Istoria civile del Regno di Napoli, v. 3 - 03

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_Quisquis apud Danaos vice fungitur hujus honoris,_
_Dispositor populi parat omne quod expedit illi,_
_Et JUXTA quod cuique dari decet, OMNE ministrat._
Ma Carlo Du-Fresne nelle note all'_Alessiade_ della Principessa Anna
Comnena deride questa etimologia di Guglielmo, e vuole che _Catapanus_
appresso i Greci, sia l'istesso che presso i Latini _Capitaneus_.
Quindi deride ancora Lione Ostiense, il quale nella sua Cronaca[65],
oltre di riputar questo nome proprio di uomo, quando si vede essere
di dignità, stimò che la provincia di _Capitanata_, che da questi
Ufficiali prese il nome corrottamente, dal volgo venga chiamata così,
dovendosi appellare _Catapanata_; sostenendo Du-Fresne, che essendo
l'istesso presso i Greci _Catapanus_, che fra i Latini _Capitaneus_,
non già _Catapanata_, ma _Capitanata_ giustamente si appelli; chiamando
ancora Niceta[66] _Capitanata_ quella Prefettura, la quale composta di
più città o terre, ad un Capitano è sottoposta.
Avendo i Catapani collocata la loro sede in Bari, Lupo Protospata, che
secondo dimostra il Pellegrino[67], non può dubitarsi, che fosse, se
non di Bari, almeno Pugliese di nazione, tessè di loro lungo catalogo;
ed il primo, che intorno a questi tempi nell'anno 999 presso il
medesimo leggiamo aver governata questa provincia, fu Tracomoto, ovvero
Gregorio, il quale assediò Gravina, e prese Teofilatto. Nell'anno 1006
fu mandato per Catapano in Puglia Xifea, che nel 1007 morì in Bari,
a cui succedè nell'anno seguente 1008 Curcua. Sotto il magistrato di
costui i Baresi ribellatisi, elessero per lor Principe Melo di sangue
longobardo, che dimorava in Bari, quegli, che sarà celebre nell'istoria
de' Normanni; ma repressi dai Greci, Melo fuggissene con Datto suo
cognato ed andarono raminghi. Prima se ne andò in Ascoli, ma dubitando
di tradimento, si trasferì in Benevento, di là in Salerno e poi a
Capua, sollecitando que' Principi longobardi perchè l'aiutassero a
liberar Bari dalla tirannia de' Greci. Morto Curcua nell'anno 1010,
gli succedette Basilio Catapano, nel tempo di cui dice Freccia[68], che
Bari _facta est sedes magnorum virorum Graecorum_. Indi nel 1017 venne
per Catapano Adronico che pugnò con Melo, e lo vinse[69].
Nell'anno seguente 1018 gli succedè Basilio Bugiano, che da Guglielmo
Pugliese[70] vien chiamato Bagiano e da Lione Ostiense[71] Bojano.
Questi fu che per lasciar di se memoria in Italia, tolta dal rimanente
della Puglia una parte verso il Principato di Benevento, e fattane una
nuova provincia col nome di Capitanata, vi fabbricò, come fu detto,
alcune terre e città, come Troja, Draconaria, Fiorentino ed altre. Nel
1028 Cristoforo fu fatto Catapano; indi Pato, che governò sino al 1031,
e nell'anno seguente fu Catapano Anatolico. Nel 1033 venne per Catapano
Costantino Protospata, che si chiamò Opo. Indi Maniaco, a cui succedè
nell'anno 1038 Niceforo, che nell'anno 1040 morì in Ascoli. A costui
succedè Michele, che fu anche detto Duchiano, e dopo costui finalmente
fu nel 1042 Catapano Exaugusto figliuolo di Bugiano, sotto il cui
governo, essendo stato costui vinto dai Normanni, furono scacciati da
queste province i Greci, e fu egli preso in battaglia in Benevento. Ed
ancorchè queste province passassero da poi sotto la dominazione de'
Normanni, come che non tutte in un tratto vi passarono, perciò anche
dopo Exaugusto, si leggono presso Lupo e l'Anonimo di Bari, altri
Catapani, de' quali, secondo l'opportunità, faremo memoria.
