Istoria civile del Regno di Napoli, v. 3 - 21

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Covarruvia[450], e d'altri Scrittori, che riputarono cotal proposizione
degna di riso.
Ma se bene erano fra lor divisi in sostenere le pretensioni, o dell'uno
o dell'altro, furono però d'accordo in dire, che tutte le Sovranità
del Mondo cristiano dipendessero, o dal Papa o dall'Imperadore.
Proposizione quanto falsa, altrettanto repugnante al buon senso, ed a
quel che osserviamo negli altri Regni e Monarchie; poichè la Sovranità
non procede altronde, che o dalla conquista, o dalla sommessione de'
Popoli; nè il Papa, secondo quel che si sarà potuto notare in più
luoghi di quest'Istoria, come successore di S. Pietro, o Vicario di
Cristo ha ragione di poterlo pretendere, non essendo stata questa la
potestà data a S. Pietro da colui, che si dichiarò il Regno suo non
esser di questo Mondo, ma quella fu tutta spirituale, e tutta drizzata
al Cielo, come a bastanza nel primo libro. quando della politia
ecclesiastica ci fu data occasione di ragionare, fu dimostrato. E se
oggi lo vediamo Signore di tanti Stati, ed aver sì belle ed insigni
prerogative negli Stati altrui, tutto fu o per concessione de' Principi
e loro tolleranza, o per consuetudine, che col tempo introdotte, per
la loro esquisita diligenza ed accortezza, avendo a lungo andare poste
profonde radici, non poteron poi in molte parti più sradicarsi, come
ne può esser ben chiaro esempio questo nostro Reame, che per volontaria
esibizione de' suoi Principi fu reso a quella Sede feudatario, i quali
o per loro concessione o tolleranza molte cose su di esso le permisero:
delle quali avremo molte occasioni di notare nel corso di questa
Istoria.
E molto meno gl'Imperadori d'Alemagna potean ciò pretendere; poichè se
si parla di que' Regni, che da Carlo M. non furono conquistati, come
le Spagne, e tanti altri, non vi può cader dubbio alcuno, che rimasero
vere Monarchie, e dall'Imperio independenti. Nè restituito l'Imperio
d'Occidente nella persona di quell'Augustissimo Principe si fece altro,
che siccome egli parte per successione, parte per conquista, si vide
ingrandito di tanti Regni e province, onde meritamente potesse darsegli
titolo d'Imperadore; così essendosi da poi in tempo de' suoi successori
molti Regni e molte province perdute, e sottratte dall'Imperio,
ritornarono essi così come erano prima, che Carlo M. assumesse quel
titolo; e per conquista, o per sommessione de' Popoli, essendo passati
sotto la dominazione d'altri Principi, questi come veri Monarchi e veri
Re independenti gli possederono, siccome fu l'Inghilterra, ed il Regno
di Francia; ed i Franzesi pretendono, che la Francia non solo non fu
unita da Carlo M. all'Imperio, ma vogliono che più tosto l'Imperio,
fosse stato membro della Monarchia franzese.
