Istoria civile del Regno di Napoli, v. 3 - 19

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dell'utile ancora. Furono perciò in Europa ammirati, ed i loro savi
tenuti in gran pregio. I libri di Mesue, d'Avicenna, d'Averroe (che
il Commento fece, del famoso Rasi) e di tanti altri, furono avuti appo
noi in somma stima e riputazione. E Carlo M. fece i loro libri Arabici
tradurre in latino insieme con alcuni Autori greci, ch'erano stati da
essi in Arabico tradotti, affinchè la loro dottrina si diffondesse per
tutte le province del suo Imperio. Quindi avvenne, che i Francesi e
gli altri Cristiani latini appresero degli Arabi quello, che gli Arabi
stessi aveano appreso da' Greci, cioè la filosofia d'Aristotile, la
medicina, e le matematiche, sprezzando la lor lingua, la loro istoria e
poesia, siccome gli Arabi sprezzate aveano quelle de' Greci. E siccome
gli Arabi aveano contaminate quelle discipline, così da noi furon
ricevute tutte imbrattate: la filosofia tutta vana ed inutile, perchè
lontana dalla fisica particolare che avea bisogno di sperienze e di
osservazioni; l'astrologia piena d'illusioni e di vane divinazioni; ma
sopra tutto la medicina piena di spropositi e di superstizioni.
I primi libri adunque, che sopra queste facoltà si cominciarono a
studiare, furono quelli degli Arabi, e per la medicina fra gli altri
quelli di Mesue, e di Avicenna; ed i primi che gli studiassero furono i
Chierici ed i Monaci, perchè la letteratura fra questi era ristretta;
perciò a questi tempi essi soli erano i Filosofi, essi soli i Medici.
Quindi leggiamo, che in Francia Fulberto Vescovo di Chartres, ed il
Maestro delle sentenze, erano Medici: Obize Religioso di San Vittore
era Medico di Luigi il Grosso: Riccardo Monaco di S. Dionigi, che
scrisse la vita di Filippo Augusto, lo era parimente. Ed in queste
nostre Province i migliori Medici erano i maggiori Prelati, ed i
più celebri Monaci Cassinensi, come vedremo; ed erasi nell'Ordine
ecclesiastico cotanto radicata questa professione, che un Concilio
di Laterano tenuto sotto Innocenzo II nell'anno 1139 considera come
un abuso di già invecchiato, che i Monaci ed i Canonici Regolari, per
procacciarsi ricchezze facessero professione d'Avvocati e di Medici: e
perchè il Concilio non parlava che di Religiosi professi, la medicina
non lasciò d'esser esercitata da' Chierici per lo spazio ancora di
trecento altri anni.
Quante occasioni si fossero date a' nostri provinciali di comunicare
con questi Arabi, donde poterono apprendere queste scienze, ben
si è veduto ne' precedenti libri di questa Istoria, e dalle varie
abitazioni, che ebbero i Saraceni in queste nostre regioni, nel
Garigliano, nella Puglia, nel Monte Gargano, in Bari, in Salerno, in
Pozzuoli, ed in tanti altri luoghi; in guisa che ancora oggi a noi
nella comune favella ci rimangono molti loro vocaboli, come altrove fu
notato; ed in Pozzuoli si serbano ancora quattro marmi con iscrizioni
in rilievo di caratteri orientali saracineschi. Si aggiunse ancora a
questi tempi maggior comunicazione con gli Arabi per la vicinanza della
Spagna, di cui aveano essi più d'una metà; ed il continuo commercio per
li viaggi in questi tempi frequentissimi in Oriente, per cagion delle
Crociate.
