Istoria civile del Regno di Napoli, v. 3 - 23

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ed autorità; ed in fatti come più innanzi vedrassi, non per le leggi
romane contenute in questi libri, ma per le leggi longobarde, e per
le romane, che come per tradizione erano ritenute da questi Popoli, si
decidevano le liti. Nè appresso di noi vi fu anche occasione che questi
libri si potessero leggere nelle nostre pubbliche Scuole; poichè insino
a Federico II gran fautore delle lettere, che l'introdusse in Napoli,
noi non avevamo Accademie; nè se non ne' tempi più bassi, essendo gli
ultimi a seguitare l'esempio delle altre città d'Italia, cominciarono
in queste province gli studj di questi libri, e ad allegarsi nel Foro
più per forza di ragione, che di legge, come si vedrà nel corso di
quest'Istoria.


CAPITOLO III.
_Il Re Ruggiero prosiegue la guerra con Innocenzio: morte d'Anacleto,
seguita poco da poi da quella di Lotario Imperadore, e di Rainulfo Duca
di Puglia: Ruggiero ricupera le città perdute; e tutte queste province
col Ducato napoletano al suo Imperio si sottomettono. Innocenzio
è fatto prigione, e pace indi seguita tra lui e 'l Re, al quale
finalmente concede l'investitura del Regno._

Espugnata da' Pisani Amalfi, e gli altri luoghi di quel contorno,
ordinò Lotario a' medesimi, che andassero ad oste a Salerno, alla
quale impresa fece anche venir da Napoli il Duca Sergio, e da Capua il
Principe Roberto, ed egli v'inviò il Duca Rainulfo con mille de' suoi
Alemanni; dalle quali genti insieme unite, fu strettamente Salerno
assediato.
Era questa città difesa da Roberto Cancelliero del Re Ruggiero, il
quale non teneva altra milizia per difender quest'importante Piazza,
che solo quattrocento soldati con alcuni Baroni de' circonvicini
castelli; ma al picciol presidio suppliva la fede e l'amor de'
Salernitani verso Ruggiero, i quali per essere stati lungo tempo
sotto il dominio di quel Re, gli erano come a loro antico Signore
fedelissimi. S'aggiungeva ancora la gratitudine per la quale erano
tanto obbligati a questo Principe, da cui sopra tutti gli altri erano
stimati, ed in gran pregio tenuti, avendo scelta tra tutte le città
di questo Regno, Salerno per fede della sua regal Corte; e siccome
nell'isola di Sicilia egli avea posta la sua residenza in Palermo,
così quando era obbligato per gli affari di queste province di passare
il Faro, non altrove, che in Salerno faceva dimora. Per le quali
cagioni con molto valore si difendevano dagli insulti degli assalitori;
tanto che i Pisani, sperimentata la loro fortezza, per vincer la loro
costanza fecero comporre una macchina per isforzar le mura della città,
della quale ebber tanto spavento i Salernitani, che cominciarono a
disperar della difesa; onde essendo sopraggiunti all'assediata città
il Pontefice e l'Imperadore, i Salernitani inviando a Cesare loro
messaggi si sottoposero a lui, con condizione, che i soldati stranieri
potessero girne ove lor meglio gradiva, onde alcuni d'essi partirono,
ed altri insieme co' Baroni e Capitani, che colà erano, si ritirarono
alla Rocca della città, valorosamente mantenendola sotto il dominio
del lor Signore. I Pisani avendo saputo essersi i Salernitani resi
all'Imperadore, ed essere stati da lui ricevuti senza dirne nulla
a loro, sdegnati fieramente di tal dispregio, arsero tantosto le
macchine, che avean composte per espugnar Salerno, ed apprestati lor
legni volevan ritornare a Pisa; e l'avrebber posto ad esecuzione se il
Pontefice, cui molto premea la loro alleanza, non gli avesse con molte
preghiere, e con larghe promesse trattenuti; ma sì fatta discordia
cagionò, che non s'espugnasse la Rocca, la quale perciò rimase alla
divozione di Ruggiero.
