Istoria civile del Regno di Napoli, v. 3 - 04

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Principe fuori di quella Casa. Si diede perciò occasione a' nostri
Italiani di nuovamente aspirare all'Imperio ed al Regno d'Italia,
come lo pretesero, ponendo in su Ardoino figliuolo di Dodone Marchese
Eporediense; onde tornossi agli antichi disordini.


CAPITOLO V.
_Instituzione degli Elettori dell'Imperio; ed elezione d'ERRICO Duca di
Baviera._

Comunemente a questi tempi si crede, che avesse avuto principio
l'istituzione degli Elettori dell'Imperio; poichè si narra, che Ottone
III, disperato di prole, prevedendo i gravi disordini, che dovean
sorgere in Germania per l'elezione del suo successore, pensasse in
vita, col consiglio ed autorità di Gregorio V, stabilire il modo di
questa elezione, e che per levare i torbidi, restringesse ciò ch'era di
tutti i Principi della Germania, a' soli sette Elettori, e quindi aver
origine gli Elettori, che oggi diciamo dell'Imperio.
Ma siccome il modo e l'autore, da chi fosse stato questo Collegio
istituto, è incerto, così ancora è più incerto il tempo, nel quale
fu tal costume introdotto, variando i Scrittori, e portando fra di
loro sentimenti pur troppo diversi. Alcuni[94] la riportano a' tempi
più remoti, volendo che da Carlo M. cominciasse; ma questa opinione
vien condannata da tutti gli Scrittori, per falsa e ripugnante a
tutta l'istoria, essendo manifesto che molto tempo da poi fu tal
Collegio istituito, e da ciò che s'è narrato ne' libri precedenti di
quest'Istoria, è molto chiaro, che i successori di Carlo M. non da
certi Principi della Germania, ma da tutti i Principi della Francia,
e molto più dall'elezione del predecessore, in vita o ne' testamenti,
eran eletti Imperadori, o come se fosse ereditario non uscì l'Imperio
dalla stirpe di Carlo M., e Lodovico III figliuolo d'Atenulfo, ultimo
che fu del sangue di Carlo, non lasciando di se prole, vinto da
Berengario di Verona perdè insieme la vita e l'Imperio. Quindi, come si
è veduto ne' precedenti libri, cominciò l'Imperio a scadere, poichè i
nostri Italiani ed i Romani non riconoscevano altri per Re d Italia ed
Imperadori, se non quelli, che per via delle armi restavano superiori
a' lor nemici; così Berengario, Lodovico Boson, Ugone Arelatense,
Lotario suo figliuolo, Rodolfo di Borgogna, ed altri occupando
l'Italia, affrettarono ancora esser riputati Imperadori. Dall'altra
parte i Principi della Francia e della Germania riconoscevano per
Imperadore Corrado Re di Germania della stirpe di Carlo, il quale
essendo prossimo alla morte, come narra Nauclero[95], persuase que'
Principi, che per suo successore eleggessero Errico Duca di Sassonia.
Ma così Corrado, come Errico non ebbero mai il titolo d'Imperadore,
insino che dopo questi avvenimenti non fu eletto _ab omni populo
Francorum, et Saxonum_ (come dice Nauclero) Ottone il Grande, il quale
avendo conquistata l'Italia, acquistò ancora col consenso del Popolo
romano il nome, e la dignità d'Imperadore, e dal Papa in Roma fu unto
e incoronato. E coloro, che ad Ottone successero, come il III Ottone,
quasi come se ad essi per ragion ereditaria appartenesse, furono
parimente da tutti i Principi della Germania eletti Imperadori, come si
è veduto: tanto che il voler riportare questo costume fin a' tempi di
Carlo M. è un solenne errore a crederlo.
Per la falsità di questa credenza, surse l'altra che teneva, che il
principio di questo Collegio dovesse porsi ne' tempi d'Ottone III, il
quale disperato di prole, prevenendo gli sconvolgimenti che doveano
accadere nell'elezione del suo successore, col consiglio ed autorità di
Gregorio V, avesse ristretta questa facoltà, ch'era di tutti i Principi
della Germania, per toglier le divisioni, a soli sette.