Così Ruggiero, per quel che s'attiene alla Sicilia, come quella
che non mai fu da Cario M. conquistata nè all'Imperio d'Occidente
sottoposta, ma più tosto a quel d'Oriente, non avea alcun bisogno,
volendo ridurla in forma di Regno, come fu anticamente, di ricorrere
all'Imperador d'Occidente. E se bene, per quel che riguarda a queste
nostre province, v'avessero avuta i medesimi in alcune d'esse la
Sovranità, e per Sovrani da' Principi longobardi fossero riputati, come
furon quelle, che nel Ducato beneventano, quando era nella sua maggior
grandezza, erano comprese; nulladimanco i Normanni le sottrassero da
poi totalmente dall'Imperio, così dall'occidentale, come, per quel che
riguarda la Puglia e la Calabria, dall'orientale, e come independenti
da quest'Imperj le dominarono. E quantunque dagl'Imperadori
d'Occidente avessero nel principio ricevute l'investiture della
Puglia, nientedimeno, come si è veduto, ciò non ebbe alcun effetto,
perchè i Normanni da poi più tosto si contentarono essere Feudatarj
della Sede Appostolica, che dell'Imperio. Nè gl'Imperadori d'Occidente
molto se ne curarono. Egli è però vero, che così Lotario II come gli
altri suoi successori, quando le occasioni loro si presentavano, non
si ritennero di movere queste loro pretensioni di Sovranità: così
Lotario, quando s'ebbe da investir Ranulfo del Ducato di Puglia e di
Calabria contro il nostro Ruggiero, pretese volerlo egli investire,
e pretendendo il Papa Innocenzio II all'incontro ciò appartenersi a
lui; per non far nascere infra lor discordie, delle quali se n'avrebbe
potuto profittar Ruggiero, inimico comune, si convenne che tutti due
insieme l'investissero, come fecero investendolo per lo stendardo. E
del Principato di Salerno e d'Amalfi, del quale i Papi non si trovavano
aver ancora fatta alcuna investitura a' Normanni, vi fu tra Innocenzio
II e l'istesso Lotario contrasto; pretendendo Lotario doverlo investir
egli: al che s'oppose fortemente il Papa, onde nacquero fra loro quelle
discordie, delle quali si seppe ben valere il nostro Ruggiero[451]. E
per quest'istesse pretensioni in tempi men a noi lontani Errico VII, il
primo Imperadore che fu della illustre Casa di Lucemburgo, citò Roberto
Re di Napoli, e Conte di Provenza avanti il suo Tribunale a Pisa,
perchè pretendeva che il Regno di Napoli fosse Feudo dell'Imperio: come
in fatti lo bandì, e lo depose dal Reame, del quale investì Federico Re
di Sicilia, il quale in effetto venne in Calabria per conquistarlo, e
prese Reggio, e molte altre Piazze di quella riviera. Ma essendo poco
da poi morto Errico, svanì l'impresa ed egli deluso in Sicilia fece
ritorno.
Ma essendosi da poi l'Imperio di costoro ristretto nell'Alemagna, ed
oggi giorno considerandosi come semplici Principi, senza che possan
pretender Sovranità nell'istesso Imperio, dove in effetto quella
risiede come ha ben provato Bodino; ed all'incontro essendosi gli
altri Principi per lungo corso di anni ben stabiliti ne' loro Stati
e Reami con totale independenza dall'Imperio, vantano oggi con ben
forte ragione essere i loro Stati vere Monarchie, siccome se ne vanta
il nostro Reame, non ostante l'investiture che i nostri Principi
ricevano da' Sommi Pontefici; le quali, come vedrassi nel corso di
quest'Istoria, non derogano punto all'independenza ed alla sovranità,
ed alle supreme regalie, delle quali sono adorni, e per le quali son
reputati, come lo sono, veri Monarchi.
Ma ritornando alla coronazione del nostro Ruggiero se bene in questi
tempi gl'Imperadori d'Occidente pretendessero Sovranità sopra queste
nostre province; nulladimeno i Pontefici romani l'aveano di fatto
esclusi e solamente era loro rimasa la pretensione. I Principi normanni
non si curavano per ciò aver da essi l'investiture, e niun pensiero
se ne prendevano. Ma all'incontro era in ciò, ed a questi tempi così
grande l'autorità de' Papi, che i Principi senza di loro stimavano non
poter assumer nè titolo di Re, nè altro più spezioso, che vi fosse, e
sopra gli altri ne stavano ben persuasi i Principi normanni, e Ruggiero
stesso.