Maggiori furono le discordie, che nacquero per questa stessa cagione
tra l'Imperadore ed Innocenzio, pretendendo questi la città di Salerno
appartenersi alla romana Chiesa, e sebbene finora non si sappia per
qual particolar ragione, con tutto ciò si vede che Gregorio VII non
volle in conto alcuno investirne Ruggiero, siccome nè tampoco gli
altri suoi successori, per questo istesso che pretendevano quella città
alla Sede Appostolica appartenersi; ma Lotario opponendosi fortemente
a tal dimanda, fece che Innocenzio s'acchetasse[508], non volendo
quest'accorto Pontefice romper con lui in vantaggio di Ruggiero, il
quale da queste discordie avrebbe per se ritratto maggior profitto: non
fu però che Innocenzio non sentisse di ciò grave dispiacere, e che non
cominciassero perciò gli animi ad alienarsi da quella concordia, nella
quale prima erano uniti.
Partirono alla fine (credendo aver terminata la loro spedizione)
da queste nostre province Innocenzio e Lotario, il quale avendovi
lasciato Rainulfo suo Capitano con molti altri Ufficiali perchè
potesser opporsi a Ruggiero, e mantener gli acquisti fatti, se ne
andò col Pontefice in Roma, e di là per la via di Toscana prese il
cammino per Alemagna[509]. Ma Ruggiero, che infino ad ora cedendo
all'impeto di tante procelle, aspettava tempo migliore per riacquistar
in uno tratto il perduto, appena ebbe avviso, che Lotario erasi dalla
Campagna partito, che ragunò in Sicilia una grossa armata; e come
intese ch'egli era in Roma per passar in Alemagna, calò prestamente
in Salerno colla sua armata[510]. Tosto si rese questa città al suo
antico padrone, e di là gitone ad oste a Nocera, la ripose tantosto
sotto il suo dominio, ed il somigliante fece di tutte le terre colà
d'intorno, di cui era Signore il Duca Rainulfo. Indi andò sopra Capua,
e fieramente sdegnato col Principe Roberto per essere stato il primiero
istrumento della venuta di Lotario in Italia, quella prese a forza, e
vi fece dare uno spaventevole sacco. Andò poscia col vincitore esercito
in Avellino, e quello preso con tutti i circonvicini luoghi, verso
Benevento avanzossi. I Beneventani sgomentati anch'essi per la felicità
di Ruggiero mandarono parimente a sottoporsi a lui, e lasciando il
partito d'Innocenzio, al quale poco anzi aveano giurata fedeltà,
aderirono ad Anacleto per far cosa grata al Re, il quale venuto,
passò poi a Montesarchio, che tantosto se gli rese: indi entrato
nella Puglia cominciò con molto valore a sottoporsi molte città della
medesima. Il Duca Rainulfo, come vide Ruggiero entrato nella Puglia,
ragunò dalle città di Bari, Trani, Melfi, e da Troja 1500 valorosi
soldati, e s'avviò contro Ruggiero, disposto di voler piuttosto morire
combattendo, che cedere vilmente al nemico.
