Istoria civile del Regno di Napoli, v. 3 - 16

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allora era al Ducato napoletano sottoposta, che si reggeva da Sergio
Duca e Console sotto l'Imperador Alessio Comneno. Solo Aversa nuova
città era in potere de' Normanni, ma d'altro genere, come si è detto,
non già della razza di Tancredi Conte d'Altavilla, di cui discendevano
Boemondo e Ruggiero. E Capua in questo mentre trovavasi essersi già
ribellata da' Principi normanni; poichè morto in Piperno nell'anno 1090
il Principe Giordano, ancorchè avesse lasciato Riccardo suo figliuolo
di tenera età per successore al Principato[346], nulladimanco i
Longobardi capuani, subito che furono avvisati della morte di Giordano,
cospirarono contro Riccardo, e contro la Principessa sua madre; ed
avendosi poste in mano le Fortezze della città, ne discacciarono tutti
i Normanni; tanto che fu d'uopo a Riccardo, ed a sua madre per asilo
ricovrarsi in Aversa, ove si trattennero insino che dal Duca di Puglia,
e da Ruggiero Conte di Sicilia, non furono soccorsi, e restituiti in
Capua.
Questo famoso Eroe dapoi che si levò dall'assedio di Amalfi, ritornato
in Sicilia, non pensava ad altro, che di stabilire più fermo il dominio
nella sua famiglia con illustri parentele. I più grandi Principi della
Cristianità ricercavano a gara la sua amicizia e la sua alleanza. In
fatti erano già quasi due anni, che la sua prima figliuola nell'anno
1093 era stata ricercata da Filippo I Re di Francia, e la seconda
nell'anno 1094 fu sposata a Corrado figliuolo dell'Imperador Errico
III. Questo Principe per le discordie di Errico suo padre con i romani
Pontefici, fu da costoro stimolato a lasciare il partito di suo padre,
e non bastandogli d'essersi attaccato al contrario, arrivò a tal
estremità, che non fu punto difficile di movere apertamente contro
il padre le armi; e portatosi in Italia, col favore del Pontefice,
occupò molti luoghi, che dependevano dall'Imperio, e da lui sottratti
ad Errico. Il Pontefice Urbano e la Contessa Matilda, non trovando
miglior modo per mantenerlo, proccurarono farlo entrare nella famiglia
del Conte di Sicilia, con fargli sposare la costui figliuola, perchè lo
sostenesse contro gli sforzi di Errico[347].
Il Re d'Ungheria invidiandogli questa alleanza, due anni da poi mandò
Ambasciadori al Conte a dimandargli un'altra figliuola per isposarla
ad Alemanno suo figliuolo. Ruggiero non ricusò il partito, e con molta
pompa e celebrità fu tosto nel 1097 condotta la Principessa al marito.
Questa prosperità sì estraordinaria nella famiglia di Ruggiero, ed i
successi tanto illustri del suo Regno gli meritarono il soprannome di
_Gran Conte_, ed intorno a questo tempo cominciò ad usarlo ne' suoi
titoli.
Agostino Inveges, oltre a queste ragioni, rapporta, che fu mosso
Ruggiero a chiamarsi _Gran Conte_, perchè egli avea creato Simone suo
figliuolo Conte di Butera; e cominciandosi già in Sicilia ad introdursi
l'uso de' Feudi e de' Contadi; ed essere decorati di questi titoli i
figli, i nepoti e' vassalli del Conte, per distinguersi da costoro,
cominciasse a sottoscriversi con questo nuovo titolo _Magnus Comes
Calabriae, et Siciliae_.
Ma ciò che maggiormente fece rilucere la potenza di Ruggiero G. Conte
di Sicilia, fu l'impresa di Capua. Riccardo figliuolo di Giordano,
che discacciato da Capua, erasi ritirato in Aversa, non potendo per se
solo ricuperar Capua, lo richiese di soccorso, e della sua protezione:
promettendogli, in riconoscenza di questo importante aiuto, di farsi
suo uom ligio, e fargli omaggio de' suoi Stati[348].
