Istoria civile del Regno di Napoli, v. 3 - 13

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è certo, che si eseguì il trattato fedelissimamente da una parte e
dall'altra; e Roberto prestò il giuramento di fedeltà, che il Baronio
dice aver egli trovato nel Codice del Vaticano detto _Liber censuum_,
ove vien riferita la formola, colla quale il Duca Roberto giurò al
Papa fedeltà, che comincia: _Ego Robertus Dei gratia, et S. Petri Dux
Apuliae, et Calabriae, atque utroque subveniente futurus Siciliae_.
Nota il Sigonio, che il Papa non il confermò Duca colla cerimonia
francese usata da' Duchi di Normannia, e di sopra rapportata, cioè con
dargli l'anello nel dito, il berrettino in testa, e col cingergli la
spada al fianco: ma colla cerimonia italiana, dandogli lo Stendardo
nella destra, e facendolo Gonfaloniero di S. Chiesa; onde Guiscardo da
quest'anno cominciò a valersi di questo titolo Ducale: _Dux Apuliae,
Calabriae, et futurus Siciliae_.
Alcuni anche rapportano, che Roberto allora avesse restituita a Papa
Niccolò la città di Benevento, e la città di Troja; ma lo dicono
senz'alcun fondamento di verità; poichè in questi tempi la città
di Benevento era in potere di Landolfo Principe di Benevento, e
di suo figliuolo Pandolfo, i quali erano stati già restituiti nel
loro Principato, come rapporta l'Autore contemporaneo della Cronaca
de' Duchi e Principi di Benevento; nè se non molto tempo da poi fu
alla Chiesa romana, per le ragioni, che vi pretendeva, da Roberto
restituita, quando, vinti ch'ebbe i Principi longobardi, che tennero
quel Principato, gli cacciò da' loro Stati, come diremo più innanzi.
Nè della città di Troja presso gravi e vecchi Scrittori si ha memoria
alcuna, che si fosse al Papa restituita, non costando come mai
v'avessero potuto avere diritto alcuno, quando poc'anni da poi, che
fu da' Greci edificata, fu a' medesimi tolta dai Normanni; e par che i
successi, e quel che anche oggi giorno veggiamo, confermino quanto si
dice, poichè solamente Benevento si vede essere della Chiesa romana, ma
di Troja non si legge, che fosse stata in alcun tempo sotto il di lei
dominio.
Ecco il fondamento del diritto, che pretendono i Pontefici romani sopra
i Reami di Napoli e di Sicilia: fondamento ancorchè a questi tempi
debole e vacillante, nulladimanco in progresso di tempo renduto più
fermo e stabile, potè per l'accortezza de' successori di Niccolò II
sostenere fabbriche sì grandi ed eccelse, che arrivarono a disporre di
questi Regni a lor piacere ed arbitrio, ed a trasferirgli di gente in
gente, come s'osserverà nel corso di quest'Istoria.
Essi deono questo benefizio e questa parte sì considerabile della
loro grandezza temporale a' Normanni, i quali per impegnarli nella
loro difesa, o particolarmente contro gl'Imperadori d'Oriente, i
quali potevano pretendere, che una gran parte di ciò di che questi
conquistatori s'erano impadroniti, loro s'appartenesse; ovvero che la
tenessero da quei d'Occidente in Feudo, da chi n'aveano prima ricevute
l'investiture: essi non fecero punto di difficoltà di dichiararsi
ligi de' Pontefici romani, a fin che loro non si potesse far guerra
senz'esporsi a' fulmini della Chiesa.
