. Questa, in primavera, rimontando
i fiumi per deporre le uova, viene pescata anche in Arno a Firenze.
Le aringhe vivono in numero sterminato nelle profondità dei mari
dell'estrema Europa e si fanno vedere alla superficie solo al tempo
della riproduzione, cioè nei mesi di aprile, maggio e giugno, e dopo
deposte le uova scompariscono nella profondità della loro abituale
dimora. Si vede il mare talora per diverse miglia di seguito luccicante
e l'acqua divenir torbida per la fregola e per le squame che si
distaccano. In Inghilterra arrivano dal luglio al settembre e la
pesca, che si fa con reti circolari, n'è sì abbondante sulle spiagge di
Yarmouth che talvolta se ne sono preparate fino a 500 mila barili.
506. Baccalà alla fiorentina
Il baccalà appartiene alla famiglia delle Gadidee il cui tipo è il
merluzzo. Le specie più comuni de' nostri mari sono il _Gadus minutus_
e il _Merlucius esculentus_, o nasello, pesce alquanto insipido, ma
di facile digestione per la leggerezza delle sue carni, e indicato
ai convalescenti, specialmente se lesso e condito con olio e agro di
limone.
Il genere _Gadus morrhua_ è il merluzzo delle regioni artiche ed
antartiche il quale, dalla diversa maniera di acconciarlo, prende il
nome di baccalà o stoccafisso e, come ognun sa, è dal fegato di questo
pesce che si estrae l'olio usato in medicina. La pesca del medesimo si
fa all'amo e un solo uomo ne prende in un giorno fino a 500, ed è forse
il più fecondo tra i pesci, essendosi in un solo individuo contate nove
milioni di uova.
In commercio si conoscono più comunemente due qualità di baccalari,
_Gaspy_ e _Labrador_. La prima proveniente dalla Gaspesia, ossia dai
Banchi di Terra Nuova (ove sì pescano ogni anno più di 100 milioni
di chilogrammi di merluzzi), è secca, tigliosa e regge molto alla
macerazione; la seconda, che si pesca sulle coste del Labrador, forse a
motivo di un pascolo più copioso, essendo grassa e tenera, rammollisce
con facilità ed è assai migliore al gusto.
Il baccalà di Firenze gode buona reputazione e si può dir meritata
perchè si sa macerar bene, nettandolo spesso con un granatino di scopa,
e perchè essendo Labrador di prima qualità, quello che preferibilmente
vi si consuma, grasso di sua natura, è anche tenero, tenuto conto della
fibra tigliosa di questo pesce non confacente agli stomachi deboli;
per ciò io non l'ho potuto mai digerire. Questo salume supplisce su
quel mercato, nei giorni magri, con molto vantaggio il pesce, che è
insufficiente al consumo, caro di prezzo e spesso non fresco.
Tagliate il baccalà a pezzi larghi quanto la palma della mano e
infarinatelo bene. Poi mettete un tegame o una teglia al fuoco
con parecchio olio e due o tre spicchi d'aglio interi, ma un po'
stiacciati. Quando questi cominciano a prender colore buttate giù il
baccalà e fatelo rosolare da ambedue le parti, rimuovendolo spesso
affinchè non si attacchi. Sale non ne occorre o almeno ben poco previo
l'assaggio, ma una presa di pepe non ci fa male. Per ultimo versategli
sopra qualche cucchiaiata di sugo di pomodoro N. 6, o conserva diluita
nell'acqua; fatelo bollire ancora un poco e servitelo.
507. Baccalà alla bolognese
Tagliatelo a pezzi grossi come il precedente e così nudo e crudo
mettetelo in un tegame o in una teglia unta coll'olio. Fioritelo di
sopra con un battutino di aglio e prezzemolo e conditelo con qualche
presa di pepe, olio e pezzetti di burro. Fatelo cuocere a fuoco ardente
e voltatelo adagio perchè, non essendo stato infarinato, facilmente si
rompe. Quando è cotto strizzategli sopra del limone e mandatelo al suo
destino.
508. Baccalà dolce-forte
Cuocetelo come il baccalà N. 506, meno l'aglio, e quando sarà rosolato
da ambe le parti, versateci su il dolce-forte, fatelo bollire ancora un
poco e servitelo caldo.
