Istoria civile del Regno di Napoli, v. 3 - 24

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sicut ista Civitas Neapolis privilegio libertatis praefulget, ita et
vos negotiatores, campsores, sive apothecarii in perpetuum gaudeatis_;
ma di qual libertà parlasi nel privilegio? _ut nulla condictio_, come
siegue, _de personis, et rebus vestris, sive haeredum, et successorum
vestrorum negotiatorum in Neapoli habitantium requiratur; sicut non
requiritur de Civibus Neapolitanis_.
Non fu dunque che lasciò Ruggiero il Ducato napoletano all'intutto
libero ed indipendente: lo lasciò bensì colle medesime leggi e
Magistrati, e con quell'istessa forma di Repubblica; il che non
denotava altro, se non la Comunità, non la dignità delle pubbliche
cose, come nel primo libro di quest'Istoria fu notato; nell'istessa
guisa appunto, che lasciolla Teodorico, quando ordinò, che godesse di
quelle stesse prerogative, che avea; onde si ha che Ruggiero lasciasse
la giurisdizione intorno all'annona a' Nobili ed al Popolo, che
sotto nome d'Ordini di Eletti, o Decurioni, ovvero Consoli venivano
designati; e la giurisdizione intorno alle cose della giustizia, il Re
la volle per se, come appunto fece Teodorico, che mandava i _Comiti_
ad amministrarla, costituendovi ora Ruggiero il Capitanio col Giudice,
siccome nell'altre città e castelli del Regno si praticava.
Egli è però vero, che Ruggiero non usò tanta cortesia e gentilezza in
niuna altra città del suo Reame, quanto che in Napoli; poichè oltre di
lasciar intatti i suoi privilegi, a ciascun Cavaliere diede in Feudo
cinque moggia di terra con cinque coloni a quella ascritti, promettendo
ancora di maggiormente gratificargli, se serbando a lui quella fedeltà
che gli aveano giurato, mantenessero la città quieta ed in pace
sotto il suo dominio[528]. Nel che non possiamo non maravigliarci
del Fazzello[529], il quale, non bastandogli d'aver malamente confuso
intorno a questi fatti le cose, i tempi e le persone, aggiunge ancora
di suo cervello, che dopo essersi conchiusa la pace tra Innocenzio
e Ruggiero, fosse questi entrato in Napoli con gran plauso, e che
in quel giorno avesse creati cento cinquanta Cavalieri, e che quivi
per due mesi in feste e passatempi si fosse trattenuto, contro tutta
l'istoria, e contro ciò, che Falcone beneventano rapporta intorno a
questi successi.
Mostrò ancora Ruggiero un'altra particolare affezione verso i
Napoletani, perchè fece misurar di notte le mura della città per
saper la sua grandezza, e quella ritrovò essere di giro 2363 passi;
ed essendo nel seguente giorno innanzi a lui ragunato il Popolo
napoletano, domandò amorevolmente loro se sapevano quanto era il
cerchio delle lor mura, ed essendogli risposto di no, il Re loro
il disse: di che ebber maraviglia, e rimasero insiememente lieti
dell'affezione di lui[530].
E vedi intanto le vicende delle cose mondane, questa città, che in
tempo di Ruggiero a riguardo delle altre, che erano in queste province,
era di così brevi recinti, ora emula dell'istesse province, non solo
si è resa metropoli e capo di un sì vasto Reame; ma la sua grandezza è
tale, che agguaglia le città più insigni e maravigliose del Mondo.
Ma prima che Ruggiero entrasse in Napoli questa seconda volta con tanto
plauso e giubilo, avea già restituita tutta la provincia di Capitanata
sotto il suo dominio; avea presa Troia capo della medesima, nella
qual città non volle mai entrare, ancorchè il Vescovo Guglielmo ed i
cittadini per loro messi lo pregassero che v'entrasse; ma rispondendo
egli che finchè quel traditor di Rainulfo fra di loro dimorasse non
voleva vedergli, temendo i Troiani l'ira del Re, fecero prestamente
rompere il sepolcro di Rainulfo, e ne trassero il suo cadavere
già corrotto, e messogli una fune al collo lo strascinarono per le
pubbliche strade della città, e poscia il gettarono in un pantano di
brutture; il qual miserabil caso venuto in notizia del figliuolo Duca
di Puglia e di Napoli, andò a ritrovar suo padre, e tanto s'adoperò col
medesimo, che fu a Rainulfo data di nuovo sepultura[531].