Anzi non sono mancati diligenti Autori, che scrissero Ruggiero non mai
aver avuto quest'ardimento per se solo d'incoronarsi Re, ed assumere
quel titolo senza loro permissione e beneplacito; e che una sola volta
fosse stato incoronato da Anacleto nell'anno 1130 non già due, una da
se solo nell'anno 1129, l'altra da Anacleto nel seguente anno. Nel che
non vogliamo miglior testimonio dell'accuratissimo Pellegrino[452], il
quale per l'autorità di Falcone beneventano, e dell'Abate Telesino,
sostiene che sol una volta Ruggiero si facesse incoronare, e ciò per
autorità d'Anacleto: poich'essendo per la morte d'Onorio, accaduta in
febbraio dell'anno 1130 nato lo scisma tra Innocenzio II ed Anacleto
II, eletti ambedue nell'istesso giorno da due contrarie fazioni per
romani Pontefici, piacque a Ruggiero seguire il partito d'Anacleto,
il quale riputando ciò a sua somma ventura, perchè munito di sì
valido appoggio potesse resistere al partito d'Innocenzio, proccurava
di non negargli cosa che gli cercasse; in fatti venuto Anacleto in
Avellino nel mese di ottobre di quest'istesso anno, quivi s'appuntò di
coronarlo, siccome nell'istesso mese ritornato in Benevento, in questa
città gli spedì la Bolla, che si legge presso il Baronio; ed avendo
Anacleto mandato in Sicilia un suo Cardinale perchè lo incoronasse,
fu Ruggiero dal medesimo coronato in Palermo nel mese di dicembre
dell'istesso anno nel giorno di domenica della Natività di N. S.
con quella celebrità ed apparato, che ci descrive l'Abate Telesino
Scrittor contemporaneo, che vi fu presente, e che fu molto famigliare,
e cotanto caro a Ruggiero. Falcone Beneventano, Pietro Diacono[453],
ma sopra tutti più minutamente l'Abate Telesino[454], e tutti gli
antichi parlando di questa coronazione la narrano come la prima e
l'unica, nè fanno memoria alcuna d'altra coronazione che Ruggiero per
se stesso avessesi proccurata nell'anno precedente. Ed a dir il vero,
se mai vi fosse stata, certamente l'Abate Telesino, che così a minuto
scrisse i fatti di questo Principe, e con tanta esattezza quella che
seguì per Anacleto, non avea motivo di tralasciar la prima, poichè
avrebbe rapportato un fatto ch'egli come cotanto benevolo e familiare
di Ruggiero, avrebbe approvato, nè in grazia di Ruggiero l'avrebbe
taciuto. Nè avrebbe tralasciato di riferire tanta celebrità e pompa,
nè il consenso di tanti insigni Prelati e Signori che narrasi essere
intervenuto in questa prima coronazione, celebrata in tempo, che non
vi era scisma alcuno nella Chiesa, anzi quando Onorio per la pace fatta
con Ruggiero, rimase con questo Principe amicissimo.
Il primo che di tal coronazione, seguita con tanta celebrità per mano
di quattro Arcivescovi, ci dasse riscontri fu il Fazzello[455], da
cui forse il Sigonio l'apprese. Ma questi con tanta incoerenza unisce
insieme molte cose, che non ci dee far molta autorità. Altri per
dar credenza a questo racconto, allegano una Cronaca[456] non ancor
impressa d'un tal Maraldo Monaco Cartusiano; ma non dicono di quanta
antichità fosse; nè Maraldo fa menzione che d'una sola coronazione. Per
questi argomenti, e perchè tutti gli Antichi la tacciono, nè d'essa
fanno alcuna memoria, il Pellegrino porta opinione che Ruggiero non
si fece coronare se non una sol volta, e ciò per autorità di Anacleto,
ch'egli in quello scisma riputava, come lo riputavano allora non solo i
suoi Regni, ma gran parte d'Italia, ed i Romani stessi, vero Pontefice,
come colui che ebbe la maggior parte de' Cardinali che lo elessero,
se bene Innocenzio un poco più prima di lui fosse stato eletto dalla
minor parte. So che Inveges non acquetandosi a questi argomenti del
Pellegrino, porta opinione contraria; narra, che Ruggiero, essendosi
coronato per propria autorità, eletto che fu Innocenzio, avessegli
richiesto, che con sua Bolla gli confermasse questa coronazione; ma che
poi non avendo potuto ridurre Innocenzio a confermarla, abbandonando il
partito d'Innocenzio, fosse ricorso ad Anacleto, il quale volentieri
gli compiacque. Che che ne sia, o fosse stata questa la prima, ovvero
la seconda coronazione di Ruggiero, egli è certo che questo Principe
reputò non bene, nè stabilmente o legittimamente poter assumere quel
titolo, nè ergere i suoi Stati in Reami, se non vi fosse stato il
permesso, o conferma di Anacleto ch'egli reputava vero Pontefice, al
quale avea renduti i suoi Stati tributari, e de' quali i suoi maggiori
ne aveano ricevute l'investiture.

