Istoria civile del Regno di Napoli, v. 3 - 02

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quella che usò Marino Duca di Napoli in quest'incontri, il quale
dimenticatosi tosto de' beneficj ricevuti da Gisulfo, dimenticatosi
ancora de' tanti giuramenti fatti di soccorrerlo, ora s'unisce col
tiranno per discacciarlo dalla sede.
Ma furono questi disegni ed iniqui consigli dissipati ben tosto; poichè
ricredutisi i Salernitani, che Gisulfo e la Principessa Gemma non
eran morti, ma vivi erano in Amalfi, tosto cominciarono a tumultuare
e a fremere contro essi medesimi di tanta credulità e de' passi che
avean dati. S'aggiunse ancora, che Indolfo, che aveva veduto assunto
per collega al Principato Landulfo suo fratello, e di lui niun conto
tenersi, contro ciò che il padre con più sacramenti gli avea promesso,
cominciò ad aspirare al Principato, sollecitando perciò Marino Duca
di Napoli, che l'ajutasse in quest'impresa: fu perciò, per sedare in
parte i tumulti, risoluto di prendere Indolfo e mandarlo in Amalfi,
siccome preso che fu, nascostamente fu mandato in quella città: e tolto
l'oppositore, i Salernitani furono costretti a giurare a Landulfo il
Giovane, Principe assai crudele e scaltro. Ma con pernizioso consiglio
richiamato non molto da poi Indolfo in Salerno, questi dissimulando
il torto, cominciò a rendersi i Salernitani benevoli, co' quali
profusamente trattava, e ridotti al suo partito i più principali
e' congiunti del Principe Gisulfo, cominciò ad insinuar loro, che
discacciati i tiranni si dessero a Pandulfo Capo di ferro, il quale
saprebbe colle sue forze restituirgli Gisulfo, ed intanto proccurassero
fortificarsi ne' Castelli, affinchè alla venuta di Pandulfo potessero
tosto portargli ajuto e soccorso. In fatti molti Proceri salernitani,
e fra gli altri gl'istessi Riso e Romoalt, due celebri personaggi,
pentitisi di quanto aveano cooperato nella congiura, si portarono in
Amalfi avanti i Principi discacciati, ed ivi con molti giuramenti e
pianti dolutisi del torto, che si era a loro fatto, promisero fare ogni
sforzo di ritornargli nella pristina dignità.
Il Principe Pandulfo invitato da' congiunti del Principe Gisulfo e da'
Salernitani, i quali in varj castelli s'erano fortificati per ricever
il suo ajuto, compassionando il caso di quell'infelice Principe, che
era suo consobrino, prese con incredibile allegrezza l'impegno di
restituire Gisulfo in Salerno; ed avendo unito alquante sue truppe
s'incamminò verso Salerno. Fu incontrato da Indolfo, che gli cercò
per se il Contado di Consa; ma Pandulfo dichiarandosi che non poteva
ciò fare; questi pien di mestizia pensò tornare in Salerno, ove fu
preso da' suoi stessi ed a Landulfo consignato. Intanto Capo di ferro
unitosi co' Salernitani, che stavano ne' castelli, espugnò tutti i
luoghi del Principato di Salerno, depredando il paese intorno, ei cinse
Salerno di stretto assedio. I Landulfi padre e figliuolo gli fecero
molta resistenza, e non fidandosi de' Salernitani valevansi di Mansone
Patrizio, che tenevan presso di loro nel Palazzo co' suoi Amalfitani,
ai quali diede la custodia delle torri che circondavano la città; ma
non poteron lungo tempo resistere alle forze di Pandulfo, il quale
finalmente nell'anno 974 l'espugnò, e discacciati i tiranni, non per se
occupolla, ma in quest'istesso anno la restituì al legittimo Principe.