Il dolce-forte o l'agro-dolce, se così vi piace chiamarlo, preparatelo
avanti in un bicchiere, e se il baccalà fosse grammi 500 all'incirca,
basteranno un dito di aceto forte, due dita di acqua, zucchero a
sufficienza, pinoli e uva passolina in proporzione. Prima di versarlo
sul baccalà non è male il farlo alquanto bollire a parte. Se vi vien
bene sentirete che nel suo genere sarà gradito.
509. Baccalà in gratella
Onde riesca meno risecchito si può cuocere a fuoco lento sopra un
foglio di carta bianca, consistente, unta avanti. Conditelo con olio,
pepe e, se vi piace, qualche ciocchettina di ramerino.
510. Baccalà fritto
La padella è l'arnese che in cucina si presta a molte belle cose; ma
il baccalà a me pare vi trovi la fine più deplorevole perchè, dovendo
prima esser lessato e involtato in una pastella, non vi è condimento
che basti a dargli conveniente sapore, e però alcuni, non sapendo forse
come meglio trattarlo, lo intrugliano nella maniera che sto per dire.
Per lessarlo mettetelo al fuoco in acqua diaccia e appena abbia alzato
il primo bollore levatelo che già è cotto. Senz'altra manipolazione si
può mangiar così condito con olio e aceto; ma veniamo ora all'intruglio
che vi ho menzionato, padronissimi poi di provarlo o di mandare
al diavolo la ricetta e chi l'ha scritta. Dopo lessato mettete in
infusione il pezzo del baccalà tutto intero nel vino rosso e tenetecelo
per qualche ora; poi asciugatelo in un canovaccio e tagliatelo
a pezzetti nettandolo dalle spine e dalle lische. Infarinatelo
leggermente e gettatelo in una pastella semplice di acqua, farina e un
gocciolo d'olio senza salarla. Friggetelo nell'olio e spolverizzatelo
di zucchero quando avrà perduto il primo bollore. Mangiato caldo,
l'odor del vino si avverte appena; non pertanto, se lo trovate un
piatto ordinario, la colpa sarà vostra che l'avete voluto provare.
511. Cotolette di baccalà
Si tratta sempre di baccalà, quindi non vi aspettate gran belle
cose; però, preparato in questa maniera sarà meno disprezzabile del
precedente; non foss'altro vi lusingherà la vista col suo aspetto
giallo-dorato a somiglianza delle _cotolette_ di vitella di latte.
Cuocetelo lesso come l'antecedente e, se la quantità fosse di grammi
500, dategli per compagnia due acciughe e un pizzico di prezzemolo,
tritando fine fine ogni cosa insieme colla lunetta. Poi aggiungerete
qualche presa di pepe, un pugno di parmigiano grattato, tre o quattro
cucchiaiate di pappa, composta di midolla di pane, acqua e burro, per
renderlo più tenero, e due uova. Formato così il composto, prendetelo
su a cucchiaiate, buttatelo nel pangrattato, stiacciatelo colle mani
per dargli la forma di _cotolette_ che intingerete nell'uovo sbattuto,
e poi un'altra volta avvolgerete nel pangrattato. Friggetelo nell'olio
e mandatelo in tavola con spicchi di limone o salsa di pomodoro.
Basterà la metà di questa dose per nove o dieci _cotolette_.
512. Baccalà in salsa bianca
Baccalà ammollito, grammi 400.
Burro, grammi 70.
Farina, grammi 30.
Una patata del peso di circa grammi 150.
Latte, decilitri 3-1/2.
Lessate il baccalà e nettatelo dalla pelle, dalle lische e dalla spina.
Lessate anche la patata e tagliatela a tocchetti. Fate una _balsamella_
col latte e la farina e quando è cotta uniteci un poco di prezzemolo
tritato, datele l'odore della noce moscata, versateci dentro la patata
e salatela. Poi aggiungete il baccalà a pezzi, mescolate e dopo un poco
di riposo servitelo che piacerà e sarà lodato.
Se non si tratta di forti mangiatori potrà bastare per quattro persone.
Per adornarlo un poco potreste contornarlo con degli spicchi di uova
sode.
513. Stoccafisso in umido
Stoccafisso ammollito, grammi 500 così diviso:
Schiena, grammi 300; pancette, grammi 200.