Intanto erano pervenuti a notizia d'Innocenzio i progressi di
Ruggiero, e vedendo lontano l'Imperadore, e che non vi era da fondar
molta speranza nè nel Duca Rainulfo, nè ne' Capitani di Cesare,
pensò di mandare al Re Bernardo Abate di Chiaravalle, al quale
diede in incombenza di trattar la pace, e di ridurre in concordia
il Re col Duca; ma riuscite vane le pratiche di Bernardo in que'
tempi molto riguardevole e per la sua dottrina, e molto più per la
santità della vita, vennero il Duca ed il Re alle mani, e pugnatosi
vigorosamente, restò in questo incontro Ruggiero perdente; ma niente
però importandogli tal perdita, ritirato in Salerno, rinvigorisce
le sue truppe per di nuovo invadere la Puglia. Non lasciava però
l'Abate di Chiaravalle di trattar continuamente col Re per ridurlo
in pace col Pontefice; e finalmente ottenne da lui, che venissero
tre Cardinali d'Innocenzio, e tre altri d'Anacleto innanzi a lui,
perchè udite le ragioni d'amendue, avrebbe poi deliberato quel che
gli fosse paruto più convenevole. In effetto Innocenzio gli mandò il
Cardinale Aimerico Cancelliere di S. Chiesa, ed il Cardinale Gherardo
uomini di molta autorità, insieme coll'Abate Bernardo; ed Anacleto
gli mandò similmente tre altri suoi Cardinali, quali furono Matteo
parimente suo Cancelliere, Gregorio, e Pietro Pisano uomo riputato
in questi tempi di molta eloquenza e dottrina, e molto versato nella
Sacra Scrittura[511]. Giunti in Salerno, volle il Re per più giorni
sentirgli; indi ragunato tutto il Clero salernitano, e buona parte
del suo Popolo coll'Arcivescovo Guglielmo, e gli Abati de' monasteri,
postasi la cosa in deliberazione ed in iscrutinio, non si venne mai
a conchiuder per opra di Ruggiero, il quale, secondo narra Falcone
beneventano, proccurava tirar in lungo queste ragunanze per trattenere
con questi trattati di pace Innocenzio ed il Duca Rainulfo, affinchè
intanto potesse egli rifarsi de' danni patiti, ed unir nuovo esercito.
L'Abate di Bonavalle ed il Cardinal Baronio narrano altrimenti il fatto
di ciò che ne scrisse Falcone Autor contemporaneo: dicono aver solo
Bernardo con Pietro Pisano trattato quest'accordo con Ruggiero, e che
sebbene Pietro restasse convinto dalle ragioni di Bernardo, il Re però
non volle unirsi mai con molta pertinacia ad Innocenzio, tanto che
obbligò l'Abate di Chiaravalle a partirsi di Salerno, e di ritornare
in Roma. Che che ne sia, Ruggiero senza conchiuder niente se ne partì
ancora, e salendo su la sua armata andò in Sicilia, per ritornare in
Puglia con eserciti più numerosi.
Ma ecco mentr'egli dimorava in Sicilia, in quest'anno 1138 a' 7 di
gennaro accadde in Roma purtroppo opportunamente la morte d'Anacleto,
la qual fece, che questo scisma, che per otto anni avea travagliata la
Chiesa si spegnesse. I figliuoli di Pier Lione, e gli altri seguaci
d'Anacleto tosto avvisarono al Re la morte del lor Pontefice, con
dimandargli se e' reputava espediente, che se gli creasse successore.
Ruggiero, a cui premeva di nudrire simili discordie, perchè il partito
d'Innocenzio, al suo contrario, non molto s'avanzasse, rispose che
tosto lo creassero: siccome in fatti i Cardinali del partito d'Anacleto
unitisi insieme, elessero per successore Gregorio Romano Cardinale
de' Santi Appostoli, a cui posero nome _Vittore IV_. Ma in questo
incontro fu tale l'opera dell'Abate Bernardo, che alle sue persuasioni
così Vittore, come i suoi Cardinali che l'elessero, si sottoposero ad
Innocenzio, ed avendo deposto Vittore tutte le insegne del Papato a'
suoi piedi, s'estinse del tutto lo scisma[512] laonde i Romani cotanto
si lodarono di Bernardo, che per onorarlo gli diedero perciò il nome di
Padre della lor patria; ma egli che faceva profession di Santo, avendo
a noja gli onori di questo Mondo, partendosi di Roma, in Francia, al
suo monastero di Chiaravalle, fece ritorno. Pietro Diacono[513] che
appunto qui termina la sua Giunta alla Cronaca di Lione Ostiense narra
in altra guisa il fatto: dice che Innocenzio per mezzo d'uno grosso
sborso di denari che diede a' figliuoli di Pier Lione, ed a coloro
che gli aderivano, gli trasse alla sua parte: onde i Cardinali, che
aveano eletto Vittore, destituti d'ogni ajuto, per dura necessità si
sottoposero ad Innocenzio. Vi è chi lo scusa, anche ammesso ciò per
vero, dalle colpe di simonia, allegando altri consimili esempli, come
fece l'Abate della Noce in questo luogo.