Questi furono i primi semi, che coltivati da poi da esperte mani,
posero col correre degli anni radici così profonde, ed inalzarono
piante così eccelse, che finalmente fu riputato il Regno di Sicilia
essere spezial patrimonio di S. Pietro, e Feudo della Sede Appostolica
romana. Quindi nacque, che presso i nostri Scrittori fosse stato
creduto, che la Chiesa romana come suo patrimonio n'avesse investito
i Normanni, chi allegando perciò la donazione di Costantino M.,
e chi quella di Pipino e di Carlo M., e chi le donazioni degli
altri Imperadori d'Occidente. Vissero costoro in queste tenebre per
l'ignoranza dell'istoria, infino che Marino Freccia[282] non cominciò
fra' nostri ad aprir gli occhi, ed a ricever lume dall'istoria, con
iscoprire l'inganno, e ad avvertire che queste investiture non possono
fondarsi in altro che nella consuetudine, in vigor della quale la
Chiesa romana è stata solita investire. E parlando di quest'investitura
di Niccolò II e dell'altre seguite in appresso, non ebbe difficoltà
di dire: _Ecclesia non dedit, sed accepit: non transtulit, sed ab alio
occupatum recepit_; compassionando il suo affine Matteo d'Afflitto, che
scrisse aver Costantino M. donato questo regno alla Chiesa, con dire,
_affinis meus hìstoricus non est, auditu percepit, etc._
Questa prima investitura, perciò che riguarda la persona di Roberto,
non abbracciava altro che il Ducato di Puglia e di Calabria, come cantò
il nostro Guglielmo Pugliese[283]:
_Robertum donat Nicolaus honore Ducali,_
_Unde sibi Calaber concessus, et Appulus omnis._
E per Riccardo abbracciava solamente il Principato di Capua. Ma v'erano
semi tali, che ben poteva comprendersi, che il medesimo si sarebbe
fatto per tutte le altre province, che insino a questo tempo non erano
ancora passate sotto la dominazione de' Normanni: fu investito Roberto
anche della Sicilia, che dovea ancora togliersi a' Greci ed a' Saraceni
che la tenevano invasa. L'istesso certamente dovea credersi del
Principato di Salerno, dell'altro di Benevento, d'Amalfi, di Napoli,
di Bari, di Gaeta, e di tutto ciò che oggi compone il Regno, siccome
l'esito lo comprovò; perchè conquistati che furono da' Normanni, e
discacciati interamente i Greci ed i Principi longobardi, vollero anche
da' Pontefici esserne investiti, i quali di buon gusto lo facevano,
niente a lor costando, anzi il vantaggio era per essi assai maggiore,
che di coloro che lo desideravano.
I Normanni all'incontro non molto si curavano di farlo, perchè oltre
que' vantaggi, che si sono poc'anzi notati, essi per allora niente
di danno ne sentivano; poichè toltane quella piccola ricognizione del
censo, appresso loro rimanevano le supreme regalie, governando i loro
Stati con assoluto e libero imperio, come supremi ed indipendenti,
e si riputavano piuttosto tributarj della Sede Appostolica, che veri
Feudatarj; poichè in questi tempi l'essere uomo _ligio_, non era preso
in quel senso, che ora si prende presso i nostri Feudisti, ma denotava
una sorta di confederazione, e _lega_ che l'inferiore con astringersi
a giurargli fedeltà, prometteva al superiore di soccorrerlo in guerra,
ovvero pagargli ogni anno certo tributo o censo[284]. Ciò che tra'
Principi istessi era solito praticarsi, siccome fece Roberto Conte di
Namur con Odoardo III Re d'Inghilterra[285], il Duca Gueldrio con Carlo
Re di Francia, ed in fra di loro Filippo di Valois Re di Francia, ed
Alfonso Re di Castiglia[286].
Co' Pontefici romani per le cagioni di sopra rapportate era più
frequente il costume. I Re d'Inghilterra s'obbligarono alla Sede
appostolica pagare il tributo, il quale sopra quel Regno sino a' tempi
d'Errico VIII fu esatto, chiamato il denaro di S. Pietro; anzi non vi
fu quasi Principe d'Europa, che non sottoponessero a tributo i loro
Regni alla Chiesa romana; tanto che Cujacio parlando di questo costume
renduto a questi tempi frequentissimo, ebbe a dire, _et qui non Reges
olim_? I Pontefici romani in questi principj si contentavano del solo
censo per render soave il giogo, ma tanto bastò, che in decorso di
tempo potessero per la loro accortezza aprirsi il campo a pretensioni
maggiori, come lo seppero ben fare nell'opportunità, che si noteranno
più innanzi nel decorso di questa Istoria.