Avea ancora dopo questa espedizione espugnata Bari e fatto miseramente
morire il Principe Giaquinto; e ritornato da poi in Salerno tolse tutti
gli Stati a coloro, ch'erano stati suoi nemici, dando loro bando da'
suoi Reami; ed inviò prigionieri in Sicilia Ruggiero Conte d'Ariano
insieme colla sua moglie. Scacciò anche affatto Tancredi Conte di
Conversano, e gli tolse Brindisi ed altre sue terre, tanto che fu
costretto d'andarsene oltremare in Gerusalemme. Ed essendosi in cotal
guisa, con presta e maravigliosa fortuna, restituite tutte queste
province sotto la sua dominazione, passò in Sicilia, donde mandò i
Giustizieri e Governadori in ciascheduna provincia, acciocchè i Popoli
soggetti godessero una tranquilla pace, stabilendo altresì nuove
leggi per lo ben del Reame, delle quali quindi a poco farem parola. Ed
entrato poscia l'anno 1140, avendo ragunato un nuovo esercito, inviò
quello sotto il comando del Principe Anfuso suo figliuolo, acciocchè
avesse soggiogata quella parte di Abruzzi posta di là del fiume
Pescara, che aspettava al Principato di Capua; ove tantosto che giunse
il Principe prese molti luoghi, distruggendone anche molti altri, che
gli avean fatta resistenza: nella qual provincia poco appresso il Re
inviò parimente il Duca Ruggiero con grosso numero di soldati, il quale
congiuntosi col fratello, soggiogarono interamente quei luoghi sino
a' confini dello Stato della Chiesa, assicurando il Pontefice, che
ne temeva, che non sarebbero per infestare in conto alcuno i confini
del suo Stato. Intanto il Re era colla sua armata tornato di nuovo
in Salerno, e di là passato in Capua, ed avendosi richiamati i suoi
figliuoli, per assicurar meglio Innocenzio, passò poscia ad Ariano, ove
tenne una Assemblea, che fu la prima che questo Re unisse in Puglia,
nella quale intervennero due Ordini, quello de' Baroni, e l'altro
ecclesiastico de' Vescovi e Prelati per mettere in migliore stato le
cose di quella provincia. Indi fece battere una nuova moneta d'argento
mescolata con molto rame, che fu chiamata _Ducato_; ed un'altra più
picciola, detta _Follare_, tutta di rame, la qual volle che valesse
la terza parte d'un _Romasino_, che valeva dodeci grana e mezzo della
comunale moneta di rame, che oggi corre; ed otto _Romasini_ facevano
il _Ducato_ da lui stampato, proibendo sotto gravi pene, che non si
spendesse ne' suoi Reami la moneta antica assai miglior della sua,
con grave danno, e de' Popoli soggetti, e di tutta Italia. Andò poi a
Napoli, ove trattò co' Napoletani con quella magnanimità e cortesia,
che si disse poc'anzi; ed indi tornato in Salerno, imbarcatosi su la
sua armata fece di nuovo ritorno in Palermo, lasciando al Governo di
Puglia il Duca Ruggiero, ed in Capua il Principe Anfuso, come narra
Falcone beneventano, il quale qui pon fine alla sua Istoria, siccome
poco prima finì la sua Alessandro Abate Telesino.