Innocenzio veduti racchetati gli affari di Roma, e libero da tali
discordie, rivolse tutti i suoi pensieri contro Ruggiero, ed alla
guerra della Puglia; onde gitone ad Albano ragunò grosso esercito per
unirsi col Duca Rainulfo: dall'altra parte il Re avendo parimente unite
le sue truppe, passò dalla Sicilia a' confini della Puglia per riporre
sotto il dominio le rimanenti città di quella provincia. Non mancò il
Duca Rainulfo d'opporsi, ma invano, onde il Re all'impresa di Melfi
voltò tutti i pensieri, ma non potendo espugnarla per la valida difesa,
prese tutti i castelli d'intorno, e dopo ciò tornato a Salerno quindi
partissi di nuovo per Sicilia.
Accadde in quest'istesso anno 1138 nella Valle di Trento la morte di
Lotario Imperadore: Principe oltre al valor delle armi, dotato di molte
virtù, e soprattutto amator delle lettere e del giusto: e merita esser
sopra tutti gli altri rinomato, per essersi a' suoi dì restituito
in Italia lo splendor delle leggi romane, e permesso che quelle si
insegnassero nell'Accademie d'Italia. Cagione, che da poi col correr
degli anni riacquistassero tanta autorità, e che si rendessero cotanto
chiare e luminose, che oscurate le altre leggi delle altre Nazioni oggi
sono la norma di tutte le Genti, e nell'Accademie meritamente tengono
il primo luogo e per le quali la più illuminata parte del Mondo si
governa. Ed è ben degno, che dagli amatori della legal disciplina sopra
tutti gli altri venga d'immense lodi commendato.
Fra gli Elettori dell'Imperio occorsero gravi contese per rifar il
successore. Aspiravano al soglio Corrado Duca di Suevia suo nepote, ed
Errico di Baviera suo genero; ma finalmente escluso Errico fu Corrado
innalzato a sì grande dignità, e fu salutato Imperadore da' Duchi,
Principi, Marchesi e da tutti i Grandi dell'Imperio, non essendosi
ancora ristretta quest'autorità a' soli sette, come si fece da
poi[514].
Dall'altra parte Innocenzio, cui non altra cura premeva, che di
abbattere il partito di Ruggiero, avendo nell'entrar dell'anno 1139
fatto convocare un Concilio in Roma, scomunicò ivi di nuovo Ruggiero,
e tutti coloro, che avean seguite le parti d'Anacleto[515]. Ma fulmine
assai più ruinoso sopravvenne ad Innocenzio non guari da poi; poichè
nell'ultimo giorno d'aprile il Conte d'Avellino e Duca di Puglia, che
con sì fiera e continua guerra avea travagliato il Re suo cognato,
ammalandosi d'una grave malattia morì in Troja di Puglia, e fu dal suo
Vescovo Guglielmo e da' suoi cittadini, dolorosissimi della sua morte
con molte lagrime nel Duomo sepolto.
Pervenuta in Sicilia la novella della sua morte, quanto contento
apportasse al Re Ruggiero non è da dimandare: egli allora tenne per
finita la guerra; onde uniti prestamente i suoi soldati passò in
Salerno[516]; ed ivi congregati tutti i Baroni, che seguivano la sua
parte, andò a Benevento, indi avendo soggiogati molti luoghi del Conte
d'Ariano, il quale fuggì a Troja, prese parimente in breve tempo tutte
le città e castelli di Capitanata. Ebbe il Re, come dicemmo, tra gli
altri suoi figliuoli natigli da Alberia sua prima moglie, Ruggiero
primogenito, il qual perciò fu da lui creato Duca di Puglia: questi
pareggiando il valor del suo padre, ch'era passato all'assedio di
Troja, soggiogò da poi tutti gli altri luoghi della Puglia, tanto que'
posti infra terra, quanto quegli ch'erano alla riviera del mare[517]:
la sola città di Bari, ch'era allor valorosamente difesa dal Principe
Giaquinto non potè avere in sua balìa; onde egli disperando della resa,
prese consiglio d'andarsene al Re suo padre, che stava campeggiando la
città di Troja. Era questa città difesa da Ruggieri Conte d'Ariano,
che colà con grosso numero di soldati erasi rifugiato, difendendola
egli con molta ostinazione, obbligò il Re a partirsi dall'assedio, il
quale unitosi col figliuolo volse i suoi eserciti verso Ariano, facendo
preparar molte macchine di legno per espugnarla.