Gisulfo e Gemma, o perchè così fra di loro fossero convenuti o pure
per gratitudine di tanti beneficj, non tenendo figliuoli, adottaronsi
per loro figliuolo Pandulfo figliuolo di Pandulfo, che vollero anche
istituirlo Principe di Salerno, e Gisulfo volle averlo per Compagno
nel Principato insin che visse, cioè sin all'an. 978[26]. Ed egli
morto in quest'anno, restando Pandulfo successore in Salerno, volle
anche Pandulfo suo padre assumere il titolo di Principe insieme col
figliuolo, onde si fece, che nella persona di Pandulfo _Capo di ferro_
s'unissero tre titoli, e fosse detto Principe insieme di Capua, di
Benevento, e di Salerno. Quindi l'Anonimo Salernitano, che in questi
tempi vivea, e che fin qui continuò la sua istoria, che a questo
Principe dedicolla, in un carme che compose in lode del medesimo, lo
chiamò Principe di queste tre città dicendogli:
_Tempore praeterito Tellus divisa maligno_
_Unitur tuo ecce, tuente Deo_[27].
Siccome il valore e prudenza di Atenulfo I potè far argine alla
ruina de' Longobardi, la quale per le tante rivoluzioni e disordini
di queste province, era imminente; così ora la potenza di Pandulfo
_Capo di ferro_ trattenne alquanto il corso della loro caduta; ma
s'avrebbe potuto sperare dal valore di questo Principe qualche buon
frutto, se non avesse già poste profonde radici quella pessima usanza
de' Longobardi di partir ugualmente i loro Stati tra' loro figliuoli,
i quali se bene presentemente si vedevano ne' titoli uniti in una
sola persona, non è però, che _Capo di ferro_ non avesse aggiudicato
il Principato di Benevento a Landulfo IV, suo figliuolo, e quello di
Salerno a Pandulfo altro suo figliuolo. Tutti i Principi longobardi
della razza di Landulfo I Conte di Capua, que' di Benevento ancora
e gli altri di Salerno, ebbero costume di provvedere tutti i loro
figliuoli di proprj Feudi; e se bene nel principio gli amministravano
indivisi, ancorchè ciascuno riconoscesse la sua parte, e sotto le
medesime leggi; nulladimanco la condizione umana dovea portare per
conseguenza la discordia fra di loro, onde poi divisi in fazioni
diedesi agli esterni pronta occasione d'occupargli. Le massime della
politica s'apprendevano allora dalla Scrittura Santa, non avendo per
la barbarie de' tempi altri libri donde fossero meglio istrutti: essi
leggendo quivi l'ammonizione di Davide, dicente, non esservi cosa più
gioconda, che _habitare fratres in unum_, si regolavano da questo
detto: ma non vedevano che ciò era ben da desiderare, e conseguito
da tenersi caro; ma per la condizione umana era difficile a porsi in
pratica; e potevano dalla medesima scrittura apprendere, che ogni regno
diviso, per se stesso sì dissolverebbe. Comunque siasi non gli dava il
cuore che al primogenito si dasse tutto, per ciò fattosi luogo alla
successione, la città principale era ritenuta dal primogenito, e gli
altri fratelli erano investiti di Contadi ed altri Feudi, de' quali
per essere i possessori della stessa razza, da dependenti Signori, che
ne erano, se ne rendevano assoluti. Così abbiam veduto di Radelchiso
Principe di Benevento, il quale avendo da Caretruda generati dodici
figliuoli, oltre Radalgario, che gli succedette, gli altri furono tutti
Conti. Lo stesso accadde del Principato di Salerno, il quale, come si
è detto, diviso da Gisulfo, con indignazione de' Salernitani, in tanti
Contadi tra i figliuoli di Landulfo, fu veduto possedersi da tanti,
oltre i Proceri salernitani, i quali ne' loro castelli viveano ben
fortificati con assoluto ed independente arbitrio.
