Istoria civile del Regno di Napoli, v. 3 - 27

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Ruggiero, così nell'imprese di mare, come di terra[597], avendo avuto
per costume questo glorioso Principe di chiamare a se da diverse
regioni del Mondo uomini esperti, non meno nell'armi, che nelle
lettere. Riportò Ruggiero per quest'invitto Capitano molte vittorie
in Grecia, portando le sue vittoriose insegne insino alla porta di
Costantinopoli. Liberò Lodovico Re di Francia, che mentre ritornava
dalla Palestina fu da' Greci preso per presentarlo all'Imperador di
Costantinopoli, poichè incontrandosi colle navi de' Greci le combattè
e vinse, e liberò tosto il Re franzese, il quale da Ruggiero fu con
molto onor ricevuto in Sicilia, donde poscia in Francia fece ritorno.
Egli fu il primo che nelle scritture pubbliche si sottoscrivesse:
_Georgius Admiratorum Admiratus_, come dalla carta, che porta il
Tutini; perciocchè secondo il numero delle armate, convenendo tener più
Ammiragli in diverse parti del Regno, il primo meritamente s'appellava
Ammiraglio degli Ammiragli.
Il secondo, che abbiamo pure nel Regno di questo Principe, fu l'Eunuco
Filippo, il quale non altrimenti di ciò che Claudiano narra d'Eutropio,
che da Eunuco fu innalzato ad esser Console, così egli da Ruggiero
fu creato Grand'Ammiraglio. Costui, come narra Romualdo Arcivescovo
di Salerno[598], fu dalla sua giovanezza allevato nella casa reale di
Ruggiero; era di costumi non dissimili da quelli d'Eutropio, e covrendo
il vizio sotto il manto di virtù, s'avanzò tanto nella benevolenza del
Re, che fu riputato degno di esser innalzato all'onore di Maestro del
Palazzo reale; da poi il Re dovendo in Turchia far l'impresa di Bonna,
trascelse Filippo al maneggio di quella guerra, e nell'anno 1149 lo
creò Grand'Ammiraglio, il quale postosi alla testa d'una grossa armata
di vascelli prese la città, e carico di molte prede, se ne ritornò
trionfante in Sicilia, ove per lungo tempo fece dimora; ma vedutosi da
poi in tanta grandezza, mal potendo coprire la sua occulta religion
saracinesca, che fin ora avea celata sotto il manto della cristiana,
si scovrì poi, ch'egli odiava in estremo i Cristiani, ed oltremodo
amava gli Ebrei ed i Maomettani, mandando sovente messi e doni in
Lamecca al sepolcro dell'impostore Maometto. Ruggiero avendo scoperte
queste scelleraggini e dubitando, che se con memorando esempio non si
correggesse la malvagità di costui era da temere, che non ripullulasse
la religion saracinesca in quell'isola, dalla quale con tanto studio e
fatiche avea proccurato cacciarne i perfidi Saraceni: fece prender di
lui aspro e severo castigo; poichè fatto subito convocare i Sapienti
e i Baroni del suo Consiglio, fu da costoro condennato alla pena del
fuoco ed avanti il Palazzo regio fu al cospetto di tutti fatto buttare
ad ardere nelle fiamme.
Successe da poi nel Regno di Guglielmo a questa carica di
Grand'Ammiraglio il famoso Maione di Bari, i cui fatti per ciò che
concerne all'istituto di quest'Istoria saranno ben ampio soggetto del
libro seguente. Costui innalzato da Guglielmo a' primi onori del Regno
esercitava il posto di Grand'Ammiraglio con maggior fasto e con una
totale independenza. Ancora egli, per essere eziandio così chiamato dal
Re, si firmava: _Majo Admiratus Admiratorum_; avendo sopra tutti gli
altri Ammiragli del Regno la suprema autorità ed il sovrano comando.