Intanto Papa Innocenzio avendo intesa la rea novella della morte del
Duca Rainulfo, ed i felici progressi del Re in Puglia, non volendo
lasciar que' luoghi senza difesa, ragunate le sue truppe, e messosi
alla testa delle medesime, uscì da Roma, e venne a S. Germano.
Ruggiero che per questa spedizione di Innocenzio veniva frastornato
nel meglio de' suoi progressi tentò, prima di venir con lui alle
armi, se potesse riuscirgli di placarlo con dimandargli pace, inviò a
questo fine suoi Messi offrendosi pronto ad ogni suo volere. I Messi
furono ricevuti cortesemente da Innocenzio, il quale mandò altresì
a Ruggiero due Cardinali ad invitarlo, ch'egli venisse a S. Germano
per potere con effetto pacificarsi insieme. Il Re era allora tornato
di nuovo all'assedio di Troja, ed avendo ricevuti onorevolmente i
Cardinali, levatosi da quell'assedio insieme cui Duca suo figliuolo
s'avviò prestamente a S. Germano: fu per otto giorni[518] maneggiato
quest'affare; ma essendosi Innocenzio ostinato a pretendere la
restituzione del Principato di Capua al Principe Roberto, e non
volendo il Re a cotal fatto in modo alcuno consentire, fu disciolto
ogni trattato, ed avendo ragunati i suoi soldati partì da S. Germano.
Il Papa intesa la sua partita se ne andò colle sue genti al castello
di Galluccio, cingendolo di stretto assedio: la qual cosa venuta
incontanente a notizia del Re, ritornò velocemente indietro, e giunse
improviso a S. Germano; per la cui presta venuta il Pontefice, ed
il Principe Roberto ch'era con lui, fur percossi da subito spavento
in guisa tale, che senza alcuno indugio si tolsero dall'assedio del
castello di Galluccio per ritirarsi in luogo sicuro; ma il Re inviò
subito il Duca di Puglia suo figliuolo con ben mille valorosi soldati,
acciocchè tendendogli aguati assaltasse per lo cammino il Pontefice.
La qual cosa mandata felicemente ad effetto, andò la bisogna in modo,
che fur rotte e poste in fuga le genti papali, ed Innocenzio istesso
non senza ingiurie e dispregi fu condotto prigioniero al Re insieme
col Cancelliere Almerico, e con molti Cardinali, ed altri uomini di
conto, ponendosi anche i vittoriosi soldati a rubar i ricchi arnesi
del Pontefice, ove fu ritrovata grossa somma di moneta, salvandosi solo
colla fuga Roberto Principe di Capua.
Ecco a qual fine infelice han sempre terminate le spedizioni de'
Pontefici contro i nostri Principi, ed ecco il frutto che han sempre
ritratto, quando deposto il proprio mestiere, han voluto a guisa de'
Principi del Mondo alla testa d'eserciti armati coprirsi di elmo in
vece di tiara, e vestir di corazza in vece di stola e di dalmatica.