Il potere de' Greci adunque dopo questa rotta, che ebbe Ottone II,
insino che cominciasse in queste province la dominazione de' Normanni,
erasi reso molto più considerabile di quello, che fu negli anni
precedenti, così per ciò che riguarda l'ampiezza de' confini che
distesero, come per l'assoluto Imperio, che riacquistarono non meno
gl'Imperadori d'Oriente sopra il governo politico e temporale, che i
Patriarchi di Costantinopoli per lo governo ecclesiastico e spirituale
sopra i Metropolitani e' Vescovi della Puglia e della Calabria.
La Puglia, che ne' tempi d'Arechi e degli altri Principi di Benevento
suoi successori era al Principato beneventano attribuita, ora distratta
ed in poter dei Greci ricaduta, diminuì notabilmente quel Principato.
I Greci per questa parte si distendevano insino a Troja ed Ascoli, e
toltone Siponto ed il M. Gargano, che a quel Principato erano ancor
uniti verso Oriente, tutta quella estensione insino all'ultima punta
d'Italia era de' Greci. S'aggiungeva ancor la Calabria secondo la
moderna appellazione, che abbracciava non solo il Bruzio, Reggio,
Cotrone e l'altre città vicine, ma anche abbracciava gran parte
dell'antica Lucania, e per questa parte dal Principato di Salerno
era terminata, il quale perciò aveva ristretti i suoi confini; nè in
questi tempi abbracciava quell'estensione di paese, che a' tempi di
Siconolfo a questo Principe ubbidiva. Quest'istessa ampiezza restrinse
ancora per un altro lato i confini del Principato di Capua, tanto che
non mai in altri tempi si videro dilatati tanto i confini del dominio
de' Greci, che in questi, ne' quali tirandosi una linea dal Monte
Gargano insino al promontorio di Minerva, ch'è la maggior latitudine
del regno; tutto ciò che riguarda l'Oriente e Mezzogiorno, era al
dominio de' Greci sottoposto: siccome l'altra parte, che riguarda
Occidente e Settentrione, ai Principi longobardi: ma siccome il
Principato di Salerno si distendeva fuori di questa linea verso Oriente
e Mezzogiorno; così ancora i Greci non s'erano affatto spogliati della
loro dominazione verso l'altra parte, che non interamente era a' nostri
Principi longobardi sottoposta; imperocchè in questa ancora v'erano
i tre Ducati di Amalfi, di Napoli e di Gaeta, i quali ancorchè si
reggessero in forma di Repubblica, e sovente dal Corpo d'esse non solo
s'eleggessero i Magistrati, ma anche i Duchi; nulladimeno sempre gli
Imperadori greci in essi Ducati ivi mantennero non deboli vestigi della
loro autorità e supremo dominio; siccome del Ducato di Napoli, dalle
cose già altre volte dette si è veduto; e nel Ducato d'Amalfi ancora
solevano i Duchi confermarsi dagl'Imperadori d'Oriente, da' quali ne
ricevevano la dignità del Patriziato.