Nel che dovrà avvertirsi, siccome altre volte fu detto, che ne' tempi
de' Normanni e Svevi, insino che questo Regno fu diviso da quello di
Sicilia, quando passò sotto la dominazione degli Aragonesi per quel
famoso vespro Siciliano, uno era il Grand'Ammiraglio, che avea la
soprantendenza sopra tutti gli altri Ammiragli delle province così
dell'uno, come dell'altro Reame; a differenza del Regno di Francia,
nel quale da poi che quella Monarchia ebbe acquistata la Provenza,
fu diviso in quattro: poich'era uno Ammiraglio in Guienna; l'altro
in Brettagna; il terzo in Provenza, il qual sebene non avesse nome
d'Ammiraglio, ma di Generale delle Galere, com'è ora quello di
Napoli, nulladimeno avea l'istessa potenza degli Ammiragli, dimodochè
all'antico Ammiraglio non rimase se non il suo antico lato di Normannia
e Piccardia col titolo d'Ammiraglio di Francia indefinitamente[599].
Non così nel Regno di Sicilia, ove uno era il Grand'Ammiraglio e
teneva sotto di se tutti gli altri Ammiragli, detto perciò _Admiratus
Admiratorum_, poichè nelle altre parti del Regno di qua e di là del
Faro, non solamente le province, ma anche le città aveano i loro
particolari Ammiragli, subordinati tutti al primo e Grande Ammiraglio.
In fatti in queste nostre province erano molti Ammiragli in un tempo
istesso, siccome ce ne accerta la Cronaca Cassinense[600], ove di
alcuni di essi sovente accade farsi memoria; e quasi in tutte le città
marittime vi risiedeva un Ammiraglio per ciascheduna e questi per lo
passato eran creati dal Re, ed aveano cura de' legni e de' vascelli
regi. E ne' tempi posteriori de' Re angioini, venivano chiamati
Protontini, i quali amministravan giustizia a tutti coloro che viveano
dell'arte marinaresca, che risiedevano in quelle città e riviere.
Così il Tutino rapporta molte carte, nelle quali molti vengono nomati
Ammiragli di diverse città di mare, come Landulfo Calenda Ammiraglio
di Salerno, Lisolo Sersale Ammiraglio, ed altri moltissimi. In questa
maniera avendo i nostri Re normanni, non meno per terra, che per mare
proccurato stabilire il loro Imperio, ed avendo perciò istituito vari
Ufficiali, a' quali il governo e la sicurezza del mare, de' porti, del
commercio, delle navigazioni, e de' traffichi era commesso proccurarono
perciò stabilire ancora molte leggi, dalle quali in decorso di tempo,
surse, non altrimenti che si fece de' Feudi, un nuovo corpo di leggi
Nautiche appellate; e che col correr degli anni, siccome abbiam
veduto, dopo il Jus comune feudale, sorgere una nuova ragione feudale
non comune, ma speziale per questo nostro Reame: così ancora per la
nautica, oltre il Jus comune, una nuova ragion particolare per queste
nostre province.

_Delle leggi navali._
Le leggi appartenenti alla Nautica presso i Romani non erano altre,
se non quelle, che da' Rodiani appresero: perciò la legge Rodia fu
cotanto rinomata, e n'andò cotanto chiara e luminosa in tutto quel
vasto Imperio, che gl'Imperadori Tiberio, Adriano, Antonino, Pertinace
e Lucio Settimio Severo stabilirono molte leggi approvandole, e dando
loro forza e vigore per tutto l'Imperio; onde ne surse il _Jus Navale
Rodiano_, tratto dall'undecimo libro de' Digesti[601], il quale dalla
Biblioteca di Francesco Piteo, dove lungo tempo giacque sepolto,
fu finalmente pubblicato al Mondo. Ma da poi avendo gl'Imperadori
d'Oriente, in Costantinopoli, città per tre suoi lati bagnata dal
mare, fermata la loro sede, e le maggiori loro forze collocate nelle
armate navali, attesero molto più per mezzo di queste, che d'eserciti
terrestri a conservare i loro dominj e le ragioni di quel cadente
Imperio, le quali circondate nella maggior loro estensione dal mare,
più dall'armate, che dagli eserciti potevano tenersi in sicurezza;
perciò di questi ultimi Imperadori d'Oriente abbiamo più leggi
attinenti alla nautica ed al commercio del mare, ed alla sicurezza
de' porti, e delle navigazioni, le quali furono raccolte parte da
Leunclavio, e da Pietro Peckio, e parte ultimamente dall'incomparabile
Arnoldo Vinnio, il quale ebbe la cura d'impiegare gli alti suol talenti
anche intorno a queste leggi, e sopra l'opera del Peckio aggiungere le
sue osservazioni.