Ecco come Ruggiero, dopo avere col valore e virtù sua superati tanti e
sì potenti nemici, unì stabilmente tutte queste nostre province sotto
il Regno d'un solo. Si videro ora fuori d'ogni altro timore d'esser di
nuovo da stranieri nemici assalite, o da interne rivoluzioni sconvolte,
avendovi il suo valore introdotta una più sicura e più tranquilla pace;
tanto che cedendo i rumori delle battaglie e delle armi, gli fu dato
spazio di potere in miglior forma stabilire il suo Regno, e di nuove
leggi, e più salutari provedimenti fornirlo, in guisa che sopra tutti
gli altri Reami di Occidente n'andasse altiero e superbo.


CAPITOLO IV.
_Il Regno è stabilito, e riordinato con nuove leggi ed Ufficiali._

Fu in cotal guisa stabilito il Regno, e queste nostre province pria
divise in più _Dinastie_, e a varj Principi sottoposte, ora s'uniscono
in una ben ampia e nobile Monarchia sotto la dominazione d'un solo.
Il Ducato di Puglia e di Calabria; il Principato di Taranto, di Capua
e di Salerno; i Ducati di Bari, di Napoli, di Sorrento, di Amalfi e
di Gaeta, i due Abruzzi, ed infine tutte le regioni di qua del Tebro
infino allo Stretto siciliano, ecco come in forma di Regno s'uniscono.
Ma i Siciliani non senza forte ragione pretendono, che non ancora
fossero queste province unite in forma di Regno per se solo, ed
indipendente dal Regno loro di Sicilia. Dicono, che rimasero come
membri dipendenti dalla Corona di Sicilia, ch'era il lor capo, e
precisamente da Palermo, ove il Re Ruggiero avea collocata e dichiarata
la sua sede regia, ed ove era la Casa regale, ed ove i più supremi
Ufficiali della Corona risiedevano, de' quali era la cura ed il governo
ancora di queste province.
Ed in vero se si vogliano considerare i principj di questo Regno,
e la Bolla d'Anacleto, che fu il primo a fondarlo, è chiaro, che un
solo Regno fu stabilito, che abbracciava come capo la Sicilia, e come
membri la Calabria e la Puglia e le altre province di qua del Faro,
costituendo egli per capo di sì ampio Reame la Sicilia, come sono le
parole della Bolla: _Et Siciliam caput Regni constituimus_. Quindi
ancora si vede, che prima Ruggiero ne' suoi titoli s'appellava _Re
di Sicilia, del Ducato di Puglia e del Principato di Capua_; come se
uno fosse il Regno, ma che abbracciasse così quell'isola, come queste
altre province di qua del Faro. Ciò che manifestamente si vede dalle
Costituzioni di Federico II compilate da Pietro delle Vigne, dove
per Regno di Sicilia non pur intese la sola isola, ma tutte l'altre
terre di qua del Faro; e più chiaramente si scorge dalla Costituzione
_Occupatis_[532], dove Federico assegnando a ciascuna città del
Regno di Sicilia un solo Giustiziero ed un Giudice, ne eccettua tre
sole città, cioè Napoli, Capua e Messina, nelle quali per la loro
grandezza ne stabilisce più; e Napoli e Capua le chiama città del
Regno di Sicilia. Ed Andrea da Barletta, che fu coetaneo di Federico
II, dicendo, che per vecchia consuetudine _in Regno isto Siciliae_
le leggi de' Longobardi derogavano alle leggi romane, chiamò Regno di
Sicilia quello, che ora diciamo Regno di Napoli, non potendo intendere
dell'isola di Sicilia, dove i Longobardi non poser mai piede, e le loro
leggi non furon ivi giammai osservate. Donde si convince, che i romani
Pontefici non introdussero novità, prendendo il Regno di Sicilia non
solo per l'isola, ma per tutte l'altre province di qua del Faro, che
lo componevano; ma solamente per meglio spiegare quanto questo Regno
di Sicilia abbracciasse, nell'investiture date da poi agli Angioini
introdussero di dire _Regnum Siciliae citra, et ultra Pharum_, ed
il primo che si valesse di questa formola fu Clemente IV, il quale
nell'anno 1065 avendo investito del Regno di Napoli e di Sicilia Carlo
d'Angiò, chiamollo_ Regnum Siciliae citra, et ultra Pharum_. Così egli
fu il primo, che per maggior chiarezza usò questa distinzione, non già
che prima di lui per Regno di Sicilia non venisse inteso così l'uno,
come l'altro Reame; onde è che il Fazzello[533], Arniseo[534], ed
altri, malamente di ciò ne facciano Autori i romani Pontefici, quasi
che contro l'antica descrizione d'Italia, e contro tutti gli Storici e
Geografi antichi, dei quali il Fazzello tesse un lungo catalogo, che
per Sicilia la sola isola intesero, avessero voluto trasportar anche
questo nome alle altre province di qua del Faro.