Di Gaeta nè meno di ciò può dubitarsi; poichè se bene Lione
Ostiense[72] rapporti, che Gaeta ubbidiva al Papa, e che perciò
Giovanni VIII, l'avesse conceduta a Pandulfo Conte di Capua;
nulladimanco fu quella ben tosto ricuperata da' Greci. I Papi
pretendevano questa città per quelle ragioni, che gli fornì Carlo
M. quando pretese toglierla a' Greci, e farne un dono alla Chiesa
romana, siccome avea fatto di Terracina e delle altre spoglie de'
Greci: ma Arechi immantenente s'oppose, e fece sì, che tosto questa
città ritornasse nel dominio greco, onde da' Patrizj prima e poi da'
Duchi fu governata. Ma perchè i Pontefici romani non si dimenticano
così di leggieri dei loro diritti una volta che credono avergli
acquistati, mantennero sempre vive le loro pretensioni, e quando le
congiunture ed i tempi gli favorivano, non potendo ritenerla per se, la
concedevano a qualche Principe potente, acciocchè potesse difendersela
da' Greci, siccome fece Giovanni VIII, concedendola a Pandulfo; ma
perchè da costui facevasi de' Gaetani aspro governo, Docibile, che si
trovava allora Duca di Gaeta, ricorse sino agli aiuti de' Saraceni
per discacciarlo; onde si vede, che ne gli stessi tempi che narra
Ostiense, Gaeta ubbidire al Papa, si fa menzione de' Duchi, che furono
in quella città, dependenti dagl'Imperadori greci, come fu Giovanni,
Gregorio, Docibile ed altri; ed in molte carte fatte in questi medesimi
tempi in Gaeta, alcune delle quali le dobbiamo all'Ughello, si vede
perciò notato il nome degl'Imperadori d'Oriente, che allora regnavano.
Così in una fatta nell'anno 812 si legge: _Imperantibus Domino nostro
piissimo Imperatore Augusto Michaelio et Theophilo magnis pacificis
Imperatoribus_. Ed in un'altra fatta dopo il tempo del quale parla
Ostiense, nel 884 si dice: _Imperantibus Domino nostro Leone et
Alexandro pacificis magnis Imperatoribus_[73]. Ciò che manifestamente
si conosce dal vedersi, che i Normanni dopo averne discacciati i Greci,
si vollero intitolare non meno Principi di Capua, che Duchi di Gaeta:
ancorchè lasciassero in quella città la medesima politia e forma di
governo, e che i suoi particolari Duchi e Consoli la governassero[74].
Per questa cagione avendo i Greci tanto dilatati i loro confini, e
non riconoscendo Feudi, non si leggono così nella Puglia come nella
Calabria in questi tempi nè Contadi, nè Ducati, nè altre Baronie; ma
ben se ne leggono moltissime nelle province a' Principi longobardi
sottoposte. Quivi, come si è veduto, si sono intese le Contee di
Marsico, di Molise, d'Isernia, d'Apruzzi, di Tiano e tante altre;
ma la Puglia e la Calabria non se non quando passarono sotto la
dominazione de' Normanni conobbero i Feudi; poichè i Normanni, traendo
la medesima origine de' Longobardi, gli riceverono insieme colle loro
leggi e costumi. Quindi in tutti que' luoghi, che tolsero a' Greci,
v'introdussero i Feudi: e sursero quindi (oltre i Conti di Puglia
e di Calabria) i Conti di Capitanata, di Principato, di Lavello,
di Loritello; i Conti di Conversano, la memoria de' quali spesso
s'incontra non meno nell'antiche carte, che nell'_Alessiade_ della
Principessa Anna Comnena, nella Cronaca di Lione presso Malaterra,
Oderico Vitale e di tanti altri Scrittori[75]; i Conti di Catanzaro,
di Sinopoli e di Cosenza; i Conti d'Aversa e quelli di Lecce; i Conti
d'Avellino, di Fondi, di Gravina, di Montecaveoso, di Tricarico e
tanti altri, de' quali ne' tempi de' Normanni ci tornerà occasione di
favellare. Prima, quando questi luoghi erano in potere de' Longobardi,
furono, come si disse, divisi in Castaldati, che non erano veri Feudi,
ma le loro città erano commesse in amministrazione ed in ufficio a
que' Proceri longobardi, nè poterono essere mutate in Feudi, come fu
fatto in quelle province, che lunga stagione si mantennero presso i
Longobardi; perchè i Greci, che le tolsero parte a' Saraceni, i quali
l'avean occupate a' Longobardi, e parte agl'istessi Longobardi, come
s'è detto, non conoscevano Feudi.