CAPITOLO I.
_Il Ducato di Bari passa sotto la dominazione de' Normanni._

Terminato in Melfi in cotal guisa il Congresso con soddisfazione
d'amendue le parti, il Papa tornossene in Roma, e Roberto in Calabria,
per finir di ridurre alcune altre Piazze, che erano ancor rimase in
potere de' Greci. Tosto se ne rese padrone; e scorgendo che il Conte
Ruggiero suo fratello in quell'imprese s'era portato con estraordinaria
fortezza e valore, lasciò il medesimo in Calabria per finire quel che
restava, come fece valorosamente, ed egli intanto in Puglia ritornato,
pensò nuovi modi per istabilirsi meglio le conquiste, e nell'istesso
tempo aprirsi altre vie per maggiori acquisti.
Pensò per tanto d'acquistarsi alleanze e parentadi co' Principi
longobardi, ed avendo scorto, che il Principe di Salerno per tanti
Stati s'era sopra tutti gli altri avanzato, mandò Ambasciadori
a Gisulfo II, che a Guaimaro IV suo padre era in quel Principato
succeduto, a chiedergli la sorella per isposa. Il partito se bene
non dovea rifiutarsi da Gisulfo, pure vi trovava qualche difficoltà,
così perchè conoscendo il genio della Nazione, che pur troppo sapeva
profittare sopra i Stati altrui, temeva non por questo parentado
gli venisse qualche danno, come ancora perchè nell'istesso tempo che
Roberto gli chiedeva sua sorella, egli avea Alverada per moglie, dalla
quale avea generato il famoso Boemondo. Ma replicando egli che aveala
ripudiata, e credeva averlo potuto fare per essere sua parente, al
che allora si stimava non potersi rimediare colle dispense del Papa,
le quali non erano così frequenti: per non disgustarsi con lui sì
apertamente, Gisulfo non osò di rifiutarlo; laonde diegli in maritaggio
la primogenita delle sue sorelle appellata Sicelgaita[287]. E nel
medesimo tempo sposò un'altra sua sorella minore, Gaidelgrima nomata,
ad un altro Principe normanno, dandole in dote Nola, Marigliano Palma,
Sarno, ed altri luoghi convicini, i quali non furon mai sottoposti a'
Principi di Capua, ma a' Principi di Salerno[288]. Questi fu Giordano
I figliuolo di Riccardo Conte d'Aversa, il quale dopo aver tolto a
Landolfo ultimo de' Principi longobardi il Principato di Capua, ne
avea fatto Principe Giordano suo figliuolo. Avealo ancora fatto Duca
di Gaeta, come lui; non è però che Gaeta non avesse anche sotto questi
due Principi i suoi Duchi particolari; ebbe Goffredo, ovvero Loffredo
Ridello nell'anno 1072 ed altri; ma si diceano così, non altrimente,
che si disse Pandulfo Conte di Capua, al quale Giovanni VIII l'avea
conceduta, con tutto che vi fosse Docibile Duca, che a Pandolfo era
sottoposto, sicom'era ora Goffredo ai Principi di Capua normanni.
Roberto intanto facendo ritorno in Calabria con questa novella sposa,
s'accinse alla magnanima impresa della Sicilia[289], e dopo aver quivi
col suo fratello Roggiero fatte molte conquiste, che si diranno in più
opportuno luogo, in Calabria fece ritorno; e poichè i Greci ancora si
mantenevano in Bari, in Otranto, ed in alcune altre Piazze dell'antica
Calabria, a discacciargli da quest'angolo, e principalmente da Bari,
ove tenevano raccolte tutte le loro forze, drizzò tutte le sue cure ed
ogni suo pensiero.