Ed aggiunge Malaterra[349], che Riccardo oltre la promessa fatta di
prestargli omaggio, in ricompensa gli avesse anche offerta Napoli,
la qual città dovea ancora conquistarsi. E molto a proposito avverte
Inveges, che non si sa donde nascesse a Riccardo questa ragione di così
disporre di Napoli, che in questi tempi si governava da' suoi propri
Duchi in forma di Repubblica. Il Conte non fu insensibile a queste
offerte; poichè tosto unendo una sua armata, venne verso Capua, ove il
Duca di Puglia suo nipote, e Riccardo eransi già uniti per assediarla:
egli prima di cominciar l'assedio fece predare tutta la vicina
Campagna: da poi strinse la città minacciando agli abitanti la lor
ruina se non si rendessero[350]. In questo, avendo Urbano II inteso il
pericolo de' Capuani, venne tosto al campo ov'erano questi Principi per
ottenere da essi la pace, ed impedire la rovina di quella città. Egli
fu ricevuto magnificamente da que' Principi, i quali consentirono di
rimettere i loro interessi nelle sue mani, purchè i ribelli volessero
far il medesimo, del che fu avvertito il Papa, che non farebbero
punto. Con tutto ciò volle Urbano tentare di ridurgli, ed entrato
nella città, ancorchè gli dessero parola di volerlo fare, quando si
venne all'effetto, rifiutarono di voler rendere la città a chi si
sia. Il Papa pentitosi d'essersi mosso per loro cagione, se ne ritornò
indietro, niente curandosi di ciò avrebbe potuto di male accadergli.
L'assedio si strinse per ciò più fortemente, ed Iddio in questo punto
fece al Conte di Sicilia segnalatissimi favori; poichè la Contessa
Adelaide sua sposa, che in quell'impresa avealo seguitato, vi divenne
gravida. Si sgravò del parto in Melito di Calabria in decembre di
quest'anno 1097, ovvero, come altri rapportano, in febbraio dell'anno
seguente, e diè alla luce un figliuolo, il quale fu battezzato per mano
di S. Brunone fondatore dell'Ordine de' Certosini, col quale il Conte,
per la gran fama che teneva di santità, avea strettissima amicizia, ed
egli fu il primo, che stabilì nella Calabria quell'Ordine nascente, di
cui si mostrò sempre protettore.
Al fanciullo fu posto nome Ruggiero: quegli che per le famose sue
gesta fu il I Re di Sicilia. Errano perciò il Fazello, che scrisse
questo Eroe esser nato in Salerno; e Pirri, che anticipando due anni
questa nascita, nel 1095 lo dice nato in Sicilia. Il secondo favore,
che Ruggiero ricevette dal Cielo per l'intercessione di S. Brunone fu
l'essere stato liberato d'un tradimento, che un Greco appellato Sergio,
aveagli macchinato; ma l'aver il Conte ripressa questa congiura col
sangue de' congiurati, intimorì in guisa gli assediati, che tosto la
Piazza fu resa, e restituita al Principe Riccardo: usò gran clemenza
co' medesimi secondo il consiglio che glie ne diede il Conte, talmente
che si contentò d'eleggere il suo soggiorno in una delle torri più alte
della cittadella, ove entrò trionfante; onde ristabilito nel Principato
di Capua, riconoscendo quest'importante conquista da' due Ruggieri,
fece loro in segno di gratitudine ogni onore, e come uomo ligio giurò
loro omaggio.
Questi due Principi spediti da quest'impresa si ritirarono unitamente
in Salerno ove si trattennero insieme per qualche tempo. Meditava
il Duca di Puglia, sopra le altre città de' suoi dominj in Italia,
trasciegliere Salerno per sua sede regia, siccome avea pensato
anche Roberto Guiscardo, conquistata che l'ebbe, di costituirla
città metropoli, non altramente, che per quello riguarda la politia
ecclesiastica, avea fatto il Pontefice Giovanni XIII. Perciò la sua più
lunga residenza la faceva in Salerno[351]; il di cui esempio seguirono
da poi i suoi successori. Quivi ospiziò il suo zio colla Contessa e
col picciolo figliuolo poc'anzi natogli, il quale gli fu successore ne'
suoi dominj.