Levategli la pelle e tutte le lische, poi tagliate la parte della
schiena a fettine sottili e le pancette a quadretti larghi due dita.
Fate un soffritto con olio in abbondanza, un grosso spicchio d'aglio
o due piccoli e un buon pizzico di prezzemolo. Quando sarà colorito
gettateci lo stoccafisso, conditelo con sale e pepe, rimestate per
fargli prendere sapore e dopo poco versateci sei o sette cucchiaiate
della salsa di pomodoro del N. 125, oppure pomodori a pezzi senza la
buccia e i semi, fate bollire adagio per tre ore almeno, bagnandolo
con acqua calda versata poco per volta ed unendovi dopo due ore
di bollitura una patata tagliata a tocchetti. Questa quantità è
sufficiente per tre o quattro persone. È piatto appetitoso, ma non per
gli stomachi deboli.
Un amico mio, certo di fare cosa gradita, non si perita d'invitare dei
gran signori a mangiare questo piatto da colazione.
514. Cieche alla pisana
Vedi _Anguilla_ N. 490.
Lavatele diverse volte e quando non faranno più la schiuma, versatele
sullo staccio per scolarle.
Ponete al fuoco, olio, uno spicchio o due d'aglio interi, ma un po'
stiacciati, e alcune foglie di salvia. Quando l'aglio sarà colorito
versate le cieche e, se sono ancor vive, copritele con un testo onde
non saltino via. Conditele con sale e pepe, rimuovetele spesso col
mestolo e bagnatele con un poco d'acqua, se prosciugassero troppo.
Cotte che siano, legatele con uova frullate a parte, mescolate con
parmigiano, pangrattato e limone.
Se la quantità delle cieche fosse di grammi 300 a 350, la quale basta
per quattro persone, potrete legarle con:
Uova, N. 2.
Parmigiano, due cucchiaiate.
Pangrattato, una cucchiaiata.
Mezzo limone e un po' d'acqua.
Se le servite nel vaso ove sono state cotte, ponetele per ultimo fra
due fuochi onde facciano alla superficie la crosticina in bianco.
Il chiarissimo prof. Renato Fucini (l'ameno _Neri Tanfucio_) il quale,
a quanto pare, è un grande amatore di cieche alla salvia, si compiace
farmi sapere che sarebbe una profanazione, un sacrilegio, se queste —
benchè sembrino teneri pesciolini — si tenessero a cuocere per un tempo
minore di una ventina di minuti almeno.
515. Cieche fritte I
Cuocetele in umido con olio, aglio intero e salvia, come quelle
descritte al numero precedente; poi, levato l'aglio, tritatele minute.
Frullate delle uova in proporzione, salatele, aggiungete parmigiano,
un poco di pangrattato e mescolateci dentro le cieche per friggerle
a cucchiaiate e farne frittelle che servirete con limone a spicchi, e
pochi, mangiandole, si accorgeranno che sia un piatto di pesce.
516. Cieche fritte II
Ho visto a Viareggio che le cieche si possono friggere come l'altro
pesce; infarinate soltanto con farina di grano o di granturco e gettate
in padella. In questa maniera le avrete più semplici, ma assai meno
buone di quelle descritte al numero antecedente.
517. Tinche in zimino
La tinca disse al luccio: — Val più la mia testa che il tuo _buccio_.
— _Buccio_ per busto, licenza poetica, per far la rima. Poi c'è il
proverbio: «Tinca di maggio e luccio di settembre».
Fate un battutino con tutti gli odori, e cioè: cipolla, aglio,
prezzemolo, sedano e carota; mettetelo al fuoco con olio e quando avrà
preso colore, versate le teste delle tinche a pezzettini e conditele
con sale e pepe. Fatele cuocer bene, bagnandole con sugo di pomodoro o
conserva sciolta nell'acqua, poi passate il sugo e mettetelo da parte.
Nettate le tinche, tagliate loro le pinne e la coda e così intere,
ponetele al fuoco con olio quando comincia a soffriggere. Conditele
con sale e pepe e tiratele a cottura col detto sugo versato a poco
per volta. Potrete mangiarle così che sono eccellenti; ma per dare al
zimino il suo vero carattere ci vuole un contorno d'erbaggi, bietola
o spinaci a cui, dopo lessati, farete prender sapore nell'intinto di
questo umido. I piselli pure vi stanno bene.