Ma pria che s'accingesse a quest'impresa bisognò che dissipasse una
nuova congiura, che Goffredo e Gocelino principali Cavalieri normanni,
col pretesto di riporre Bacelardo figliuolo d'Umfredo nel Contado di
Puglia, del quale n'era stato spogliato da Roberto, aveano ordita.
Tosto che questo valoroso Campione n'ebbe notizia, dissipò in maniera
i Congiurati, che molti ne imprigionò, e fece punire con estremo
rigore, disperdendo il resto: Gocelino per asilo si ritirò appo
de' Greci in Costantinopoli; Goffredo in una fortezza; e l'infelice
Principe Bacelardo salvossi in Bari, donde dopo alcun tempo portossi in
Costantinopoli a dimandar soccorso all'Imperadore Costantino Duca, che
nell'anno 1060 ad Isaacio era succeduto, per impegnarlo contro Roberto
a riporlo ne' suoi Stati.
Erasi mantenuta la città di Bari insino a questi tempi sotto la
dominazione degl'Imperadori d'Oriente, e come capo di quella provincia
riteneva ancora la sede de' primi Magistrati greci; anzi in questi
tempi gl'Imperadori di Costantinopoli l'aveano innalzata ad esser
metropoli d'un nuovo Principato, che di Bari fu detto, ed era prima
chiamato Ducato, poichè vi aveano costituito Argiro per Duca, ed anche
secondo il solito fasto de' Greci, Ducato d'Italia lo appellarono. In
questa città essi tenevano raccolte tutte le loro forze, ed il maggior
loro presidio; per la qual cosa per molti anni era stata la sorgiva
delle sedizioni contra i Principi normanni, ed un asilo sicuro per
li sediziosi: il che fece meditar per lungo tempo al Duca Roberto il
disegno d'assediarla.
Ma avvisati appena i Baresi de' disegni di questo Principe, ne
mandarono tosto la novella in Costantinopoli all'Imperadore, il quale
stimolato anche da Gocelino, mandò tosto per difesa della città un
nuovo Catapano, Stefano Paterano, ovvero Sebastoforo nomato. Questi
venuto in Bari si dispose ad una forte difesa, ed intanto Roberto
avendo unito il suo esercito, non reputandolo allora sufficiente per
l'assedio di quella capitale, andava scorrendo i luoghi vicini, e
prima di portarlo in Bari, lo mise in Otranto, e tanto afflisse questa
città insino che gli venne resa[290]: indi avendo fatto venire molti
vascelli dalla Calabria, accresciuto il suo esercito d'altre truppe,
si dispose finalmente in quest'anno 1067 a cingere Bari di stretto
assedio per mare e per terra[291]. Fu quest'assedio assai memorabile,
e pieno d'azioni gloriose così per l'una, come per l'altra parte, che
l'istituto della mia opera mi costringe a doverle tralasciare, come fo
volentieri, non mancando Scrittori, che minutamente le rapportano[292].
Durò quest'assedio, come narrano Guglielmo Pugliese[293] e Lione
Ostiense[294], poco meno che quattro anni, e fu guerreggiato con
estremo valore ed ugual ferocia. La difesa che fece il nuovo Catapano
fu ostinata e valorosa, siccome gli aggressori intraprendenti ed
arditi; ed avrebbe l'impresa de' Normanni sortito infelice esito, se
non fosse stata soccorsa l'armata di Roberto da Roggiero suo fratello,
il quale resosi padrone di buona parte della Sicilia, mandogli di là
un'altra armata in soccorso. Vinse alla perfine Roberto l'ostinazione
degli assediati, e gli constrinse a render quella importantissima
Piazza; onde nel mese d'aprile dell'anno 1070 gli furono aperte le
porte, dandosi senz'alcuna condizione in potere della sua clemenza
e valore[295]: il Duca Roberto entrato nella città, trattò i Baresi
con tutta umanità: onorò il Catapano, al quale pose in suo arbitrio
se volesse coi suoi Greci rimaner in Bari, che sarebbero stati da lui
bene impiegati, ovvero tornarsene liberi in Costantinopoli, siccome
risolvettero di fare; e dopo essersi fermato per molti giorni nella
città spendendogli in pubbliche feste ed allegrezze, se ne partì dopo
tre mesi con un'armata di 58 vascelli, che condusse seco in Sicilia
all'espugnazione di Palermo[296].