Il medesimo fu da poi usato da' susseguenti Pontefici; e Gregorio
XI ciò non bastandogli, avendo nell'anno 1363 conchiusa la pace tra
Giovanna Regina di Napoli, e Federico III Re di Sicilia, chiamò nel
suo diploma col nome di _Sicilia_ il Regno di Napoli, e con quello di
_Trinacria_ il Regno della Sicilia. E Martino Re di Sicilia nominò pure
ne' suoi diplomi il Regno napoletano _Siciliam citra Pharum_, ed il
siciliano _Siciliam ultra Pharum_; e finalmente essendosi questi due
Regni riuniti nella persona di Alfonso I, egli fu il primo, che usasse
intitolarsi _Rex utriusque Siciliae_; del qual titolo poi si valsero i
Re successori, i quali di amendue questi Regni furono possessori.
Fa forza ancora un'altra ragione a favor de' Siciliani, che pretendono
queste province essere sotto Ruggiero rimase ancora come membri a
riguardo del Regno di Sicilia, dal vedersi, che Ruggiero in Palermo
stabilì la sua sede, e quivi la lor residenza aveano costituita ancora
i primi Ufficiali della Corona, dai quali dipendevano tutti gli altri
minori, distribuiti non solo nell'isola, ma anche in queste nostre
province. In fatti si vede, che avendo questo glorioso Principe ad
emulazione del Regno di Francia, da cui traea l'origine, introdotto nel
suo i Grandi Contestabili, i Grandi Cancellieri, i Grandi Giustizieri,
i Grandi Ammiranti, i Grandi Camerarj, i Grandi Protonotarj, e i Grandi
Siniscalchi; questi supremi Ufficiali della Corona risiedevano presso
la regal sua persona in Palermo, ed all'incontro in queste nostre
province erano mandati i Giustizieri, i Camerarj, i Contestabili,
ed i Cancellieri particolari, a ciascheduno dei quali si dava il
governo d'una provincia, come alle province di Terra di Lavoro,
della Puglia[535] ed altre, i quali erano subordinati a quelli sette
ch'erano nella Casa regale ed i quali perciò acquistarono il nome,
prima di Maestri[536] Giustizieri, ovvero Maestri Cancellieri, e
poi lo mutarono in Grandi Giustizieri, Grandi Ammiranti, e Grandi
Cancellieri; e leggiamo perciò in una carta dell'anno 1142 della
Sicilia sacra[537], rapportata ancora da Camillo Tutini[538], che il
celebre Giorgio Antiocheno Grand'Ammirante del Re Ruggiero, dicevasi
_Georgius Admiratorum Admiratus_; ed il cotanto rinomato Majone di Bari
Grand'Ammirante del Re Guglielmo, in una lettera scritta dal medesimo
Re a Papa Adriano IV vien chiamato _Majo Magnus Admiratus Admiratorum_;
ed egli medesimo nelle sue scritture si firmava: _Majo Magnus Admiratus
Admiratorum_[539], come diremo appresso più distesamente, quando di
questi Ufficiali dovremo ragionare.
Ma le ragioni, che in contrario convincono, queste province sotto
Ruggiero essersi unite in un Regno separato ed independente da quello
della Sicilia, non sono men forti, nè d'inferior numero delle prime.