Anche il baccalà in zimino va cucinato così.
518. Luccio in umido
Il luccio è un pesce comune nelle nostre acque dolci che si fa
notare per certe sue particolarità. È molto vorace e siccome si nutre
esclusivamente di pesce, la sua carne riesce assai delicata al gusto;
però, essendo fornito di molte lische, bisogna scegliere sempre
individui del peso di 600 a 700 grammi; sono anche da preferirsi
quelli che vivono in acque correnti, i quali si distinguono per la
schiena verdastra e il ventre bianco argentato; mentre quelli delle
acque stagnanti si conoscono dall'oscurità della pelle. Si trovano dei
lucci del peso fino a 10, 15 e anche 30 chilogrammi e di un'età assai
elevata; credesi perfino di oltre 200 anni. Le uova della femmina e gli
spermatofori lattiginosi del maschio non vanno mangiati perchè hanno
un'azione molto purgativa.
Ammesso che abbiate da cucinare un luccio dell'indicato peso
all'incirca, raschiategli le scaglie, vuotatelo, tagliate via la
testa e la coda e dividetelo in quattro o cinque pezzi, che potranno
bastare ad altrettante persone. Ogni pezzo steccatelo per il lungo
con due lardelli di lardone conditi con sale e pepe, e poi fate un
battuto proporzionato con cipolla quanto una grossa noce, un piccolo
spicchio d'aglio, una costola di sedano, un pezzetto di carota e
un pizzico di prezzemolo, il tutto tritato fine perchè non occorre
passarlo. Mettetelo al fuoco con olio e quando avrà preso colore
fermatelo con sugo di pomodoro o conserva sciolta nell'acqua, sale
e pepe per condimento. Poi condensate alquanto questo intinto con un
pezzetto di burro intriso nella farina, mescolate bene e collocateci
il pesce facendolo bollire adagio e rivoltandolo; per ultimo versateci
una cucchiaiata di marsala o, mancando questa, un gocciolo di vino, e
lasciatelo bollire ancora un poco prima di mandarlo in tavola in mezzo
alla sua salsa.
519. Palombo fritto
Tagliate il palombo in rotelle non tanto grosse e lasciatele in
infusione nell'uovo alquanto salato per qualche ora. Mezz'ora avanti
di friggerle involtatele in un miscuglio formato di pangrattato,
parmigiano, aglio e prezzemolo tritati, sale e pepe. Un piccolo
spicchio d'aglio basterà per grammi 500 di pesce. Contornatelo con
spicchi di limone.
520. Palombo in umido
Tagliatelo a pezzi piuttosto grossi e poi fate un battuto con aglio,
prezzemolo e pochissima cipolla. Mettetelo al fuoco con olio e, quando
avrà soffritto a sufficienza, collocateci il palombo e conditelo con
sale e pepe. Rosolato che sia versateci un po' di vino rosso, o bianco
asciutto, e sugo di pomodoro o conserva per tirarlo a cottura.

ARROSTI
Gli arrosti allo spiede, eccezion fatta degli uccelli e dei piccioni,
ne' quali sta bene la salvia intera, non si usa più di lardellarli nè
di pillottarli, nè di steccarli con aglio, ramerino od altri odori
consimili che facilmente stuccano o tornano a gola. Dove l'olio è
buono ungeteli con questo liquido, altrimenti usate lardo o burro ove,
per qualche ragione locale, si suol dar la preferenza all'uno più che
all'altro di questi condimenti.
L'arrosto, in generale, si preferisce saporito e però largheggiate
alquanto col sale per le carni di vitella di latte, agnello,
capretto, pollame e maiale: tenetevi più scarsi colle carni grosse e
coll'uccellame perchè queste sono carni per sè stesse assai saporite;
ma salate sempre a mezza o anche a due terzi di cottura. Commettono
grave errore coloro che salano un arrosto qualunque prima di infilarlo
nello spiede perchè il fuoco allora lo prosciuga, anzi lo risecchisce.