Questo maggior vigore de' Greci ed estensione del loro dominio, portò
ancora in conseguenza, che le Chiese di queste province, che secondo
la disposizione dell'Imperador Lione furono sottoposte al trono
di Costantinopoli, fossero con maggior vigore astrette ad ubbidire
a' Patriarchi di Costantinopoli. Quindi si resero più vigorose le
proibizioni di Niceforo Foca contro il rito latino, e che i Patriarchi
di Costantinopoli s'avanzassero tanto, sino a comandare a tutti i
Vescovi della Puglia e della Calabria, che per l'avvenire ne' sacrificj
non si servissero più del pane azimo secondo il rito latino, ma
del fermentato, conforme all'uso de' Greci; onde s'innasprirono le
contese coi Pontefici romani, i quali non vollero in conto alcuno
permetterlo, impegnando perciò l'Imperador Ottone a spedire, come
si disse, Luitprando Vescovo di Cremona in Costantinopoli: le quali
contese s'accrebbero assai più ne' tempi di Lione IX, quando il
Patriarca Michele Cerulario scomunicò tutti i Latini, comprendendovi
anche l'istesso Pontefice Lione, perchè, fra l'altre cagioni, non
osservavano il divieto loro imposto di non consecrare più in azimo,
ma che dovessero servirsi di pane fermentato. Donde è nato, che insino
a' nostri tempi siano rimasi in questi luoghi alcuni vestigi del rito
greco, e che molte Chiese insino al dì d'oggi il ritengano; ancorchè
i Pontefici romani per abolire affatto questi vestigi della potestà
esercitata quivi dal Patriarca d'Oriente, non abbiano trascurate le
occasioni col tempo d'abolirgli, il che se bene fosse loro riuscito in
moltissime città, non è però, che oggi siasi affatto estinto e non sia
ritenuto in alcune.
Per quest'istessa ragione non è fuor di proposito il credere, che a
tali tempi in questi luoghi le Novelle degl'Imperadori d'Oriente, e
le Compilazioni dei Basilici, l'Ecloghe, e gli altri libri, de' quali
abbiam fatta memoria nel precedente libro, avessero quivi avuto qualche
uso ed autorità; e forte conghiettura ce ne diede l'essersi, come
si disse, in Taranto ritrovata l'Ecloga de' Basilici, e l'essersi,
mantenuta in Otranto lungo tempo quella famosa libreria d'Autori greci,
della quale favella Antonio Galateo. Egli è però vero, che se pure
di questi libri s'ebbe qualche uso, non potè durare se non per poco,
poichè tosto questi luoghi, essendo caduti sotto la dominazione de'
Normanni, i quali abbracciarono le leggi longobarde non riconobbero da
poi altre leggi, che quelle di questi Principi e le longobarde: ciò che
dimostrano chiaramente le consuetudini stesse della città di Bari, le
quali quasi che tutte derivano dalle leggi longobarde, onde i Cittadini
di quella città l'appresero, quando la medesima fu lungo tempo sotto
la loro dominazione, e quando da' loro Castaldi era governata: di che
altrove ci tornerà occasione di favellare.
Ecco dunque lo stato, nel quale erano queste province, che oggi
compongono il nostro Regno nel declinar del decimo secolo dopo la morte
d'Ottone II, mentre in Oriente imperavano Basilio e Costantino germani.
La Puglia e la Calabria (province che dilatando molto i loro confini,
abbracciavano tutta la Puglia, la Japigia, la Mesapia, l'una e l'altra
Calabria, con quella parte della Lucania, che si distende verso il
Mare Jonio, e che perciò avean ristretti i tre Principati di Capua,
Benevento e Salerno) erano sotto la dominazione de' Greci. Il Ducato
d'Amalfi, l'altro di Napoli e quello di Gaeta, ancorchè ritenessero
aspetto di Repubblica, erano però per antichissime ragioni dipendenti
dagl'Imperadori d'Oriente. In Capua reggeva Aloara con Landenulfo suo
figliuolo. In Salerno Pandulfo suo fratello. In Benevento, Pandulfo II,
il quale, avendo discacciato Landulfo IV figliuolo di Capo di ferro,
aveva anche non molto da poi associato al Principato Landulfo suo
figliuolo, che perciò Landulfo V lo diremo.