Ma sopra tutto il Principato di Capua patì questa deformazione; poichè
dalla razza d'Atenulfo, come dal cavallo trojano ne uscirono tanti
Conti e Signori, che riempierono non meno Capua, che Benevento di
Contadi e Signorie. Del sangue di questo Principe uscirono i Conti
di Venafro, di Sessa, d'Isernia, di Marsico, di Sarno, di Aquino,
di Cajazza, di Teano e tanti altri. Li quali se bene, come si è
altre volte detto, nel principio fossero stati conceduti in Feudo,
nulladimanco poi ciò che era loro stato dato in amministrazione passò
in signoria; ed insino a questi tempi la cosa era comportabile, perchè
la concessione per la morte o fellonia del Conte, restava estinta, nè
il Contado passava all'erede; ma in questi tempi indifferentemente
praticavasi, per la ragione altrove rapportata, che passasse a'
figliuoli ed eredi, concedendosi l'investiture _pro se et haeredibus_,
siccome tra gli antichi monumenti si legge investitura fatta nell'anno
964 in Capua da Pandulfo Capo di ferro, e da Landulfo suo figliuolo
della città d'Isernia colle sue pertinenze a Landulfo e suoi eredi[28].
Così concedendosi tanti Contadi e Feudi, non solo vennero a
multiplicarsi e poi dividersi in tante parti, ma investendone quelli
del medesimo loro sangue, si invogliavano ad aspirare alla signoria
independente, e posero con ciò in iscompiglio e disordine gli Stati,
che per ultimo restarono preda d'altre nazioni.

§. I. _Cognomi di famiglie restituiti presso di noi, che per lungo
tempo erano andati in disuso._
Dal numero di tanti Feudi e Contadi posseduti da varie famiglie,
sursero i cognomi per disegnarle; poichè i Longobardi non avendo
cognomi per denotare le particolari famiglie, dalle città e terre
che possedevano ed ove aveano fermata residenza, presero i cognomi;
e cominciossi tratto tratto in queste nostre parti a restituire il
costume degli antichi Romani; i quali cognomi se bene in questi tempi
degli ultimi nostri Principi longobardi si cominciassero a restituire,
succeduti da poi i Normanni, questi furono che gli accrebbero in
immenso, onde si restituirono in tutti i cognomi, che diedero da poi
distinzione alle famiglie.
I Romani, che non conobbero Feudi trassero i cognomi altronde, non
da' luoghi che forse avessero i loro maggiori posseduti. Ma come che
presso i medesimi la pastorizia e l'agricoltura era avuta in molta
riputazione, moltissime famiglie trassero il cognome dalle cose
rusticane a queste appartenenti: quindi i Latuzj, i Melj, gli Frondisj,
i Fabj, i Pisoni, i Lentuli ed i Ciceroni; e dalla pastorizia, i
Bubulci, i Bupecj, Juvenci, i Porzj, Scrofe, Pilumni, Juni, Satirj,
Tauri, Vituli, Vitellj, Suilli, Capriani, Ovini, Caprillj, Equini ed
altri, de' quali fece lungo Catalogo il Tiraquello[29].
Anche presso i medesimi sortirono le famiglie il cognome dalla natura,
che ora propizia, ora inimica deformò loro il corpo o l'animo d'alcun
vizio, o l'arricchì di qualche speziale avvenenza, o di buon costume:
così dalla larghezza de' piedi, surse il cognome de' Planci; dalla
grassezza, quello de' Grassi; dagli capegli l'altro de' Cincinnati;
da' nasuti, i Nasoni e tanti altri. Sovente da' costumi, come Metello
Celere, dalla sua celerità; altronde dal caso, come Valerio Corvino;
altrove dal luogo conquistato, come Scipione Affricano, e così degli
altri[30].