Ma queste leggi degl'Imperadori d'Oriente patirono in queste nostre
regioni quel medesimo infortunio, che tutte l'altre loro compilazioni.
Presso di noi la Tavola Amalfitana, come dice Marino Freccia[602]
era quella donde s'apprendevano le leggi attinenti alla nautica; nè è
inverisimile, che gli Amalfitani per le spesse navigazioni e continuo
traffico, che aveano cogli Orientali, dalle leggi di quegl'Imperadori,
e più dalla lunga esperienza, e da' pericoli sofferti in mare,
l'apprendessero. E poichè ne' medesimi tempi i Catalani, gli Aragonesi,
i Pisani, i Genovesi ed i Veneziani parimente s'erano renduti
potenti in mare e celebri, non altrimenti che gli Amalfitani, per le
navigazioni nelle parti orientali ed altrove, ne nacque perciò un nuovo
corpo di statuti e costumanze, che ora ristretto in un picciol volume,
va attorno sotto nome di _Consolato del Mare_, donde i Naviganti
prendon la norma per terminare le lor contese, il che producendo
buon effetto ne' sudditi, da ciascun Principe vien approvato; ed
i regolamenti in quello stabiliti, come loro particolari statuti e
costumanze vengono inviolabilmente osservati.
Questi Capitoli, onde si compone il _Consolato del Mare_, furono
approvati da' Romani, da' Pisani, dal Re Luigi di Francia, dal Conte
di Tolosa, e da molti altri Principi e Signori; ed i Re d'Aragona,
ed i Conti di Barzellona ve ne aggiunsero degli altri; ed Arnoldo
Vinnio non s'allontana dall'opinione di coloro, che narrano questa
compilazione essersi fatta a' tempi di S. Lodovico Re di Francia. Fu
data poi alle stampe in Venezia da Giovambatista Pedrezano, il quale
intitolò questa Raccolta: _Il libro del Consolato de' Marinari_, e lo
dedicò a M. Tomaso Zarmora Console allora in Venezia per l'Imperadore
Carlo V; fu da poi nell'anno 1567 ristampato in Venezia stessa, ed è
quello, che ora va attorno per le mani d'ognuno; e che nel Tribunale
del Grand'Ammiraglio del nostro Regno ha tutta l'autorità e 'l vigore.
Ma i nostri Principi di ciò non soddisfatti, vollero per questo Regno
stabilire sopra gli affari marittimi, particolari leggi. L'Imperador
Federico II, oltre di quelle che furono inserite nel Codice[603],
stabilì molti Capitoli attinenti all'Ufficio dell'Ammiraglio, ne' quali
si prescrive al medesimo ciò che deve esser della sua incumbenza,
quello che se gli appartiene, e sin dove s'estende l'autorità sua.
Ne' tempi de' Re angioini furono aggiunti a' medesimi molti altri
Capitoli, per li quali fu in nuovo modo prescritta la sua autorità,
come si osserva in quelli stabiliti da Carlo II d'Angiò a Filippo
Principe d'Acaja e di Taranto, suo figliuolo quartogenito, quando
lo creò Grand'Ammiraglio, che vengon trascritti dal Tutini. Da poi
i Re aragonesi accrebbero molte altre cose a' Capitoli de' loro
predecessori, che dovea osservar l'Ammiraglio, e molti ne aggiunse
Ferdinando I a Roberto S. Severino Conte di Marsico, quando nell'anno
1460 lo creò Ammiraglio, pur rapportati dal Tutino. Ed in tempo degli
Austriaci molte prammatiche si promulgarono attinenti a quest'Ufficio,
delle quali, quando ci tornerà occasione, non si tralascerà farne
memoria.