Ma sarebbe stato meno disordine, se questi tre Principati, ancorchè in
gran parte estenuati da' Greci almeno avessero riconosciuti tre soli
Signori: essi non solo riconoscevano per loro Sovrani gl'Imperadori
di Occidente come Re d'Italia, i quali in quest'ultimi tempi
v'esercitavano vigoroso potere ed autorità; ma, divisi ancora infra se
stessi in più Contadi, diedero più pronta occasione alla lor ruina.
Il Principato di Capua era diviso nel Contado di Fondi e di Sessa,
ne' Contadi di Aquino, di Teano, d'Alife, di Caserta ed altri; quello
di Benevento, ne' Contadi di Marsi, d'Isernia, di Chieti ed in alcuni
altri; l'altro di Salerno nel Contado di Consa, di Capaccio, di Corneto
e del Cilento; e molti Proceri de' Castelli di quel Principato eransi
renduti già Signori; tanto che molti di questi Conti reputandosi, come
lo erano, dell'istessa razza d'Atenulfo, altri come nati da' Principi
di Salerno, da dependenti, ch'erano, si fecero assoluti Signori de'
Contadi, come lo pretesero i Conti d'Aquino, di Marsi, d'Isernia, di
S. Agata ed altri. Insino i Monaci Cassinesi, tutti quelli castelli,
che per munificenza di varj Principi longobardi avean tratto tratto
acquistato, pretesero come liberi dominargli; e l'Abate della Noce[76]
ha voluto sostenere, che gli possederono in allodio non già in Feudo, e
che non riconoscevan diretto Signore non pagando perciò adoa; e perciò
il munirono di baluardi, ed assoldavan gente per difendergli, e si
videro mantener truppe di soldati, non altrimenti che gli Abati di S.
Gallo, ed altri Prelati si facciano in Germania.
Sarebbe dunque stata maraviglia se più lungamente fosse durata la
dominazione de' Longobardi in questi Principati, già che tal politia
v'introdussero, che diede perciò opportuna e ben aperta via a'
Normanni d'occupargli. Nè tampoco de' Greci potea sperarsi in quelle
province lunga dominazione; poichè rendutisi insolenti a' sudditi e non
essendosi molto curati di scacciar da quelle i Saraceni, cagionaronsi
perciò essi medesimi la loro ruina; onde, e per l'una e per l'altra
cagione, riuscì a' Normanni occupare tutte queste nostre province, e
di ridurle in decorso di tempo sotto un solo Principe, e stabilirvi una
ben ampia e regolata Monarchia, come ne' seguenti libri vederemo.


CAPITOLO IV.
_OTTONE III succede nel Regno, e nell'Imperio: nuove rivoluzioni
accadute per ciò in Italia, ed in queste nostre province; e sua morte._

Morto Ottone II in Roma nell'anno 883[77], e giunta quando men si
pensava in Germania questa novella, empiè di confusione que' Principi;
poichè ancorchè Ottone II lasciasse un altro Ottone suo figliuolo,
non essendo questi che di anni diciassette[78] diedesi occasione
all'ambizione d'Errico Duca di Baviera, patruele del morto Ottone, di
aspirare al Regno di Germania. I Romani dimandavano per Imperadore
un Italiano nomato Crescenzio; ma gli Alemanni tosto ruppero questi
disegni, che non potevano loro recare se non rivoluzioni e disordini;
onde unitisi elessero per loro Re Ottone III col consenso anche del
Pontefice Benedetto.