CAPITOLO VIII.
_URBANO II fa suo Legato il Conte RUGGIERO, onde ebbe origine la
Monarchia di Sicilia._

Urbano II per congratularsi con questi Principi del buon successo della
loro spedizione di Capua, venne a trovargli in Salerno, e volendo in
ricompensa di tanti benefizi prestati alla Sede Appostolica, mostrarsi
loro grato, creò Ruggiero suo Legato in Sicilia. In quest'anno 1098,
ed in questo Congresso fu istromentata quella Bolla, di cui non
vi è memoria che sia stata conceduta ad alcun altro Principe della
Cristianità, per cui vanta la Sicilia la sua Monarchia, e per cui s'è
preteso, che i successori del G. Conte Ruggiero fossero padroni ne'
loro Stati, così dello spirituale, come del temporale.
Erasi introdotto costume da' Pontefici romani di spedir loro Legati
appostolici in varie province dell'Orbe cristiano; e n'ebbero di varie
sorte. Alcuni che erano i più eminenti, ed a' quali era conceduta più
ampia e particolar giurisdizione, eran chiamati Legati a _latere_,
poichè dal Concistoro e Collegio de' Cardinali, che sedevano a lato
del Pontefice, erano prescelti, e perciò _Laterali_ chiamogli Ivone
Carnotense in una lettera[352] ch'e' scrisse a Pascale II. Altri erano
o Vescovi, o Diaconi della Chiesa romana, i quali erano destinati dal
Pontefice per Legati presso gl'Imperadori o Regi, i quali non aveano
altra incumbenza, se non nella Corte di que' Principi di proccurar i
negozi della Sede Appostolica, ed invigilare per gl'interessi della
medesima, e questi presso gli antichi si dissero _Apocrisiarii_,
ovvero _Responsales_. Ma fu ancora da poi introdotta un'altra sorta di
Legati, che si chiamavano Provinciali. Questi per lo più erano Vescovi
o Arcivescovi delle province istesse ove reggevano le loro Cattedre,
ai quali come Legati della Sede Appostolica veniva data molta autorità
e giurisdizione, e conceduti vari privilegi da potersene valere co'
loro provinciali, e sovente la Legazione si dava alla Cattedra, non
alla persona. Così l'Arcivescovo d'Arles era Primate e Legato delle
Gallie in vigore d'un antichissimo privilegio conceduto a quella sede,
e confermato da poi da Ormisda e da Gregorio I, e dagli altri romani
Pontefici[353]. Così ancora l'Arcivescovo di Cantorberì era Primate
e Legato d'Inghilterra per un privilegio, che Innocenzo II concedè a
Teobaldo Arcivescovo di quella città, ed a' suoi successori; onde è che
in Inghilterra questi erano appellati Legati nati, come ci testimonia
Polidoro Virgilio[354], poichè non alla persona, ma alla Cattedra
fu tal privilegio conceduto. Siccome il Vescovo di Pisa, ed i suoi
successori, da Gregorio VII furono dichiarati Legati della Santa Sede
nell'isola di Corsica.