I. _Investitura d'Anacleto data a RUGGIERO I Re di Sicilia._
Allora fu che Anacleto, cui tanto premeva l'alleanza ed amicizia
di Ruggiero, oltre ad averlo costituito Re, ed ordinato a tutti i
Vescovi ed Abati de' suoi dominj, che lo riconoscessero per tale,
e gli giurassero fedeltà, concedè a questo Principe una più ampia
investitura, che i suoi predecessori Duchi di Puglia non aveano potuto
mai ottenere: poichè oltre ad investirlo della Sicilia, della Puglia e
della Calabria, gli diede ancora l'investitura del Principato di Capua,
e quel che parrà strano, altresì del Ducato napoletano, come sono le
parole della Bolla[457], e come eziandio rapporta Pietro Diacono[458].
Che glie le dasse del Principato di Capua, ancorchè pure fosse cosa
molto strana, che nell'istesso tempo, che quello veniva posseduto
da Roberto, il qual n'era Principe, volesse investirne altri; poteva
però sostenersi il fatto, ed era scusabile, perchè avendo i Principi
di Capua suoi predecessori da' Papi ricevuta l'investitura di quel
Principato, tal che venivano riputati ancor essi Feudatari della Sede
Appostolica, non altrimenti che i Duchi di Puglia e di Calabria,
ed avendo voluto quel Principe seguitare il partito di Innocenzio
suo inimico, avrebbe potuto forse così colorirsi e darsi al fatto
comportabile apparenza. Ma del Ducato napoletano, ch'era dall'Imperio
d'Oriente dipendente, e che in forma di Repubblica si governava dal
suo Duca, che in quel tempo era Sergio, con qual appoggio potesse farlo
Anacleto, non si sa veramente comprendere; e se pure i Napoletani, ciò
che lor s'imputava, seguivano il partito d'Innocenzio, ciò non recava
a lui ragione di disporre di quel Ducato, che per niuno pretesto poteva
appartenergli. Ma tutte queste considerazioni niente impedivano allora
a' Pontefici romani di far ciò che poteva ridondare in maggior loro
grandezza: erano già avvezzi d'investire altrui di paesi che essi non
possedevano, e sopra de' quali non vi avean che pretendere, come fecero
della Sicilia e di quest'altre nostre province.
Nè a Ruggiero molto premea d'andar esaminando cotali diritti, bastava
con ciò aver un minimo appoggio, affinchè quel che il Papa gli
concedeva colla voce e colle scritture, potesse egli conquistarlo con
le armi; credendo così giustificare le sue conquiste, siccome ben seppe
fare poco da poi, che discacciato Roberto da quel Principato, e mossa
guerra a' Napoletani, si rese padrone così dell'uno, come dell'altro
Stato.
Ma potrebbe per avventura recar maraviglia come in questa occasione
non fosse stato investito Ruggiero anche del Principato di Salerno.
Ciò avvenne perchè i Pontefici romani pretendevano che quel Principato
interamente s'appartenesse alla Chiesa romana, se bene non si sappia
per qual particolar ragione. Perciò Gregorio VII, perciò tutti gli
altri suoi successori lo eccettuaron sempre nell'investiture, come
abbiamo osservato. Ed in fatti quando Lotario, avendolo tolto a
Ruggiero se ne rese padrone, e volle appropriarselo, Innocenzio se ne
offese, ed acremente se ne dolse, dicendo, che quello s'apparteneva
alla Chiesa romana, ciò che fu motivo di discordia fra il Papa e
Lotario, come rapporta Pietro Diacono[459]. L'investitura fu data a
Ruggiero, a' suoi figli, ed eredi di quelli _jure perpetuo_. Ed il
censo fu stabilito di seicento schifati l'anno[460].