Ciò che Anacleto si facesse in quella sua Bolla, della quale l'istesso
Ruggiero, fatta la pace con Innocenzio, si curò poco; egli è certo,
che il Ducato di Puglia, sotto il qual nome a tempo de' Normanni si
denotava tutta la cistiberina Italia, fu non altrimenti che il Contado
di Sicilia eretto in Reame independente l'uno dall'altro Regno; e
presso gli Scrittori di questo duodecimo secolo e de' seguenti, era
per ciò chiamato il Regno di Puglia, ovvero d'Italia, non altramente
che l'altro, Regno di Sicilia; ed i loro Re si appellarono non meno
di Sicilia, che di Puglia, o d'Italia. Ed ebbero ancora queste nostre
province la sede regia, siccome a questi tempi era Salerno; ed anche
la città di Bari fu un tempo riputata _Metropoli, Regiam Sedem, et
totius Regionis Principem_, come la qualifica Marino-Freccia[540].
Donde nacque la favola, che in Bari si fosse introdotto il costume di
coronarsi i Re di Puglia colla corona di ferro, onde il Bargeo nella
sua Siriade di Bari parlando, disse:
..... _primi unde insignia Regni_
_Sceptraque, purpureosque habitus, sacramque tiaram,_
_Sumere tum Reges, Siculique, Italique solebant_.
ed il nostro Torquato nella sua Gerusalemme conquistata[541] cantò pure:
_E Bari, ove a' suoi Regi albergo scelse_
_Fortuna, e diè corone, e insegne eccelse._
Ciò che a questi Poeti, intendendo forse degli antichi Re Tarantini, o
favoleggiando, è permesso, non è condonabile ad alcuni Storici[542],
i quali si diedero a credere, che veramente i Normanni ed i Svevi Re
di Puglia s'incoronassero in Bari colla corona di ferro. Scrissero
perciò che l'Imperadore Errico e Costanza sua moglie s'incoronassero a
Bari; e che in Bari anche si fosse incoronato il Re Manfredi. Racconti
tutti favolosi, poichè siccome si vedrà nel corso di quest'Istoria,
e come pruova Inveges[543], questi Principi in Palermo, non già
in Bari si coronarono. E narra Marino Freccia[544] (alla cui fede
dovea acquietarsi il Beatillo, e non appartarsene senza ragione)
che non avendo egli letto in alcuno Scrittore, che i Re di Puglia
si coronassero a Bari, essendosi egli portato nell'anno 1551 in
quella città, ne dimandò di questa coronazione i Baresi, i quali
con maraviglia intesero la dimanda, come cosa nuova, non avendo essi
tradizione alcuna, che nella loro città si fosse mai nei passati secoli
praticata tal celebrità.
Ma non perchè in Bari città metropoli della Puglia, ovvero in Salerno
sede regia de' Normanni, non si fossero incoronati questi Re, ma in
Palermo, non perciò non amavano essi esser intitolati non meno Re di
Sicilia, che di Puglia, ovvero d'Italia. Fra i monumenti delle nostre
antichità ci restano ancora molte carte, nelle quali il Re Ruggiero
e Guglielmo suo figliuolo così s'intitolavano. Nel tomo terzo della
Sicilia Sacra se ne legge una, nella quale a Ruggiero dassi questo
titolo: _Rogerius Rex Apuliae etc_, ed in altre rapportate dall'Ughello
pur si legge lo stesso; ed Agostino Inveges[545], che reputò queste
nostre province membri del Regno di Sicilia, dalle molte carte, ch'egli
stesso rapporta, ove leggendosi titoli conformi, avrebbe potuto di
ciò ricredersi; e nell'Archivio del monastero della Trinità della
Cava abbiam noi veduto un diploma del Re Ruggiero spedito nel 1130
primo anno del suo Regno, che ha il suggello d'oro pendente, nel quale
Ruggiero così s'intitola: _Rogerius Dei Gratia Siciliae, Apuliae et
Calabriae Rex, Adjutor Christianorum, et Clypeus, filius, et haeres
Rogerii Magni Comitis:_ quindi è che nelle decretali[546] de' romani
Pontefici i nostri Re vengono chiamati _Re di Puglia_.