Tanta e tale era la dignità del Grand'Ammiraglio ne' secoli andati,
e cotanto era grande la sua incumbenza, che per regolarla vi fu uopo
di tanti provvedimenti finchè ne surse una nuova ragione, nautica
appellata. Ma sì sublime Ufficio nel nostro Regno sin da' tempi di
Marino Freccia cominciò a decadere dal suo splendore, e molto più
ne' tempi men a noi lontani, ed oggi appena serba qualche vestigia
della sua grandezza, ritenendo, oltre gli onori e preminenze, un
Tribunale a parte da se dipendente, e la giurisdizione sopra coloro
che vivono dell'arte marinaresca. Le cagioni di tal declinazione ben
s'intenderanno nel corso di questa Istoria, ove si conoscerà, che
sin a tanto, che i nostri Re furono potenti in mare, ed insino che i
Normanni, gli Svevi, e sopra tutti gli Angioni mantennero molte armate
navali, crebbe nel suo maggior splendore; ma da poi diminuite l'armate,
e passato il Regno sotto la dominazione degli Austriaci, essendosi
introdotta nuova forma e nuovo regolamento dipendente da quello di
Spagna, mancò tanta autorità, e passò in parte a' Generali delle galee,
sebbene non coll'istessa potenza e prerogative del Grand'Ammiraglio.

§. III. _Del Gran Cancelliero._
Non dovrà sembrar confuso e perturbato l'ordine che io tengo in
noverando gli Ufficj della Corona, e se, non serbando quello tenuto
dagli altri Scrittori, vengo a parlare, dopo il Grand'Ammiraglio, del
Gran Cancelliero. So che Marino Freccia diede a quest'Ufficio l'ultimo
luogo, se bene non si sappia per qual ragione il facesse, giacch'egli
medesimo ne' Parlamenti, e nell'altre funzioni pubbliche, gli dà il
sesto luogo, e lo fa precedere al Gran Siniscalco, il quale non siede
a lato, ma a' piedi del Re. Altri perciò lo collocano nel sesto luogo
dopo il Gran Protonotario; e così questi, come Freccia, danno il
secondo luogo al Gran Giustiziero dopo il Gran Contestabile.
Li Franzesi però dopo il Gran Contestabile, collocano il Gran
Cancelliero; ed io dico, che gli uni, e gli altri assai bene han fatto
di disporgli con questo ordine. Altro è il Gran Cancelliere di Francia,
altro fu il Gran Cancelliero di Sicilia a' tempi de' Normanni, ed
altro è, e pur troppo diverso il Gran Cancelliero del Regno di Napoli,
precisamente se si riguardano i tempi, ne' quali scrissero il Freccia,
e gli altri Autori, e più se avrem mira a' tempi nostri.
Hanno le dignità secondo il volere de' Principi, le loro declinazioni,
ed i loro innalzamenti: il Principe siccome è l'Oceano di tutte le
dignità, così è anche la lor regola e la lor norma; e siccome ben a
proposito disse Giorgio Codino[604] degli Ufficiali del Palazzo, egli
è lecito a' Principi innovare così le cose, come i nomi a lor modo, ed
innalzare ed abbassare secondo loro aggrada.
Il Cancelliero presso i Franzesi era l'istesso, che il Questore
presso i Romani nella maniera, che Simmaco[605], e Cassiodoro ce lo
descrissero: _Quaestor es, legum conditor, regalis consilii particeps,
justitiae arbiter_. Era per ciò il Capo della giustizia, come il
Contestabile Capo delle armi: Principe di tutti gli Ufficiali di pace;
Magistrato de' Magistrati, e fonte di tutte le dignità.