Ma l'esser questo Principe di età così tenera e mal adattata a
reggere un tanto Regno, cagionò non meno in Alemagna, che in Italia
disordini gravissimi; poichè mentre Ottone era tutto inteso a sedar i
tumulti di Germania nati per questa sua elezione, in Italia accaddero
sedizioni e gravi turbolenze. In Roma morto Benedetto romano Pontefice,
fu eletto in suo luogo Pietro Vescovo di Pavia, che Giovanni XIV
nomossi[79]; ed è verisimile, ch'essendo egli Cancelliere d'Ottone
per la raccomandazione di questo Principe e' fosse stato innalzato
a quella dignità. Ma Bonifacio Cardinal Diacono, il quale avendo
prima occupata questa sede, ne era stato poi discacciato, e rifuggito
in Costantinopoli fremendo del torto che riputava essergli stato
fatto, tornato da Costantinopoli venne in Roma l'anno 985, ed avendo
risvegliati quelli del suo partito e guadagnato il Popolo, si rese il
più forte di Roma: carcerò il Papa Giovanni, e lo rinchiuse nel castel
di S. Angelo, dove lo fece morire di fame in capo a quattro mesi;
ma Bonifacio non sopravvisse, che solo quattro altri mesi; onde da
repentina morte tolto al Mondo, fu in suo luogo assunto al Pontificato
Giovanni XV quegli che confermò la Metropoli di Salerno ad Amato
Vescovo ch'era di quella città, innalzato Arcivescovo poco prima da
Benedetto.
Ma Crescenzio, il quale avea preso contro Ottone il titolo di Console,
e s'era impadronito del castello di S. Angelo, lo costrinse per timore
a ritirarsi in Toscana, ed a pregare Ottone di venire in Italia a
ristabilirlo nella sua sede. I Romani, che sapevano per esperienza
quanto lor costassero le visite degl'Imperadori richiamarono Giovanni:
ma Crescenzio contuttociò conservava la sua autorità in Roma. Ottone
venuto in Italia nell'anno 996 stette per qualche tempo in Ravenna,
e nel tempo di questo suo soggiorno in quella città, Papa Giovanni
morì. I Romani furono costretti per comandamento dell'Imperadore ad
elegger Papa in suo luogo Brunone suo fratel cugino, che prese il nome
di _Gregorio V_, ma Crescenzio ben presto lo cacciò, e pose sulla sede
Giovanni Vescovo di Piacenza. Questa azione non istette gran tempo
senza gastigo, perchè Ottone venne subito coll'esercito, e con picciolo
contrasto ristabilì _Gregorio_. Giovanni si salvò con Crescenzio nel
castel di S. Angelo; ma l'Imperadore assediò la Fortezza, e vi sarebbe
stata gran difficoltà a prenderla, se Crescenzio, che vigorosamente la
difendeva, non fosse stato ucciso a tradimento. Il nuovo Papa Giovanni
fu preso, gli furono cavati gli occhi, troncati il naso e l'orecchie, e
condotto in quello stato per le strade della città sopra un asino col
capo rivolto verso la coda dell'animale. Tali furono i disordini e le
rivoluzioni di Roma; nè minori furono per simili cagioni le sedizioni
in Milano.
Ma in queste nostre province i disordini furono maggiori, ed in Capua
più d'ogni altra parte. Reggeva, come si è detto, in questi tempi il
Principato di Capua Landenulfo con Aloara sua madre, ma essendo questa
Principessa morta dopo undici anni che resse col suo figliuolo, non
passarono quattro mesi, che alcuni malvagi suoi sudditi in quest'anno
993 congiurati empiamente lo ammazzarono fuori della chiesa di S.
