Istoria civile del Regno di Napoli, v. 3 - 20

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assegnata da Ugone Vescovo di Grenoble. Nell'anno 1090 Urbano II lo
chiamò in Italia, dove si ritirò in una solitudine della Calabria
nominata la Torre. La fama della sua santità invogliò Ruggiero Gran
Conte di Sicilia ad aver con lui stretta amicizia; ed essendosi
sgravata la Contessa Adelaide sua moglie in Melito, e dato alla luce un
figliuolo, lo fece battezzare per mano di Brunone: a sua intercessione
ricevette dal Cielo Ruggiero maggiori favori, e segnalatissimo fu
quello d'essere stato liberato da un tradimento, che il greco Sergio
aveagli macchinato, perciò in Calabria si vide quest'Ordine essere
stato presso noi prima stabilito, a cui i nostri Principi normanni
concederono di grandi prerogative e ricchezze. I Re Angioini poi in
Napoli arricchirono assai più un loro monastero fondato nel monte di S.
Eramo sotto il nome di S. Martino, per una chiesetta, che eravi prima
dedicata a questo Santo; ed in progresso di tempo crebbero le loro
ricchezze in tanto eccesso, quanto ora si vede.
Si videro ancora a questi tempi in Francia sorgere altre riforme sotto
altre Regole, donde poi vennero a noi. Due Gentiluomini di Vienna,
Gastone e Girondo, avendo votate le lor persone, e le lor facoltà al
soccorso di coloro, ch'erano assaliti dall'infermità della risipola,
ovvero fuoco sacro, che andavano ad implorare l'intercessione di S.
Antonio in Vienna, diedero principio all'istituzione dell'Ordine di S.
Antonio, composto da principio di alcuni laici, e poi di Religiosi,
i quali fecero professione della Regola di S. Agostino. L'anno 1098
Roberto Abate di Molesmo si ritirò in Cistella nella diocesi di Scialen
sopra Saona con alcuni Religiosi, in numero di ventuno; vi fondò un
monastero, e vi lasciò alcuni Religiosi, i quali vi restarono da poi
ch'e' fu ritornato in Molesmo. Questa riforma fu approvata nell'anno
1100 dal Papa; e Stefano Ardingo pose nell'anno 1100 la prima mano alla
perfezione di quest'Ordine, che divenne floridissimo.
Ma presso di noi rilusse assai più nel principio del seguente
secolo intorno l'anno 1134 sotto Ruggiero I Re di Sicilia una nuova
riforma dell'Ordine di San Benedetto, il cui autore fu _Guglielmo
da Vercelli_. Questi fu il fondatore dell'Ordine de' _Frati di Monte
Vergine_, il quale per la fama della santità della sua vita fu molto
caro al Re Ruggiero, ed a Giorgio d'Antiochia suo Grand'Ammiraglio,
ed usando spesso nella Corte del Re per li bisogni de' suoi Frati,
era da molti Cavalieri della Casa reale stimato e riverito per Santo.
Ruggiero perciò favorì il suo Ordine, ed arricchì molto il monastero
novellamente da lui fondato in Monte Vergine, non molto da Napoli
lontano. Giovanni di Nusco Frate del suo Ordine, che visse a' suoi
tempi, e che scrisse la vita del Santo, la quale secondo testifica
Francesco Capecelatro[438], scritta in carta pecora con caratteri
longobardi si conserva nell'Archivio del monastero di Monte Vergine,
porta un privilegio spedito dal Re Ruggiero in Palermo alli 8 di
dicembre dell'anno 1140, nel quale il Re per la salute dell'anima del
Conte Ruggiero suo padre, per quella della Regina Adelaida sua madre,
e di Albiria sua moglie, concede a' Frati di Monte Vergine la Chiesa
di S. Maria di Buffiana, confermando loro parimente per la stessa
scrittura, tutti i poderi e le rendite, che allor teneano, e tutte
quelle che per l'avvenire fossero loro concedute; il qual privilegio
è sottoscritto in nome del Re dal Principe Guglielmo suo figliuolo.