Ecco come il famoso Roberto trionfò di Bari, città la quale dopo
essersi mantenuta sì lungamente sotto il dominio de' Greci, e per varie
vicende ora tolta, ed ora ripresa, finalmente in quest'ultima volta
uscì dalla loro dominazione, e con essa la speranza di più riaverla;
poichè senz'essere mai più ritornata in lor potere, ancorchè altre
volte avessero tentato di ricuperarla, ma sempre inutilmente, si
mantenne sotto il dominio di Roberto, che la tramandò a' suoi posteri.
Ed ecco come il Ducato di Bari da' Greci passò a' Normanni sotto
Roberto, il quale per amministrarlo vi creò un nuovo Duca, sotto il
quale si reggeva. Così tratto tratto s'andavan unendo queste province
in una sola persona, come poi fortunatamente avvenne al Conte Roggiero,
ch'ebbe la gloria di porre unita sopra il suo capo la Corona di Sicilia
e del Regno di Puglia.


CAPITOLO II.
_Conquiste de' Normanni sopra la Sicilia._

Intanto essendo accaduta in Firenze nell'anno 1061 ne' principj di
luglio la morte di Papa Niccolò II, che per due anni e mezzo tenne
il Ponteficato[297], insorsero in Roma i soliti disordini e tumulti
per l'elezione del successore. Il famoso Ildebrando per sedargli,
unitosi co' Cardinali e con la Nobiltà romana, dopo tre mesi, elessero
finalmente il Vescovo di Lucca di patria milanese, che Alessandro
II appellossi. Nell'elezione non vi fecero aver parte alcuna
all'Imperadore, il quale perciò fortemente sdegnato, fece eleggere il
Vescovo di Parma suo Cancelliero per Papa, che Onorio II chiamarono per
opporlo ad Alessandro; e non bastandogli questo, lo mandò in Roma con
molte truppe per discacciarne il suo Competitore. Cominciarono quindi
le discordie tra i Pontefici romani, e gl'Imperadori d'Occidente a
prorompere in manifeste guerre e fazioni, e ciascheduno si studiava
d'ingrossare il suo partito. Nè mancarono dalla parte dell'Imperadore
gl'istessi maggiori Prelati della Chiesa, e' più insigni Teologi di
quell'età, che sostenessero la sua causa; ma contro tutti questi con
inaudita arditezza e vigore faceva testa l'intrepido Ildebrando, il
quale, perchè l'Arcivescovo di Colonia avea ripreso Alessandro, che
senza il consenso di Cesare contro ciò ch'erasi dinanzi praticato,
aveva avuto l'ardire di ricevere il Ponteficato: egli con tutto il
vigore ed intrepidezza, gli rispose in faccia, che quella era una
corruttela dannabile e cattiva più tosto, che consuetudine, contro i
canoni della Chiesa; e che nè il Papa, nè i Vescovi, nè i Cardinali,
nè gli Arcidiaconi, nè chi si voglia altro potevan farlo: essere la
Sede Appostolica libera, e non serva: che se Niccolò II l'aveva fatto,
stoltamente portossi, nè per l'umana stoltizia dovea la Chiesa perdere
la sua dignità: che non si sarebbe mai per l'avvenire sofferta tanta
indegnità, che i Re di Alemagna potessero costituir i Pontefici romani.
Crebbero perciò, e maggiormente s'esacerbarono le contenzioni,
ma cresciuto il partito d'Alessandro per la accortezza e vigore
d'Ildebrando, restò depresso quello d'Onorio, il quale in quest'istesso
anno, che s'intruse nel Ponteficato, fu da quello deposto e condennato
nel Concilio di Mantua, ma però non volle mai deporre l'insegne
pontificali.
