Istoria civile del Regno di Napoli, v. 3 - 15

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presa l'opportunità della sua lontananza, aveano proccurato sottrarsi
dal suo dominio, e poco dopo la sua partenza da Otranto, gli abitanti
di Troia e d'Ascoli, aveano incominciato i primi ad ammutinarsi,
ricusando di pagar i tributi al suo figliuolo Ruggiero, ed alcune
altre città, e molti Baroni aveano seguitato questo malvagio esempio,
e nel tempo medesimo ch'egli sbarcava in Otranto, Goffredo Conte di
Conversano andava ad assediare la città d'Oria. Ma appena vi giunse
il Duca, che dissipò gli Assalitori, i quali abbandonando l'impresa
si diedero alla fuga. Colla stessa facilità, colla quale fece togliere
l'assedio d'Oria, punì la città di Canne, distruggendola interamente,
per essersi ammutinata con più ostinazione dell'altre. Queste gloriose
spedizioni acchetarono ne' suoi Stati tutti i movimenti sediziosi, che
dianzi erano surti.
Nulla più avrebbe impedito d'andare a Roma, se non Giordano Principe
di Capua. Questo Principe, avendo, come si disse, preso il partito
d'Errico contro del Papa, signoreggiava la Campagna colle sue
truppe, onde bisognava a Roberto, per passare in Roma, di toglier
quest'ostacolo: ma questo valoroso Campione non solo fugò le nemiche
truppe, ma portò l'assedio alla città d'Aversa per ridurla nelle
sue mani. Giordano però difese la Piazza valorosamente; onde Roberto
vedendo che non così presto poteva sperarsene la resa, sollecitando il
Papa il soccorso, abbandonò l'assedio, ed in Roma portossi, ove trovò
Gregorio strettamente assediato nel castello di S. Angelo, nell'istesso
tempo che l'Imperadore e 'l suo Antipapa facevano tranquillo soggiorno
nel Palagio di Laterano. Errico che si trovava in Roma con piccolo
presidio, pensò uscir dalla città; Roberto all'incontro cinse Roma
colla sua armata, e accostatosi sul bel mattino alla Porta di S.
Lorenzo, che vide esser men guardata delle altre, fece appoggiar le
scale alle mura, e montandovi sopra, aprì immantenente a tutta l'armata
le porte. Ella passò senza difficoltà per le strade di Roma, e giunta
al castel di S. Angelo, cavò fuori il Papa, e lo condusse onorevolmente
al Palagio di Laterano[329].
I Romani del partito d'Errico restarono sorpresi d'una così
valorosa azione; e quantunque da poi ripreso un poco di coraggio,
avessero proccurato di ordire contro i Normanni una congiura, tosto
Roberto v'accorse, e la ripresse in guisa, che i Romani costernati,
risolvettero cercar pace al Papa, che loro la concedette.
Il famoso Guiscardo disbrigato da sì gloriosa impresa e sedati i
tumulti, fece da poi uscir di Roma le sue truppe per ritornar in
Puglia; ma Gregorio non fidandosi ancora de' Romani, e temendo
d'esporsi un'altra volta a' loro insulti, risolvette di seguire
l'armata de' Normanni ed il Duca Roberto. Partissi intanto egli da Roma
seguitato da' Cardinali e da un gran numero di Vescovi, e fermatisi
per alquanti giorni nel monastero di Monte Cassino, ove dall'Abate
Desiderio furono splendidamente trattati, ritirossi in Salerno, senza
voler giammai ritornar più in Roma, la cui fedeltà gli fu sempre
sospetta.