Perchè fosse chiamato Cancelliero, non è di tutti conforme il
sentimento. Il Vecchio Glossario dice, che fosse così detto, perchè
appartenendo a lui l'esaminare tutti i memoriali, che si danno al
Principe, avea potestà di segnare ciò che pareva a lui, che potesse
aver cammino, e di cancellare le importune dimande, dando di penna su
i memoriali con tirar linee sopra di quelli per lungo, e per traverso
a guisa di cancelli. Ma questa è una molto strana etimologia, che
dovesse prendere il Cancelliere il suo nome più tosto da ciò, ch'egli
disfà, che da quello, che fa. Meglio interpretarono Cassiodoro[606] e
Agatia[607], che lo derivarono a _Cancellis_; poichè dovendo questo
Ufficiale soprantendere alla spedizione di tutti i rescritti del
Principe, sentire tutti coloro, che gli presentavano i memoriali,
acciocchè non fosse premuto dal Popolo, ed all'incontro da tutti fosse
veduto, soleva stare fra Cancelli, siccome si praticava in Roma ed
in Francia; ond'è che Tertulliano soleva dire: _Cancellos non adoro,
subsellia non contundo_.
Tiene egli perciò per sua insegna il suggello del Re, onde appresso i
Franzesi è anche nomato Guardasigillo, poichè per le sue mani passano
tutti i privilegi, e tutte le spedizioni del Re ch'egli suggella;
dando titolo, ovvero lettere di provisione a tutti gli Ufficiali, le
quali può egli rifiutare, o differire come gli piace non suggellandole.
Quindi il nostro Torquato al Gran Cancelliere d'Egitto gli dà per sua
insegna il suggello:
_L'altro ha il sigillo del suo Ufficio in segno._
Gode perciò molte insigni prerogative; ha la presidenza al Consiglio di
Stato negli affari civili del Regno, onde il Tasso soggiunge:
_Custode un de' secreti, al Re ministra_
_Opra civil ne' grandi affar del Regno._
Ha l'espedizion degli editti, e ogni altro comandamento del Re.
Ha la soprantendenza della giustizia, ed egli è il Giudice delle
differenze, che accadono sopra gli Ufficj ed Ufficiali, regolando le
lor precedenze, e distribuendo a ciascun Magistrato ciò ch'è della sua
incumbenza, perchè l'uno non attenti sopra l'altro.
Queste erano le grandi prerogative de' Cancellieri di Francia, donde
l'apprese Ruggiero, e del Regno di Sicilia a tempo de' Normanni.
Dignità pur troppo eminente, e che gareggiava quasi con quella de'
Principi stessi: onde meritamente era a costoro, dopo il Contestabile,
dato il secondo luogo.
Il primo Cancelliere, che s'incontra nel Regno di Ruggiero fu Guarino
Canzolino molto celebre presso Pietro Diacono nella Giunta alla Cronaca
Cassinense[608]: di costui Ruggiero valevasi ne' più gravi affari
della Corona, e gli diede la soprantendenza, ed il supremo comando
di queste nostre province. Narrasi, che Guarino per lo sospetto, che
avea de' Monaci Cassinensi che non s'unissero al partito di Lotario,
erasi finalmente risoluto, fattisi venire da Benevento, dalla Puglia,
dalla Calabria e da Basilicata molti soldati, ed alcune macchine di
guerra, di espugnare Monte Cassino; ma che non guari da poi infermatosi
in Salerno, giunto all'estremo di sua vita, mentr'era per uscirgli
l'anima dal corpo, gli fossero uscite di bocca gridando queste
parole: _Ahi Benedetto e Mauro perchè m'uccidete_? onde narra Pietro
Diacono[609], che nel medesimo tempo Crescenzio Romano Monaco di quel
monastero per non esser riputato meno degli altri, tutto sbigottito
e tremante dicesse a' suoi Monaci, ch'avea avuta visione, nella quale
gli apparve uno spaventevole lago tutto di fuoco, le cui orribili onde
s'innalzavano sino al Cielo; e per esse vedea ravvolgersi l'anima
del Gran Cancelliere: che eragli sembrato parimente di vedere due
Frati alla riva del lago, e dal più vecchio di loro esser dimandato
se sapea chi fosse colui, che vedea così dall'onde travagliato, e
rispondendo egli del no, gli fu dal medesimo manifestato esser l'anima
di Guarino, ch'era condennata a sì fatta pena per aver travagliato i
Monaci di Monte Cassino, il quale richiesto chi egli si fosse, rispose
ch'era Frate Benedetto; ed in questo destossi Crescenzio, e la vision
disparve.