Crebbe in decorso di tempo l'Ordine, e nella strada del Seggio di Nilo
fu eretto un nuovo monastero con chiesa, la quale fu da poi ampliata
dal famoso e celebrato Giureconsulto Bartolomeo di Capua, e dove al
presente giacciono l'ossa dell'altro nostro famoso Giureconsulto Matteo
degli Afflitti.
Ma egli è ben da notare, che queste riforme dell'Ordine di S. Benedetto
nacquero per lo rilasciamento della disciplina ed osservanza regolare
cagionato dalle tante ricchezze, che corruppero ogni buono costume.
Ma chi crederebbe, che queste istesse riforme fondate principalmente
sopra il disprezzo de' beni mondani, fossero state cagioni di maggiori
acquisti all'Ordine monastico di beni temporali? I creduli devoti
edificati dalla vita austera de' primi fondatori, e presi dalla loro
santità, e da' miracoli, che se ne contavano, non guari tardarono a
profondere i loro beni, con farne amplissime donazioni alle Chiese,
e a' nuovi monasterj, che s'andavan ergendo; tanto che in decorso di
tempo si videro le loro ricchezze non inferiori a quelle de' primi
come si vide chiaro ne' Certosini, ne' Frati di Monte Vergine e ne'
Camaldolesi ancora; onde bisognava riformare la Riforma ed in cotal
maniera rimasero i primi acquisti, e sempre più se ne facevano de'
nuovi. E non senza stupore fu veduto ne' seguenti secoli, che sursero
nuovi Ordini fondati cotanto in questo disprezzo de' beni mondani,
che perciò presero il nome di _Mendicanti_, a tre voti aggiungendo
il quarto di vivere in mendicità e d'elemosine; e pure scorgendosi,
che questa austerità gli accreditava tanto presso i Popoli che gli
invogliava maggiormente ad arricchirgli, per non mandar a voto i
loro desiderj, si trovò modo di rendergli capaci di nuovi acquisti,
onde in decorso di tempo le quattro Religioni Mendicanti si videro
in tanta ricchezza, che cagionando rilasciamento, bisognò pensare a
nuove riforme. Ma che pro? i _Domenicani Riformati_ per qualche tempo
si mantennero, ma dapoi tornarono a quel di prima. Da' Carmelitani
ne surse negli ultimi secoli una più austera riforma di _Carmelitani
Scalzi_, che ne' primi loro instituti non professavano altro che
mendicità, ed un totale abborrimento de' beni temporali; ma dapoi si
trovò modo di rendergli capaci di successione, d'eredità e d'ogn'altro
acquisto, tanto che presso di noi crebbero le loro ricchezze in quel
grado che oggi ognun vede. Ma quello che supera ogni credenza si è
il vedere, che a' tempi del Pontefice Paolo IV surse un nuovo Ordine
di _Chierici Regolari_ chiamato ora de' _Teatini_, i quali non pure
doveano vivere poveri e mendici, ma per loro istituto, quasi emulando
gli altri Ordini fondati nella mendicità, ed aggiungendo maggiori
rigori, fu loro proibito che non potessero nemmeno andar limosinando;
ma considerando che i gigli del campo, e gli uccelli dell'aria, senza
nè filare, nè in altro modo travagliarsi vivono e vestono, così essi
dovessero totalmente abbandonarsi nella Divina Providenza, la quale
siccome provede a quelli, avrebbe anco di loro presa cura e pensiero: e
pure niente tutto ciò ha giovato; perchè non sono mancati chi correndo
loro dietro, abbian voluto con larghe donazioni ed eredità arricchirgli
quasi a lor dispetto; ma essi niente curandosi di quest'oltraggi, non
han ricusato riceverle; e si è trovato ancor modo di rendergli capaci
di legati e di successioni, in guisa che le loro ricchezze sono giunte
a segno, che presso noi hanno innalzati edificj cotanto magnifici
e stupendi, che le loro abitazioni non sembrano più monasterj ma
castelli, e s'han posto addietro i più superbi palagi ed edificj delle
più illustri città del Mondo.