Si davano ancora queste Legazioni in alcune province dell'Orbe
cristiano, non già alle Cattedre, ma alle persone, destinando i Sommi
Pontefici certe persone per Legati in vari luoghi. Così Lione il
Grande costituì Anastasio Vescovo di Tessalonica Vicario della Sede
Appostolica per l'Oriente, e nelle regioni dell'Affrica. Gelasio I,
per l'Egitto elesse Acacio. Ormisda per la Betica, e per la Lusitania
Salustio Vescovo di Siviglia; e per le Gallie l'istesso Pontefice
costituì suo Vicario Remigio di Rems, senza derogare al privilegio
dell'Arcivescovo d'Arles: Ormisda istesso elesse il Vescovo Giovanni
per tutta la Spagna. Vigilio creò per l'Illirico, il Vescovo di
Locrida, siccome fece anche Gregorio I. Martino I costituì Giovanni
Vescovo di Filadelfo per Legato nell'Oriente contro i Monoteliti. E
sopra tutte le altre province la Francia ebbe molti di questi Legati
ne' tempi di Carlo Martello, di Carlo il Calvo, e più ne' tempi
ne' quali siamo, sotto Gregorio VII ed Urbano II, tanto che per la
frequenza di questi Legati s'estinsero in gran parte le ragioni e
preminenze di Legato e di Primate nell'Arcivescovo d'Arles; e non solo
i romani Pontefici vi mandavano Legati perchè presiedessero a tutta
la Gallia; ma ancora a certe province vi mandavano particolari Legati,
come nell'Aquitania, de' quali Alteserra[355] ne rapporta un numero ben
grande.
Questi Legati per lunga esperienza si conobbe, che recavano alle
Province, ov'erano dirizzati, danni, e molestie insopportabili[356],
poichè oltre di scemarsi con ciò l'autorità e la giurisdizione de'
Vescovi e de' Metropolitani, traendo a se tutte le cause, e sovente
inquirendo e conoscendo delle cause e delitti de' medesimi Prelati, per
la loro avarizia e fasto tenevano depressi i Vescovi e tutto l'Ordine
ecclesiastico, onde vennero in tanta abbominazione a' provinciali,
che ricorsero a' loro Re, perchè vi dessero riparo. Per la qual cosa
i Principi d'Europa proccuravano o di non ricevergli affatto, ovvero
di non ricevere se non quelli ch'essi volevano. In Inghilterra perciò
fu fatta convenzione fra Urbano II col Re Guglielmo, per la quale fu
stabilito, che niun Legato si ricevesse in quell'isola, se non colui
che voleva il Re[357]. In Francia i loro eccessi furon tali, che
finalmente si risolvettero i Vescovi di supplicare il Papa, che gli
togliesse affatto per ristoro delle loro diocesi; siccome in fatti
ottennero, che non più si mandassero, onde risorse la potestà de'
Metropolitani e de' Primati in quella provincia, e si pose quiete in
quel Regno. L'Imperador Federico in Alemagna con suo editto ordinò, che
non si ricevessero affatto. Nella Scozia vi è legge stabilita nel 1188
approvata da' Pontefici Clemente III, Innocenzio III ed Onorio III che
proibisce poter alcuno ivi esercitare il diritto di Legazione, se non
fosse Scozzese; ed il simile si legge per le Spagne.
Nell'isola di Sicilia pur i Papi aveano in usanza crear questi Legati;
e si legge[358] che sin da' tempi di Gregorio I avesse questo Pontefice
creato Massimiano Vescovo di Siracusa Legato di Sicilia, concedendo
questa prerogativa alla sua persona, non già alla Cattedra[359].
Nemmeno ne furono esenti quest'istesse nostre province, ancorchè
tanto a Roma vicine; poichè nella Cronaca di Lione Ostiense[360] si
legge, che Niccolò II, dopo aver fatto Cardinale Desiderio celebre
Abate Cassinense, lo creò ancora suo Legato in tutta la Campagna, nel
Principato, nella Puglia e nella Calabria, se bene la sua autorità
fossegli stata ristretta sopra tutti i monasteri e Monaci di quelle
province come si scorge dalle parole del privilegio, che rapporta ivi
l'Abate della Noce.