L'altro Cancelliere, che ne' tempi di Ruggiero esercitò quest'Ufficio,
fu Roberto, di legnaggio inglese[610]. Ruggiero, come altre volte
fu notato, nel governo de' suoi Reami si servì sempre di Ministri di
molta dottrina e prudenza, facendogli venire anche da remote parti;
e siccome innalzò ad esser Grand'Ammiraglio Giorgio d'Antiochia, così
anche sin da Inghilterra chiamò questo famoso Roberto, che oltre averlo
impiegato agli affari più rilevanti della sua Corona, e di commettere
a lui la difesa di Salerno, quando da Lotario, dal Principe di Capua
e da' Pisani fu assediata, gli commise ancora il governo della Puglia
e della Calabria; e fu cotanto luminosa la fama della sua saviezza ed
integrità, che Giovanni Saresberiense Vescovo dei Carnuti[611], narra
di lui un avvenimento da non tralasciarsi in quest'Istoria. Governando
questo Gran Cancelliero la Puglia e la Calabria, avvenne che per
morte del suo Prelato vacasse la Chiesa di Avellino. Nell'elezione
del successore, era di mestieri ricercarsi la volontà e l'assenso del
Re, siccome costumavasi in tutte le Chiese cattedrali: Roberto che
in nome del Re dovea darlo, ne fu ricercato istantemente da molti;
infra gli altri ebbe tre forti pretensori, un Abate, un Arcidiacono,
e un secolare della Casa del Re, che teneva un fratello Cherico, i
quali fecero con Roberto grandi impegni, e ciascun di essi gli promise
grossa somma di moneta se avesse fatto crear il Vescovo secondo il
suo intendimento: il Cancelliero volendo schernire la loro malvagità,
pattuì con tutti tre separatamente, dando loro ad intendere, che fatto
avrebbe quello che ciascun d'essi chiedea; ed avuti pegni e sicurtà de'
promessi pagamenti, venne il giorno stabilito alla elezion del Vescovo,
nel qual ragunato il Clero d'Avellino con molti Arcivescovi, Vescovi,
ed altri Prelati e persone di stima, raccontò Roberto la frode, che
coloro commetter voleano; ed avendogli come simoniaci fatti escludere
dalla prelatura per sentenza di tutti coloro che colà erano, e riscosso
in pena del lor fallo il danaro convenuto, si adoperò poscia, che fosse
eletto Vescovo un povero Frate di buona e santa vita, ma che punto a
ciò non badava, a cui diede l'assenso.
Il terzo Gran Cancelliero, che incontriamo nel Regno di Ruggiero si
fu il cotanto rinomato Giorgio Majone. Nacque costui in Bari d'assai
umile condizione, ma dotato dalla natura d'una maravigliosa facondia
ed accortezza, fece tanto, ch'essendo figliuolo d'un povero venditor
d'olio[612], ebbe modo d'esser posto in Corte nella real Cancelleria,
ove dal Re Ruggiero fu prima creato suo Notajo: da poi avendo occupati
altri minori ufficj della Cancelleria, fu fatto Vicecancelliero,
e finalmente innalzato ad esser suo Gran Cancelliero, e fu cotanto
caro a questo Principe, che finchè visse l'adoperò negli affari più
rilevanti del suo Regno; e morto Ruggiero, con raro esempio, per le
sue arti fu così caro a Guglielmo suo figliuolo, che oltre ad averlo
creato Grand'Ammiraglio, pose anche in sua mano tutto il governo del
Regno. Sotto i due Guglielmi tennero quest'Ufficio i primi personaggi
di que' tempi: tennelo l'Eletto di Siracusa, e da poi Stefano di Parzio
Arcivescovo di Palermo.