I. _Investitura data da GREGORIO VII al Duca ROBERTO._
In questo viaggio, che fece il Papa col Duca Roberto, fu rinovata
da Gregorio l'investitura, che questo Principe da Niccolò II, e da
Alessandro suoi predecessori avea avuto del Ducato di Puglia e di
Calabria e di Sicilia, la qual si legge nelle Epistole[330] decretali
di questo Pontefice, e porta la data di Cepperano, luogo, che si
rendè poi celebre, per lo tradimento, che quivi il Conte di Caserta
fece al Re Manfredi. In questa investitura è da ammirare la fortezza
dell'animo, e intrepidezza d'Ildebrando, il quale non ostante i così
segnalati e recenti beneficj, che avea ricevuti da Roberto, non volle
però acconsentire, con tutto che si trovasse in mezzo dell'esercito
de' Normanni, di ampliare l'investitura al Principato di Salerno,
al Ducato d'Amalfi, e parte della Marca Firmana, che avea Roberto
conquistato dopo l'investitura di Papa Niccolò, e che allora possedeva;
ma solamente volle investirlo di ciò che i suoi predecessori Niccolò
ed Alessandro aveanlo investito, lasciando sospesa l'investitura per
quest'altri luoghi.
E perchè per quest'atto non s'inferisse pregiudicio alle pretensioni
delle parti, ciascuna espressamente riserbossi le sue ragioni. Roberto
nel giuramento di fedeltà, che diede a Gregorio, promettendo d'aiutare
la Sede Appostolica, e di difendere la regalia e le terre di S. Pietro
contro tutte le persone, nè invaderle, nè cercare d'acquistarle, ne
eccettuò espressamente Salerno, Amalfi e parte della Marca Firmana,
sopra le quali, com'e' dice, _adhuc facta non est diffinitio_.
All'incontro Gregorio nell'investitura dichiarò solamente investirlo di
ciò, che i suoi predecessori Niccolò ed Alessandro gli avean conceduto,
soggiungendo, _de illa autem terra, quam injuste tenes, sicut est
Salernus, et Amalphia, et pars Marchiae Firmanae, nunc te patienter
substineo in confidentia Dei omnipotentis, et tuae bonitatis, ut tu
postea exinde ad honorem Dei, et Sancti Petri, ita te habeas, sicut
et te agere, et me suscipere decet, sine periculo animae tuae, et
meae_. Ciò che mostra quanto fosse accorto questo Pontefice, il quale
nell'istesso tempo, che lasciava in sospeso Roberto, volle tenerlo
anche a freno, per lo bisogno nel quale lo lasciava di lui, e de'
successori suoi per aver di questi luoghi l'investitura; e di vantaggio
volle mostrare essere de' soli Pontefici romani dare e togliere gli
Stati altrui, e di giustificare o riprovare le conquiste de' Principi
secolari a lor voglia, riputandogli giusti o ingiusti a lor talento;
trovando ancora un mezzo assai ingegnoso tra gli acquisti giusti ed
ingiusti, cioè di sostenere gli ingiusti possessori _in confidentia
Dei omnipotentis_, acciochè, siccome coloro si portavano colla Chiesa
romana, così i Papi si regolassero di dichiarargli giusti o ingiusti
Conquistatori.
E vedi intanto a ch'era giunta in questi tempi l'autorità de' romani
Pontefici, e la stupidezza de' Principi del secolo, i quali per timore
ch'essi aveano delle censure, per tema di non essere deposti, ed
assoluti i loro vassalli da' giuramenti, non si curavano dipendere dal
loro arbitrio, e riconoscere in essi tanta autorità, per non vedere in
sedizioni e ruine sconvolti i loro Stati, atterriti dall'esempio pur
troppo recente dell'Imperador Errico, che avea veduto ardere di crudel
guerra la Germania, perch'ebbe poco amico Gregorio.


CAPITOLO VI.
_Conquiste del Duca ROBERTO in Oriente: sua morte, seguita poco da poi
da quella di GREGORIO VII._

Mentre che Roberto impiegava con tanta utilità le sue armi in Italia in
servigio della Sede Appostolica; veniva dall'altra parte ricompensato
di molti successi felici, che l'illustre Boemondo suo figliuolo si
proccurava in Oriente. Questo valoroso Campione nell'istesso tempo che
suo padre ebbe la gloria di fugare in Roma l'Imperador d'Occidente,
venendo a battaglia con Alessio Comneno, ebbe anche la gloria di fugare
in Bulgaria l'Imperadore d'Oriente.