CAPITOLO I.
_Papa Innocenzio II collegatosi coll'Imperador Lotario move guerra al
Re Ruggiero. Il Principe di Capua, ed il Duca di Napoli s'uniscono con
Lotario, sono disfatti, e Ruggiero occupa i loro Stati._

Intanto Innocenzio, vedendo che il partito d'Anacleto, a cui Ruggiero
erasi unito, era più potente del suo, e che egli dentro Roma non poteva
contrastargli la Sede, come quegli, ch'era figliuolo di Pier Lione,
ricco e potente cittadino romano, erasi partito nascostamente da Roma
con que' Cardinali, che l'avevano creato Papa, ed andossene a Pisa, ove
fu da' Pisani come vero Pontefice ricevuto con tutti i segni di stima
e d'ossequio. Pisa in questi tempi, infra le città d'Italia, erasi
molto distinta per la potenza e valore de' suoi cittadini, ma molto
più per le forze ed armate marittime che manteneva; onde Innocenzio,
imbarcatosi di là ad alcun tempo su le lor galee, se ne passò in
Francia per indurre il Re Lodovico a prender la sua protezione contro
agli sforzi del suo rivale. Quivi giunto ragunò un Concilio nella città
di Rems, ove scomunicò Anacleto e tutti coloro, che seguivano la sua
parte; ma vedendo, che il Re di Francia non poteva somministrargli
quegli aiuti, de' quali allora avea bisogno, proccurò impegnar Lotario
Imperadore alla sua difesa, nel quale trovò maggior disposizione e
prontezza che in Lodovico. Aspirava egli di togliere a Ruggiero queste
province, che credeva essergli state usurpate da questo Principe;
e con tal opportunità di indurre ancora il Papa a concedergli le
cotanto contrastate investiture. In effetto la prima cosa che cercò ed
ottenne da Innocenzio furono le investiture, le quali tosto le furono
accordate, come scrive Pietro Diacono[461] Autor contemporaneo. Il
Baronio dando una mentita a questo Scrittore, dice, che avendo Lotario
ciò preteso, gli fu fatta resistenza da Bernardo Abate di Chiaravalle,
il quale consigliò Innocenzio, che non v'assentisse, e che secondo il
suo consiglio Innocenzio ne l'avesse escluso, allegando lo Scrittore
della vita di questo Santo, che fu Bernardo di Bonavalle Scrittore di
tempi più bassi.
Che che ne sia, Innocenzio dispose l'Imperadore a calar tosto in
Italia, e giunto in Roma insieme con lui, trovandosi occupata la
chiesa di S. Pietro da Anacleto, Innocenzio albergò nel Palagio di
Laterano, e l'Imperadore con suoi soldati s'attendò alla chiesa di S.