Ma come presso di noi nella città di Salerno la loro dottrina, e
specialmente la medicina, fossesi così ben radicata, sì che questa
città, sopra tutte le altre delle nostre province, n'andasse altiera
per la famosa Scuola quivi fondata, non è stato, per quanto io mi
sappia, fra tanti nostri Scrittori fin qui investigato. Coloro, che
credettero la Scuola salernitana essersi da Carlo M. istituita insieme
colla Scuola di Parigi e di Bologna, vanno di gran lunga errati,
essendosi altrove in quest'Istoria mostrato, non aver potuto Carlo in
questa città fondare Accademie, come quella che non fu mai sotto la
sua dominazione; anzi in que' tempi, che si narra la fondazione delle
Scuole di Parigi e di Bologna, tra Carlo M. ed il Principe Arechi
furono guerre cotanto ostinate, che non fu possibile ridurlo; ed Arechi
avea così ben fortificato Salerno, che fu riputato il più sicuro
asilo de' Principi longobardi contro gli sforzi di Carlo e de' suoi
figliuoli.
In tempi adunque meno lontani bisogna riportar l'origine di questa
Scuola, la quale ne' suoi principj non fu istituita per legge di
qualche Principe, e perciò non acquistò nome d'Accademia, o di
Collegio, ovvero d'Università, ma di semplice Scuola. Cominciò a
stabilirsi in Salerno, perchè in questa città, come marittima, vi erano
spesse occasioni di sbarco di gente Orientali ed Affricani. I Saraceni
in tempo degli ultimi Principi longobardi la visitavano spesso, onde
gli Arabi ebbero occasione di farvi lunghe e spesse dimore. Si è
veduto nel precedente libro, che i Saraceni ora dall'Affrica, e spesso
dalla vicina Sicilia sopra navi giungendo alla spiaggia di quella
città mettevano terrore a' Salernitani, i quali per liberarsi da'
saccheggiamenti e da' danni, che inferivano ne' loro campi e castelli
vicini, non avendo forze bastanti per poterli discacciare, pattuivan
con essi tregua, ed accordavano la somma per comperarsi la quiete: per
unire il denaro vi voleva tempo, onde i Saraceni calavano dalle navi in
terra, e nella città, ed aspettavano, sin che dagli Ufficiali destinati
dal Principe a far contribuire da' suoi vassalli le somme richieste,
non si fosse unito il riscatto. Queste invasioni erano molto spesse,
tanto che i Salernitani vi si ci erano accomodati; nè se non a' tempi
di Guaimaro il Maggiore ne furono, come si disse, da' valorosi Normanni
liberati. Or con queste occasioni conversando spesso i Salernitani
con gli Arabi, appresero da essi la filosofia, ma sopra ogni altro si
diedero agli studj della medicina, nella quale riuscirono eminenti.
Ma infra gli altri, che resero illustre la Scuola salernitana, fu
_Costantino affricano_. Questi oriondo di Cartagine, per le sue
peregrinazioni in molte parti dell'Asia e dell'Affrica avea appreso da
quelle Nazioni varie scienze; ma sopra tutto si diede alla medicina ed
alla filosofia. Egli navigò in Babilonia ove apprese la grammatica, la
dialettica, la geometria, l'aritmetica, la matematica, l'astronomia
e la fisica de' Caldei, degli Arabi, de' Persi, de' Saraceni, degli
Egizj e degl'Indi; e dopo aver nel corso di 39 anni quivi finiti questi
studj, tornossene in Affrica. Ma gli Affricani che mal soffrivano
d'esser da lui oscurati per l'eccesso di tanta dottrina, pensarono
d'ammazzarlo. Il che avendo penetrato Costantino, imbarcatosi di notte
tempo su d'una nave, in Salerno si portò: ove per qualche tempo in
forma di mendico stette nascosto[424].