Ma presso questi ultimi nostri Longobardi per la maggior parte
i cognomi sursero dalle città e castelli, che i loro antenati
possederono, e ne' quali essi trasferivano la loro abitazione, ed ivi
dimoravano in tutto il tempo della loro vita. Così dal castello di
Presensano surse il cognome di _Presensano_, la qual famiglia insieme
col castello mancò in Capua dopo il tempo del Re Roberto. Così ancora
presso Erchemperto[31], Marino in cognominato Amalfitano, perchè
presideva in Amalfi, della quale città fu Duca; e presso il medesimo
Autore[32], Landulfo fu appellato Suessulano, perchè presideva a
Suessula; e da Lione Ostiense[33] Gregorio fu cognominato Napoletano,
perchè fu Duca di Napoli; e il medesimo Autore[34] cognominò Landulfo
di Santa Agata (del quale più innanzi parleremo) non per altro, perchè
fu Conte di quella città. E poichè tutti questi Proceri da Capua,
dalla prosapia d'Atenulfo discesero, perciò presso gli Scrittori di
questi tempi furono anche detti Nobili capuani, onde surse il cognome
della illustre Famiglia capuana, e furon detti per lungo tempo Nobili
capuani tutti coloro che furono della razza de' Conti e Principi di
Capua, ancorchè fossero divisi in più famiglie, come il dimostra con
somma accuratezza il diligentissimo Pellegrino[35]: quindi si fece che
alcuni ritenessero anche da poi il cognome di _Capuani_ o di _Capua_;
ed altri dai luoghi che possedevano, ancorchè dell'istesso genere,
si cognominarono. Così la famiglia di Sesto surse dal castello di
questo nome nel Contado di Venafro, che da' Conti di questo luogo e da
Pandulfo, al quale fu dato il cognome di Sesto, uscì, della quale parla
Pietro Diacono[36]; la qual famiglia sotto il Re Guglielmo II ancor si
legge essersi mantenuta con sommo splendore, ed occupare i primi posti
della milizia, come potrà osservarsi presso Luigi Lello[37].
E quelle tre famiglie di _Franco_, di _Citello_ e di _Roselle_, siccome
furono della gente longobarda, così ancora devono reputarsi esser
surte dalla razza d'Atenulfo Principe, e da' luoghi posseduti da'
loro antenati esser derivate, ben lo dimostra il Pellegrino; e molte
altre famiglie longobarde, che trassero l'origine da questi Principi
di Capua e da Atenulfo, anche discacciati i Longobardi, si mantennero
in queste nostre parti sotto i Normanni, come più distintamente diremo
innanzi, quando de' Popoli di questa Nazione ci tornerà occasione di
trattare: tanto che ebbe a dire Lione Ostiense, che Atenulfo, ed i
suoi descendenti per molte loro generazioni, tennero il Principato per
cento settantasette anni in questi nostri contorni di Benevento e di
Capua; poichè per molto tempo ne' Principati di Capua e di Benevento
molti Baroni furono del sangue d'Atenulfo, che Signori di varj Feudi,
stabiliron le loro particolari famiglie, dandosi a' loro congiunti
l'investiture di molti Feudi, e sursero quindi in tutta l'Italia
Cistiberina molti Conti e Baroni, ed altri Nobili; e l'istesso si
fece nel Principato di Salerno. Parimente la famiglia _Colimenta_,
donde pruova il Pellegrino esser surta la famiglia _Barrile_, non
altronde, che dal castello Colimento, che ora diciamo Collemezzo,
deriva; siccome il cognome della nobil famiglia _Gaetana_, da Gaeta;
poichè da Lione[38] Ostiense Gaetani sono appellati coloro, che
come Duchi tennero la città di Gaeta. Così ancora il cognome della
illustre famiglia di Aquino, non altronde, che da' Conti di quella
città è surto; siccome quelle de' _Sangri_, de' _Sanseverini_, degli
_Acquavivi_ e tante altre, dalle città, e terre da' loro maggiori
possedute derivarono[39].
Anche presso questi ultimi nostri Longobardi sursero i cognomi, se bene
più di rado, da' nomi de' loro progenitori: così la famiglia _Atenulfo_
ebbe tal nome da Atenulfo, padre che fu di Pietro Cardinal di Santa
Chiesa; e moltissime altre. Trassero eziandio i cognomi origine da'
Magistrati ed Uffizj, così ecclesiastici, come secolari, e per qualche
mestiere da' loro antenati esercitato: la famiglia _Mastrogiudice_
quindi, al dir di Freccia[40], ebbe origine: siccome quella de' _Doci_,
degli _Alfieri_, de' _Conti_, de' _Ferrari_, _Cavalcanti_, _Filastoppa_
e tante altre. Da' costumi ancora e dalla propria indole; da' colori,
dagli abiti, dalle barbe, dal mento; dalle piante, fiori, animali, e da
tante altre occasioni ed avvenimenti che sono infiniti[41].