Nel Ponteficato d'Alessandro II, per l'accordo poco prima fatto col
suo predecessore, non vi furono occasioni di contese tra lui, e'
Principi normanni; anzi Alessandro confermò a Roberto ciò, che gli
avea conceduto Niccolò II, e mandò al Conte Roggiero, nel mentr'era
per accingersi all'impresa di Sicilia, lo stendardo per la conquista
di quella; essendo allor costume, come narra il Baronio[298], che i
Papi quando volevano eccitare alcun Principe cristiano alla conquista
d'un nuovo Regno, di mandargli lo stendardo, dichiarandolo Gonfaloniere
di Santa Chiesa. I Normanni perciò proccuravano i loro vantaggi
nell'istesso tempo, che mostravano avere tutto il rispetto alla Sede
Appostolica; nè mancavano intanto lasciar di loro monumenti di pietà
e di munificenza verso le Chiese, e precisamente verso il monastero
di Monte Cassino, nel quale presidendo l'Abate Desiderio, Riccardo
Principe di Capua gli fece donazioni sì larghe e generose, che narrano
Lione e Pietro Diacono, non essere mai stato miglior tempo e più
accettabile per quei Monaci[299]. Questo Principe, oltre di molti
castelli e luoghi vicini a quel monastero, gli donò il castello dì
Teramo, che per la fellonia del Conte, essendo stato prima _secundum
Longobardorum legem_, com'ei dice nel Diploma riferito dal P. della
Noce[300], aggiudicato al Fisco, passò a quel monastero. Molte altre
Chiese donò al medesimo, essendo allora le Chiese in commercio e fra
l'altre quella di Calena posta nel Gargano vicino la città di Vesti;
poichè secondo la divisione fatta in Melfi, Siponto col Monte Gargano
a Riccardo toccò in sorte. Perciò Desiderio, Abate, ancorchè di sangue
longobardo, s'attaccò ai Normanni e fu loro dipendente, nè molto
curavasi della depressione de' Principi longobardi, ancorchè prima
mostrasse per la sua Nazione contrari sentimenti.
Ma questo Principe Riccardo, sentendo i progressi che i Normanni
della stirpe di Tancredi d'Altavilla, aveano fatto nella Puglia
e nella Calabria, e che ora facevano in Sicilia, imputando a sua
codardia il non corrisponder egli a quel valore, punto da sì acuti
stimoli, non fu contento del Principato di Capua, che avea tolto a
Pandolfo, ma ad imprese più generose e grandi si volle accingere.
Egli pensava profittare delle gravi discordie, che passavano tra
'l Papa e l'Imperador Errico per le cagioni esposte, e per ciò non
ebbe alcuno ritegno d'invadere la Campagna di Roma, e di avvicinarsi
presso Roma istessa per prevenire ad Errico, che intendeva doversi
portare a quella città per ricevere dalle mani del Papa la corona
imperiale[301]. Com'egli fu avvicinato presso Roma, tentò tutti i mezzi
co' Romani, perchè gli dessero il Patriziato, ch'era un sommo onore,
e che soleva precedere all'altro dell'Imperio; ma Errico avendo avuta
tal notizia, non perdè un momento di tempo a calar tosto in Italia con
grand'esercito, portandosi ancora in suo soccorso Goffredo Marchese di
Toscana. I Normanni, conosciutisi di impari forze, furono costretti
abbandonar l'impresa, e ritirarsi dalla Campagna: e dopo alquante
scaramucce, finalmente essendovisi frapposto Papa Alessandro, Riccardo
accordossi con Goffredo, e fece a Capua ritorno.