Paolo. Frattanto al partito d'Innocenzio eransi aggiunti molti Baroni
della Puglia mal soddisfatti di Ruggiero. I più segnalati fra gli
altri furono Rainulfo Conte d'Airola e d'Avellino, Roberto Principe di
Capua e Sergio Duca di Napoli. Rainulfo ancorchè cognato del Re, come
quegli che teneva per moglie Matilda sua sorella, erasi disgustato con
Ruggiero per cagion, che trattando egli troppo severamente la moglie,
obbligò Ruggiero a togliergliela, e fattala venire a lui, l'inviò
in Sicilia con un figliuolo di lei, e del Conte chiamato Roberto; ed
avendo intimata al Conte la guerra gli tolse Avellino e Mercogliano,
ed oltre a ciò, venuto in suo potere Riccardo fratello di Rainulfo,
il quale parlava baldanzosamente contro di lui, gli fece cavar gli
occhi e tagliar il naso. A Rainulfo unissi Roberto Principe di Capua
mal soddisfatto degli andamenti del Re, il quale apertamente aspirava
a togliergli il suo Principato, del quale, non ostante che Roberto ne
fosse in possesso, si fece da Anacleto dar l'investitura. In questi
medesimi sospetti per le medesime cagioni era entrato Sergio Duca di
Napoli, il quale se bene (se deve prestarsi fede all'Abate Telesino,
poichè l'Arcivescovo Romualdo, e Falcone beneventano non fanno in
questo tempo menzione alcuna di tal fatto) dimorando il Re in Salerno
dopo la vittoria ottenuta sopra gli Amalfitani, atterrito dalla sua
potenza ed estremo valore, venisse a sottoporre la città di Napoli al
suo dominio; nulladimanco tale sommessione, se vi fu, non ebbe alcun
effetto, poichè da poi volle sostenere con tutto lo spirito la libertà
della sua città, e fugli fiero inimico congiurandosi insieme con
Roberto e Rainulfo in favore del partito d'Innocenzio; e non bastando a
questi tre aver infra di loro fermata questa lega, sollevarono ancora
molte altre città della Puglia, e trassero con loro molti Baroni, che
ribellando contro il lor Sovrano presero le armi contro chi men doveano
e contro il proprio Principe le rivoltarono, ponendogli sossopra
queste province di qua del Faro. E maggiore fu la baldanza di questi
congiurati, quando seppero che Lotario insieme con Innocenzio in
quest'anno 1133 era entrato in Italia, e giunti a Roma, ad una nuova e
più vigorosa spedizione contro Ruggiero si apparecchiavano; onde per
accelerar l'impresa tosto si portarono in quella città il Principe
Roberto, il Conte Rainulfo e molti altri Baroni di queste province
insieme con molta altra gente per discacciar Ruggiero affatto da tutta
la Puglia.
Accadde allora nel mese di giugno di quest'anno 1133 la coronazione
di Lotario seguita in Roma con molta pompa per le mani d'Innocenzio,
nella cui celebrità essendo concorsi molti Duchi, Marchesi e altri
Baroni d'Italia, fu data occasione a Lotario, siccome i suoi maggiori
solevano fare in Roncaglia, di stabilire a loro richiesta alcune
leggi feudali, onde dopo Corrado il Salico, fu egli il secondo, che
su i Feudi promulgasse leggi scritte; e fu allora da lui confermata
la celebre legge di Corrado intorno alla successione de' nepoti e de'
fratelli, della quale si fece da noi menzione ne' precedenti libri,
quella appunto che vedesi registrata nel secondo libro de' Feudi[462],
e che malamente fu dal Molineo e dal Pellegrino attribuita a Lotario I,
dando occasione all'errore, per vedersi per incuria degl'Impressori in
luogo d'Innocenzio esservi stato posto il nome d'Eugenio, come avvertì
saggiamente Cujacio. Nè dovea moversi l'avvedutissimo Pellegrino a
credere, che non potesse tal costituzione essere di questo Lotario
poichè nell'iscrizione che porta, si legge: _Constitutiones Feudales
Domini Lotarii Imperatoris, quas ante januam B. Petri in Civitate
Romana condidit_: quasi che non potesse sentirsi di questo Lotario, il
quale non potè con Innocenzio stabilire queste leggi _ante januam B.
Petri_, quando siccome narra Ottone Frisingense[463], il Palazzo di
S. Pietro veniva allora occupato da Anacleto; poichè, o l'iscrizione
è viziata, siccome in vece d'Innocenzio fu per ignoranza ancora posto
Eugenio, o pure non è incredibile, che Anacleto avesse ciò permesso a
Lotario, quando ciò niente dovea importargli; tanto maggiormente che
presso appurati Scrittori si legge[464], che giunto Lotario in Roma
per mezzo d'uomini saggi e religiosi ebbe molti trattati con Anacleto
di levare così grave scisma nella Chiesa, e ben potè in questo mentre
seguire quella celebrità avanti la porta del Palazzo di S. Pietro.