La novella ch'ebbe Roberto di questa vittoria riportata da Boemondo
sopra l'Imperadore Alessio, l'invogliò a passare di bel nuovo in
Oriente per compiere ciò che suo figliuolo, vi avea sì felicemente
incominciato. Egli dopo aver dati providi ordini a' suoi Ufficiali
per lo governo di questi Stati che lasciava in Italia, si mise in
mare con una flotta considerabile, portando seco l'altro figliuolo
Ruggiero, e molti altri Baroni principali; ed andò ad incontrare la
flotta dei Greci, che era di forze non inferiore alla sua, essendosi
unita a quella de' Veneziani infra l'isole di Corfù e di Cefalonia.
Si combattè con tanto valore, che i Greci invece di stargli a fronte,
si diedero alla fuga, e lasciarono la flotta de' Veneziani affatto
sola: allora i Normanni mandate a fondo molte galere, dissiparono
l'armata nemica, e facendovi più di duemila e cinquecento prigionieri,
trionfarono questa seconda volta de' loro nemici in Oriente[331]. Ma
per una grave corruzione d'aria accaduta in quell'orrido inverno, che
obbligò far riposare le sue truppe, s'attaccò nell'armata un'infermità
così contagiosa, che menò a morte più di diecimila persone, e la più
bella parte di quella: Boemondo ne fu sì violentemente attaccato,
che non si trovò altro rimedio, che di farlo ripassar in Italia per
prendere un'aria migliore: e vi è chi scrisse[332], che questa malattia
di Boemondo fosse stato effetto della malvagia volontà di Sigelgaita
sua madrigna, la quale avea risoluto farlo morire, temendo che questo
Principe non togliesse a Ruggiero suo proprio figliuolo, dopo la morte
del Duca, i Stati di Puglia e di Calabria. Non si sono trattenuti
ancora di dire, che Sigelgaita, essendosi scoverta tanta enormità
dal Duca suo marito, per sospetto che avea, che il Duca se ne fosse
vendicato, avesse disegnato ancora d'avvelenarlo, e che l'anno seguente
avendolo eseguito, se ne fosse fuggita col suo figliuolo Ruggiero, e
con gli altri Signori ch'erano del suo partito, per mettere in possesso
Ruggiero degli Stati d'Italia in pregiudizio di Boemondo. Checchè
ne sia (poichè gli Autori, che hanno scritto nel tempo, e nel paese
stesso, ove regnavano i Normanni, rapportano cose affatto contrarie
della Duchessa Sigelgaita) da poi che Boemondo fu partito, il Duca
inviò il suo secondogenito Ruggiero ad assediar Cefalonia, ch'erasi
poc'anzi da lui ribellata.
Ma ecco, mentre questo invitto Eroe era tutto intento a quell'impresa,
assalito il Duca nel mese di luglio da una febbre ardente fu costretto
per curarsene a ritirarsi in Casopoli, picciol castello posto nel
promontorio dell'isola di Corfù. Vi accorse immantenente Sigelgaita, ma
intanto l'ardore della febbre era divenuto sì violento, che ben tosto
nell'età sua di 60 anni lo privò di vita.
Sarà quest'anno 1085 sempre al Mondo memorando per l'infelice e
luttuosa morte di quest'Eroe, e di due altri gran personaggi d'Europa.
Fu infausto per i Normanni per la grave perdita di Roberto Guiscardo.
Fu luttuoso per la Chiesa di Roma per la morte del famoso Ildebrando.
E fu deplorabile per la Gran Brettagna per la perdita del celebre
Guglielmo il Conquistatore Duca di Normannia, e Re d'Inghilterra[333].