Era, come altre volte si è detto nel corso di quest'Istoria, la città
di Salerno frequentata da' Popoli di queste Nazioni, onde non passò
guari che vi capitasse il fratello del Re di Babilonia, tirato forse
dalla curiosità di veder questa città, la quale da Roberto Guiscardo
era stata innalzata a metropoli, ed ove avea trasferita la sua
residenza, e la quale pel continuo traffico e commercio d'infinite
Nazioni a quel Porto, erasi resa l'emporio d'Occidente. Da questo
Principe fu Costantino scoverto, e celebrando al Duca Roberto le sue
eccelse prerogative, fece sì che Guiscardo lo accogliesse con somma
cortesia, e gli rendesse tutto quell'onore, che ad uomo di quella
qualità si conveniva. Si trattenne perciò egli in Salerno, ove ebbe
campo di maggiormente promovere gli studj di filosofia, e sopra tutto
di medicina, nella quale sopra tutte le altre facoltà era eminente;
dopo essersi per molti anni trattenuto in Salerno, ritirossi a Monte
Cassino, ed ivi si fece Monaco; ed in tutto il tempo che dimorò in quel
monastero, non attese ad altro, che a tradurre varj libri di diverse
lingue, ed a comporre molti trattati di medicina, de' quali Pietro
Diacono[425] tessè un lungo catalogo.
Crebbe perciò la fama della Scuola salernitana, la quale in gran parte
la deve a' Monaci Cassinensi, i quali la promossero per gli studj
assidui, che facevano sopra la medicina. Sin da' tempi di Papa Giovanni
VIII questi Monaci eransi dati a tali studj; e Bassacio loro Abate,
di medicina espertissimo, ne compose anche alcuni libri[426], dove
dell'utilità ed uso di molti medicamenti trattava, non riputandosi
a que' tempi, come si è detto, cosa disdicevole, che i Cherici ed i
Monaci professassero medicina. Quindi presso di noi nella città di
Salerno, ed altrove non si sdegnavano di professarla i più insigni
e nobili personaggi. Alfano Arcivescovo di Salerno, narra Lione
Ostiense[427], ch'era espertissimo in medicina, e che la sua maggior
applicazione era di curare gl'infermi. Romualdo Guarna pur Arcivescovo
di quella città, non isdegnava di professarla, siccome tutti i Nobili
salernitani riputavano sommo lor pregio d'esserne instrutti, e di
praticarla; e questo costume durò in Salerno per molti anni appresso:
ond'è che alcuni non ben intesi di questa usanza, adattando i costumi
presenti agli antichi, riputarono esser altri quel Giovanni di Procida,
che fu celebre Medico, da quel famoso Giovanni Nobile salernitano
autore della celebre congiura del vespro Siciliano, quasi che mal si
convenisse ad un Nobile professar medicina.
Rilusse perciò la Scuola di Salerno assai più per tanti insigni
personaggi che professavano quivi la medicina, e riputossi a questi
tempi la più dotta e la più culta di quante mai ne fiorissero in
Europa. Quindi avvenne, che da Salerno si chiamavano i Medici, e che
i più grandi personaggi caduti in gravi infermità si portavano ivi per
curarsi, siccome fece il celebre Abate Desiderio, il quale come narra
Lione, per guarirsi d'una sua malattia, alla quale le molte vigilie
ed astinenze l'avean condotto, portossi in Salerno. E ne' tempi che
seguirono, pur si narra, che Guglielmo il Malo, ammalatosi in Palermo,
e crescendo tuttavia il male, fece venire Romualdo Guarna Arcivescovo
di Salerno assai dotto in Medicina per curarsi, il quale benchè gli
ordinasse molti rimedi valevoli al suo male, egli nondimeno non poneva
in opera, se non quelli che a lui parevano, per la qual cosa s'accelerò
la morte[428]. Quindi ancora si legge, che i migliori farmaci erano in
Salerno fabbricati; onde si narra, che Sigelgaita da Salerno facesse
venire i veleni per attossicare il figliastro ed il suo marito Roberto.
Ma quello, che diede maggior nome a questa Scuola fu l'opera, che
compilò _Giovanni di Milano_, famoso Medico in Salerno, la quale ebbe
l'approvazione di tutta la Scuola salernitana, e che sotto il nome
della medesima al Re d'Inghilterra fu dedicata. Ciò che intorno a
questi medesimi tempi, ne' quali siamo, accadde per un'occasione, che
bisogna rapportare, affinchè non paja strano come i Medici salernitani
per un Re cotanto lontano, e col quale essi non aveano alcun attacco,
avessero voluto pigliarsi tanta pena d'unire in quel libro, dettato in
versi lionini, i precetti donde potesse conservarsi in salute, ed a lui
dedicarlo.