Ma egli è da avvertire, che questa usanza di tramandar i cognomi a'
posteri, perchè meglio si distinguessero le famiglie, cominciò sì
bene appo noi nel fine di questo X secolo, ma molto di rado; onde
nei diplomi ed altre carte di questi tempi, assai di rado si leggono
cognomi. Si frequentarono un poco più nel XI e XII secolo appo i
Normanni; ma nel XIII e XIV furono talmente disseminati e stabiliti,
che comunemente tutte le persone, ancorchè di basso lignaggio, si
videro avere proprj cognomi, con tramandargli a' loro posteri e
discendenti[42].

§. II. _Spedizione infelice d'OTTONE II contro a' Greci, e morte di
PANDULFO Capo di ferro._
Il costume de' nostri ultimi Longobardi, in tante parti di dividere i
loro Stati, cagionò finalmente la loro ruina, e diede pronta e spedita
occasione a' Normanni di discacciarli da queste nostre province;
perchè questi Baroni, ancor che riconoscessero le investiture dei loro
Contadi da' Principi di Capua e di Benevento e di Salerno, nulladimanco
essendo dell'istessa razza d'Atenulfo, e molti aspirando a' Principati
stessi di Capua, di Benevento e di Salerno, donde alcuni n'erano stati
discacciati; ancorchè, come si è detto, Pandulfo Capo di ferro col suo
valore e felicità reggesse insieme con Landulfo IV e l'altro Pandulfo
suoi figliuoli Capua, Benevento e Salerno; nulladimeno morto Capo
di ferro in Capua l'anno 981[43] cominciarono di bel nuovo in queste
province le rivoluzioni e' disordini. S'aggiunse ancora, che Pandulfo,
il quale avea proccurato, che fra gl'Imperadori d'Oriente con quelli
d'Occidente si mantenesse una stabile e ferma amicizia, appena mancato,
si videro rotte tutte le corrispondenze, e rinovate l'antiche gare;
poichè Ottone II che mal sofferiva la Puglia e la Calabria essere in
mano dei Greci sotto gl'Imperadori Basilio e Costantino, che erano al
Zimisce succeduti nel 977, disbrigatosi come potè meglio degli affari
di là de' monti, armato, coll'Imperadrice Teofania calò in Italia in
quest'anno 980[44].
Erasi, come si disse, già introdotto costume, che quando gl'Imperadori
d'Occidente venivano in Italia, presso Roncaglia fermati, luogo non
molto lontano da Piacenza, ivi solevano intimar le Diete, ove univansi
i Duchi, Marchesi e Conti di molti luoghi d'Italia, i Magistrati
delle città, ed anche l'Ordine ecclesiastico per trattar degli affari
d'Italia più rilevanti: si esaminavano le querele de' sudditi contro i
potenti: si davano l'investiture de' Feudi: si decoravano molti Baroni
di titoli: si stabilivano molte leggi attenenti ancora allo Stato
ecclesiastico, ed a' precedenti mali davasi qualche compenso. Ottone
in quest'anno giunto in Piacenza assemblò la Dieta in Roncaglia, ove
diede molti utili provvedimenti. Di questo Ottone sono quelle leggi,
che abbiamo nel libro secondo delle leggi longobarde; e molte sotto il
_tit. qualiter quisq. se defendebeat_[45], ove riprovandosi la prova
per li giuramenti, si ritenne quella del duello, e moltissime altre
sono state raccolte da Melchior Goldasto ne' suoi volumi[46].