Questo memorando avvenimento succedette li ventuno di luglio di
quest'anno 1139[519] come ben pruova l'avvedutissimo Pellegrino[520]
contro quello che il Baronio, e D. Francesco Capecelatro scrissero,
i quali non intendendo il luogo di Falcone, scrissero la prigionia
d'Innocenzio esser succeduta a' dieci di questo mese. Nè lascerò qui di
dire, conforme molto a proposito avvertì il medesimo Capecelatro nella
sua Istoria de' Re normanni, ch'è tra le moderne la più accurata di
quante mai narrano i successi di questi Re, esser manifesto l'errore
di coloro, che questa rotta e prigionia d'Innocenzio scrissero esser
avvenuta nel principio del suo Pontificato e tutta altrimente di quel,
ch'ella avvenne, e che perciò si cagionasse lo scisma d'Anacleto;
poichè gli Autori contemporanei, e quei che poco da poi mandarono
alla memoria de' posteri questi successi, in quest'anno e nel modo
che s'è narrato la rapportano, come la cronaca di Falcone antichissimo
Scrittor beneventano, l'Anonimo Cassinense, le Istorie dell'Arcivescovo
Romualdo e di Ottone Frisingense, e le molte lettere scritte sopra
tal materia da S. Bernardo Abate di Chiaravalle: per l'autorità di sì
gravi e vecchi Scrittori il Cardinal Baronio, il riferito Capecelatro,
e l'incomparabile critico de' nostri fatti Camillo Pellegrino in tal
guisa rapportano questi avvenimenti.
Ma non meno per questa prigionia d'Innocenzio, che per quella di
Lione, rilusse la pietà de' Normanni verso la Sede Appostolica;
ancorchè Ruggiero, secondo ciò che dettavano le leggi della vittoria,
avesse potuto trattar Innocenzio come suo prigioniero, come si
sarebbe fatto ad ogni altro Principe del Mondo; nulladimanco non
sapendo egli distinguere differenti personaggi nel Pontefice, gli
rese tutti quegli onori, che sono dovuti al Vicario di Cristo: gli
mandò suoi Ambasciadori a chiedergli perdono, e a pregarlo che si
fosse pacificato con lui. Innocenzio vinto più da questa generosità
e grandezza d'animo di Ruggiero, che dalla sua forza, consentì
volentieri alle sue dimande: e ben presto dopo quattro giorni[521]
nel dì che si celebrava la festività di S. Giacomo fu presso Benevento
la pace conchiusa. Per parte del Papa si tolsero tutte le scomuniche
fulminate contro Ruggiero, e contro i suoi aderenti: onde il Re col suo
figliuolo Ruggiero andarono a mettersi a' suoi piedi e a riconoscerlo
per vero Pontefice; e gli giurarono perciò ambedue sopra i santi
Evangeli fedeltà così a lui, come a tutti i Pontefici suoi successori
legittimamente eletti, e gli si resero ligj, con promettergli il solito
censo di 600 schifati l'anno e di restituirgli Benevento. All'incontro
il Papa consegnandogli di sua mano lo stendardo, come allor si
costumava, l'investì del Reame di Sicilia, del Ducato di Puglia e del
Principato di Capua, riconoscendolo per Re, e confermandogli tutti
quegli onori e dignità che a' Re s'appartengono.
L'investitura spedita dal Pontefice sopra ciò, fu trasportata dai
registri della libreria di S. Pietro di Roma dal Cardinal Baronio, e
si legge ne' suoi annali[522]; nella quale occorrono più cose degne
d'essere osservate. Primieramente dice Innocenzio, ch'egli calcando
le medesime pedate de' suoi predecessori, ed avendo avanti gli occhi i
meriti di Roberto Guiscardo e di Ruggiero suo padre, i quali con tanti
sudori e travagli aveano estirpato dalla Sicilia, e da queste province
i Saraceni implacabili nemici del nome Cristiano, s'erano resi degni
d'immortal fama; gli confermava perciò il Regno di Sicilia a lui dal
suo antecessore Onorio investito, con la preminenza di Re, e con tutti
gli onori e dignità Regali; aggiungendo ancora il motivo e la ragione
per la quale doveasi Ruggiero possessore di quell'isola innalzare al
titolo di Re, e la Sicilia in Regno, che è quell'istessa che rapporta
l'Abate Telesino, perchè anticamente quell'isola ebbe le prerogative di
Regno, e' propri suoi Re che la dominarono: _Regnum Siciliae_ (sono le
sue parole) _quod utique, prout in antiquis refertur historiis, Regnum
fuisse, non dubium est, tibi ab eodem antecessore nostro concessum
cum integritate honoris Regii, et dignitate Regibus pertinente,
Excellentiae tuae concedimus, et Apostolica authoritate firmamus_;
reputando con ciò fra le altre potestà de' sommi Pontefici esser
quella d'ergere, o restituire i Reami, e' Regi, e tanto maggiormente
in quello di Sicilia, della quale i predecessori di Ruggiero dalla Sede
Appostolica ne furono investiti.