Ma cesserà ogni maraviglia se si terrà conto di quanto nel precedente
libro di quest'Istoria fu narrato intorno alla venuta de' Normanni,
e de' figliuoli di Tancredi in queste nostre parti: rampolli tutti
di Roberto Duca di Normannia; e se riguarderassi, che negl'istessi
tempi, che i nostri Normanni conquistarono la Puglia e la Calabria, ed
indi il Principato di Salerno, gli altri Normanni che rimasero nella
Neustria, sotto Guglielmo Duca di Normannia invasero l'Inghilterra, e
dopo innumerabili vittorie finalmente intorno l'anno 1070 ridussero
quel Regno sotto la dominazione del famoso Guglielmo, che perciò
fu soprannomato il _Conquistatore_. Così regnando in Salerno, ed
in Inghilterra Principi d'un istesso sangue, e tutti della razza di
Rollone primo Duca della Neustria, fu cosa molto connaturale, che fra
di loro, e' loro sudditi vi fosse amicizia e buon'alleanza.
Ma a qual Re d'Inghilterra i Medici di Salerno dedicassero in questi
tempi quel libro, e con qual occasione è bene che si narri. Guglielmo
Duca di Normannia dopo aver conquistato il Regno d'Inghilterra, lasciò
di se tre figliuoli, Guglielmo Ruffo, Roberto, ed Errico. A Guglielmo
primogenito fu ceduto il Regno d'Inghilterra: ma questi morì senza
figliuoli nell'istesso tempo, che Goffredo Buglione insieme con
Roberto si trovava nell'espedizione di Gerusalemme. Avea Roberto,
cui il padre avea costituito Duca di Normannia, dopo aver ceduto il
Regno d'Inghilterra a Guglielmo Ruffo, voluto seguitar, ad esempio
degli altri Principi, Goffredo in quella spedizione, e dovendo passare
in Palestina venne in Puglia per imbarcarsi con tutti gli altri; ma
essendo quivi giunto nel rigor dell'inverno, passò tutta l'invernata
dell'anno 1096 presso i Principi normanni della Puglia e di Calabria
suoi parenti, da' quali con tutti i segni d'affetto fu ricevuto e
accarezzato. Soppraggiunta da poi la primavera tragittò il mare, ed in
Palestina col famoso Goffredo all'impresa di Gerusalemme s'accinse.
Fu quella finalmente presa, ma nell'istesso tempo fu amareggiata a
Roberto tal vittoria per la funesta novella della morte di Guglielmo
suo fratello senza figliuoli, al quale egli dovea succedere. Gli fu
offerto il Regno di Gerusalemme, ma egli rifiutollo, dovendo ritornare
in Inghilterra a prender possesso di quel Reame, di cui egli era più
vicino erede. Nel ritorno ebbe a passar di nuovo per queste parti,
onde in Salerno fu da quel Principe suo congiunto con ogni stima ed
onore accolto. E poichè nell'assedio di Gerusalemme avea ricevuta una
ferita nel braccio destro, la quale essendosi mal curata era degenerata
in fistola, consultò quivi i Medici di Salerno che dovesse fare per
guarirsela. Que' Medici osservando, che quella ferita era proceduta
da una freccia avvelenata, gli dissero che non vi era altro modo per
guarirsene, se non si facesse succhiare da quella il veleno, che v'era.
Non volle a ciò consentire il pietoso Principe per non porre in rischio
colui che dovea succhiarla; ma la Principessa sua moglie con raro
esempio d'amore, non curò ella esporsi al periglio, e mentre Roberto
dormiva, senza che potesse accorgersene fece tanto, e sì spesse volte
replicò il succhiare, che tutto trasse il veleno della ferita, e reselo
sano.