Dato perciò qualche ristabilimento alle cose d'Italia, passossene
Ottone in Roma, ove in un pranzo fece inumanamente trucidare molti
Proceri a se sospetti d'infedeltà; indi col suo esercito nel seguente
anno 981 venne in Benevento, dove fermossi per qualche tempo: fu
anche in Napoli ricevuto da' Napoletani, i quali poco curandosi di
violar la fedeltà dovuta agli Imperadori d'Oriente loro Sovrani,
gli diedero anche soccorso; e mentre si tratteneva in queste nostre
regioni proccurò ingrossare le sue truppe con quelle, che gli eran
somministrate da Benevento, da Capua, da Salerno e da Napoli, per
invadere la Puglia. Trattenendosi quivi volle conoscere dello spoglio,
che Giovanni Abate di S. Vincenzo a Vulturno si doleva aver patito
da Landulfo Conte d'Isernia, che avea occupati tre castelli di quel
monastero: pronunziò a favor del monastero, e glie ne spedì diploma in
Benevento in quest'anno 981 a' 10 di ottobre[47].
In quest'istesso anno, come si è detto, accadde in Capua la morte
di Pandulfo Capo di ferro, ed avendo la casualità portato, che il
Vesuvio in quest'istessi tempi, siccome suole, eruttasse fuoco e
fiamme, nacque appresso il volgo quella credenza, che quando da quel
monte davansi cotali segni, o era preceduta o dovea seguire la morte
di qualche uom ricco e potente ed insieme scellerato, e che la di lui
anima era da' demonj per quella voragine portata all'inferno, la qual
credenza ebbe origine, siccome sempre accadde in questi casi, dalla
visione d'un Solitario, al quale, come narra Pier Damiano, parve aver
veduta l'anima di Pandulfo esser portata da' diavoli al fuoco pennace
dell'inferno[48]. Infatti Capo di ferro fu il più ricco e potente in
queste nostre province, di quell'età: egli non solo fu Principe di
Capua, di Benevento e di Salerno, ma era ancora Marchese di Spoleto e
di Camerino, possedendo perciò poco men, che la metà di Italia[49]; ed
ancorchè di lui si leggessero molte opere di pietà, d'aver in sommo
onore avuto il Pontefice Giovanni XIII, e d'aver di molti doni e
privilegi arricchito il monastero Cassinense in quel tempo che visse,
che al dir di Lione Ostiense[50] fu il più accettabile per li Monaci;
nulladimanco la visione di quel Solitario fece perdere tutta la stima a
quelli fatti, e fece credere di avergli operati non per animo sincero
di pietà e di religione, ma per mondani rispetti: al che s'aggiungeva
l'enorme discacciamento dal Principato di Benevento di Landulfo suo
nipote.
Così ancora, essendo negli anni seguenti accaduta la morte di
Giovanni Principe di Salerno, che fu avo dell'ultimo Guaimaro, il qual
nell'anno 1052 da' suoi fu ucciso; vomitando in quel tempo il monte
fiamme, Giovanni, che vivea in questa credenza, disse: _Procul dubio
sceleratus aliquis dives in proximo moriturus est, atque in infernum
descensurus_: il che fu poco da poi accomodato all'istesso Principe
Giovanni, il quale la vegnente notte si trovò inopinatamente morto in
braccio d'una sua putta[51]; onde maggiormente presso il volgo crebbe
quella credenza, che ha durato lungamente sino a' tempi de' nostri
avoli, e di credere ancora scioccamente, che il Vesuvio fosse una bocca
dell'inferno.
Ma ritornando in via, morto Pandulfo, lasciò come si disse in Benevento
Landulfo IV suo figliuolo, al quale in sua vita avea egli aggiudicato
quel Principato, ed anche per pochi mesi dopo la morte del padre resse
Capua. Lasciò Pandulfo un altro suo figliuolo, Principe in Salerno,
quegli, il quale era stato adottato da Gisulfo, e che dopo la morte
di suo padre per alcuni mesi resse questo Principato; ed insieme altri
suoi figliuoli Atenulfo Conte e Marchese, Landenulfo, Gisulfo, che fu
Conte di Tiano, e Laidolfo[52].