Ma Onofrio Panvinio[96] riprova ancora quest'opinione, e vuole che
non prima della morte di Federico fosse stato questo Collegio di sette
Elettori istituito da Gregorio X, romano Pontefice; poichè e' dice per
molto tempo dopo la morte d'Ottone III tutti i Principi della Germania,
come prima, così Vescovi, che laici eleggevano gl'Imperadori, ed in
questo modo essere stato eletto Errico II, Corrado I e II, Errico IV e
V, Lotario II, Federico I e Filippo I. Ma quest'opinione non contiene
minor errore della prima, poichè molto tempo innanzi di Gregorio X
hassi presso agli Scrittori antichi memoria di questi sette Elettori:
di essi parlano Martino Polono, che scrisse sotto Innocenzio IV, Lione
Ostiense, che fiorì sotto Urbano II ed il Concilio di Lione celebrato
sotto l'istesso Innocenzio IV. Quindi il Baronio per isfuggire l'errore
di Onofrio ne cade in un altro, credendo perciò che non da Gregorio
X, ma da Innocenzio IV, nel Concilio di Lione fosse la prima volta
stabilito il Collegio de' sette Elettori: ma si vede anche esser
erronea tal opinione per quell'istesso, che si dice di Gregorio X,
poichè gli Scrittori, che fiorirono avanti il Concilio di Lione, o
in quel torno, parlano di questo Collegio come di cosa molto antica.
L'Autore del libro _de Regimine Principum_ (malamente attribuito a
S. Tomaso, onde a gran torto il nostro Cuiacio[97] caricò d'ingiurie
questo Santo su la credenza, ch'egli ne fosse Autore, dicendogli,
che delirasse per tutto il libro) fiorì prima del Concilio di Lione.
Ostiense, che avanti questo Concilio scrisse la sua Cronaca ed Agostino
Triunfo, che poco da poi scrisse dell'istituzione de' sette Elettori,
a' tempi di Gregorio V la riportano, e ne parlano come di cosa molto
antica: ond'è molto verisimile, che avesse avuto il suo principio ne'
tempi del Concilio di Lione. Di vantaggio i sette Elettori, che si
noverano in questo Concilio, sono diversi da coloro che sono ora, e
che furono anticamente. Martino Polono fin ne' suoi tempi narra essere
stati i tre Cancellieri, cioè l'Arcivescovo di Magonza Cancelliere
della Germania, quello di Treveri Cancelliere della Francia, e
l'altro di Colonia Cancelliere d'Italia; e quattro altri Principi pure
Ufficiali dell'Imperio, il Marchese di Brandeburgo gran Camerario,
l'Elettor Palatino Dapifero, il Duca di Sassonia Portaspada, ed il Re
di Boemia Pincerna. Quelli però, che si contano nel Concilio di Lione
sono altri, i Duchi d'Austria, di Baviera, di Sassonia e di Brabanzia,
ed i Vescovi sono quelli di Colonia, di Magonza e di Salsburgo.
In tanta varietà di pareri, sembra più verisimile, che a questi tempi
d'Ottone III fossesi istituito il Collegio degli Elettori; ma che ne'
susseguenti poi si ponesse in uso, e fosse praticato, che nell'elezione
intervenissero solamente sette Elettori[98]; poichè gravissimi Autori
narrano, che Ottone disperato di prole, perchè non accadessero
sedizioni nell'elezione del suo successore, avesse consultato
con Gregorio V il modo da tenersi nell'avvenire per l'elezione
degl'Imperadori, nel che bisognò anche, che v'intervenisse il consenso
de' Principi della Germania, a' quali s'apparteneva tal elezione: ed
egli è credibile, che per lo bene della pace alcuni credessero questa
loro ragione, con restringere, per evitar le confusioni ed i partiti,
il numero degli Elettori a sette: se bene l'Istoria ne accerta che non
così tosto si ponesse in pratica tal istituto, poichè molti Principi
non volendo cedere questa loro prerogativa, vollero anche intervenire
nell'elezioni. Così leggiamo, ch'Errico successore d'Ottone, non da
sette Elettori, ma da' Principi della Germania, dice Nauclero, essere
stato eletto, e restano ancora altri esempi consimili di essere
intervenuti più Principi e Prelati della Germania, tanto che tra le
Epistole di Gregorio VII n'abbiamo una di questo Pontefice drizzata
a tutti i Vescovi, a' Duchi, e Conti della Germania per l'elezione
d'un nuovo Re nel caso, che Errico non s'emendasse. Così facilmente
s'accorderanno fra loro quelli, che dicono il Collegio de' sette
Elettori sotto Ottone III essere istituito, e quelli che non prima di
Gregorio X o d'Innocenzio IV vogliono avesse avuto principio, poichè
questi parlano dell'uso e della pratica, quelli del solo istituto.