(Alcuni stimano favoloso questo racconto del succhiamento del veleno.
Ed intorno alla successione dei figliuoli di Guglielmo conquistatore
del Regno d'Inghilterra, devono vedersi gli accurati Storici inglesi,
a' quali dee in ciò prestarsi più fede, che a qualunque altro Scrittore
straniere).
Volle da poi Roberto, che que' Medici gli prescrivessero una norma e
ragion di vitto, perchè potesse conservarsi in quella salute, nella
quale l'aveano restituito. Fu per ciò con tal occasione composto il
libro, il quale se bene fosse stato composto da uno di que' Medici,
porta però in fronte il nome di tutta la Scuola, non altrimente
di ciò, che veggiamo essersi fatto dalla Scuola conimbricense in
quella sua opera filosofica. Fu dedicato a Roberto, chiamandolo
_Re d'Inghilterra_: non perchè questo Principe fosse stato da poi
in realtà Re di quel Regno, ma perchè tornando dalla Palestina per
prenderne il possesso, come a lui dovuto, non potevano aver difficoltà
di chiamarlo Re di quel Regno a lui appartenente. Ma il suo fratello
Errico, trovandosi egli in Inghilterra quando accadde la morte di
Guglielmo Ruffo, valendosi dell'occasione per l'assenza di Roberto,
invase il Regno, e per se occupollo, e se ben Roberto fosse giunto
ivi con numeroso esercito per ricuperarlo, fu però da Errico disfatto
e superato, onde restò escluso di quel Reame. Perchè fosse a quel
Principe l'opera più gradita, e potesser meglio que' precetti ridursi
a memoria, la composero in versi leonini, nella cui composizione in
questa età consisteva tutto il pregio ed eccellenza de' Poeti; e perchè
la dedicarono ad un Principe normanno, presso i quali questo genere di
versi era il più giocondo e gradito; nè appresso di essi si faceva cosa
memorabile, che non fosse dettata in questo metro. Tutti gli elogi,
i marmi, e gli epitafi de' loro Principi, si componevano in questi
versi; così fu dettato l'epitafio del loro primo Duca Rollone; e così
ancora tutti gli altri de' nostri Principi normanni. Fu pubblicata
quest'insigne opera nell'anno 1100 la quale divulgata per tutta Europa,
è incredibile quanta gloria e fama apportasse a' Medici salernitani.
Ebbe molti Chiosatori, e il più antico fu _Arnoldo di Villanova_
famoso Medico di Carlo II d'Angiò. I due Giacomi _Curio_, e _Crellio_
v'impiegarono pure le loro fatiche, ed ultimamente _Renato Moreau_, e
_Zaccaria Silvio_ la illustrarono colle loro osservazioni. Quindi per
molti secoli avvenne, che la Scuola di Salerno per l'eccellenza della
medicina fu sopra tutte l'altre chiara e luminosa nell'Occidente.
Così la prima Scuola, che dopo la decadenza dell'Imperio romano,
e lo scadimento dell'Accademia di Roma, fosse stata istituita in
queste nostre province fu quella di Salerno: ma con tal differenza,
che siccome in quella della medicina non si tenne molto conto,
così in questa, trascurate l'altre professioni per l'ignoranza del
secolo, la medicina che non potè andar disgiunta dalla filosofia fu
il principal scopo e soggetto; poichè coloro che ve l'introdussero
non d'altre scienze erano vaghi, nè altre professavano con maggior
studio e fervore, che la medicina e la filosofia. E perchè dagli Arabi
l'appresero, presso i quali solo i libri di Ippocrate, d'Aristotele
e di Galeno erano tenuti in sommo pregio, quindi avvenne, che nelle
scuole per la medicina Galeno, sopra tutti gli altri, era preposto per
maestro, e per la filosofia Aristotele, il quale con fortunati successi
ebbe fra noi per molti secoli il pregio d'essere riputato il principe
di tutti gli altri Filosofi.