Ma merita maggior riflessione un diploma rapportato da Falcone
beneventano, dove questo titolo dassi a Ruggiero: _Rogerius Dei gratta
Siciliae, et ITALIAE Rex, Christianorum Adjutur, et Clypeus_. Nel
che affin di evitar gli errori, ne' quali sono molti inciampati, è
da notarsi, che la Puglia, la quale fu sempre dimostrata per quella
regione d'Italia di qua di Roma, ch'è bagnata dal mare Adriatico, e che
secondo la descrizione d'Italia non abbracciava più che la X provincia
di quella, fu da poi secondo il solito fasto dei Greci da essi chiamata
assolutamente _Italia_; poichè, dominando essi prima tutta l'Italia, ed
avendo da poi perdute quasi tutte le province di quella, con essergli
negli ultimi tempi rimasa la sola Puglia; diedero alla medesima il
nome d'Italia; perchè potessero ritener almeno nel nome quel fasto
di chiamarsi ancora Signori d'Italia. Così abbiam veduto, che avendo
essi perduta l'antica Calabria, e ritenendo ancora il Bruzio, e parte
della Lucania, perchè non si scemassero i loro titoli, continuarono
ancora a creare gli Straticò di Calabria, i quali tenendo prima
la loro residenza in Taranto, perduta la Calabria, gli mandarono a
risedere a Reggio, e quindi amministrando il Bruzio, e quella parte
della Lucania, che era lor rimasa, diedesi perciò il nome di Calabria
a quelle province che ora ancora il ritengono. Per questa ragione da
Lupo Protospata viene chiamato Argiro Principe e Duca d'_Italia_, non
intendendo certamente dell'Italia, secondo la sua maggior estensione,
circondata da amendue i mari e dall'Alpi; ma della sola _Puglia_, di
cui allora era capo Bari. Parimente quest'istesso Scrittore nell'anno
1033 ed altrove, chiama Costantino Protospata _Catapanus Italiae_[547].
(Gli Antichi Scrittori però, chiamavano Italia quell'ultima punta, che
dal Golfo di S. Eufemia e di Squillaci si distende sino allo Stretto
siciliano, detta poi Bruzia ed ora Calabria. Ciò pruova con alcuni
passi di Aristotile, di _Dionisio Alicarnasseo e di Strabone, Samuel
Bocarto Geogr. Sacr. in Canaam, lib. 1, c. 33_).
Intorno a che ne abbiam noi un altro chiarissimo documento in un
diploma greco, il quale nell'anno 1253 in tempo dell'Imperador Corrado
Re di Sicilia, fu fatto tradurre in Latino, che si legge presso
Ughello[548], nel quale non essendosi, quando fu quello instromentato,
ancora queste province innalzate in Reame, il Conte Ruggiero così
s'intitola: _Hoc est sigillum factum a Rogerio Duce Italiae, Calabriae,
et Siciliae_: ove si vede chiaro che per Italia i Greci non intendevano
altro che la Puglia. E nella vita del Beato Nilo, che dal greco fu
tradotta in latino da Cariofilo, si legge, che Niceforo _regebat
utramque Provinciam, Italiam, et Calabriam nostram_, non intendendo
altro per _Italia_, se non che la _Puglia_, da' Greci allor posseduta;
e per questa medesima ragione da' greci Scrittori, e fra gli altri da
Niceforo Gregora vien sempre appellato Carlo d'Angiò _Rex Italiae_; il
quale da' Latini, siccome allora volgarmente si parlava, era detto Rex
Apuliae. Anzi questo greco idiotismo di chiamare la Puglia _Italia_,
non solo fu ritenuto da' Scrittori di quella Nazione, ma fu usato
ancora da' nostri Autori latini, siccome presso Falcone beneventano
s'incontra molto spesso, dove parlando dell'espugnazione fatta da
Lotario Imperadore del castello di Bari, dice, _de tali tantaque
victoria tota Italia, et Calabria, Siciliaque intonuit_[549].