La morte di Roberto sparsa fra le truppe normanne in Oriente, pose
in tale costernazione l'armata, che non s'attendeva ad altro che a
piangerlo; onde Sigelgaita ed il suo figliuolo Ruggiero s'affrettarono
a portar il corpo del Duca in Italia. Giunti in Otranto, s'accorsero,
che già cominciava a putrefarsi, il che fece risolvergli a lasciar
in quella città il cuore e l'interiora, e dopo aver di bel nuovo
imbalsamato il resto del corpo, lo trasportarono in Venosa, luogo
della sepoltura degli altri Principi normanni. La città di Venosa,
secondo che rapporta Guglielmo Pugliese[334] (il quale qui termina i
cinque libri del suo Poema latino) non meno per li natali d'Orazio,
che per serbare le tombe di tanti illustri Capitani, deve andarne
altiera e superba sopra tutte l'altre città della Puglia. Quivi ancora
riposano oggi giorno le ceneri di questo Eroe, che meritamente lo
possiamo soprannominare il _Conquistatore_. Egli non ha dovuto che
al suo valore ed alla sua industria il vantaggio d'esser passato da
semplice Gentiluomo al numero de' Sovrani e d'un Sovrano il più temuto
d'Europa, capace non solo ad imprendere contro i Principi più potenti
del Mondo del suo tempo, ma ancora di vincergli, e di dar loro legge.
Le virtù sue e le sue perfezioni del corpo e dell'animo furono così
ammirabili, che i suoi più grandi inimici, come fu la Principessa
Anna Comnena, ancorchè secondo il solito fasto dei Greci parlasse
con disprezzo de' suoi natali, non è però che non l'attribuisca tutte
quelle eminenti qualità, che si richiedono por acquistare il titolo
di _Conquistatore_. E quantunque queste sue grandi azioni andassero
accompagnate da soverchia ambizione di dominare, che sovente l'obbligò
ad usar crudeltà e dissimulazioni, questi son soliti difetti, da' quali
niun Conquistatore al Mondo ne fu, o ne potè esser lontano. Del resto
egli colla sua pietà verso la religion cristiana, colli considerabili
ajuti che prestò alla Chiesa romana, colla munificenza che praticò
con molte Chiese, e singolarmente col monastero Cassinense, seppe ben
coprire appresso il volgo questi difetti, che per altra parte venivan
difesi appresso gli uomini di Mondo colle massime dell'umana politica.
Regnò Roberto sotto il nome di Conte di Puglia e di Calabria quattro
anni; sotto quello di Duca dodici; e quattordici sotto nome di Duca di
Puglia, Calabria, di Sicilia, e di Signor di Palermo. Visse in Italia
dal 1047 insino al 1085 anni trentanove; e lasciò da due mogli due
figliuoli maschi. Alcuni rapportano, che perchè tra' suoi figliuoli
non si disputasse della successione de' Stati che lasciava, avesse
nel suo testamento lasciata la Sicilia a Ruggiero suo fratello, della
quale già in vita ne l'avea investito con titolo di Conte. A Boemondo
suo primogenito tutto ciò che avea conquistato nell'Oriente. Ed al
secondogenito Ruggiero natogli da Sigelgaita il Ducato di Calabria, il
Principato di Salerno, e tutto ciò che possedeva in Italia. Rapportano
ancora, che intanto avesse trattato meglio il secondo figliuolo del
primo, così perchè nel far questo suo testamento si trovò presente
Sigelgaita, che proccurò gli avanzi di suo figliuolo, posponendo
il figliastro, come perch'essendo nato Boemondo dalla prima moglie,
ch'egli suppose non esser legittima, per esser sua parente, riputava
esser meglio nato Ruggiero, che Boemondo, e perciò antepose questi
a quello. Ma, o che non avesse egli fatto testamento, come alcuni
ne dubitano, o che questi suoi figliuoli non fossero contenti di
quello; Ruggiero e Boemondo pretendevano ugualmente di succedere, ed
ebbe ciascuno considerabili fazioni. Ma l'accortezza di Sigelgaita,
impegnando a favor del proprio figliuolo Ruggiero Conte di Sicilia
suo zio, fece che il partito di costui restasse il più forte; onde
succeduto al Ducato di Puglia e di Calabria, ed a tutti gli altri Stati
d'Italia conquistati da Guiscardo, cominciò egli ad amministrare queste
province[335]. Ed avendo in oltre Ruggiero Conte di Sicilia mantenuto
con esso lui più strette alleanze, che con Boemondo, per affezionarselo
di vantaggio, gli cedette ancora molte Piazze della Calabria, che il
Duca Guiscardo avea al Conte di Sicilia riserbate. Così dichiaratosi
manifestamente il Conte del partito di Ruggiero, in tutte le occasioni
s'affaticò di sostenerlo contro gli sforzi di Boemondo, il quale spesse
volte, ma sempre inutilmente, tentò di sturbare i suoi Stati.