Ma la morte di questo Principe tosto dissipò quell'unione, che non
potea lungamente durare; poichè Pandulfo II che fu da lui discacciato
dal Principato di Benevento, subito che l'intese estinto, volle
vendicarsi del torto ricevuto, e discaccionne dal Principato Landulfo
IV, appropriandosi a se Benevento, che poi lo trasmise a' suoi posteri;
e Landulfo poco da poi finì ancora i giorni suoi; imperocchè Ottone
avendo indrizzato il suo esercito (ch'era composto oltre di molte
Nazioni, anche di Beneventani, fra' quali volle anche accompagnarsi
questo Landulfo con Atenulfo suo fratello) verso Taranto per debellare
i Greci ed i Saraceni ch'erano stati chiamati da' Greci in lor ajuto,
nella battaglia che nel seguente anno 982 si diede, fu l'esercito
d'Ottone disfatto, ed uccisi fra gli altri Principi Landulfo ed
Atenulfo, e l'istesso Ottone appena potè scampare[53].
Quindi accadde, che al Principato di Capua, morto Landulfo, fossero
succeduti Landenulfo suo fratello, ed Aloara sua madre, e che
Ottone, rifatto come potè meglio il suo esercito, ritornato in Capua,
confermasse questo Principato di Capua ad Aloara e a Landenulfo, che
lo ressero dal suddetto anno 982 insino all'anno 993, quando morta
quattro mesi prima Aloara, fu nel mese di aprile Landenulfo da' suoi
miseramente ucciso[54].
Fu così infelice questa spedizione d'Ottone contro i Greci, e così
grande la rotta data al suo esercito, che fu costante opinione, che
se i Greci avessero saputo servirsi della vittoria, avrebbero insino
a Roma portate le loro armi. Ma in questo conflitto, siccome i Greci
s'avvidero della poca fedeltà de' Napoletani e degli altri loro
sudditi, così, e molto più, Ottone imputava la perdita a' Beneventani
ed a' Romani[55], (appresso i quali era venuto in abbominazione per
l'enorme uccisione fatta di molti Proceri in quel convito, onde appo
d'essi acquistossi il cognome di _Sanguinario_) i quali nel meglio
della battaglia l'avean abbandonato. Quindi si narra, che nel seguente
anno 983 ritornato Ottone a Capua, e rifatto al meglio il suo esercito,
sopra Benevento improvvisamente lo drizzasse, e dato in questa città un
memorabil sacco, per recar a' Beneventani maggior dolore gl'involasse
l'ossa di S. Bartolomeo, di cui eran tanto divoti, ed in Roma le
facesse condurre per trasportarle da poi in Germania; ma prevenuto
dalla morte in quest'anno accadutagli in Roma, non potè condurre a
fine il suo disegno, onde rimase in quella città; oggi nella medesima
s'adorano in un tempio nell'isola Licaonia del Tevere, resa oggi assai
più celebre al Mondo per quest'ossa, che per ciò che del suo sorgimento
ne scrisse Livio nella sua incomparabile Istoria.