Cotanta in questi tempi era la grandezza e dignità di questo supremo
Ufficio così in Francia, come in Sicilia appresso i Normanni; nè
minori eran le sue preminenze nelle Corti d'altri Principi. Ma da poi
fu riputato savio consiglio de' Principi di togliergli tante e così
eminenti prerogative, con riunirle ad essi donde procederono; del
che n'abbiamo un ben chiaro ed illustre esempio nel Cancelliere della
Santa Sede di Roma. Ne' tempi antichi ebbe questa Sede un Cancelliere,
l'autorità del quale era sì grande, che gareggiava col Papa istesso:
veniva perciò occupato da' primi personaggi; e da questo posto
regolarmente si faceva passaggio al Ponteficato. Così Papa Gelasio
II porta l'epitafio composto da Pietro Pittaviense, avanti d'essere
Papa, _Archilevita fuit, et Cancellarius Urbis;_ e narrasi ancora, che
Alessandro II quando fu eletto Papa era Cancelliere della Sede Romana.
Ma da poi Bonifacio VIII vedendo l'autorità del Cancelliere in Roma in
tanta grandezza, sì che, come dicono molti Scrittori[613], _quasi de
pari cum Papa certabat_, abolì questo Ufficio di Cancelliere in Roma,
ed attribuendo la Cancelleria a se medesimo, vi stabilì solamente un
Vicecancelliere; onde è che in Roma questo Ufficio di Vicecancelliere
non riconosce altro per suo maggiore nella medesima sfera, poichè
il Cancellierato al Papa è attribuito; ed essendosi perciò prima
quest'Ufficio dato a coloro, che non erano Cardinali, si dissero sempre
Vicecancellieri; ma da poi essendosi tornato a darlo a' Cardinali,
ritenne ancora questo medesimo nome di Vicecancelliere, ancorchè fosse
estinto quello del Cancelliere; non altrimenti che chiamano Prodatario
e Vicedatario quel Cardinale che è Prefetto alla Datarìa del Papa,
quantunque non esercitasse le veci d'altro Ministro a se superiore;
poichè la Cancelleria e Datarìa fu al Papa attribuita.
Per questa medesima ragione solo nel _Sesto Decretale_ si fa
menzione del Vicecancelliere, come notò la Glossa[614], e Gomesio
sopra le regole della Cancelleria; se bene Onofrio Panvinio al libro
de' Pontefici dice, che dal tempo d'Onorio III non vi furono più
Cancellieri in Roma, ma solamente un Vicecancelliere.
Non altrimenti accadde nel nostro reame a questo supremo Ufficio di
Gran Cancelliere; poichè a tempo del Re Cattolico, e dell'Imperador
Carlo V la Cancelleria fu attribuita al Re[615], e fu eretto perciò un
nuovo Tribunale amministrato da' Reggenti detti perciò di Cancelleria,
i quali esercitano tutto ciò, che prima era dell'incumbenza del Gran
Cancelliere, perchè essi sottoscrivono i memoriali, che si danno al
Principe, essi pongono mano ai privilegi, essi hanno l'espedizione
degli editti, e de' comandamenti del Re. Essi sono li Giudici delle
differenze, che accadono tra gli Ufficiali, decidendo le precedenze,
e distribuendo a ciascun Magistrato ciò, ch'è della loro incumbenza;
presso di essi risiede la Cancelleria, e con essa i scrigni, i
registri, e tutto ciò che prima era presso il Gran Cancelliere: hanno
perciò un Secretario, e molti altri Ufficiali minori, che si dicono
perciò di Cancelleria, di che altrove, quando ci toccherà di trattare
di questo Tribunale, ragioneremo.