Urbano II adunque, volendo in questi tempi, ciò che i suoi predecessori
avean prima fatto, rinovar l'usanza di crear in Sicilia un Legato,
vi nominò il Vescovo di Traina. Non ben s'intese da' Siciliani
questo fatto, e molto più se n'era offeso il Conte Ruggiero, il quale
essendosi così ben distinto per tanti segnalati servigi prestati alla
Santa Sede, con aver discacciati i Saraceni infedeli da quell'isola,
tolte tutte le Chiese al Trono costantinopolitano, con restituirle al
romano, e soccorsa la Chiesa nelle maggiori sue calamità, riputava
non dover meritare questa ricompensa. In questo Congresso tenuto in
Salerno se ne dolse col Papa, e fecegli comprendere assai liberamente
quanto ciò eragli dispiaciuto, e ch'egli era determinato a non punto
soffrirlo.
Ma Urbano che si sentiva cotanto obbligato a questo Principe, e dal
quale si prometteva maggiori ajuti per la Sede Appostolica, riputandolo
il più abile istromento in questi tempi, ove potesse appoggiare tutte
le sue speranze contro gl'Imperadori d'Occidente, non tralasciò sì
bella occasione per maggiormente obbligarselo. Non solamente su questo
punto gli diede tutta la soddisfazione, annullando in quell'istante
la Legazione, che avea data al Vescovo di Traina, ma con raro esempio
trasferì al G. Conte medesimo tutta quella autorità che come suo
Legato avea data a quel Vescovo, creando lui ed i suoi legittimi
eredi e successori Legati nati della Sede Appostolica in quell'isola,
promettendogli di non mettervi giammai alcun altro contra suo grado, e
che tutto ciò ch'egli era per fare per un Legato, fosse fatto per lui,
e suoi successori. Ne fu tosto spedito in Salerno per mano di Giovanni
Diacono della Chiesa romana il privilegio, nel mese di luglio, il
settimo dell'Indizione, e l'undecimo del Ponteficato di Papa Urbano II.
Questo avvenimento in cotal guisa lo narra Malaterra, il quale insieme
porta la Bolla d'Urbano, Scrittore gravissimo, e di que' tempi, il
quale qui termina i quattro libri della sua Latina Istoria; e di cui
Orderico Vitale[361] antico Scrittore delle cose normanne scrive:
_De quorum (idest Ducis Roberti Guiscardi, et Comitis Rogerii)
probis actibus, et strenuis eventibus Gotifredus Monachus cognomento
Malaterra, hortatu Rogerii Comitis Siciliae elegantem libellam nuper
edidit_.
Questa scrittura sì notabile meritava, che si fosse rapportata tutta
intera; ma riguardando la politia di quel Reame, non del nostro, ci
siamo contentati d'averne recato con nettezza ciò che contiene, tanto
più, che non mancano Scrittori[362], che la rapportano intera, e ben
negl'istessi Annali del Baronio potrà leggersi.
Questo è il fondamento della cotanto famosa Monarchia di Sicilia,
per cui i successori di Ruggiero, e sopra tutti i Re d'Aragona, che
signoreggiarono da poi quel Reame con lunga serie d'anni, si sono
mantenuti nel possesso di questa sì nobile ed illustre prerogativa
contro tutti i sforzi, e' dibattimenti surti sopra questo punto in
processo di tempo. Non riputandosi cosa impropria, e strana d'essersi
potuto a' Principi concedere tal facoltà di Legato della Sede
appostolica, quando i Papi stessi reputarono queste persone, come
sacrate, essendosi già introdotto il costume di ungersi col sacro
olio, e non come all'intutto laici, ma partecipi ancora del Sacerdozio
gli riputarono; e se non stimarono incompatibile alle loro persone di
creargli Canonici di S. Pietro, con ammettergli coi sacri abiti al
Coro, e rendergli consorti in tutte le altre funzioni, e celebrità
sacre; non dovrà parere strano che possano ancora ritener queste
prerogative, che finalmente si raggirano intorno alla ecclesiastica
giurisdizione, non già intorno all'ordine.