Il Papa essendo poco da poi stato invitato dall'Abate Desiderio per
consecrar la Chiesa di M. Cassino, da lui magnificamente rifatta, vi si
condusse con Ildebrando e molti Cardinali, ove con solenne cerimonia
e grande apparato, celebrò la funzione, intervenendovi dieci nostri
Arcivescovi, e 43 Vescovi. E per renderla Desiderio più magnifica
v'invitò anche tutti i nostri Principi così normanni, come longobardi
che tenevano allora queste province, come ancora i Duchi di Napoli
e di Sorrento. Vi venne Riccardo Principe di Capua con Giordano suo
figliuolo, e col fratello Rainulfo. Fuvvi Gisulfo Principe di Salerno
co' suoi fratelli: ma ciò che dovrà notarsi al nostro proposito
sarà, che in questa celebrità, come narra Ostiense[302], intervenne
anche Landolfo Principe di Benevento, confermandosi per l'ocular
testimonianza di Lione che vi fu presente e trovavasi Bibliotecario di
Monte Cassino, quel che scrisse l'Anonimo Beneventano nella Cronaca de'
Duchi e Principi di Benevento, che Landolfo fu restituito al Principato
di Benevento, nè se non molto tempo da poi s'estinse il Principato
dei Longobardi, passando la città sotto il Papa ed il resto di quello
sotto i Normanni. V'intervenne ancora Sergio Duca di Sorrento; poichè
Sorrento erasi distaccato dal Ducato di Napoli, al quale prima era
sottoposto, come molto tempo prima avea fatto Amalfi; e questi due
Ducati, essendo Amalfi già passata sotto i Principi di Salerno, in
forma di Repubblica co' loro Duchi e Consoli si governavano ancorchè
dependenti dall'Imperio greco[303]. Furonvi anche i Conti di Marsi, e
molti altri Baroni longobardi e normanni, de' quali fin da questi tempi
era un buon numero in queste province.
Solo il famoso duca Roberto quivi non convenne. Ritrovavasi egli
insieme col Conte Ruggiero suo fratello in Sicilia, ove all'assedio
di Palermo avea rivolti tutti i suoi pensieri e le sue forze.
Quest'isola, che caduta sotto il giogo de' Saraceni, erasi sotto
Maniace, coll'aiuto de' Normanni, restituita in buona parte all'Imperio
d'Oriente, disgustati i Normanni, e succeduti a Maniace Governadori
poco abili, era stata ripigliata di bel nuovo da' Saraceni, i quali
aveano discacciati i Greci da tutte le Piazze, e solo Messina era
loro rimasa; ma alla fine furono costretti nell'anno 1058 anche
abbandonarla, e lasciare tutta quell'isola alla discrezione e balia
di quest'Infedeli. Roberto Guiscardo col suo fratello minore Ruggiero
la invase, e dopo aver soggiogate quasi tutte le sue più principali
città, era solo rimasa Palermo da conquistarsi; Piazza la più forte
e principale dell'isola, ove i Saraceni aveano riposto tutto il loro
presidio; ma l'assedio che vi posero questi due valorosi Campioni fu
così stretto e vigoroso, che non passarono cinque mesi, che furono
obbligati i Saraceni a renderla nelle mani di Roberto, il quale insieme
con Ruggiero entrarono nella città con infinite acclamazioni de'
Popoli. Roberto conquistato ch'ebbe Palermo, per cattivarsi gli animi
de' Saraceni renduti ormai siciliani, diede loro libertà di religione,
facendogli intendere, che stesse in loro libertà, o di farsi Cristiani,
ovvero rimanere nella loro religione maomettana. Allora fu che Roberto
investì[304] di tutta quest'isola Ruggiero suo fratello, creandolo
Conte di Sicilia, colle forze ed egregie virtù del quale aveala
acquistata. Ritenne per se la metà di Palermo, di Valle di Demona e di
Messina; e lasciato in Sicilia suo fratello, in Puglia fece ritorno, ed
in Melfi fermossi[305]. Quindi è che Ruggiero non ricercò investitura
dal Papa, perchè la teneva da Roberto suo fratello.
Così questi due Principi, regnando uno in Puglia col titolo di Duca,
l'altro in Sicilia con titolo di Conte, ponevan terrore a' vicini.