Vi furono in questo secolo, e nel seguente molte altre occasioni,
onde l'Ordine ecclesiastico fece grandi acquisti. La principale fu
la Milizia di Terra Santa; fu veramente cosa da stupire il vedere,
quanto fossero accesi gli animi, non pure delle persone volgari, ma
de' Principi stessi per queste spedizioni: la divozion, che s'avea
de' luoghi santi e sopra ogn'altro di que' di Gerusalemme, fu così
intensa, che non curando nè disagi, nè pericoli, s'esponevan a viaggi
lunghissimi, pieni d'aguati e di ladroni: le asprezze, li rigori e le
astinenze che soffrivano, riuscivano loro di piacere; e narrasi[439],
che Folco Conte di Angiò andò fino a Gerusalemme, per farsi quivi
flagellare da due suoi servidori, con la fune al collo davanti al
Sepolcro di Nostro Signore. Può ciascun immaginarsi da ciò, quanto
fosse intenso il fervore di andare, o di contribuire all'acquisto
di que' Santuarj, e vindicargli dalle mani degl'Infedeli. Non si
teneva conto delle robe, delle mogli, e de' figliuoli; ma i mariti
ed i padri, abbandonando ogni cosa, e vendendo quanto avevano,
s'ascrivevano a questa milizia, e passavano il mare; nel che fra noi
si distinsero sopra tutti li Pugliesi ed i Calabresi, i quali sotto
Boemondo e Tancredi, abbandonando le loro case, gli seguirono; anzi
le donne stesse, senz'aver riguardo a' proprj figliuoli, vendevano
i beni lor rimasi, per sovvenire alla guerra. I Pontefici romani,
ed i Vescovi delle città, per mezzo dei loro Brevi, ricevevano sotto
la loro protezione le case ed i negozj de' _Crocesignati_, e questo
apportò alle loro Chiese quell'accrescimento, che suol apportare
l'esser Tutore, Curatore, o Proccuratore di vedove, pupilli e minori;
nè il Magistrato secolare poteva più difendere alcuno per lo terrore
delle scomuniche, che a questi tempi si adoperavano senza risparmio.
S'aggiunse ancora, che Eugenio III costituì, che ogni uno potesse
per questa pietosa impresa alienare eziandio i Feudi; e se il padrone
diretto non voleva egli riceversegli, potessero, anche contro il voler
suo, esser pigliati dalle Chiese, il che aprì la strada d'acquistare
molto largamente.
Avvenne anco, che li Pontefici romani si valsero delle armi preparate
per Terra Santa a qualche impresa, con che augumentarono il temporale
della Chiesa romana; ed anche li Legati ponteficj, e li Vescovi dei
luoghi dove le suddette armi si congregavano per unirsi a far viaggio,
sì valsero di esse per diversi aumenti della temporalità delle
loro Chiese. Ma sopra ogni altro crebbero gli acquisti, perchè fu
introdotto, che chi non poteva andar di persona alla sacra guerra, per
disciogliersi forse dal voto fatto pagava in denari l'importar della
spesa del viaggio, e con ciò non solo veniva sciolto dal voto fatto,
ma ne otteneva anche indulgenze, ed altre concessioni, e s'avea come
se personalmente vi fosse andato. Le offerte e raccolte, che perciò si
facevano, importavan molta quantità di denari cavati da' fedeli, e più
assai dalle donne, e da altri, ch'erano inetti a servire alla guerra in
propria persona. Questo denaro non tutto si spendeva per la guerra; di
qualche cosa ne partecipò senza dubbio qualche Principe; ma notabile
parte ancora restò in mano de' Prelati, laonde le cose ecclesiastiche
fecero molto aumento.