Marcello, donde allora era uscito; e fu eletto in suo luogo per
Principe di Capua Laidolfo suo fratello; ma non restò invendicata la
morte di quest'infelice Principe, poichè Trasmondo Conte di Chieti
suo congionto, avendo chiamato in suo aiuto Rinaldo ed Oderisio Conti
di Marsi, indi a due mesi sopra Capua n'andò, e tennela assediata
quindici giorni, dando il guasto a' luoghi d'intorno[80]; ed indi a
poco pervenuto alla notizia d'Ottone III l'infame assassinamento di
Landenulfo, vi mandò di nuovo i medesimi col Marchese Ugo, i quali non
mai dall'assedio si levarono, finchè non furono dati loro i malfattori,
sei de' quali furono fatti impiccare, e gli altri con diversi tormenti
furono fatti penosamente morire. Ed essendo da poi venuto a notizia
d'Ottone, che Laidolfo, il quale al Principato era succeduto, aveva
tenuta mano nella morte del fratello, parendogli cosa molto scellerata
che un empio avesse in quel luogo a regnare, privollo del Principato
nell'anno 999 mandandolo in esilio di là de' monti, e vi costituì
Principe Ademario Capuano, figliuolo di Balsamo suo famigliare, che da
fanciullo aveasi egli educato, ed a cui poco prima avea dato il titolo
di Marchese[81]. Onde Laidolfo, secondo il vaticinio del B. Nilo, fu
l'ultimo, che imperò in Capua _ex semine Aloarae_. Ma Ademario godè
poco di tal fortuna, perchè fattosene indegno, fu tosto da' Capuani
scacciato, e fu sublimato al Principato Landulfo di S. Agata, figliuolo
di Landulfo Principe di Benevento, e fratello di Pandulfo II che
reggeva Benevento dopo averne scacciato Landulfo IV. Non mancarono
ancora le calamità in quest'istessi tempi, che apportarono i Saraceni
in questo Principato; poichè scorsa, e devastata la campagna da questi
fieri nemici, nel millesimo anno invasero Capua e la presero. Di che
avvisato Ottone, tosto calò in Italia, disfece i Saraceni, e gli cacciò
da Capua e da' suoi confini.
Nel Principato di Salerno accaddero non minori disordini: poichè
morto Capo di ferro, rimase Principe, come si disse, Pandulfo suo
figliuolo, per essere stato questi adottato dal Principe Gisulfo I,
ma non potè Pandulfo se non per pochi mesi dopo la morte di suo padre
ritenerlo, perchè privo di tal aiuto in quel medesimo anno 981 che
morì il padre, perdè tosto il Principato, e s'intruse nel medesimo
Mansone Duca d'Amalfi, il quale insieme con Giovanni I suo figliuolo
lo tenne due anni[82]: Ottone II subito in quest'istesso anno 981 nel
mese di decembre non potendo soffrire l'intrusione di Mansone, assediò
Salerno per discacciarnelo come illegittimo Principe: ma da poi avendo
proccurato Mansone placare l'Imperadore, tanto operò finchè ottenne dal
medesimo, che potesse ritenere il Principato.
Nè Ottone ebbe pensiero che fosse restituito a Pandulfo, forse perchè
da lui era parimente riputato Principe illegittimo, essendo succeduto
in quel Principato per l'adozione fatta da Gisulfo, e le consuetudini
feudali[83], che tratto tratto eransi introdotte in questi luoghi,
vietavano a' figliuoli adottati poter succedere ne' Feudi del padre
adottivo. Comunque siasi, Mansone ritenne il Principato di Salerno
per due anni, come rapporta la Cronaca salernitana, associando ancora
a quello Giovanni I suo figliuolo, come fu detto. Ma morto da poi
Ottone II nell'anno 983 i Salernitani mal sofferendo il dominio
di Mansone Duca di Amalfi, per le continue inimicizie e gare, che
tra Amalfitani e Salernitani furono sempre, tosto ne discacciarono
Mansone, il quale già era stato anche discacciato dal Ducato d'Amalfi
(se bene da poi lo ricuperasse, e lo reggesse per altri sedici anni)
ed in suo luogo rifecero Giovanni di Lamberto, che fu detto II per
distinguerlo da Giovanni I figliuolo di Mansone, chiamato di Lamberto
dal nome di suo padre, forse consanguineo de' Duchi di Spoleto, i
quali sovente valevansi de' nomi di Lamberto e di Guido; siccome questo
Giovanni, Guido nomò un suo figliuolo che associò al Principato. Regnò
Giovanni II con Guido dall'anno 983 infino al 988[84], ma essendo
morto Guido in quest'anno, associò al soglio l'altro suo figliuolo,
Guaimaro appellato, col quale regnò fino all'anno 994. In quest'anno
nell'istesso tempo che il Vesuvio cominciò a vomitar fiamme, mentre
giaceva con una meretrice, si trovò una notte morto Giovanni[85],
tanto che si confermò vie più ciò che il volgo credea, che quando
il Vesuvio vomitava fiamme, l'anima di qualche ricco scellerato era
portata nell'inferno. Rimanendo nel Principato Guaimaro, che III fu
detto, per esservene stati altri due prima in Salerno, e maggiore
ancora appellato da Ostiense[86], per distinguerlo dal minore, che fu
Guaimaro suo figliuolo, il quale al Principato gli succedette, resse
solo Salerno dopo la morte di suo padre insino all'anno 1018. Da poi
avendo associato al soglio il suddetto suo figliuolo Guaimaro IV, lo
tenne in compagnia del medesimo insino al 1031, nel qual anno morì. Sua
moglie fu Gaidelgrima figliuola di Pandulfo II Principe di Benevento,
e sorella di Pandulfo IV Principe di Capua, che perciò Ostiense[87] lo
chiama suo cognato.