Così infino che la Puglia fu ritenuta da' Greci, acquistò anche il nome
d'Italia, col quale non si denotava altro, che quella sola provincia;
ma da poi per opra de' Normanni avvenne, che il nome di Puglia oscurò
i nomi di tutte le altre province a se vicine, le quali per questa
cagione sotto questo nome eran anche designate. Ciò avvenne, perchè
i Normanni le loro prime gloriose imprese l'adoperarono nella Puglia;
e da poi che questa Nazione ne fece acquisto con tanta loro gloria e
vanto, se ne sparse la fama per tutto l'Occidente, onde risonando il
nome di Puglia frequentemente per le bocche de' stranieri, rimasero
quasi del tutto oscuri i nomi dell'altre congiunte regioni; e fu bene
spesso, spezialmente da' forestieri, in lor cambio unicamente usurpato
il nome di Puglia per tutte l'altre province adiacenti; quindi avvenne,
che per la Puglia s'intendeva non solo quella provincia, ma tutta
l'Italia cistiberina, e tutte quelle province, che oggi compongono il
Regno di Napoli; non altrimente di ciò, che presso i Popoli orientali
dell'Asia veggiamo usarsi, i quali per le gloriose gesta de' Franzesi,
tutti gli occidentali, non con altro nome chiamano, se non di Franzesi;
la qual gloria non è nuova di questa Nazione; poichè sin da' tempi di
Ottone Frisingense, per le frequenti spedizioni di Terra Santa, onde si
renderono in Oriente rinomatissimi, leggiamo presso questo Scrittore,
che gli Orientali, e singolarmente i Greci, ogni uomo occidentale, lo
chiamavano Franzese[550]. Perciò intitolandosi Ruggiero _Rex Apuliae_,
non della Puglia presa nel suo stretto e vero senso, dee intendersi, ma
di tutto ciò che ora forma il nostro Regno. Per quest'istessa cagione
molti Scrittori, ancorchè nominassero la sola Puglia, intendono però
di tutta questa gran parte d'Italia, come presso Pietro Bibliotecario
nella vita di Pascale, ed altri Autori spesso s'incontra[551]. Quindi
avvenne ancora, che comunemente presso i nostri Popoli questo Regno,
prima che da' romani Pontefici così spesso se gli dasse il nome di
Sicilia di qua del Faro, e che negli ultimi tempi acquistasse quello di
Regno di Napoli, fossesi appellato Regno di Puglia.
Fu perciò molto facile, che siccome da' Greci era stato dato il
nome d'Italia alla Puglia, che non abbracciava più che una sola
provincia, si fosse quello dato da poi con maggior ragione a tutte
l'altre province di qua del Tebro, che pure sotto nome di Puglia erano
denotate; onde si fece che a Ruggiero riuscisse meglio chiamarsi
Re d'Italia, che di Puglia, così per esser un titolo più sublime
e spezioso, risorgendo nella sua persona quello de' Re d'Italia,
del quale se n'erano fregiati i Goti ed i Longobardi, come anche
perchè sopra la Puglia non ritrovava questo titolo di Re, siccome
lo trovò sopra la Sicilia; se pure non avesse voluto ricorrere a
quegli antichissimi Re de' Dauni, de' Lucani e di Taranto, de' quali
Freccia[552] tratta ben a lungo, ma pur troppo infelicemente. Reputò
adunque Ruggiero intitolarsi non men Re di Sicilia, che d'Italia,
per Italia non intendendo altro che la cistiberina, siccome presso
gli Autori di questi tempi assolutamente per Italia intendevano
questa parte; in quella guisa appunto, che avvenne, quando per le
province d'Italia assolutamente erano denotate quelle sole, ch'erano
sottoposte al Prefetto d'Italia, non quelle, che ubbidivano al Prefetto
della città di Roma, ancorchè venissero comprese nella descrizione
dell'Italia presa nella sua più larga estensione.