Da ciò ne nacque una nuova spezie d'Ordini regolari, e furono questi
gli Ordini militari; la qual cosa se ben nuova, vedendosi istituite
religioni per sparger sangue, fu però ricevuta con tanto ardore, che
in brevissimo tempo si videro in gran numero, ed acquistare grandi
ricchezze. Il primo fu quello di S. Giovanni di Gerusalemme, ovvero
degli _Spedalieri_, stabilito per ricevere i Pellegrini, che andavano
in quella città. Il secondo fu quello de' _Templarj_ istituito
l'anno 1118, l'impiego de' quali era di provvedere alla sicurezza de'
Pellegrini, combattendo contro coloro, che a' Pellegrini eran molesti.
L'ultimo fu l'Ordine de' _Teutonici_, li quali facevano professione di
soddisfare all'uno, e all'altro di questi impieghi; e quanto questi
Ordini crescessero in ricchezza, e spezialmente gli Spedalieri, ed i
Teutonici, è a tutti palese.
A loro imitazione sursero poi quelli di _S. Giacomo_ e di _Calatrava_,
li quali furono istituiti in Ispagna per li pellegrinaggi a S. Giacomo
di Galizia; e per occasion consimile si videro altri Ordini in altri
paesi. Il fervore così intenso, che s'avea a questi tempi di questi
nuovi Santuarj, intiepidirono alquanto la divozione, che prima s'avea
più fervorosa, di quello di Monte Cassino, e dell'altro del Monte
Gargano; ma crebbe però quello di S. Niccolò di Bari, per essere a
questi tempi, come nuovo, più degli altri frequentato.
Furono ancora a questi tempi scoverti altri modi per dar accrescimento
assai notabile a' beni ecclesiastici. Il riveder bene la materia delle
_Decime_; lo stabilire le _Premizie_, ed il diritto delle _Sepolture_;
ed il ricever ogni cosa da qualunque sorta di persone. Le Decime
da volontarie rendute già necessarie, quando non si pagavano, erano
per via di censure con molta acerbità esatte: e fu stabilito, che si
pagassero non solo le _Prediali_ de' frutti della terra, ma le _Miste_
ancora, cioè de' frutti degli animali; ed ancora le _Personali_,
della industria e fatica umana. Ed in decorso di tempo Alessandro III
determinò intorno l'anno 1170 che si procedesse con scomuniche per
far pagare interamente le Decime de' molini, peschiere, fieno, lana, e
delle api; e che la Decima fosse d'ogni cosa pagata prima, che fossero
detratte le spese fatte nel raccogliere li frutti; e Celestino III nel
1195 statuì, che si procedesse con scomuniche per far pagar le Decime
non solo del vino, grano, frutti degli alberi, delle pecore, degli
orti, e delle mercanzie, ma anche dello stipendio de' soldati, della
caccia, ed ancora dei molini a vento; e tutte queste cose sono espresse
nelle _Decretali_ de' Pontefici romani. Ma a' Canonisti ciò nemmen
bastò, e passarono più oltre, dicendo che il povero è obbligato a pagar
la Decima di quello, che accattando trova per elemosina alle Porte; e
che la meretrice sia tenuta pagar la decima del guadagno meretricio, ed
altre tali cose, che il Mondo non ha mai potuto ricevere in uso.
Alle Decime aggiunsero le _Primizie_ le quali furono primieramente
instituite da Alessandro II, imitando in ciò la legge mosaica, nella
quale furono comandate a quel Popolo: la quantità di esse da Mosè
non fu stabilita, ma lasciata in arbitrio dell'offerente: li Rabbini
da poi, come testifica S. Girolamo, determinarono, che non fosse
minore della sessagesima, nè maggiore della quarantesima; il che fu
ben imitato dai nostri nel più profittevol modo, avendo statuito la
quarantesima, che si chiamò poi il _Quartese_.