Dal che si conosce ancora, la vanità del Bellarmino in questo
proposito, e de' suoi seguaci non esser inferiore a quell'altra della
translazione dell'Imperio ai Franzesi nella persona di Carlo M. o
ne' Germani in quella d'Ottone, in volendo all'autorità del Papa
attribuire questa istituzione; poichè nè il Papa, nè l'Imperadore
istesso, senza il consenso de' Principi della Germania, del cui
pregiudizio trattavasi, potevano restringere a' soli sette Principi
questa facoltà, con spogliarne gli altri; nè potevan farlo, siccome in
fatti non lo fecero; e gli Scrittori testimoniano, che col consenso
degli altri Principi si restringesse a sette questa prerogativa.
La Cronaca antica, della quale alcuni vogliono, che ne fosse Autore
Alberto Stadense nell'anno 1240 porta, che per consenso de' Principi
i Vescovi di Treveri e di Magonza eleggono l'Imperadore; ed Agostino
Triunfo[99] narra, che nel tempo di Ottone, Gregorio V, avendo
convocati e richiesti i Principi d'Alemagna, avesse istituiti i
sette Elettori. Leopoldo[100] rapporta ancora, che in tempo d'Ottone
III, che non ebbe figliuoli, fu istituito, che per certi Principi
della Germania Ufficiali dell'Imperio, ovvero della Corte imperiale
s'elegesse l'Imperadore; ma sopra tutti niuno più diligentemente ci
descrisse questa istituzione di Nauclero[101], il quale dice, che
Ottone III non avendo prole maschile, per consiglio de' Principi
della Germania, stabilì, che morto l'Imperadore, in Francofort
dovesse farsi l'elezione, costituendo per Elettori tre Arcivescovi,
e quattro altri Ufficiali dell'Imperio di sopra rapportati; onde poi
fu introdotto, che a soli questi Elettori s'appartenesse eleggere
l'Imperadore, il quale non era così chiamato ma solamente Cesare, e
Re de' Romani, se non dapoichè in Roma dal Pontefice non fosse stato
incoronato. Così l'Imperadore Ottone trascelse tra tanti Principi sette
Ufficiali dell'Imperio per Elettori, forse per consiglio del Papa,
ma principalmente per consenso dei Principi, che cederono alla lor
ragione; ed il Pontefice Gregorio V approvò lo stabilimento fatto per
consenso de' Principi. Tanto che tal istituzione non al Papa, ma più
tosto all'Imperadore, e sopra tutto ai Principi stessi della Germania
deve attribuirsi, siccome osservò ancora il Cardinal Cusano[102]. E se
bene, come si è veduto, non così tosto che fu ciò stabilito, si fosse
posto in pratica; nulladimeno da poi col correr degli anni, i Principi
della Germania anteponendo il ben pubblico a' privati interessi,
cedendo a' loro diritti a sette solamente restrinsero gli Elettori;
i quali riconoscono tal autorità non dal Papa, nè dall'Imperadore, ma
dal consenso comune di tutti coloro, a' quali prima appartenevasi tal
elezione; e l'autorità Imperiale tutta dalla loro elezione dipende,
non da altri; e se il costume fu di prender la corona d'oro in Roma
dal Papa, ciò non fu riputato, che per una solennità e cerimonia,
siccome degli altri Principi, che sogliono farsi ungere ed incoronare
dai proprj Vescovi, come abbiam veduto de' Re d'Italia, di Francia,
di Spagna, ed altri: tanto che Massimiliano Imperadore presso al
Guicciardino[103], in una concione, che fece agli Elettori prima di
passar in Italia, si protesta, e lor disse, ch'egli avea deliberato di
passare in Italia per ricevere la corona dell'Imperio con solennità
(come è noto più di cerimonia, che di sostanza) perchè la dignità e
l'autorità imperiale dipende in tutto dalla vostra elezione.