Quello, che oggi è nella Casa de' Principi d'Avellino, non è che un
Ufficio dipendente da questo, di cui ora trattiamo; poichè le sue
prerogative si ristringono solamente sopra il Collegio de' Dottori,
e le di lui funzioni non altre sono che di promovere al grado del
Dottorato, tener Collegio di Dottori a questo fine per esaminare i
Candidati, approvargli, riprovargli, e far altre cose a ciò attinenti;
poichè presso noi il dare il grado di Dottore non è dell'Università
degli Studj, ma del Principe, il quale ne ha delegata questa
sua potestà al Gran Cancelliere, e suo Collegio. Molti di questi
Cancellieri ebbe la Francia, come il Cancelliere dell'Università
di Parigi, ch'era anticamente un Ufficio di tale importanza, che
Bonifacio VIII per li grandi affari, ch'egli aveva in Francia se
l'appropriò a fin d'avere l'autorità particolare sopra quell'Università
principalmente verso i Teologi, i quali dal Cancelliere hanno i gradi,
la benedizione e commessione di predicare per tutto il Mondo; ma dopo
la morte di Bonifacio, l'Università di Parigi fece tutti gli sforzi per
riaver quest'Ufficio, tanto che da Benedetto XI suo successore le fu
renduto; onde per evitare per l'avvenire simile usurpazione, fu dato ad
una Canonia della Chiesa cattedrale di Parigi[616].
E per questa cagione Marino Freccia trattando di questi Ufficj, avendo
avanti gli occhi solamente ciò che si praticava a' suoi tempi, pose il
Gran Cancelliero nell'ultimo luogo, poichè il Gran Cancelliero d'oggi,
che vien reputato uno de' sette Ufficj del Regno, non è che un rivolo
di quel fonte: non esercita, che una delle molte prerogative, che prima
adornavano quella dignità essendosi oggi quasi ch'estinto, e attribuita
la Cancelleria al Re, che perciò per esercitarla vi eresse un nuovo
Tribunal supremo, detto di Cancelleria, amministrato, come s'è detto,
da' Reggenti.
Non è però da tralasciare, che in tempo dell'Imperadore Federico II
e del Re Carlo d'Angiò, ancorchè quest'Ufficio fosse molto decaduto
dall'antico suo splendore, riteneva però la giurisdizione sopra tutti
i Cherici del palazzo reale, e sopra tutti i Cappellani regj: di
che molto si maravigliava Marino Freccia[617], come un laico sopra
i Cherici potesse stender la sua giurisdizione, quando questi, e per
ragion divina, canonica ed imperiale sono da' laici esenti; onde per
togliere questa, che a lui sembrava stranezza, volle ricercarne le
cagioni. Disse che ciò era, perch'essendo questo Regno del patrimonio
di S. Pietro, bisognava credere, che i Re anche fossero stati investiti
dalla Sede Appostolica di questa prerogativa, e perciò si debbiano
reputare, come Ministri e Delegati della Sede Appostolica. Nè ciò
deve sembrar strano, e' dice, perchè i Re non devono considerarsi come
meri laici, poichè s'ungono, e prima erano anche Sacerdoti. E ciò non
bastandogli soggiunge, che Federico e Carlo ebbero specialmente tal
autorità dalla Sede Appostolica, acciocchè deputassero un Giudice
sopra tutti i Cherici della Casa regale; e che da poi parendo cosa
disdicevole, e non decorosa, che un laico come Delegato della Sede
Appostolica esercitasse giurisdizione sopra i Cherici, da Alfonso
I, si fosse destinato un de' suoi Cappellani per Giudice, il quale
esercitando giurisdizione sopra tutti gli altri Cappellani e Cherici
della cappella del Re, si fosse perciò detto Cappellano maggiore, e ciò
con licenza della Sede Appostolica; onde si fece che non fosse più del
Gran Cancelliere quest'incumbenza, ma del Cappellano maggiore.
Ma non dovea cotanto maravigliarsi Freccia, se a questi tempi il
Cappellan maggiore era subordinato al Gran Cancelliere, ed assistesse
alla sua Cancelleria; poichè in Francia, come rapporta Pietro di
Marca[618], praticavasi lo stesso nella linea de' Re carolingi; nel
qual tempo nel palazzo regale presedevano il Maestro del Palazzo
per le cose dell'Imperio, ed il Cappellano maggiore, detto ancora
Arcicappellano per le cose ecclesiastiche e del Sacerdozio, il quale,
come avverte Inemaro, _Vice Regis in consessu Episcoporum et Procerum
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