Non minori emolumenti si ritraevano dalle _Sepolture_, e dall'altre
funzioni ecclesiastiche: prima le Decime erano pagate a' Curati per
l'amministrazione dei Sacramenti, per le sepolture e per altre loro
funzioni, onde per questi ministerj non si pagava cos'alcuna; ma poi
qualche persona pia e ricca donava, se gli piaceva, per la sepoltura
de' suoi qualche cosa, e passò così innanzi quest'uso, che la cortesia
fu convertita in uso, e s'introdusse anche in consuetudine il quanto
si dovesse pagare. Si venne poi alle controversie, negando li secolari
di voler pagare cos'alcuna, perchè perciò pagavano le Decime, e gli
Ecclesiastici negavano di voler far le funzioni, se non si dava loro
quello, ch'era in usanza. Innocenzio III poi nell'anno 1200 stabilì,
che gli Ecclesiastici facessero le funzioni, ma dopo quelle fossero
i Secolari con censure forzati a servare la lodevole consuetudine di
pagar quello, ch'era solito.
Fu introdotta ancora un'altra novità contra i Canoni vecchi, la
qual giovò molto per l'acquisto di maggiori ricchezze: era proibito
per li Canoni di ricever cos'alcuna per donazione o per testamento
dai pubblici peccatori, da' sacrileghi, da chi era in discordia col
fratello, dalle meretrici, ed altre tali persone: furono levati affatto
questi rispetti, e ricevuto indifferentemente da tutti; anzi appunto
li maggiori e più frequenti legati e donazioni erano di meretrici,
e di persone, che per disgusti co' suoi, lasciavano alle Chiese. In
cotal guisa i Pontefici romani usavano ogni diligenza per ajutare gli
acquisti, e di conservare l'acquistato; al che per proprio interesse
tutto l'ordine ecclesiastico non solo acconsentiva, ma colla penna e
con le prediche dava mano ed inculcava.

FINE DEL LIBRO DECIMO


STORIA CIVILE DEL REGNO DI NAPOLI
LIBRO UNDECIMO

Ruggiero, che da qui a poco lo diremo I Re di Sicilia e di Puglia,
avendo con tanta celerità, e senza richiederne investitura dal Papa,
preso il possesso di queste nostre province, alle quali per la morte di
Guglielmo senza figliuoli era succeduto, esacerbò in maniera l'animo
d'Onorio, che non fu possibile, nè con Legazioni, nè con offerte
che gli si fecero della città di Troja, placarlo; nè finalmente il
timore di perdere Benevento, potè rimoverlo. Egli scomunicò Ruggiero
tre volte[440]; e vedendo che questi fulmini erano infruttuosamente
lanciati, si rivolse alle armi temporali; e per maggiormente accalorare
la spedizione, che intendeva fare contro questo Principe, portossi
immantenente in Benevento, ove incoraggiò molti a prender l'armi
per vendicarsi dell'offesa, che riputava aver ricevuta; e quelle già
ragunate, l'affretta a tutto potere verso la Puglia, ove Ruggiero col
suo esercito erasi accampato. Ma questo accorto Principe scorgendo,
che l'armata del Papa era composta di truppe somministrategli da
alcuni ribellanti Baroni, e che (siccome l'ira e lo sdegno d'Onorio)
non poteva lungamente durare in quell'unione, non gli parve d'usargli
ostilità, ma schivando ogn'incontro, lasciò passar quell'està senza
combattere. Nel cominciar dell'inverno si dileguò tosto quell'unione,
e restò il Papa senza gente; quindi abbandonando l'impresa tosto in
Benevento tornossene. Ruggiero che non voleva con lui brighe, gli fece
richieder di nuovo la pace, ed abboccatisi insieme presso Benevento
sopra un ponte che fecero drizzare nel fiume Calore, fu quella subito
conchiusa nel principio di quest'anno 1128[441], ed i patti furono, che
Ruggiero, siccome i suoi predecessori aveano fatto, giurasse fedeltà
al Papa, con promettergli il solito censo; ed all'incontro Onorio gli
desse l'investitura del Ducato di Puglia e di Calabria, secondo il
tenore dell'altre precedenti, siccome fu eseguito[442]. Riuscì cotanto
profittevole per la Chiesa romana questa pace, che ribellandosi poco
da poi i Beneventani, Ruggiero, che con buona armata si trovava nella
Puglia, tosto v'accorse, e ridusse quella città nell'ubbidienza della
Chiesa.