In Benevento non si ravvisava più quella maestà e floridezza di prima,
e per gli sconcerti e tumulti poco prima accaduti per lo discacciamento
di Landulfo IV reggeva il Principato Pandulfo II con continui sospetti
e gare co' Principi di Capua. Egli però per mantenere il Principato
nella sua posterità avea nell'anno 987 associato al soglio Landulfo
suo figliuolo che V fu detto. E da poi avendo Landulfo procreato un
figliuolo chiamato Pandulfo, associò ancora al Principato questo suo
nipote nell'anno 1014 che Pandulfo III fu detto, e regnò insieme col
figliuolo e col nipote insino all'anno 1024, nel qual tempo morì[88].
Rimase nel Principato Landulfo V insieme con Pandulfo III insino che
morì nell'anno 1033; questi associò ancora un suo figliuolo nell'anno
1038, che tenendo anche il nome di Landulfo, VI perciò fu detto. Alle
calamità di Benevento s'aggiunse, che Ottone III, mal soddisfatto
de' Beneventani, perciò che veniva loro imputato di aver abbandonato
insieme co' Romani Ottone suo padre nella battaglia co' Greci, non
poteva sofferirgli: quindi si narra che ritornato dal santuario
di Gargano in Benevento tutto cruccioso per l'odio che portava a'
Beneventani, avesse loro tolto il corpo di S. Paolino, e portatolo in
Roma[89].
Ottone intanto per quietare in Roma i molti disordini che per la
fellonia di Crescenzio eran rimasi, non essendogli bastato di aver
fatto uccidere questo Tiranno, per dubbio che i Romani non tentassero
nuove cose, portossi a questa città in quest'anno 1001, ma non potendo
reprimere una nuova congiura tramatagli, non tenendo allora forze
bastanti, riputò meglio uscir di Roma, e verso Lombardia incamminossi.
Narrasi, che nel partire la moglie di Crescenzio, la quale l'Imperadore
colla speranza del Regno aveala allettata al suo amore, vedutasi ora
fuor di speranza avessegli tutta dolente, ma simulando il dolore,
dato in dono un paio di guanti avvelenati[90], dal qual veleno Ottone
insensibilmente essendone contaminato, se ne morì. Lione Ostiense[91],
e l'Arcivescovo di Firenze Antonino[92] narrano, che morisse di veleno
apprestatogli in una bevanda, non già ne' guanti: ciò che sembra più
credibile, ripugnando in fisica, secondo le osservazioni del Redi,
che il veleno in cotal guisa dato, possa aver tanta forza e vigore
di coagulare, o sciogliere il sangue sì che l'uom ne muoia. In fatti
Ottone appena giunto presso Paterno non molto distante dalla città
di Castellina ammalossi, e quivi prima di render lo spirito confessò
morire di veleno: alcuni vogliono che morisse in Sutri in quest'istesso
anno 1001 come l'Anonimo Cassinense; altri, come il Sigonio seguitato
dal Baronio, nell'anno seguente 1002. Ci sono ancor rimase di questo
Imperadore molte leggi, raccolte pure dal Goldasto[93]; ma non
avendo di se lasciata prole maschile, e restando estinta in lui la
progenie degli Ottoni, si videro i Germani in confusione grandissima
per la nuova elezione, la quale doveva per necessità cadere in altro
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