Ma in questi tempi non era questo studio, che semplice scuola, poichè
non fu fondato da' Principi, nè per molto tempo ricevè leggi, o
regolamenti da' medesimi, perchè potesse dirsi Collegio ed Accademia,
ovvero Università. Da poi che l'ebbe, prese anche questi nomi, ed il
primo fu Roggiero I Re di Sicilia, il quale essendo stato anche il
primo tra' Normanni a darci molte leggi, infra l'altre che promulgò, fu
quella[429], per la quale proibì che niuno potesse esercitar medicina,
se prima da' Magistrati e da Giudici non sarà stato esaminato ed
approvato. Ma più favore ricevè questa Scuola da Federico II, il quale
ordinò che niun s'arrogasse titolo di Medico, o ardisse di professar
medicina, se non fosse stato prima approvato da' Medici di Salerno o
di Napoli, e non avesse da questi ottenuta la licenza di medicare. E
ne' tempi meno a noi lontani, avendo gli altri nostri Re successori
di Federico, e particolarmente il Re Roberto, la Regina Giovanna I,
il Re Ladislao, Giovanna II ed il Re Ferdinando I conceduto a questa
Scuola altri onori e privilegi, fu finalmente eretta in Accademia, ed
innalzata a dar gradi di Dottore particolarmente per lo studio della
medicina, nel quale fioriva, ancorchè si fosse poi in quella introdotto
d'insegnarsi altre facoltà.


CAPITOLO XII.
_Politia ecclesiastica di queste nostre province per tutto l'undecimo
secolo, insino a RUGGIERO I Re di Sicilia._

I Pontefici romani si videro in questo secolo in un maggior splendore,
e la loro potenza grandemente cresciuta, così sopra il temporale, come
sopra lo spirituale delle nostre Chiese; e si renderono molto più a'
Popoli tremendi, ed a' Principi sospetti. La deposizione d'Errico
Imperadore, le scomuniche che senza riguardo, anche sopra Principi
coronati, erano frequentemente fulminate, le spedizioni per Terra
Santa, l'introduzione delle Crociate, e 'l contrastare l'investiture
a' Principi secolari, fece loro acquistare non minor ricchezza, che
potenza sopra i maggiori Re della terra. Ed intorno a distendere la
loro autorità spirituale sopra tutte le Chiese d'Occidente, non fu
veduta la loro potenza più assoluta e maggiore che in questi tempi,
particolarmente sotto il Ponteficato di Gregorio VII. Si mandavano
Legati a _latere_ in tutte le province di Europa: si mandavano da
Roma i Vicarj: si chiamavano i Vescovi a Roma per render conto di
lor condotta: si confermavano, o riprovavano le loro elezioni: si
ricevevano le appellazioni delle loro sentenze, ammettevano le querele
de' loro diocesani, o decidendole in Roma, ovvero assegnando Giudici
a tutti i luoghi. In breve entravano a conoscere nelle particolarità
di quanto succedeva nelle loro diocesi. Trassero perciò una infinità
di cause in Roma, ovvero destinando Commessarj ne' luoghi da essi
nominati, gli facevan operare colla loro autorità.
Si proccurarono introdurre nuove massime ed idee del Ponteficato
romano, e stabilire quasi per articolo di fede, che il romano Pontefice
abbia autorità di deporre i Re ed i Principi de' loro Regni e Dominj,
se non ubbidivano a' suoi comandamenti, e sciorre i loro vassalli
dall'ubbidienza: che il Papa non meno dello spirituale, che del
temporale fosse Principe e Monarca; e che tutto l'Ordine ecclesiastico
sia affatto libero ed immune da ogni potestà e giurisdizione di
Principi secolari, anche nelle cose civili e temporali, e ciò
per diritto non umano, ma divino. E poichè a questi tempi i soli
Ecclesiastici e' Monaci, ma sopra gli altri quelli della Regola di
S. Benedetto, possedevano lettere, ed il Popolo era in una profonda
ignoranza, perciò tutto quello, che lor veniva da' Monaci e Preti
dato ad intendere, come oracolo era ricevuto; quindi come narra Giovan
_Gersone_, riputavasi il Papa esser un Dio, e che teneva ogni potestà
sopra il Cielo, e sopra la terra.