Ma questo Principe avendo con tanta sua gloria composte le cose
di queste province, ed acquistata l'amicizia del Pontefice Onorio,
ritirossi in Palermo; e vedendosi per tante prosperità e benedizioni
Signore di tante province, reputò mal convenirsi più a lui i titoli
di Gran Conte di Sicilia, e di Duca di Puglia; ma un più sublime di
Re doversene ricercare. Al che diede maggiori stimoli Adelaida sua
madre, la quale essendo stata moglie di Balduino Re di Gerusalemme,
ancorchè da poi ripudiata, riteneva il titolo Regio, ed alla
conquista di quel Regno istigava il figliuolo Ruggiero, che movesse
l'armi; aggiungendosi ancora il riflettere, che coloro, i quali
anticamente aveano dominata la Sicilia, con titolo di Re aveanla
signoreggiata[443]; stimò dunque prender questo titolo, ed avendo
costituita Palermo capo del Regno, Re di Sicilia, del Ducato di
Puglia e di Calabria, e del Principato di Capua, volle chiamarsi; ed
in cotal guisa da' suoi sudditi per Re salutato, ne' diplomi e nelle
pubbliche scritture questi furono i titoli, che assunse: _Rex Siciliae,
Ducatus Apuliae, Principatus Capuae_. Quindi il Fazzello narra, che
nel mese di maggio dell'anno 1129, correndo allor il costume che i
Re dalle mani de' loro Arcivescovi ricevessero la Corona e l'unzione
del sacro olio, si facesse egli in Palermo in presenza de' principali
Baroni, di molti Vescovi ed Abati, e di tutta la Nobiltà e Popolo,
coronare per Re di Sicilia, e di Puglia da quattro Arcivescovi, da
quelli di Palermo, di Benevento, di Capua e di Salerno: il che non
poteva essere più legittimamente, e con più avvedutezza, e con maggior
celebrità fatto. Altro non si ricercava perchè Ruggiero a tal sublimità
s'innalzasse, e legittimamente il titolo di Re ricevesse. Al volere del
Principe concorreva ciò che principalmente, anzi unicamente sarebbe
bastato, cioè la volontà de' Popoli, che lo acclamarono, la quale
prima d'essersi introdotta la cerimonia di farsi ungere e coronare
da' Vescovi, era riputata sufficientissima. Così fu da noi altrove
osservato, che Teodorico Ostrogoto fu gridato Re d'Italia, e così gli
altri Re longobardi. I riti e le cerimonie furon sempre varie, siccome
le Nazioni, alcune usavano innalzare l'eletto sopra uno scudo; altre si
servivano dell'asta, ed altre d'altro segno[444].
Ma trovandosi ora introdotto il costume, che questa celebrità
si faceva per mano de' Vescovi, li quali ponevano all'eletto la
Corona sul capo e l'ungevano coll'olio sacro: non fu trascurato in
quest'occasione da Ruggiero; poichè essendo stato egli acclamato
Re, oltre della Sicilia, anche del Ducato di Puglia e di Calabria, e
del Principato di Capua e di Salerno, che abbracciava queste nostre
province, furono perciò adoperati que' quattro Arcivescovi, a' quali
per antica usanza s'apparteneva d'ungere e coronare i loro Principi;
i quali rappresentando per le loro province, delle quali erano
Metropolitani, tutta la Sicilia, e tutta questa nostra cistiberina
Italia, venivan a coronarlo quasi di quattro Corone in un istesso
tempo, cioè l'Arcivescovo di Palermo per la Sicilia, ed i nostri tre
Arcivescovi per tutte quelle province, che anticamente eran comprese
ne' Principati di Benevento, di Capua e di Salerno: il che non si fece
senz'esempio, poichè avevano potuto osservare che gli altri Re solevano
di tante Corone coronarsi di quanti Regni essi aveano; nè perciò da un
solo Vescovo, ma da più era solito farsi incoronare, siccome Hinemaro
Vescovo di Rems narra della coronazione di Carlo il Calvo fatta a Metz
nell'anno 869.