Il maiale e le carni di bestie lattanti, come vitella di latte,
agnello, capretto e simili, debbono esser ben cotte per prosciugare la
soverchia loro umidità. Il manzo e il castrato cuoceteli assai meno
perchè, essendo queste carni molto asciutte devono restare sugose.
Gli uccelli cuoceteli a fiamma, ma badate di non arrivarli troppo,
chè quelle carni perderebbero allora gran parte del loro aroma; però
avvertite che non sanguinino il che potrete conoscere pungendoli sotto
l'ala. Anche dei polli si può conoscere la giusta cottura quando,
pungendoli nella stessa maniera, non esce più sugo.
Le carni di pollo risulteranno più tenere e di miglior colore se le
arrostirete involtate dentro ad un foglio la cui parte aderente alla
carne sia prima stata unta di burro; per evitare che la carta bruci,
ungetela spesso all'esterno. A mezza cottura levate il foglio e
terminate di cuocere il pollo, il tacchino o altro che sia, salandoli
ed ungendoli. In questo caso sarà bene di mettere un po' di sale nel
loro interno prima d'infilarli allo spiede e di steccar con lardone
il petto de' tacchini e delle galline di Faraone. Qui è bene avvertire
che il piccione giovane e il cappone ingrassato, sia arrosto che lesso,
sono migliori diacci che caldi e stuccano meno.
Le carni arrostite conservano meglio, che preparate in qualunque altra
maniera, le loro proprietà alimentari e si digeriscono più facilmente.
521. Roast-beef I
Questa voce inglese è penetrata in Italia col nome volgare di
_rosbiffe_, che vuoi dire bue arrosto. Un buon _rosbiffe_ è un piatto
di gran compenso in un pranzo ove predomini il genere maschile, il
quale non si appaga di bricciche come le donne, ma vuoi ficcare il
dente in qualche cosa di sodo e di sostanzioso.
Il pezzo che meglio si presta è la lombata indicata per la bistecca
alla fiorentina N. 556. Onde riesca tenero, deve essere di bestia
giovane e deve superare il peso di un chilogrammo, perchè il fuoco
non lo prosciughi, derivando la bellezza e bontà sua dal punto giusto
della cottura indicato dal color roseo all'interno e dalla quantità del
sugo che emette affettandolo. Per ottenerlo in codesto modo cuocetelo
a fuoco ardente e bene acceso fin da principio onde sia preso subito
alla superficie; ungetelo con l'olio, che poi scolerete dalla leccarda,
e per ultimo passategli sopra un ramaiuolo di brodo, il quale, unito
all'unto caduto dal _rosbiffe_, servirà di sugo al pezzo quando lo
mandate in tavola. Salatelo a mezza cottura tenendovi un po' scarsi
perchè questa qualità di carne, come già dissi, è per sè saporita, e
abbiate sempre presente che il benefico sale è il più fiero nemico di
una buona cucina.
Mettetelo al fuoco mezz'ora prima di mandare la minestra in tavola,
il che è sufficiente se il pezzo non è molto grosso, e per conoscerne
la cottura pungetelo nella patte più grossa con un sottile lardatoio,
ma non bucatelo spesso perchè non dissughi. Il sugo che n'esce non
dev'essere nè di color del sangue, nè cupo. Le patate per contorno
rosolatele a parte nell'olio da crude e sbucciate, intere se sono
piccole, e a quarti se sono grosse.
Il _rosbiffe_ si può anche mandare al forno, ma non viene buono come
allo spiede. In questo caso conditelo con sale, olio e un pezzo di
burro, contornatelo di patate crude sbucciate, e versate nel tegame un
bicchiere d'acqua.
Se il _rosbiffe_ avanzato non vi piace freddo, tagliatelo a fette,
rifatelo con burro e sugo di carne o di pomodoro.
522. Roast-beef II
Questa seconda maniera di cuocere il _rosbiffe_ mi sembra che sia da
preferirsi alla prima, perchè rimane più sugoso e più profumato.
Dopo averlo infilato nello spiede, involtatelo in un foglio bianco non
troppo sottile e bene imburrato con burro diaccio: legatelo alle due
estremità onde resti ben chiuso e mettetelo al fuoco di carbone molto
acceso. Giratelo e quando sarà quasi cotto strappate via la carta,
salatelo e fategli prendere il colore. Tolto dal fuoco, chiudetelo tra
due piatti e dopo dieci minuti servitelo.