La Chiesa greca, che in ciò non conveniva colla latina, e che perciò
riputava il Pontefice romano, non Vescovo, ma Imperadore, venne in
una più aperta divisione, separandosi affatto dalla latina, e perchè
l'erano state tolte da' Normanni tutte le Chiese, che prima erano
sottoposte al Trono costantinopolitano, e restituite al romano,
non ebbe più che impacciarsi colle nostre Chiese. Quindi non ci
sarà data da qui innanzi occasione di favellare più del Patriarca
di Costantinopoli, la cui autorità, non meno che il greco Imperio,
andava alla giornata scadendo. I nostri valorosi Normanni avendo
discacciati affatto dalla Sicilia, e da queste nostre province i
Greci, restituirono al Pontefice romano tutte le nostre Chiese; e
perchè maggiormente si manifestasse quanto fosse grande il beneficio,
che i nostri Principi aveano perciò reso alla Chiesa romana, Nilo
Doxopatrio, che si trovava allora Archimandrita in Sicilia, scrisse
un trattato delle cinque Sedi patriarcali, che a questo fino dedicò a
Ruggiero I Re di Sicilia, nel quale, come fu narrato nel sesto libro
di quest'Istoria, noverò le Chiese che erano state restituite al Trono
romano da' Normanni, e tolte al costantinopolitano.
Per queste cagioni, e per altri segnalati servigi prestati da' Normanni
alla Chiesa romana, oltre alla Monarchia fondata in Sicilia, a' nostri
Principi, nel Regno di Puglia, furono serbate intatte le ragioni delle
investiture, e che nell'elezione de' Prelati, senza la lor permissione
ed assenso, da poichè erano stati dal Clero e dal Popolo eletti, non
potesse alcuno ordinarsi. Onde la Glosa Canonica[430] disse, che nel
Regno di Puglia ciò costumavasi per facoltà, che n'aveano i Re dalla
Sede Appostolica. Sia per questa ragione, sia per le molte altre
rapportate da noi altrove ad altro proposito, egli è evidente, che
nel Regno de' Normanni, nell'ordinazione di tutti i Vescovi e Prelati
di queste nostre province, era riputato necessario l'assenso del Re,
senza il quale era inutile ogni elezione. Così abbiam veduto, che il
Duca Ruggiero, restituita la Chiesa di Rossano al Trono romano, e tolta
al greco, nominò egli il Vescovo in luogo dell'ultimo, ch'era allora
morto; ma perchè quegli era del rito latino, i Rossanesi, che erano
assuefatti al rito greco, ripugnarono di rendersi al Duca, se prima
non concedesse loro un Vescovo del rito greco, siccome gli compiacque.
E nell'elezione d'Elia Arcivescovo di Bari seguita nell'anno 1089
questo medesimo Principe vi diede il suo assenso, dopo il quale fu
consecrato in Bari da Papa Urbano II[431], siccome ancor fu praticato
nell'elezione del Vescovo d'Avellino a tempo del Re Ruggiero, dandovi
il suo assenso Roberto Gran Cancelliero di Sicilia in nome del Re[432].