Si conosce da ciò chiaro, che intitolandosi Ruggiero non meno Re di
Sicilia che d'Italia, ovvero di Puglia, che due Regni furono stabiliti
independenti l'uno dall'altro, non un solo in guisa, che queste nostre
province avessero avuto a reputarsi come membri e parte del Regno di
Sicilia.
Si dimostra ciò ancora dalle leggi proprie, che ritenne, le quali non
furono comuni con quelle della Sicilia, che si governava con leggi
particolari; poichè queste nostre province anche da poi che furono
ridotte in forma di Regno sotto Ruggiero, non riconobbero altre
leggi, che le longobarde, e secondo le medesime si amministravano, le
quali non ebbero autorità, nè alcun uso nella Sicilia, che non fu da'
Longobardi mai acquistata, per non aver avute questa Nazione forze
marittime, siccome l'ebbero i Normanni; onde il lor vigore non s'estese
mai oltre il Faro. Così ciascun Regno avea leggi proprie, e secondo le
medesime ciascun si regolava independentemente dall'altro; e ciascuna
di queste province avea il suo Giustiziero co' suoi Tribunali, nè le
cause quivi decise si portavano per appellazione in Palermo, quasi che
ivi vi fosse un Tribunale superiore a tutti gli altri, ma restavano
tutte in esse, come diremo più partitamente quinci a poco, quando degli
ufficj della Corona farem parola.
E se tra le nostre antiche memorie non abbiamo, che Ruggiero o altro
suo successor normanno avesse mandato nel Regno di Puglia alcun Vicerè,
che avesse avuto il governo generale di tutto il Reame, come si praticò
da poi negli ultimi tempi da' Principi d'altre Nazioni; ciò non fu
per altro, se non perchè Ruggiero, e' due Guglielmi suoi successori
solevano molto spesso in Salerno venire a risedere, ed anche perchè il
lor costume era di creare i figliuoli della lor Casa regale, o Duchi
di Puglia, o Principi di Capua o di Taranto, ed a' medesimi perciò
commettere il governo de' Ducati o Principati a lor conceduti, siccome
fece appunto Ruggiero, il quale ritiratosi a Palermo, lasciò il governo
di queste province a' due suoi figliuoli, a Ruggiero Duca di Puglia, e
ad Anfuso Principe di Capua.
Ma siccome è vero, che il Regno di Puglia fu independente da quello
di Sicilia, e che avea leggi e Magistrati particolari, così ancora
non può negarsi, che le leggi che Ruggiero stabilì in questo tempo,
ed i supremi Ufficiali della Corona, che a somiglianza del Regno di
Francia v'introdusse, furono comuni ad ambedue; essendo noto, che gli
Ufficiali della Corona erano destinati così per l'uno, che per l'altro
Reame; e così fu osservato finchè l'isola di Sicilia si sottrasse da'
Re angioini, e si diede sotto il governo de' Re aragonesi, come vedremo
nel corso di questa Istoria.


CAPITOLO V.
_Delle leggi di RUGGIERO I, Re di Sicilia._

Ruggiero adunque essendo in cotal guisa con presta e maravigliosa
fortuna divenuto tanto e sì potente Re, avendo debellati i suoi nemici,
e ridotte sotto la sua ubbidienza le province ribellanti, pensò per via
di molte utili e provvide leggi ridurle in quiete, dalla quale per le
tante e continue guerre erano state assai tempo lontane.
Si governavano queste province, come tante volte si è detto, colle
antiche leggi romane già quasi spente, e ritenute per tradizione più
tosto, e come antiche usanze, che per leggi scritte. Le dominanti erano
le leggi longobarde, le quali appresso i Normanni restarono intatte,
e con molta religione osservate: e con tutto che si fossero in Amalfi
ritrovate le Pandette, ed in alcune Accademie d'Italia, e precisamente
in Bologna, si cominciassero per opra d'Irnerio a leggersi, ed il
Codice colle Novelle di Giustiniano non fossero cotanto ignote;
nulladimanco Ruggiero non permise, che ne' suoi dominj questi libri
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