L'istituzione adunque di questo Collegio Elettorale, se bene avesse
avuto il suo principio sin da' tempi d'Ottone III non fu però messa in
esecuzione nell'elezione d'Errico Duca di Baviera, che gli succedè;
poichè questo Principe, secondo il solito modo, fu fatto Re di
Germania da' Principi e Prelati di essa. Intanto i nostri Italiani,
scorgendo che Ottone non avea di se lasciati figliuoli, aspirarono
di nuovo a ridurre l'Imperio ed il Regno d'Italia nelle loro mani.
Infatti Ardoino in Pavia fu Re d'Italia proclamato, e tenne il Regno,
ancorchè combattuto da Errico, poco men di due anni. L'Arcivescovo
di Milano reputando a suo disprezzo ciò che s'era fatto in Pavia
intorno all'esaltazione d'Ardoino senza sua autorità, mosse Errico
a discacciarlo dal Trono. Non solo i Pontefici romani, ma sino gli
Arcivescovi di Milano pretendevano, che l'elezione de' Re d'Italia
appartenesse a loro; e ciò che prima fu istituito per sola solennità,
e cerimonia di farsi i Re da loro ungere ed incoronare, da poi la
pretesero di necessità, e che assolutamente ad essi s'appartenesse
l'elezione. Documento (siccome infiniti altri se ne scorgeranno nel
corso di quest'Istoria) che devono i Popoli ed i Principi guardarsi
molto bene ne' proprj affari, in tutto ciò che appartiene ad essi, di
non farvi ingerire i Preti, poichè costoro ciò che prima ricevono per
cortesia, o riverenza dovuta alla loro dignità, da poi lo pretendono
di necessità, anzi con somma ingratitudine niegano poi riconoscerlo
da essi, ed alla loro autorità e carattere l'attribuiscono. Così
Arnulfo Arcivescovo di Milano (se dee prestarsi fede al Sigonio) tenne
un Concilio di suoi Vescovi, e depose Ardoino, conferendo il Regno
d'Italia ad Errico. Tanto che per questo fatto ne restarono gravemente
offesi i Pontefici romani per le deposizioni, che vantano di poter essi
soli fare di Regni ed Imperj, giacchè allora fin gli Arcivescovi di
Milano tentarono di farlo per li Re d'Italia. Mandò per tanto Errico,
invitato da Arnulfo, in Italia il Duca Ottone per discacciarne Ardoino,
e fu guerreggiato con dubbia sorte: ma Arnulfo scorgendo, che non
poteva così facilmente discacciar d'Italia Ardoino, il quale devastava
tutto il Milanese, s'adoperò in maniera per Legati, che Errico in
persona calasse in Italia: vennevi questo Principe con potente armata,
prende Verona, ove Ardoino erasi presidiato, e lo confina in Pavia,
e cintala di stretto assedio tosto la riduce in sua potestà, e con
incendj e saccheggiamenti, la riduce in cenere[104]: da poi portatosi
a Milano fu in questa città immantenente incoronato Re d'Italia
dall'Arcivescovo; onde molti dei nostri Italiani, abbandonato Ardoino,
s'unirono al partito dell'Arcivescovo e d'Errico.