E vi è chi scrisse[433], che il Re Ruggiero fra l'altre cagioni,
onde si disgustò con Papa Innocenzio II, ed aderì ad Anacleto, una si
fu, che Innocenzio s'era offeso di lui, perchè s'abusasse troppo, ed
audacemente di questa parte, che avea nell'elezioni de' Vescovi ed
Abati, impedendo la libertà di quelle; ed il Cardinal Baronio[434]
rapporta ancora il mal uso, che faceva Ruggiero di questa potestà;
e che una fiata a tre persone diverse avea per prezzo, secondo che
gli veniva offerto, conceduta la Chiesa d'Avellino, e poi la diede
al quarto, che non la pretendeva; ma il Baronio mal fu inteso di
questo fatto, perchè non il Re, ma Roberto suo Gran Cancelliero fece
escludere i tre come simoniaci, e volendo schernire la loro malvagità,
pattuì con tutti e tre separatamente, e poi riscosso il denaro, gli
deluse, e fece eleggere per Vescovo un povero Frate di buona e santa
vita, e che punto a ciò non badava; come narra Giovanni di Salisburì
Vescovo di Sciartres[435]. Non meno i nostri Re normanni, che i Svevi
ritennero questa prerogativa; onde avvenne, che stando Federico II
sotto il Baliato d'Innocenzio III in tutte l'elezioni, il Papa stesso
dava l'assenso, ma vice _Regia_, come Balio ch'egli era del giovanetto
Principe; come diremo ne' seguenti libri.
Ritennero ancora i nostri Principi normanni la _Regalia_ nelle nostre
Chiese, non altramente che rimase in Francia; poichè dopo la morte
de' Vescovi, fino che fosse creato il successore, essendo tutte le
Chiese del Regno, e particolarmente quelle, che sono prive di Pastore,
sotto la potestà regia, essi disponevano dell'entrate delle medesime,
e perciò erasi introdotto costume che morto il Prelato, i Baglivi del
Principe prendevano la cura e l'amministrazione dell'entrate delle
medesime, insino che le Chiese fossero previste; siccome lo testifica
l'istesso Re Ruggiero I in una sua Costituzione[436].

§. I. _Monaci, e beni temporali._
Non meno delle Chiese, che sopra i monasteri, che tuttavia andavansi
di nuovo ergendo sotto altre Regole e nuove riforme, stendevano i
nostri Principi normanni la loro potestà e protezione. La loro pietà
e religione, siccome fu cagione che lo Stato monastico in questo
secolo ricevesse grandi accrescimenti e ricchezze, così meritava, che
avendone essi molti arricchiti, ed altri da' fondamenti eretti, che si
conservassero sotto la loro cura e protezione. Le cotante ricchezze, ed
il gran numero de' monasterj dell'Ordine di S. Benedetto, e le grandi
facoltà, che furon a quelli date, introdussero nell'Ordine monastico
un gran rilasciamento. I Monaci perderono assai della riputazione di
santità, e si perdette affatto la disciplina ed osservanza regolare
nei monasterj; poichè s'intromisero ne' negozi di Stato e di guerra,
frequentavano le Corti, e s'intricavano grandemente nell'imprese
de' Pontefici contro i Principi. Tanto rilasciamento spinse molti
ad abbracciare una vita più austera, onde si diede principio allo
stabilimento di nuovi Ordini, i quali tutti facevano professione di
seguire la Regola di S. Benedetto, benchè avessero qualche usanza ed
instituto particolare.
In Italia, nel principio di questo secolo, _Romualdo_ ritiratosi
nelle solitudini si fermò, menando vita eremitica, nella campagna
d'Arezzo, ove abitando in una casa d'un certo uomo chiamato _Maldo_,
istituì una Congregazione di Monaci, che dal luogo ove prima abitarono,
furono chiamati _Camaldolesi_[437]. Si multiplicarono da poi in gran
numero i monasteri di questo Ordine in tutta Italia, e penetrarono
ancora in queste nostre province. Pier Damiano istituì parimente una
Congregazione di Romiti del medesimo genere; e Giovanni Gualberto di
Firenze avendo lasciato il suo monastero per abbracciare una vita più
austera e regolare, si ritirò in Vallombrosa, e vi gittò i fondamenti
di una nuova Congregazione.
Ma furono maggiori i progressi appresso noi dell'Ordine de' _Certosini_
istituito da _S. Brunone_ nell'anno 1086. Brunone fu nativo di
Colonia, e mentr'era Canonico di Rems, volle ritirarsi insieme con
sei dei suoi compagni nella solitudine della _Certosa_, che lor fu
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