Ma non minore fu in ciò l'errore del nostro Andrea d'Isernia, il quale
reputando, e con verità, che le Costituzioni, che stabilì Lotario in
quest'anno in Roma, non potevano obbligare queste nostre province,
le quali da Ruggiero s'erano affatto all'Imperio sottratte, non potè
darsi a credere che fra i Sapienti delle altre città di Italia, che
intervennero in quella Assemblea co' Duchi, Marchesi ed altri Baroni
della medesima, come di Milano, Pavia, Cremona, Mantova, Verona,
Trivigi, Padua, Vicenza, Parma, Lucca e Pisa, vi avessero potuto anche
intervenire quelli della città di Siponto, come si legge in quella
Costituzione: città a questi tempi ancor celebre della Puglia, come
da' precedenti libri di questa Istoria s'è potuto in più occasioni
notare, la quale al dominio di Ruggiero era sottoposta: onde si diede
ad indovinare, o che il luogo fosse corrotto, ed in vece di _Syponti_,
dovesse leggersi _Senarum_, ovvero (ciò che deve condonarsi alla
rozzezza di quel secolo nel quale scrisse) che vi fossero un'altra
città in Lombardia, o nella Toscana chiamata Siponto. Poichè niente
strano deve sembrare, che vi fossero in quella Radunanza intervenuti
ancora i Sapienti di Siponto, a chi considera, che quella si tenne in
tempo nel quale, se bene quelle province, che oggi compongono il nostro
Regno, fossero state già da Ruggiero all'Imperio sottratte; nulladimeno
per la congiura in questo tempo ordita dai Baroni contro questo
Principe, i quali seguendo il partito di Roberto Principe di Capua,
e di Rainulfo Conte d'Avellino eransi ribellati, ed aveano costretto
Ruggiero ad abbandonar la Puglia, e di ritirarsi in Sicilia per unire
le sue armate e reprimere la ribellione, come da poi fece: non potè
Ruggiero impedire la loro andata in Roma, li quali tanto più si resero
animosi contro di lui, quando intesero che Lotario era colà giunto
per movere, insieme uniti, guerra contro di lui: e perciò non poterono
i Sapienti di Siponto, allora ribelli, recar pregiudicio a Ruggiero,
in maniera che fossero obbligati i di lui vassalli osservare quella
Costituzione di Lotario suo inimico, come diremo ad altro proposito.
Ma tanti apparati di guerra e tanti inimici di Ruggiero insieme
aggiunti, non poterono mai costernare l'animo di questo invitto
Principe: egli tornato da Sicilia con poderose armate, dopo varia
fortuna, che lo rese ora perdente, ora vincente, finalmente dissipò
i suoi inimici: obbligò Lotario a tornarsene senza alcun frutto
in Alemagna: costrinse Innocenzio a ritirarsi di nuovo in Pisa,
ove celebrò un altro Concilio. Abbattè l'orgoglio di Rainulfo e di
Roberto; e repressa la ribellione de' Baroni di Puglia, restituì
questa provincia alla sua ubbidienza: e niente altro rimaneva perchè
tutto questo Reame passasse sotto la sua dominazione, fuorchè Napoli,
Benevento e Capua, e gli Stati del Conte Rainulfo; onde fermato in
Salerno, alla conquista di queste città fu totalmente rivolto, e
sopra ogni altra di Capua e di Napoli; onde a tal fine fece ritorno in
Sicilia per approntar nuove forze per conquistarle.
Il Principe Roberto, che ben prevedea il male, che gli soprastava, non
tralasciò ogni sforzo per impedirlo, s'unì co' Pisani, e gito in Pisa
ottenne da' medesimi valido soccorso di molte navi e soldati[465].