523. Sfilettato tartufato
I macellari di Firenze chiamano _sfilettato_ la lombata di manzo o di
vitella a cui sia stato levato il filetto.
Prendete dunque un pezzo grosso di sfilettato e steccatelo tutto con
pezzetti di tartufi, meglio bianchi che neri, tagliati a punta e lunghi
tre centimetri circa, unendo ad ognuno di questi un pezzetto di burro
per riempire il buco che avrete aperto con la punta del coltello per
inserirli. Fate delle incisioni a traverso la cotenna onde non si
ritiri, legatelo ed infilatelo nello spiede per cuocerlo. A due terzi
di cottura dategli un'untatina con olio e salatelo scarsamente, perchè
queste carni di bestie grosse sono assai saporite e non hanno bisogno
di molto condimento.
524. Arrosto di vitella di latte
La vitella di latte si macella in tutti i mesi dell'anno; ma nella
primavera e nell'estate la troverete più grassa, più nutrita e di
miglior sapore. I pezzi che più si prestano per l'arrosto allo spiede
sono la lombata e il culaccio, e non hanno bisogno che d'olio e sale
per condimento.
Gli stessi pezzi si possono cuocere in tegame, leggermente steccati
d'aglio e ramerino, con olio, burro e un battutino di carnesecca, sale,
pepe e sugo di pomodoro per cuocere nell'intinto piselli freschi. E
questo un piatto che piace a molti.
525. Petto di vitella di latte in forno
Se io sapessi chi inventò il forno vorrei erigergli un monumento a mie
spese; in questo secolo di _monumentomania_ credo che ei lo meriterebbe
più di qualcun altro.
Trattandosi di un piatto di famiglia lasciate il pezzo come sta, con
tutte le sue ossa, e se non eccedesse il peso di 600 a 700 grammi
potete cuocerlo al forno da campagna. In questo caso steccatelo con
grammi 50 o 60 di prosciutto più magro che grasso tagliato fine,
legatelo onde stia raccolto, spalmatelo tutto copiosamente di lardo
(strutto) e salatelo. Collocatelo in una teglia e una diecina di minuti
prima di levarlo dal fuoco uniteci delle patate che, in quell'unto,
vengono molto buone.
Invece dello strutto potete servirvi di burro e olio e invece del
prosciutto salarlo generosamente.
526. Arrosto morto
Potete fare nella maniera che sto per dire ogni sorta di carne;
ma quella che più si presta, a parer mio, è la vitella di latte.
Prendetene un bel pezzo nella lombata che abbia unita anche la pietra.
Arrocchiatelo e legatelo con uno spago perchè stia più raccolto e
mettetelo al fuoco in una cazzaruola con olio fine e burro, ambedue in
poca quantità. Rosolatelo da tutte le parti, salatelo a mezza cottura e
finite di cuocerlo col brodo in guisa che vi resti poco o punto sugo.
Sentirete un arrosto che se non ha il profumo e il sapore di quello
fatto allo spiede avrà in compenso il tenero e la delicatezza. Se
non avete il brodo servitevi del sugo di pomodoro o conserva sciolta
nell'acqua. Se vi piace più saporito aggiungete carnesecca tritata
fine.
527. Arrosto morto coll'odore dell'aglio e del ramerino
Se, piacendovi questi odori, non amate che tornino a gola, non fate
come coloro che steccano un pollo, un pezzo di filetto o altra carne
qualunque con pezzi d'aglio e ramerino; ma regolandovi, quanto alla
cucinatura, come nel caso precedente, gettate nella cazzaruola uno
spicchio di aglio intero e due ciocche di ramerino. Quando mandate
l'arrosto in tavola passate il suo sugo ristretto senza spremerlo e
contornate, se credete, il pezzo della carne con patate, od erbaggi
rifatti a parte. In questo caso, piacendovi, potete anche aggraziare la
carne con pochissimo sugo di pomodoro o conserva.
Il cosciotto d'agnello viene assai bene in questa maniera, cotto tra
due fuochi.
528. Uccelli arrosto
Gli uccelli devono essere freschi e grassi; ma soprattutto freschi.