Fu memorabile ancora quest'anno 1085 per la morte accaduta in Salerno
del famoso Ildebrando: morte per la Chiesa romana pur troppo luttuosa
e deplorabile. Ella perdette un Papa il più forte ed intrepido di
quanti mai ne fiorirono in tutti i secoli: egli non si curava punto
d'esporsi a' più evidenti pericoli, ove vi correva il rischio della
sua stima, e sovente della libertà, per difendere contro i maggiori
Re della Terra, e Monarchi del Mondo quelle prerogative e preminenze
ch'e' riputava appartenersi alla Sede Appostolica; e persuaso che
tutto ciò, ch'intraprendeva fosse appoggiato a fondamenti giustissimi,
rendevasi per ciò più animoso e forte sopra i Principi stessi. Egli fu
che alzando il suo pastorale sopra scettri e Corone, come se l'esser
Capo della Chiesa universale, portasse ancora con se esser Monarca del
Mondo, e Re de' Re, ed Imperadore degl'Imperadori, trattava i Principi
e gl'Imperadori stessi con tanto strapazzo ed alterigia, che non si
ritenne di scomunicargli, di deporgli da' loro Stati, trasferirgli in
altre Nazioni, e sciorre i vassalli dalla loro ubbidienza.
E mostrando esser persuaso di poterlo fare, nè moversi se non per
zelo di giustizia, e per difesa della Sede Appostolica, acquistò
appresso molti gran plauso di zelante e di pio, di uomo ripieno di
religione, giusto, dotto Canonista, e buon Teologo, e difensore
intrepido de' diritti e libertà ecclesiastiche. Alle quali cose
aggiungendo alcune altre virtù, delle quali era adorno, come d'una
vita austera, e d'indefessa applicazione agl'interessi di quella Sede,
d'un animo misericordioso verso i poveri, di prender la difesa degli
oppressi, e di proteggere gl'innocenti, acquistonne fama di Santo;
tanto che sebbene avesse di se lasciata presso alcuni Scrittori suoi
contemporanei fama diversa, dandogli alcuni il titolo di novatore,
d'ambizioso, di crudele, senza fede, altiero, di perturbatore de'
Regni e di province, d'autor di sedizioni, di morti e di crudeli
guerre, e d'aver voluto stabilire un dominio insoffribile nella
Chiesa, tanto sopra lo spirituale, quanto sopra il temporale; non sono
mancati però altri, secondo che le fazioni portavano, di averlo per un
Pontefice tutto zelo per il servizio di Dio, tutto saggio, tutto pio
e misericordioso: e che avendo con rara unione insieme accoppiato alla
santità de' costumi la fortezza e l'intrepidezza d'animo, sopra tutti i
Principi della terra, abbia trovato negli ultimi nostri tempi chi[336]
l'abbia dato il soprannome di Grande, non altrimente di ciò che fu
appellato Gregorio I, detto Magno. Ma niun altro più meglio, e più al
vivo ci diede il ritratto di questo Pontefice, quanto quel giudizioso
dipintore che lo dipinse nella Chiesa di S. Severino di Napoli.
Vedesi quivi l'immagine di questo Papa, tra le altre de' Pontefici
dell'Ordine di S. Benedetto, avere nella sinistra mano il pastorale
co' pesci, nella destra, alzata in atto di percotere, una terribile
scuriada, e sotto i piedi scettri e Corone imperiali e regali, in atto
di flagellargli. E dopo avere così mostrato essere stato Gregorio il
terrore, ed il flagello de' Principi, e calpestare scettri e Corone,
volendo ancora far vedere, che tutto ciò poteva ben accoppiarsi colla
santità e mondezza de' suoi costumi, sopra il suo capo scrisse in
lettere cubitali queste parole: _Sanctus Gregorius VII_.