Secondo le massime del dritto Canonico, e la pratica della Corte di
Roma si è in più occasioni veduto, che nel diritto la potenza della
giurisdizione è distinta dalla potenza dell'ordine, e che quest'ultima
è attaccata all'ordine medesimo, e non può essere comunicata a
quelli, che non l'hanno per loro carattere. Non si può commettere
ad un Prete per far l'ordinazione; nè ad un Diacono per consecrare,
o per assolvere; poichè la facoltà dell'ordinare è attaccata al
carattere episcopale, ed il potere di consecrare e d'assolvere
all'ordine presbiterale: ma per ciò, che riguarda la potenza della
giurisdizione, ella può essere comunicata a persone, che non sono negli
ordini, ancorchè s'eserciti sopra quelli, che vi sono, o anche negli
ordini più elevati, che non sono quelli a chi si è accordata questa
giurisdizione. Li Papi non hanno fatto difficoltà di praticarla in
più occasioni, nominando Legati, i quali erano semplici Diaconi per
giudicare materie di fede, e cause di Vescovi, anche per tenere il loro
luogo ne' Concilj, e dando privilegi ad Abati e Monaci per esercitar
la giurisdizione episcopale; e ciò ch'è più stonante, anche alle
Badesse, che danno dimissorie, hanno Archidiaconi, ed altri Officiali,
ed esercitano tutto ciò, che appartiene alla giurisdizione episcopale;
ed in quest'istesso nostro Regno oggi giorno veggiamo, che la Badessa
del Monastero di Conversano esercita sopra i suoi Preti giurisdizione,
ed ha privilegio di valersi di Mitra, e di Pastorale, come i Vescovi
fanno. E Carlo II d'Angiò nella Chiesa di S. Nicolò di Bari ebbe luogo
in quel Coro sopra gli altri Canonici, e fu riputato come di lor corpo,
ed ebbe giurisdizione sopra que' Preti, come diremo al suo luogo.
Non è del nostro istituto entrare in que' dibattimenti, che da poi
sursero intorno a questo punto, e nelle cose che sono state scritte da'
Spagnuoli, e da altri diversi Autori, come materia lontana dal nostro
proposito. Ma non posso tralasciar di dire, che il Cardinal Baronio
con molta importunità, e poca verità ardì d'impugnarla negli ultimi
tempi, da poi che quel Regno n'era stato in possesso per tanti secoli.
Stampò egli al principio dell'anno 1605 il suo tomo XI, degli annali
ecclesiastici, e venendo di rapportar questo fatto, inserì nella sua
Istoria un discorso lunghissimo contra la Monarchia di Sicilia, ove con
isforzati, e lividi argomenti non trascurò di movere ogni macchina per
abbatterla. Ma ciò che non deve condonarsi alla memoria di quell'uomo,
si è d'aver pieno quel suo discorso di tanta maldicenza ed acerbità
contra molti Re d'Aragona di celebre memoria, e spezialmente contro
Ferdinando il Cattolico, riputandogli Tiranni, e che sotto questo nome
di Monarchia abbiano voluto in quel Regno introdurre la tirannide,
che capitato il libro in Napoli ed a Milano, fu da que' Ministri regi
proibito, ed ordinato, che non si vendesse, nè tenesse, per rispetto
del loro Principe Filippo III, che allora regnava, i cui progenitori
paterni erano stati da quel Cardinale sì indegnamente trattati.
Ma mostrò il Baronio sì gran risentimento di questa proibizione del
suo libro, che avendone avuto l'avviso quando per la morte di Clemente
VIII, era la sede vacante, fece unir tosto il Collegio de' Cardinali,
dai quali fece far un'invettiva contro que' Ministri, e non bastandogli
aver offeso quel Principe in quella guisa, volle toccarlo in un altro
punto non men geloso di sua regal giurisdizione; poichè in quella
apertamente biasimavansi que' Ministri, come nel proibir il suo libro
avessero posto mano nell'autorità ecclesiastica, quasi che a' Principi
non fosse lecito per quiete dello Stato far simili proibizioni. E dopo
creato il Pontefice Paolo V fece scrivere al Re Filippo sotto li 13
Giugno di quest'istesso anno una lunga lettera con grave doglianza,
che in vilipendio dell'autorità ecclesiastica, li Ministri regj in
Italia avessero proibito il suo libro, quando ciò al Papa solamente
s'apparteneva. Però la prudenza di quel Re giudicò meglio di rispondere
coi fatti, e lasciò correre la proibizione pubblicata da' suoi
Ministri.