Proccurò anche che a' Pisani si unissero in suo ajuto i Genovesi, ed i
Veneziani; onde ritornato nel Principato di Capua, andossene in Napoli,
ove fu caramente ricevuto da Sergio, e dal Conte Rainulfo che in questa
Piazza erasi ritirato. Espose a' medesimi la lega, che nuovamente
avea conchiusa in Pisa in presenza d'Innocenzio co' Pisani, Genovesi
e Veneziani, e come avea promesso a' Pisani, acciocchè fossero venuti
in suo soccorso, tremila libbre d'argento. Fu con gran giubbilo intesa
da Sergio, e da' suoi confederati questa novella, onde senza frapporvi
dimora, tolsero ambedue gli argenti delle Chiese di Napoli e di Capua,
e fattane quella somma di moneta, prestamente la mandarono a' Pisani.
Ma ecco che mentre costoro così si sforzano di resistere a Ruggiero,
che questo Principe ritornando da Sicilia con sessanta galee, giunge
in Salerno, e tosto sopra Napoli pose l'assedio; ma difendendosi
questa città con estremo valore, abbandonolla, e verso Capua drizzò li
suoi eserciti; ed avendo presa Nocera, e molti altri castelli di quel
contorno, fu Capua assalita, la quale incontanente gli si rese[466].
Il Re entrato in quella, vi fu a grande onor ricevuto, ed avendo dopo
breve contrasto conquistati gli altri luoghi del Principato, tornò di
nuovo a cinger Napoli di stretto assedio.
Ecco come in quest'anno 1135 Ruggiero dopo varj casi unì agli
altri suoi Stati il Principato di Capua, del quale aveane già avuta
l'investitura da Anacleto. Egli poco da poi ne investì _Anfuso_ suo
figliuolo, dandogli di sua mano lo Stendardo, ch'era a questi tempi
la cerimonia, che s'accostumava nelle investiture; e fu perciò Anfuso
da' Capuani per lor Principe salutato, giurandogli fedeltà. Ma egli è
ben da notare, che i Capuani giurarono fedeltà ad Anfuso, _salva tamen
Regis, et filii ejus Rogerii (Ducis Apuliae) fidelitate, qui ei in
Regnum successurus erat_, come rapporta l'Abate Telesino; poichè avendo
Ruggiero al suo Regno unito il Principato di Capua, ancorchè ne avesse
investito Anfuso, non volle però che lo reggesse independentemente
dalla Corona, e da lui, e dal suo figliuolo Ruggiero Duca di Puglia,
dichiarato successore del Regno.
Avea il Re Ruggiero dalla sua prima moglie, che fu Alberia figliuola
d'Alfonso Re di Spagna, generati cinque figliuoli. Il primo, che dovea
succedergli al Regno, ed il quale il padre l'avea perciò istituito
Duca di Puglia, fu chiamato _Ruggiero_[467]; ma questi essendo a
lui premorto nell'anno 1148 diede luogo agli altri suoi fratelli
secondogeniti alla successione. Da questo Ruggiero narrasi, che fosse
nato _Tancredi_, quegli, che succedè al Regno di Sicilia, riputato suo
figliuolo bastardo, come si dirà più innanzi. Il secondo fu _Tancredi_,
al quale il padre avea assignato il Principato di Bari, o veramente
di Taranto, perchè allora non avea acquistato ancora quel di Capua: e
questi pure prima di tutti gli altri suoi fratelli, premorì al padre
prima dell'anno 1144.
Il terzo fu questo _Anfuso_, o come altri dicono _Alfuso_, onde
Girolamo Zurita suspica che lo dicessero così dal nome d'_Alfonso_ Re
di Spagna suo avo materno: ma Wolfgango Lazio[468] è di parere, che
sia nome Goto, derivato da _Idelfonso_, e questo da _Hildibrunzo_,
vocabolo gotico, _a favore scilicet et amore foederis_. Costui da
Ruggiero in quest'anno 1135 fu creato Principe di Capua; il quale poco
da poi nell'anno 1139 essendo già passato il Ducato napoletano sotto
la sua dominazione, fu fatto anche Duca di Napoli, secondo che scrive
il Pellegrino; ma questi seguitò la sorte degli altri suoi fratelli
maggiori, poichè premorendo pure al padre, finì li giorni suoi nel
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