CAPITOLO VII.
_BOEMONDO travaglia gli Stati di suo fratello; Amalfi e Capua si
sollevano; ed origine delle Crociate._

La morte di Gregorio portò disordini grandissimi alla Chiesa di Roma,
poichè imbarazzati i Romani nell'elezione del successore, a cagion
che l'Antipapa Gilberto s'era impadronito d'alcune chiese di Roma,
e voleva farsi riconoscere per legittimo Papa: finalmente dopo un
anno si determinarono eleggere per successore Desiderio celebre Abate
Cassinense, secondo ciò che Ildebrando istesso avea consigliato che
dovendosi ricercare per li bisogni della Chiesa un Papa, che avesse
mano co' Principi del Mondo, non s'appartassero da Desiderio. Ma questi
s'oppose in maniera, e con tal resistenza, che finalmente quasi per
forza, e suo malgrado lo acclamarono Papa sotto il nome di _Vittore
III_. Ma repugnando egli ostinatamente, fu di mestieri che si ragunasse
in Capua un Concilio, ove furono anche invitati i Principi normanni,
perchè s'impiegassero a far accettare il Ponteficato a Desiderio. Fu
in quest'occasione l'opra di Ruggiero Duca di Puglia così efficace,
che ridusselo ad accettare; e condottolo in Roma, tolsero a forza
a Gilberto la chiesa di S. Pietro, e fecero ordinar Vittore. Ugone
Vescovo di Die Legato di Gregorio VII e promosso all'Arcivescovado
di Lione, pretendeva parimente il Ponteficato; e fu uno di coloro,
che più fortemente si opposero all'ordinazion di Vittore. I Romani
del partito di Gilberto si posero di nuovo in possesso della chiesa
di S. Pietro, e dopo molti atti di ostilità, Vittore fu costretto a
ritirarsi nel suo monastero di Monte Cassino, del quale uscì nel mese
d'agosto per tenere un Concilio in Benevento, composto di Vescovi della
Puglia e della Calabria, nel quale fece un discorso contro Gilberto,
e di nuovo scomunicollo. Vi scomunicò parimente l'Arcivescovo di
Lione, e 'l Vescovo di Marsiglia, e vi rinovò i divieti di ricevere
le _Investiture_ de' beneficj per le mani de' Laici. Ma nel tempo, in
cui tenevasi questo Concilio, Vittore infermossi, il che l'obbligò a
tornarsene in fretta a Monte Cassino, dove morì il dì 16 di settembre
di questo anno 1087, dopo aver destinato Ottone Vescovo d'Ostia per suo
successore.
Ricadde per tanto per la morte di Vittore di bel nuovo la Chiesa romana
in angustie per l'elezione del successore; finalmente i Romani elessero
per Papa Ottone, ch'era un Francese di Chastillon della diocesi di
Rems, il quale tolto dal monastero di Clugnì per essere Cardinale, avea
prestata una gran servitù a Gregorio VII, che l'avea inviato Legato
in Alemagna contro Errico. Fu eletto in un'Adunanza di Cardinali e di
Vescovi tenuta in Terracina, e nomato _Urbano II_.
Questo Papa sopra tutti gli altri fu il più ben affezionato a'
Normanni; egli vedendo che Boemondo mal soffriva, che Ruggiero suo
fratello si godesse tanti Stati in Italia, e che ritornato in Otranto
avea mossa per ciò nuova guerra al fratello, si frappose fra loro, e
gli accordò con queste condizioni, che Boemondo, oltre di quello che
possedea, avrebbe di più la città di Maida e di Cosenza, ma da poi
commutarono queste città, ed a Boemondo in cambio di Cosenza si diede
Bari, rimanendo Cosenza al Duca Ruggiero. Portossi in quest'anno 1089
Papa Urbano in Melfi[337] coll'occasione di celebrarvi un Concilio, ove
espose il progetto della gran _Crociata_, e fu conclusa la lega contro
gl'Infedeli: il Duca Ruggiero ivi andò ad onorarlo, e da Urbano fugli
confermata l'_Investitura_, siccome i suoi predecessori aveano fatto a
Roberto di lui padre[338].