Gli conferma l'investitura del Ducato di Puglia, che dal suo
predecessore Onorio eragli stata data; e del Principato di Capua,
vivente ancora il Principe Roberto, che ne fu spogliato; e quando
prima avea usati tanti sforzi per farglielo restituire, ora ne dà
l'investitura a Ruggiero, soggiungendo: _Et insuper Principatum
Capuanum integre nihilominus nostri favoris robore communibus,
tibique concedimus: ut ad amorem, atque obsequium B. Petri
Apostolorum Principis, et nostrum, ac successorum nostrorum vehementer
adstringaris_: pretendendo in cotal guisa giustificare per legittimo
l'acquisto fatto di questo Principato da Ruggiero _Jure belli_; e
non per altro fine, affinchè siano Ruggiero, e' suoi successori più
riverenti ed ossequiosi alla Sede Appostolica, non altrimente di
quello, che si dichiarò Gregorio VII nella sua investitura.

I. _Il Ducato napoletano, Bari, Brindisi, e tutte le altre città del
Regno si sottomettono al Re RUGGIERO._
Merita ancora riflessione di non essersi in questa investitura
fatta menzione alcuna del Principato di Salerno; poichè i Pontefici
romani, ancorchè non si sapesse per qual particolar ragione, sempre
pretesero questo Principato appartenersi alla Sede Appostolica, non
altrimente, che Benevento. Non si vede nella medesima nè pur nominato
il Ducato napoletano, onde vanno di gran lunga errati coloro, che
scrissero Innocenzio avere investito Ruggiero anche di Napoli: nè
possiamo non maravigliarci quando nell'Istoria Napoletana ultimamente
data fuori dal P. Giannettasio[523] leggiamo, che da questo punto
Napoli da libera Repubblica passasse sotto la regia dominazione di
Ruggiero; e l'Autore quasi dolendosi di questo fatto pel sentimento
che mostra d'aver perduta la sua patria il pregio di essere libera,
accagiona Innocenzio, come 'l permetesse, quando quella città
apparteneva all'Imperio d'Oriente; quasi che anche se fosse stato
vero il fatto, fosse cosa nuova de' Pontefici romani investire de'
Stati, che loro non s'appartenevano; e se ciò parvegli novità, come
non sorprendersene, quando vide da' Papi investire i Normanni della
Puglia e della Calabria, province, che a' Greci s'involavano, e sopra
le quali vi aveano non minori ragioni, che sopra il Ducato napoletano.
Questo Ducato passò a' Normanni non già per investitura datagli da'
romani Pontefici, ma per ragion di conquista, e per sommessione de'
Napoletani, come qui a poco diremo. Solo nella Bolla d'Anacleto, dopo
l'investitura del Principato di Capua si soggiunse: _Honorem quoque
Neapolis, ejusque pertinentiarum_; che non denotava altro che l'onore
d'esserne Duca, con restare la città con l'istessa forma e politia;
e solamente Pietro Diacono[524] scrisse, che Anacleto, oltre al
Principato di Capua investisse anche Ruggiero del Ducato di Napoli;
ma ciò che fece Anacleto, non volle Ruggiero dopo la pace fatta con
Innocenzio, che gli giovasse; e del Ducato di Napoli, siccome di quello
d'Amalfi, di Gaeta, del Principato di Taranto e di Salerno, non volle
altri che ve n'avesse parte se non la ragion della conquista, e la
sommessione de' Popoli.