Fu allora, che avendo Errico debellato e distrutto li suo emolo,
portossi in questo anno 1013 presso Roncaglia, dove seguitando i
vestigi, de' suoi maggiori, tenne una Dieta, e molte leggi da lui
furono stabilite, le quali come Re d'Italia le stabilì, non avendo
ancora assunto il nome d'Imperadore. Convennero nella Dieta, secondo
il solito, molti Principi, Marchesi, Conti, Giudici, ed anche molti
dell'Ordine ecclesiastico, come Arcivescovi, e Vescovi. Fu allora, che
stabilì questo Principe quelle leggi, che abbiamo nel libro primo e
secondo delle leggi longobarde[105], le quali dall'antico Compilatore
di que' libri furono all'altre aggiunte, come stabilite da Errico, che
se non ancora Imperadore, era stato però Re d'Italia acclamato, dopo
fugato Ardoino. Altre leggi accenna il Sigonio[106], e moltissime altre
furono raccolte da Goldasto[107].
Portossi indi a poco Errico in Ravenna, donde spedì Legati in Roma al
Pontefice Benedetto VIII per li quali gli espose esser apparecchiato
venir in Roma a prender l'insegne e la Corona imperiale[108]; tosto
si incamminò per quella città, ove accolto benignamente dal Papa e
da' Romani, secondo il costume fugli con solita cerimonia e celebrità
da quel Pontefice posta la Corona imperiale, ed Augusto dal Popolo
fu proclamato: indi avendo confermati i privilegi alla Chiesa romana
conceduti da' suoi predecessori non molto da poi tornossene in
Germania, ove era richiamato. Così l'Imperio ed il Regno d'Italia
dalla stirpe degli Ottoni passò nella Casa de' Duchi di Baviera nella
persona d'Errico II ed Ardoino che poco men di due anni tenne il Regno
d'Italia, perduta ogni speranza di riacquistarlo, si vestì Monaco in un
monastero presso Turino.
Ma mentre Errico imperava nell'Occidente, e Basilio nell'Oriente,
accaddero in queste nostre regioni avvenimenti così portentosi e
grandi, che finalmente tutti terminarono nella dominazione d'una nuova
gente la quale da tenuissimi principj, per mezzo delle loro valorose
azioni potè unire queste nostre Province, già in tante parti divise, e
a tanti Principi sottoposte, sotto un solo Moderatore, e che finalmente
in forma d'un ben fondato e stabil Regno le riducesse. Furono questi i
prodi e valorosi Normanni, l'origine de' quali, e le loro famose gesta
saranno ben ampio e luminoso soggetto de' seguenti libri di questa
Istoria.


CAPITOLO VI.
_Politia ecclesiastica di queste nostre province per tutto il decimo
secolo insin alla venuta de' Normanni._

La politia ecclesiastica, che si vide a questi tempi introdotta presso
di noi, comincia ad avere qualche rapporto alla presente, per quanto
s'attiene all'innalzamento de' Vescovi in Metropolitani. I Papi,
per la concessione del Pallio, trassero a se per nuovo diritto la
ragione sopra i Vescovi, obbligandogli ad andare in Roma a riceverlo,
innalzandogli a Metropolitani. Trasse quindi origine la pretensione,
che le cause delle loro diocesi per appellazione, o per negligenza in
trattarle dovessero portarsi a Roma: ed infine di voler soprantendere
a tutti i loro affari; ed eressero perciò molti nuovi Metropolitani
e Vescovi. Ebbero in ciò tutto il favore degli Ottoni Imperadori
d'Occidente, e d'Ottone I sopra ogni altro, li quali contro l'ambizione
de' Patriarchi di Costantinopoli gli difesero, facendo valere la
loro autorità anche sopra alcuni di quegli Stati, che s'appartenevano
all'Imperio greco. Aveva Ottone I forte cagione di sostenergli, poichè
niuno Imperadore fu cotanto da' romani Pontefici favorito, quanto lui.