Intanto essendogli ribellata Cosenza, il Duca ricorse al Conte di
Sicilia suo zio, il quale tosto la ridusse; ed allora fu che Ruggiero,
riconoscente di tanti beneficj ricevuti dal zio, gli donò la metà della
città di Palermo, ove il Conte d'allora cominciò a farvi innalzare
il castello, che oggi giorno s'appella il Palazzo regio[339]. Così
regnando l'uno Ruggiero in Sicilia, l'altro in Puglia, vennero a
stabilirsi col volger degli anni questi due Regni, che fra lor divisi,
ciascuno colle sue proprie leggi ed istituti, e co' proprj Ufficiali si
governavano.
Il Conte Ruggiero, il quale, per la morte di due suoi figliuoli,
Goffredo e Giordano, erasi renduto padre infelice al Mondo, ebbe, in
quest'anno 1093, la gioja di veder nascere dalla Contessa Adelaida sua
moglie un altro figliuolo, che _Simone_ appellossi: ciò che lo mise in
istato di poter passare più deliberatamente in Calabria per reprimere
un nuovo tumulto, che cominciava a surgere nella sua famiglia.
Il Duca Ruggiero suo nipote avea fatta un'illustre alleanza in
isposandosi Adala nipote di Filippo I, Re di Francia, e figliuola di
Roberto Marchese di Fiandra[340]. Egli n'avea avuti due figliuoli,
Guglielmo e Luigi, che doveano essere suoi successori. Ma essendosi
il Duca non molto tempo da poi ammalato gravemente in Melfi, erasi
sparso ancora rumore che fosse morto. Boemondo che allora dimorava in
Calabria, non aspettò altri riscontri: immantenente prende le armi,
ed invade le terre di suo fratello, protestando nientedimeno, che lo
faceva in favore de' figliuoli del Duca, insino a che fossero in età di
governare. Il Conte di Sicilia, che ebbe questo zelo per sospetto, e
che si sdegnò perchè osasse di dar questi passi senza consigliarnelo,
v'accorse con una potente armata, e subito che vi fu giunto, obbligò
Boemondo a ritirarsi. Intanto il Duca essendosi riavuto con perfetta
salute contro ogni speranza, Boemondo si portò incontanente in Melfi
per dimostrargliene gioja, e per rimettergli tutto il paese, di cui
erasi impadronito, giustificando quanto gli fu possibile la condotta,
ch'egli avea tenuta.
Ma non finirono qui le turbolenze; un'altra assai più pericolosa se
ne scoverse in Amalfi. Il Duca Ruggiero, fidando troppo de' Longobardi
per la considerazione di Sigelgaita sua madre ch'era di questa Nazione,
come quella che fu sorella dell'ultimo Principe di Salerno, non faceva
difficoltà di commettere il governo delle sue Piazze a' Longobardi
stessi, a' quali egli e suo padre l'avean tolte: fra l'altre diedero
Amalfi in guardia de' Comandanti longobardi, i quali vollero ben
tosto profittare de' disordini accaduti poco prima in Cosenza; poichè
applicati il Duca ed il Conte suo zio a reprimere la fellonia de'
Cosentini, essi cacciarono da Amalfi tutti i partegiani del Duca, e
trapassando ad aperta ribellione, ricusarono di ricevere lui medesimo.
Il Duca fortemente irato di tanta fellonia, per ridurre la città, pensò
allettar Boemondo suo fratello, pregandolo a prestargli soccorso,
siccome questo Principe lo fece con tutta la sua milizia, che dalla
Puglia e dalla Calabria teneva raccolta: invitò il Duca anche Ruggiero
Conte di Sicilia a soccorrerlo; ed in fatti in quest'anno 1096 venne
il Conte con ventimila Saraceni, e con infinita moltitudine di altre
Nazioni a porre l'assedio ad Amalfi[341]. La Piazza fu investita
da questi tre Principi con tutte le loro forze, e l'assedio fu così
stretto, che se non fosse stata l'impresa attraversata da congiunture
assai strane, certamente Amalfi si sarebbe resa.