I Beneventani non possono soffrire ciò che di questa traslazione
narrano Ottone[56] Frisingense, Goffredo di Viterbo[57], Biondo[58] ed
il Sigonio[59], ed altri più moderni. Essi per l'autorità di Roberto
Tuitense[60] appresso il Baronio e dell'Ostiense[61], vogliono che
verso l'anno 1000, Ottone III non il II, essendo dal Monte Gargano
ritornato a Benevento, avesse cercato a' Beneventani il corpo del
S. Appostolo, i quali non avendo ardire di negarglielo, fossero
ricorsi alla fraude, e tenendo ancor essi con somma venerazione il
corpo di S. Paolino Vescovo di Nola, in vece di quello, gli avessero
dato questo di S. Paolino: di che poi accortosi Ottone, grandemente
offeso di tal frode, fosse di nuovo da poi ritornato in Benevento, ed
avendo tenuta assediata per ciò questa città più giorni, non avendo
potuto espugnarla, fu d'uopo che in Roma se ne tornasse. Ma Martino
Polono[62], secondando il genio de' Romani, che lo vogliono nel Tebro,
narra sì bene, che Ottone III dal Gargano ritornasse in Benevento; ma
che a' Beneventani non altro, che il corpo di S. Paolino cercasse,
i quali senza usar fraude alcuna glielo diedero. Così insorta fra'
Scrittori moderni acerba contesa sopra quest'ossa, tra' Romani e'
Beneventani, vengon due corpi in diversi luoghi adorati d'un medesimo
Santo; ed i Napoletani pure pretendono, che il capo di questo Appostolo
non sia nè a Roma, nè a Benevento, ma in Napoli nel monastero delle
Monache di Donna Regina per donazione fattagliene da Maria moglie di
Carlo II d'Angiò figliuolo di Carlo I, il quale dopo avere sconfitto
Manfredi, da' Beneventani l'ebbe; ed il nostro Istorico Giannettasio il
tiene per cosa certa, con tutto che accenni la fiera contesa, che sopra
ciò ancor arde fra' Romani e' Beneventani. Ed abbiamo veduto in questi
ultimi nostri tempi miseramente affannarsi sopra questo soggetto molti
Scrittori, a' quali, da poi che si saranno affaticati a dimostrare,
che sia stato questo corpo trasferito in Roma, ovvero esser rimaso in
Benevento, molto più loro resta da travagliare per render verisimile,
come fino dall'India, siccome narra Sigeberto, si fosse trasportato
in Lipari. Ma tutte queste dispute, non essendo del nostro istituto,
volentieri le lasciamo ad essi, a cui ben stanno.


CAPITOLO III.
_I Greci riacquistano maggior vigore nella Puglia e nella Calabria; ed
innalzamento del Ducato di Bari, sede ora de' Catapani._

I Greci, che sotto gl'Imperadori Basilio e Costantino aveano contro
Ottone II riportata così insigne vittoria, si ristabilirono più
fermamente nella Puglia e nella Calabria; e reggendo queste province
con molto vigore, distesero i confini di quelle sopra i Principati
di Benevento e di Salerno, pretendendo ancora sopra i Principi
longobardi esercitar sovranità. Ma avvertiti per le cose precedute
dell'infedeltà de' loro sudditi, per tenergli a freno, pensarono a ben
presidiarle. Temevano ancora, che i Germani sotto Ottone non tornassero
ad assalirle; e che i Saraceni, ancorchè confinati in alcune rocche,
non le turbassero colle solite loro scorrerie, giacchè fortificati nel
Monte Gargano non tralasciavano, quando lor veniva fatto, di scorrere
e scompigliar la Puglia. Edificarono perciò a questi tempi molti ben
forti castelli. Fondarono nella Puglia piana una città, che chiamarono,
per rinovare il glorioso nome d'Ilio, Troja: città che ancor dura,
poichè anche i Normanni, dopo Melfi, la distinsero sopra tutte le altre
città di quella provincia, che _Capitanata_ ora si appella. Fondarono
anche quivi Draconaria, Civitade, e Firenzuola, città ora distrutte, ed
altre terre[63]. Per mantenere più in freno i loro sudditi, istituirono
in Puglia un nuovo Magistrato chiamato in loro lingua _Catapano_,
il quale avesse pieno potere, non ristretto da alcun limite, ma per
se medesimo, senza chiederne permesso dalla Corte di Costantinopoli,
potesse governare queste province con assoluto imperio. Bari, ove prima
solevan risedere gli Straticò, fu assignata per sua sede, onde questa
città si vide estollere il suo capo sopra tutte l'altre città della
Puglia.
Donde questo nome di _Catapano_ derivasse, il nostro Guglielmo
Pugliese[64] ne fa derivar l'origine da questo stesso sterminato
potere, che fu dato a questo Ufficiale, e dice, che si chiamasse
Catapano,
_Quod CATAPAN Graeci, nos JUXTA dicimus OMNE._
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