In que' paesi dove si vendono già pelati bisogna essere tondi bene
per farsi mettere in mezzo. Se li vedete verdi o col brachiere, cioè
col buzzo nero, girate largo; ma se qualche volta rimaneste ingannati,
cucinateli come il piccione in umido N. 276, perchè se li mettete allo
spiede, oltrechè aprirsi tutti durante la cottura, tramandano, molto
più che fatti in umido, quel fetore della putrefazione, ossia della
carne _faisandée_ come la chiamano i Francesi: puzzo intollerabile
alle persone di buon gusto, ma che purtroppo non dispiace in qualche
provincia d'Italia ove il gusto, per lunga consuetudine, si è depravato
fors'anche a scapito della salute.
Un'eccezione potrebbe farsi per le carni del fagiano e della beccaccia,
le quali, quando sono frolle, pare acquistino, oltre alla tenerezza, un
profumo particolare, specialmente poi se il fagiano lasciasi frollare
senza pelarlo.
Ma badiamo di non far loro oltrepassare il primo indizio della
putrefazione perchè altrimenti potrebbe accadervi come accadde a me
quando avendomi un signore invitato a pranzo in una trattoria molto
rinomata, ordinò, fra le altre cose per farmi onore, una beccaccia coi
crostini; ebbene questa tramandava dal bel mezzo della tavola un tale
fetore che, sentendomi rivoltar lo stomaco, non fui capace neppure di
appressarmela alla bocca, lasciando lui mortificato ed io col dolore di
non aver potuto aggradire la cortesia dell'amico.
Gli uccelli dunque, siano tordi, allodole o altri più minuti, non
vuotateli mai e prima d'infilarli acconciateli in questa guisa:
rovesciate loro le ali sul dorso onde ognuna di esse tenga ferme una o
due foglie di salvia; le zampe tagliatele all'estremità ed incrociatele
facendone passare una sopra il ginocchio dell'altra, forando il
tendine, e in questa incrociatura ponete una ciocchettina di salvia.
Poi infilateli collocando i più grossi nel mezzo tramezzandoli con un
crostino, ossia una fettina di pane di un giorno grossa un centimetro e
mezzo, oppure, se trovasi, un bastoncino tagliato a sbieco.
Con fettine di lardone, salate avanti e sottili quanto la carta,
fasciate il petto dell'uccello in modo che si possa infilare nello
spiede insieme col pane.
Cuoceteli a fiamma e se il loro becco non l'avete confitto nello
sterno, teneteli prima fermi alquanto col capo penzoloni onde facciano,
come suol dirsi, il collo; ungeteli una volta sola coll'olio quando
cominciano a rosolare servendovi di un pennello o di una penna per
non toccare i crostini, i quali sono già a sufficienza conditi dai
due lardelli e salateli una volta sola. Metteteli al fuoco ben tardi
perchè dovendo cuocere alla svelta c'è il caso che arrivino presto e
risecchiscano. Quando li mandate in tavola sfilateli pari pari, onde
restino uniti sul vassoio e composti in fila, che così faranno più
bella mostra.
Quanto all'arrosto d'anatra o di germano, che sa di selvatico, alcuni
gli spremono sopra un limone quando comincia a colorire e l'ungono con
quell'agro e coll'olio insieme raccolto nella ghiotta.
529. Arrosto d'agnello all'aretina
L'agnello comincia ad esser buono in dicembre, e per Pasqua o è
cominciata o sta per cominciare la sua decadenza.
Prendete un cosciotto o un quarto d'agnello, conditelo con sale,
pepe, olio e un gocciolo d'aceto. Bucatelo qua e là colla punta di un
coltello e lasciatelo in questo guazzo per diverse ore. Infilatelo
nello spiede e con un ramoscello di ramerino ungetelo spesso fino a
cottura con questo liquido, il quale serve a levare all'agnello il sito
di stalla, se temete che l'abbia, e a dargli un gusto non disgradevole.
Piacendovi più pronunziato l'odore del ramerino potete steccare il
pezzo con alcune ciocche del medesimo, levandole prima di mandarlo in
tavola.
530. Cosciotto di castrato arrosto
La stagione del castrato è dall'ottobre al maggio. Dicesi che si
deve preferire quello di gamba corta e di carne color rosso bruno. Il
cosciotto arrostito offre un nutrimento sano e nutriente, opportuno
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