Ma il Cardinale non si potè contenere, che nel 1607 stampando il
XII tomo non inserisse poco a proposito un discorso di quest'istessa
materia, con molta acerbità e livore declamando contro i Principi,
che voglionsi impacciare a proibir libri, non ritenendosi ancora di
dire, che lo fanno perchè i libri riprendono le loro ingiustizie. Il
Consiglio di Spagna con la solita tardanza e irrisoluzione vi procedè
con lentezza; non si mosse nemmeno per questa terza offesa, ma lasciò
scorrere altri tre anni, e nel 1610 il Re fece un editto, condennando,
e proibendo quel libro con maniera così grave, che destramente tocca
il Baronio, così bene com'egli avea toccato li Re suoi progenitori. E
per dargli maggior riputazione e forza, fu l'editto fatto pubblicare
in Sicilia, con decreto e sottoscrizione del Cardinal Doria, e mandato
per lo Mondo in istampa. In Napoli fu mandato l'editto al conte di
Lemos, che si trovava allora Vicerè, il quale a' 28 febbrajo dell'anno
seguente 1611 fece pubblicar Banno con molta pubblicità, col quale
si condennava il libro. La corte di Roma restò sbigottita tanto per
l'editto, quanto per l'esecuzione fatta dal Cardinale, e del Banno
pubblicato a suon di tromba in Napoli. Però in Spagna non si mossero
punto, e l'editto resta oggi giorno nel suo vigore.
Fu questa contesa rinovata con modi assai più forti negli ultimi nostri
tempi, quando Papa Clemente XI vedendo il Regno di Sicilia caduto in
mano del Duca di Savoja, credette tempo opportuno di profittare sopra
la debolezza di quel Principe; e ridusse la cosa in tale estremità,
che nell'anno 1715 non si ritenne di pubblicar una Bolla, colla quale
abolì la Monarchia, stabilendo in un'altra in quel Reame una nuova
ecclesiastica Gerarchia; ma riuscirono vani tutti questi sforzi,
poichè nè le Bolle ebbero alcun effetto, nè niuna mutazione o novità
s'introdusse in quell'isola; e molto meno quando poi quel Regno fece
ritorno sotto l'Augustissima Famiglia Austriaca.
Scrisse con questa nuova occasione a difesa della Monarchia il
celebre Teologo di Parigi Lodovico Ellies Dupino, dove fece vedere
quanto insussistente e vano sia ciò che il Baronio avea sostenuto in
contrario, e quel che il Papa avea ordinato in quella sua Bolla. Uscì
questo suo libro nell'anno 1716 dove si narrano minutamente l'origine
ed i progressi di questa contesa, ed i successi di questa briga, con
tanta diligenza e dottrina, che bisogna riportare il Lettore a quanto
egli ne scrisse intorno a questo soggetto.
La Bolla di Urbano fu dirizzata al Conte Ruggiero, e suoi successori, e
non comprendea che i suoi Stati che possedeva allora, cioè la Sicilia
ed alcune Piazze che e' teneva in Calabria, onde perciò s'intitolava
_M. Comes Calabriae, et Siciliae_.
Ma non meno del Conte era benemerito il Duca Ruggiero della Sede
appostolica; ond'era di dovere, che Urbano al Duca di Puglia, ch'era
presente, dispensasse suoi favori; ond'è da credere, che a questo tempo
fosse a' Duchi di Puglia conceduto quel privilegio, di cui l'antica
Glossa Canonica, e molti de' più vecchi Scrittori rapportano intorno
alla collazione dei beneficj del Regno.