Se tra' Scrittori ancor si disputa del Sinodo tenuto da Adriano in
Roma, dove narrasi essere stata data a Carlo M. la potestà di eleggere
il Papa; non si dubita però che Lione VIII in un general Concilio
tenuto nell'anno 964 in Laterano avesse ad Ottone M. ed a tutti
gl'Imperadori germani suoi successori conceduto in perpetuo, non pure
il Regno d'Italia ed il Patriziato romano, ed avesse con indissolubil
nodo unito l'Imperio d'Occidente col Regno germanico, ond'è che
Ottone, ed i suoi successori furono poi Sovrani di Roma; ma ancora
d'ordinare la Santa Sede, ed eleggere il Papa a suo arbitrio e piacere.
Confermogli ancora, ciò che Adriano avea conceduto a Carlo M. il
diritto dell'_investiture_, dandogli potestà coll'anello e col bastone
investire gli Arcivescovi ed i Vescovi delle loro Chiese. Di questo
Concilio tenuto in Roma ne rendono testimonianza Luitprando[109],
Ivone Carnotense[110], donde il prese Graziano[111], che volle pure
inserirlo nel suo decreto; e Teodorico di Niem da un antico Codice
fiorentino lo inserì anche nel suo Trattato delle Ragioni, e Privilegj
dell'Imperio[112].
Così vicendevolmente favorendo l'un l'altro, vennesi molto più a
corrompersi l'antica disciplina, ed il mutarsi l'antica disposizione
delle Chiese. I Papi perciò più Vescovi ordinarono, e più metropoli
cressero; ma l'innalzamento di queste si vide che facevasi, secondando
la disposizione delle città dell'Imperio, con adattarsi sempre la
politia ecclesiastica alla temporale; siccome appunto accadde in queste
nostre province.

_Principato di CAPUA._
Tra le città più cospicue ch'erano in quelle province sottoposte a'
Longobardi, si è veduto essere state Benevento e Salerno; ma ora Capua
sopra ogni altra estolse il capo. Quindi (non volendosi tener conto
di ciò che si facessero i Patriarchi di Costantinopoli nelle città al
greco Imperio sottoposte) la prima città del nostro Regno, che fosse
stata da' romani Pontefici innalzata ad esser metropoli, fu Capua. A
Lodovico Imperadore era venuto in pensiero nell'anno 873 di render
Capua metropoli; ma, come narra Erchemperto[113], frastornato per
altre cure, non ebbe questo suo pensiero effetto. Ma nel Pontificato
di Giovanni XIII, patendo costui fiere persecuzioni da' principali
Signori romani, che lo discacciarono da Roma, venendo a Capua, fu
cortesemente accolto dal Principe Pandulfo; il Papa riconoscente
di questo beneficio, nell'anno 968 in grazia sua innalzò Capua ad
esser metropoli, e consecrò Arcivescovo di quella Giovanni fratello
del Principe[114]. Ebbe per suffraganei i Vescovi d'Atina, il qual
Vescovado a' tempi di Papa Eugenio III fu soppresso, quello d'Isernia,
che prima andava unito colle Chiese di Venafro e di Bojano, l'altro
di Sessa, che poi si sottrasse da questa metropoli, e fu posto sotto
l'immediata soggezione del Pontefice romano; ed in decorso di tempo
multiplicandosi tuttavia in questo Principato più Vescovi, ebbe
ancora per suffraganei, siccome oggi ritiene, i Vescovi di Cajazza,
di Carinola, di Calvi, di Caserta, di Teano e di Venafro. Furon anche
suoi suffraganei i Vescovi d'Aquino, di Fondi, di Gaeta e di Sora,
ma sottratti da poi dalla Chiesa di Capua, furono immediatamente
sottoposti alla Sede Appostolica.

_Principato di BENEVENTO._
Il Principato di Benevento, non meno che quello di Capua, meritava
ancora quest'onore; la sua estensione sopra tutti gli altri Principati
e Ducati maggiormente lo richiedeva. Quindi si vede sopra tutti
i Metropolitani del nostro regno, l'Arcivescovo di Benevento aver
ritenuti ancora più Vescovi suffraganei. Fu pure un'anno appresso nel
969, innalzato Benevento dallo stesso Pontefice Giovanni XIII, ad esser
metropoli: e siccome era quella riputata capo d'un sì ampio Principato,
così secondando la politia della Chiesa quella dell'Imperio, si vide
il Vescovo di Benevento Capo di tutte le Chiese del suo Principato.