Non poteva dunque essere più legittimamente fatta la coronazione di
Ruggiero, nè poteva alcun dolersi, che questo Principe senza ricercar
altro lo facesse. Ma i Pontefici romani, come si è altrove notato,
fra le altre loro magnanime intraprese, onde proccuravan d'ingrandire
la loro autorità, erano entrati nella pretensione, che niun Principe
cristiano potesse assumere il titolo di Re senza loro concessione
e permesso. E tanto più s'erano resi animosi a pretenderlo, quanto
che l'istessa autorità s'arrogavano nell'elezione degli Imperadori
d'Occidente, pretendendo che senza di essi niun potesse innalzarsi
a quella sublimità, e che dalle loro mani dipendesse l'Imperio, nè
s'arrossivano di dire che l'Imperio, siccome tutti gli altri Regni,
dipendessero da loro, come credettero Clemente V ed Adriano. Nè mancò
chi scrivendo all'istesso Imperador Federico I non avesse difficoltà
di dirgli in faccia, che l'Imperio fosse un beneficio de' romani
Pontefici, di che Federico ne fece quel risentimento che ciascun sa,
obbligando quel Papa, per emendare la sua jattanza a ricorrere a guisa
di pedante a spiegar la parola _beneficio_, ed in qual senso egli
avessela presa. Essi adunque co' Principi si vantavano di poterlo fare,
e d'aver tal potestà come Vicarj di colui, _per quem Reges regnant_. Ed
i Principi all'incontro n'erano ben persuasi, e credevano, che siccome
i Re d'Israele erano con molta solennità unti da' Profeti, così essi
per esser riputati Re dovean da loro farsi ungere e coronare. Quindi
nacque che molti Principi della Cristianità non aveano difficoltà di
promettergli perciò tributo, o rendersi Feudatari della Chiesa romana.
Così fin dall'anno 846 Etelulfo Re d'Inghilterra portatosi in Roma,
e fattosi confermare il titolo di Re da Papa Lione IV, rese i suoi
Regni tributarj alla Sede Appostolica d'anno in anno d'uno sterlino
per famiglia, e cotesto tributo, che denominossi il denajo di S.
Pietro, fu da poi pagato per insino al tempo d'Errico VIII. E vie
più ne' tempi posteriori crescendo la loro ignoranza e stupidezza, si
videro altri Principi seguitare quest'esempio, e rendergli tributo.
Nel 1178 Alfonso Duca di Portogallo, avuto da Alessandro III il titolo
regio per gli egregi fatti da lui adoperati contro i Mori di Spagna,
gli promise il censo. Lo stesso fece Stefano Duca d'Ungheria, quel di
Polonia, d'Aragona, ed altri Principi; tanto che l'istesso Bodino[445]
non ebbe difficoltà di dire, i Re di Gerusalemme, d'Inghilterra,
d'Ibernia, di Napoli, Sicilia, Aragona, Sardegna, Corsica, Granata,
Ungheria, e dell'isole Canarie essere Feudatarj della Chiesa romana.
E l'accortezza de' Pontefici romani fu tanta, che per conservarsi con
quei Principi questa sovranità, ancorch'essi fossero veri Re, e così da
Popoli salutati, e dagli altri Principi d'Europa reputati, nulladimanco
vedendo che non si curavano di ricever da essi questi stessi titoli,
con facilità perciò loro gli davano, e quelli coll'istessa facilità
gli accettavano, non badando all'arcano che si nascondeva sotto quella
liberalità: così negli ultimi tempi a Paolo IV nostro Napoletano gli
venne fantasia d'ergere l'Ibernia in Regno, e se bene Errico VIII
l'avesse prima fatto, e questo titolo fosse continuato da Odoardo, da
Maria e dal marito, nulladimanco dissimulando il Papa di saper il fatto
d'Errico volle fare apparire ch'egli ergesse quell'isola in Regno,
perchè in quella maniera il Mondo credesse, che de' soli Pontefici
romani fosse l'edificare, e spiantar Regni, e che il titolo usato
dalla Regina fosse come donato dal Papa, non come decretato dal padre.