In effetto, ritornando là donde ci dipartimmo, avendo Ruggiero dopo
questa pace, liberamente lasciata al Papa la città di Benevento,
mentre quivi dimorava, vennero i Napoletani sgomentati anch'essi della
felicità di Ruggiero a sottomettere la loro città al suo dominio, come
già prima avea fatto Sergio lor Duca. Questo Duca, se dobbiamo prestar
fede ad Alessandro Abate Telesino, molti anni prima avea sottomessa
la città di Napoli a Ruggiero, ma da poi pentitosi del fatto s'unì col
Principe Roberto e col Conte Rainulfo di lui nemici, e lungamente gli
fece guerra: tornò poi al partito di Ruggiero, tanto che militando
sotto le di lui insegne, nella battaglia che perdè Ruggiero presso
Salerno, restò morto con altri Baroni dalle genti di Rainulfo.
In quest'anno adunque 1139 sperimentando i Napoletani il valor di
Ruggiero si sottoposero stabilmente al suo dominio: ed essendo rimasi
per la morte di Sergio senza Duca, elessero col consentimento del Re
in lor Duca Ruggiero suo figliuolo[525]. Inveges, pruova Ruggiero,
non Anfuso essere stato eletto Duca. Il Pellegrino vuole, che fosse
Anfuso. Che che ne sia, ancorchè questo Ducato passasse sotto la
regia dominazione di Ruggiero, non volle però egli che si alterasse la
forma del suo governo e la sua politia, furono i medesimi Magistrati,
e le medesime leggi ritenute, e confermò alla città tutte quelle
prerogative e privilegi che avea, quando sotto gli ultimi Duchi,
sottratta all'intutto dall'Imperio d'Oriente, avea presa forma di
libera Repubblica; e per questa ragione osserviamo, che anche dopo
Ruggiero insino all'anno 1190 come il Capaccio[526], o qual altro
si fosse l'Autore della latina istoria napoletana, rapporta, vi
siano stati altri Duchi di Napoli, come un altro _Sergio_, ed un tal
_Alierno_, in tempo del quale fu conceduto a' negozianti d'Amalfi,
dimoranti in Napoli, quel privilegio rapportato da Marino Freccia,
e di cui fassi anche menzione nella riferita istoria. Non è però,
come stimarono alcuni, che Ruggiero gli lasciasse l'intera libertà,
a guisa d'uno Stato libero ed indipendente. Credettero così, perchè
rapporta Falcone beneventano, che Ruggiero dopo la presa di Troja e
di Bari nel seguente anno 1140 fece ritorno in Napoli, dove narra,
che fu da' Napoletani lietamente e con molta festa accolto, e con
tanta pompa e celebrità, che niuno Re, nè Imperadore fu giammai in
essa con tanto onor ricevuto: che il seguente giorno cavalcando per la
città, salito in barca passò poscia al castel di S. Salvatore posto
sopra una isoletta dentro del mare non guari da Napoli lontana, che
diciamo oggi il castel dell'Uovo per la sua figura, ed ivi essendo,
avendo a se chiamati li cittadini napoletani, con quelli _de libertate
Civitatis_, _et utilitate tractavit_, come sono le parole di Falcone,
dalle quali ingannati credettero, che i Napoletani quivi trattassero
con Ruggiero della libertà della loro città, quando, come ben dimostra
l'avvedutissimo Pellegrino[527], di niente altro trattò il Re, se
non dell'immunità e franchigia che pretendevano da lui i Napoletani,
che fu loro tosto da Ruggiero accordata; ed avrebbe potuto togliersi
da quest'errore il Capaccio per quell'istesso privilegio, ch'egli
adduce, dove i Napoletani concedendo libertà a' Negozianti del Ducato
d'Amalfi commoranti in Napoli, per libertà non intendono altro, che
una tal sorte di franchigia ed immunità, come da quelle parole: _Ut
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