Fu in grazia dell'Imperador Ottone e del Principe Pandulfo costituito
Arcivescovo di Benevento Landolfo, a cui Papa Giovanni concedè il
Pallio, ed il titolo di Metropolitano[115]. Ciò che di particolare
si osserva in questa Chiesa si è, che il Vescovo beneventano prima
d'essere innalzato al grado di Metropolitano, ebbe Siponto, e molte
altre Chiese cattedrali a se soggette. Egli fu il più favorito non
men da' Pontefici romani, che dagli Imperadori, e da' suoi Principi di
innumerabili prerogative e privilegi. Costui un tempo videsi fregiato
di quelle due insigni prerogative, le quali oggi al solo Pontefice
romano sono riserbate, cioè di portar la mitra rotonda a guisa
dell'antica Tiara pontificia con una sola corona fregiata d'oro; e di
portare, mentre andava visitando la provincia, il Venerando Sacramento
dell'Altare; ed ora pur ritiene a guisa de' romani Pontefici l'uso di
segnare col sigillo di piombo le sue Bolle. Un tempo l'Arcivescovo di
Benevento ebbe la temporal Signoria della città di Varano con molte
altre terre e castelli, ed esercitava giurisdizione in molti luoghi, ed
ora i suoi Vicarj sono Giudici ordinarj in grado d'appellazione delle
cause civili tra' laici: e sopra le ville di S. Angelo, e della Motta,
secondo che rapporta Ughello[116], ritengono ancora il mero e misto
imperio.
L'estensione del suo Principato portò ancora in conseguenza, che
il numero de' Vescovi suffraganei fosse maggiore di quanti mai
Metropolitani fossero in queste province. Ne riconobbe un tempo
fino a trentadue, insino che alcuni di essi non fossero innalzati
o a Metropolitani, come fu quello di Siponto, che poi distaccatosi
da questa Chiesa, resse per se medesimo la sua Cattedra: ovvero
non fossero stati sottratti, e sottoposti immediatamente alla Sede
Appostolica, o altri, per la distruzione delle loro città, non
fossero stati soppressi. Ebbe sin da questi tempi per suffraganei i
Vescovi di S. Agata de' Goti, di Avellino, di Arriano, d'Ascoli, di
Bovino, di Volturara, di Larino, di Telese, di Alife e di Siponto.
Essendosi poi nel Regno da' romani Pontefici fatti più Vescovi, e
molte Chiese rendute cattedrali, che prima non erano, fu veduto,
come si è detto, il numero dei suffraganei molto maggiore. Quindi
ora si vede, essendosi per nuova distribuzione diviso il Regno in
più province, che questo Metropolitano abbia Vescovi suffraganei, non
pure nel _Principato Ultra_, ma in altre province fuori di quello. Nel
_Contado di Molise_ vi ha il Vescovo di Bojano, e l'altro di Guardia
Alfiera. Nel _Principato Citra_ ve ne ha cinque, quello di Avellino,
e gli altri d'Arriano, di Trivico, di Volturara, e di Monte Marano. In
_Terra di lavoro_ ne ritiene tre, quel di S. Agata de' Goti, d'Alife,
e di Telese. In _Capitanata_ sei, cioè Ascoli, Bovino, Larino, S.
Severo, Termoli e Lucera. Li Vescovadi di Draconaria, di Civitade, di
Firenzuola, di Frigento, di Lesina, di Montecorvino e di Turtiboli,
che tutti furono suffraganei all'Arcivescovo di Benevento, per la
desolazione delle loro città restano oggi estinti, ed unite le loro
rendite ad altre Chiese cattedrali; e quelle di Lesina distrutta da'
Saraceni, al magnifico ospedale della Nunziata di Napoli.