Lo stesso i nostri maggiori videro nella persona del Duca di Toscana,
innalzato da' Pontefici con titolo di Gran Duca. E se la cosa si fosse
ristretta a' soli Pontefici romani sarebbe stata forse comportabile, ma
si giunse, che fino gli Arcivescovi di Milano s'arrogavano l'autorità
di far essi i Re d'Italia, come si è veduto ne' precedenti libri di
questa Istoria.
Ma dall'altra parte non era meno strana la pretensione, che aveano
gl'Imperadori d'Occidente, di poter essi ancora dar titoli di Re, ed
ergere gli Stati in Reami: essi lo pretendevano perch'essendo risorto
l'Imperio d'Occidente nella persona di Carlo M., ed essendo successori
di quell'Augusto Imperadore, credevano ben come tali di poterlo fare
in tutto Occidente; e se il Senato romano intraprendeva ben questa
potestà nello Stato popolare di fare Re, molto più essi credevano a
loro appartenersi. Sopra tutti gl'Imperadori Federico I ebbe questa
fantasia: egli mandò la spada e la Corona regale a Pietro Re di
Danimarca, attribuendogli il nome di Re per titolo d'onore solamente,
con espressa riserva (come rapporta Tritemio[446]) della sovranità del
suo paese all'Imperio; il che fu dannoso allo stesso Imperio, poichè
perciò li Re di Danimarca presero a poco a poco occasione di sottrarsi
dalla soggezione dell'Imperio, e da poi si sono resi affatto Sovrani in
conseguenza del titolo di Re.
(_Girolamo Muzio_ Chron. Germ. lib. 20 _Crusius_ Annal. Suevie. part.
3 lib. 2 cap. 2 _Bodin._ de Rep. lib. 2 cap. 3 ciò attribuiscono a
Federico II non al I: vedasi Sigonio de _Regno Italiae Lib._ 13 che
rapporta il fatto di _Barisone_ creato Re di Sardegna ad istanza, e con
denari de' Genovesi).
L'istesso Imperadore diede titolo di Re al Duca d'Austria; ma a costui
avvenne tutto il contrario che a' Re di Danimarca, poichè avendo
ottenuto questo titolo con egual riserba della sovranità, volle troppo
presto allontanarsi dal suo Sovrano, ed avendo rifiutato d'ubbidirlo,
ne fu privato dodici anni da poi di questa qualità di Re, e costretto
chiamarsi solamente Duca. Questo medesimo Imperadore diede ancora
titolo di Re al Duca di Boemia con la medesima ritenzione di Sovranità:
nel che non ci ebbe da poi alcuna mutazione, sì per la picciolezza del
suo Reame vicino alla sede imperiale, come perchè questo Re è uno degli
Elettori.
Altrove fu notato, che alcuni credettero, l'Inghilterra avere un tempo
ancor ella salutato l'Imperadore come Feudataria, come fra gli altri
scrisse Cujacio[447], la Francia non giammai. Ma gl'Inglesi glie ne
danno una mentita, ed Arturo Duck[448] dice, che Cujacio senza ragione
ciò scrisse; poichè nell'istesso secolo, che la Francia scosse la
dominazione dell'Imperio, la scosse ancora l'Inghilterra, e che non
meno i Franzesi, che i Brittanni sono indipendenti dall'Imperio.
Da queste pretensioni, che il Papa e l'Imperadore tennero di poter
creare Re, e che tutti i dominj dipendessero da loro, ne surse da poi
presso i nostri Dottori, secondo le fazioni, un ostinato contrasto,
e chi sosteneva secondo i sentimenti di Clemente e di Adriano, che
l'Imperio e tutti i Regni dipendessero dal Papa: chi all'incontro
dall'Imperadore; e Bartolo[449] sostenitore delle ragioni dell'Imperio,
s'avanzò tanto in questa opinione, e passò in tale estremità, che
non ebbe difficoltà di dire esser eretico chi niega l'Imperadore
esser Signore di tutto il Mondo: ciocchè meritò la riprensione di
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