In questi tempi per togliere l'investitura da' Principi secolari eransi
ragunati frequenti Concilj, e per ultimo nel Concilio romano celebrato
da Urbano nell'anno 1099 poco prima di morire, erasi di nuovo sotto
terribili anatemi vietato agli Abati, a' Propositi delle chiese, ed
a tutti gli Ecclesiastici di ricevere beneficj dalle mani de' laici.
Con tutto ciò pretesero sempre i Principi non dover essi reputarsi
in ciò puramente laici, nè potersi loro togliere quelle prerogative,
delle quali per lungo tempo n'erano stati in possesso. Che era ben
di ragione, che avendo essi fondate le chiese ed arricchitele del
loro patrimonio, essi ne dovessero aver le investiture; che siccome
prima nell'elezione de' Ministri della chiesa v'avea parte il popolo,
non dovea parere strano, se i Principi, a' quali fu trasferita ogni
potestà, potessero ora farlo per se soli[363]. Che ciò facendo,
niente davano agl'investiti di spiritualità, ma la lor concessione si
restringeva alla temporalità, ancor che nell'investirgli si valessero,
secondo era il costume, dell'anello e della verghetta. Ciò che con
maggior ragione lo pretendevano i nostri Duchi di Puglia, i quali
aveano in queste province molte chiese sin da' fondamenti erette, e
dotate di molti loro beni per la lor somma pietà inverso il culto della
Religion cristiana. Si aggiungeva ancora d'aver debellati gli infedeli
Saraceni, e d'aver restituite tutte le chiese al Trono romano, che
prima gli erano state tolte dal Patriarca di Costantinopoli.
I Pontefici romani per non contendere su questo punto co' Principi
amici e ben affezionati, a' quali senza recarsi pregiudizio volevano
gratificare, sovente usavano di conceder loro per privilegio
ciò ch'essi pretendevano per giustizia: i Principi badando solo
all'effetto, nè curandosi d'altro, l'accettavano. All'incontro i
Papi credevano maggiormente così stabilire i loro diritti, acciocchè
secondo che le congiunture portavano, potessero o rivocargli, o
contrastargli. Quindi è che gli antichi Re di Sicilia investivano de'
beneficj ecclesiastici in tutte le Chiese del Regno di Puglia, siccome
ne rende a noi fedel testimonianza l'antica Chiesa Canonica[364],
la quale se contro i canoni stabiliti in tanti Concilj osservò che i
Duchi di Puglia davano l'investiture de' beneficj, disse che ciò lo
facevano per privilegio del Papa, il quale poteva a' laici concedere
questa preminenza; e lo testimoniano ancora tutti i nostri più antichi
Scrittori del Regno, come Marino di Caramanico, Andrea d'Isernia, ed
altri[365]. E per questo privilegio si difendeva Federico II quando se
gl'imputava, che a suo modo dava le investiture delle chiese di queste
province[366]: anzi egli si doleva che i Papi tentavano di diminuire
le ragioni, che i Re di Sicilia aveano nell'elezione de' Prelati,
non ostante il lor privilegio, il quale da Innocenzio III non poteva
moderarsi, come fece con Costanza, quando egli era ancor fanciullo.
Ma di ciò più opportunamente ci tornerà occasione di favellare quando
della politia ecclesiastica tratteremo.

§. I. _Concilio tenuto da Urbano in Bari, e sua morte, seguita poco da
poi da quella del Conte RUGGIERO, e d'altri Principi._
Intanto Urbano dopo essersi in Salerno trattenuto con questi Principi,
se ne passò in Bari, ove avea intimato un Concilio di Padri greci e
latini per determinare il Dogma della processione dello Spirito Santo
dal Padre e dal Figliuolo, nel che i Greci non convenivano[367].
Intervennero in questo Concilio 185. Vescovi, e volle assistervi
anche S. Anselmo Arcivescovo di Cantorberì, che per affari della sua
Chiesa si trovava allora in Italia. Vi furono perciò tra' Greci e
Latini grandi dibattimenti; ma furono da S. Anselmo coloro convinti, e
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