Teneva ancora in questa provincia, quando Siponto e 'l Monte Gargano
erano compresi nel Principato di Benevento, la Chiesa sipontina e
la garganica attribuite al Vescovo di Benevento sin da tempi di S.
Barbato dal Duca Romualdo, acconsentendovi anche Vitagliano R. P. il
quale nell'anno 668, a Barbato, e suoi successori confermò la Chiesa
sipontina; e poco men di quattrocento anni i Vescovi beneventani si
intitolavano anche Sipontini, ond'è che Landulfo, che fu il primo
Arcivescovo di Benevento, si nominava anche di Siponto; ma tolta
da poi questa provincia da' Greci a' Longobardi, e passata quindi
sotto la dominazione de' Normanni, furono da Benevento separate, e
Siponto antica sede de' Vescovi fu innalzata a metropoli. La Chiesa
sipontina sin da' primi tempi ebbe i suoi Vescovi; e negli atti del
Concilio romano celebrato nell'anno 465, sotto Ilario R. P. si legge la
soscrizione di Felice Vescovo di Siponto. Un altro Felice pur Vescovo
di questa città troviamo ne' tempi di S. Gregorio M. a cui da questo
Pontefice si veggono dirizzate molte sue epistole, e nel decreto di
Graziano[117] fassi memoria di Vitagliano Vescovo di Siponto, a cui
S. Gregorio drizzò parimente sue lettere. Caduta poi per le fiere
guerre tra' Longobardi beneventani, e' Greci napoletani in istato
lagrimevole, fu, come si disse, duopo unirla a quella di Benevento;
donde non si staccò se non in questi tempi, quando sedendo in Roma
Benedetto IX, nell'anno 1034, la divise da Benevento, e la decorò della
dignità Arcivescovile, e quindi ne' decretali[118] s'incontra spesso
il nome degli Arcivescovi sipontini. Pascale II, da poi le diede per
suffraganeo il Vescovo di Vesti, che ancor oggi ritiene.
Ritengono questi Arcivescovi il nome di Sipontini, ancorchè Siponto sia
ora distrutta, ed in suo luogo sopra le ruine di quella dal Re Manfredi
fossesi edificata un'altra città chiamata dal suo nome Manfredonia.
I Pontefici romani, e per serbarle il pregio dell'antichità, e per
l'odio che tengono al nome di Manfredi, le han fatto conservare
l'antico nome. I Canonici e' cittadini garganici pure pretesero, che
avendo gli Arcivescovi sipontini, o per l'amenità del luogo, ovvero
per occasion di guerre, sovente trasferita la loro residenza nel
Gargano, che dovessero chiamarsi non meno Sipontini, che Garganici, e
che la loro chiesa non meno che Siponto dovesse godere degli stessi
onori e prerogative; n'allegavan anche una bolla di Papa Eugenio
III, e ne mossero perciò lite in Roma, che ha durato più secoli. Ma
Alessandro III, profferì contro di essi la sentenza, poichè essendosi
riconosciuta la bolla d'Eugenio, videsi rasa e viziata in quella parte,
ove riponevan tutta la loro difesa. I successori d'Alessandro, Lucio,
Celestino, Innocenzio III, e tutti gli altri Papi confermarono la
sentenza d'Alessandro; onde ora la Chiesa sipontina solamente ritiene
l'onore di metropoli, a cui i Garganici sono sottoposti.
Non mancò chi credette, che al Metropolitano di Siponto, quando
Benedetto IX, l'innalzò a tal dignità, le avesse ancor dati quattro
Vescovi per suffraganei, cioè quello di Troja, l'altro di Melfi, e
quelli di Monopoli e di Rapolla; ma come ben pruova l'Ughello, questi
o non mai, o per poco tempo salutarono l'Arcivescovo di Siponto come
lor Metropolitano; poichè nel Concilio lateranense celebrato nell'anno
1179, sotto Alessandro III, i Vescovi di Melfi, e di Monopoli si
sottoscrissero con gli altri Vescovi immediatamente sottoposti alla
Sede Appostolica; e que' di Troja, e di Rapolla non v'intervennero;
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