Alcuni, perciò che Roberto investì della Sicilia Ruggiero suo fratello,
han voluto dire, che questi riconoscendo da lui il dominio, ed il
titolo di Conte di Sicilia, quest'isola fosse subordinata a' Duchi
di Puglia; e che il titolo regio ch'ebbe da poi Ruggiero da Anacleto
Antipapa, di Re di Sicilia, confermatogli da Innocenzio II, come
diremo, s'intendesse di questo nostro Regno, che si disse Regno di
Puglia, e non dell'isola di Sicilia[306]. Altri per contrario, come
Inveges[307], dicono, che questo nostro Regno fosse subordinato
all'isola di Sicilia.
Ma da ciò che abbiam narrato, e molto più da quello che saremo per
notare, si conoscerà chiaro, che nè il Regno di Puglia fu subordinato
a quello di Sicilia, nè la Sicilia alla Puglia, avendo avuto ciascuno
sue leggi ed istituiti particolari, ed essendo stati governati da'
proprj Ufficiali. Egli è vero, che riguardandosi che i Normanni dopo
aver conquistata la Puglia e la Calabria, si resero padroni di quella
isola, e che come aggiunta al Ducato di Puglia e di Calabria, ne avesse
da poi Roberto investito Ruggiero, par che la Sicilia dovesse dirsi
subordinata a' Duchi di Puglia; nulladimanco avendo Roberto fermata
la sua sede in Puglia, e Ruggiero in Sicilia, e governati questi
due Stati independentemente l'uno dall'altro, non può assolutamente
dirsi, che l'uno stesse subordinato all'altro. E quantunque morto
Roberto, Ruggiero succeduto anche nel Ducato di Puglia e di Calabria
avesse fermata la sua regia sede in Palermo, ove la tennero anche i
Re normanni suoi successori, non è però che il Regno di Puglia fosse
stato subordinato a quel di Sicilia, ma come due Regni per se divisi
si governavano, nè che fosse stato mai l'uno reputato come provincia
dell'altro, come si farà chiaro nel proseguimento di quest'Istoria.
Roberto intanto ritornato in Melfi fu ricevuto con grande applauso
e giubilo da tutti i Baroni di Puglia e di Calabria, i quali come
loro Sovrano, si congratularono con esso lui della conquista di
Palermo[308]. Solamente Pietro figliuolo del Conte di Trani non volle
mai rendergli quest'onore, affettando questi un'intera independenza,
ed avea perciò rifiutato di dargli soccorso per la spedizione di
Sicilia[309]. Sdegnato perciò Roberto lo condannò a rimettergli in
sue mani la città di Trani ed alcune altre terre che erano sotto di
lui; ma Pietro opponendosi con intrepidezza, cagionò a se medesimo la
sua ruina, poichè Trani assediata, e ben presto presa, l'altre Piazze
di sua dipendenza, come Bisceglia, Quarato e Giovenazzo seguirono
tosto l'esempio di Trani. Ritirossi per tanto Pietro in Andria, ove
egli poteva difendersi assai lungo tempo: ma avendo avuto bisogno di
viveri: ed essendo uscito con una buona scorta per andare a cercarne
nella campagna, portò la sua disgrazia, che nel ritorno fosse preso
da' soldati del Duca. Roberto veggendolo così depresso, usogli
grand'indulgenza; poichè avendosi fatto prestar giuramento di fedeltà,
gli restituì generosamente tutte le Piazze, riserbandosi solamente
Trani.
Intanto per la morte d'Alessandro II, accaduta nel mese d'aprile
di quest'anno 1073, Pontefice che menando una vita tutta solitaria
e privata, avea commesso il governo della Santa Sede al famoso
Ildebrando: questi senza farne ricercare l'Imperadore, fece tosto
unire il Clero ed il Popolo romano per l'elezione del successore; e
nell'istesso giorno nel quale morì Alessandro fu acclamato egli per
Pontefice. Domandò Ildebrando all'Imperador Errico la conferma di sua
elezione; ma questo Principe stette qualche tempo a risolvere, e mandò
il Conte Eberardo a Roma per prendere informazione in qual maniera
fosse stata fatta un'elezione tanto sollecita. Ildebrando fece tante
carezze al Conte, che l'indusse a scrivere in suo favore; ed Errico
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