Ciò che l'obbligò a scioglier l'assedio fu una nuova impresa che si
offerse a Boemondo ed a' suoi soldati, i quali scordatisi dell'impegno
nel quale erano, in un subito si voltarono altrove. Fu ciò la
pubblicazione delle prime _Crociate_, l'invenzion delle quali devesi
ad Urbano II primo lor autore[342]. Questi nell'anno 1095 avendo
ragunato in Francia nella città di Chiaramonte un Concilio, animò tutti
i Principi d'Europa all'impresa di Terrasanta, e fu tanto l'ardore
di questi Principi, stimolati anche dal solitario Pietro, che posero,
per accingersi a sì gloriosa impresa, in iscompiglio tutta l'Europa;
ma sopra tutte le altre province, l'Italia e la Francia abbondò di
gente, che anelavano di farsi crocesignare, e di prender l'armi per
quest'espedizione. S'armarono il Grande Ugone fratello di Filippo I,
Re di Francia, Roberto Duca di Normannia. Goffredo Buglione Duca di
Lorena, ed i Conti di Fiandra e di Tolosa. Ma fra i nostri Principi
normanni, Boemondo col suo nipote _Tancredi_ figliuolo del Duca
Ruggiero natogli da Alberada sua prima moglie, come scrivono Pirri ed
il Summonte (poichè Orderico Vitale[343], e l'Abate della Noce[344]
portano Tancredi figliuolo d'una sorella di Boemondo) furono i più
accesi per quest'impresa. Boemondo, sia stato vero zelo o dolore di non
essere abbastanza distinto in Italia, ovvero per disegno di continuare
le conquiste che avea cominciato con suo padre in Oriente, immantenente
lasciato l'assedio d'Amalfi, si mise la Croce rossa sopra i suoi
abiti, e fattosi recare dei mantelli di porpora, con gran apparecchio
in minuti pezzi dividendogli, ne segnò anche i suoi soldati. Il suo
esemplo, e la cura che si prendeva a promovere questa sua divozione,
fece sì che a lui ed a Tancredi si unisse un gran numero di gente per
seguirgli in quest'impresa. Furon seguiti sopra tutti gli altri da
molti Pugliesi, Calabresi, Siciliani, e d'altre regioni d'Italia, tanto
che tosto ne fu composta una grossa armata, e fecegli giurare con esso
lui sul campo di non fare niuna guerra contra de' Cristiani infino,
che non si fosse conquistato il paese degl'Infedeli. Il Duca Ruggiero,
il quale si vide così ad un tratto abbandonato in Amalfi, e che la
nuova Crociata gli avea tolta la più bella parte delle sue truppe,
fu necessitato con gran rammarico e indignazione contra Boemondo, col
quale non valsero rimproveri nè scongiuri, coprendosi sotto il manto
della religione, e del zelo, a togliere l'assedio per avanzato che
si fosse. Il Conte Ruggiero vedutosi ancora abbandonato da' suoi,
non potendogli impedirgli per un'espedizione così speziosa, s'ebbe
pazienza, e pien di mestizia tornossene in Sicilia[345]. All'incontro
Boemondo e Tancredi messisi alla testa de' loro Pugliesi e Calabresi,
e d'infinito numero d'altre Nazioni, imbarcatisi in Bari cominciarono
a navigare verso Oriente. Il nostro incomparabile Torquato nel suo
divino poema, valendosi di quella licenza a' Poeti concessa, fa
Tancredi Capitano di ottocento uomini a cavallo, che finge aver seco
condotti dalla Campagna felice presso Napoli; ma in questi tempi nè a
Boemondo, nè a Tancredi ubbidiva questa regione; tanto è lontano che
quindi avesse potuto raccorgli. La Campagna felice in gran sua parte
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