Istoria civile del Regno di Napoli, v. 3 - 22

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medesimo anno 1144.
Il quarto fu Guglielmo I quegli che dopo la morte d'Anfuso creato dal
padre Principe di Capua e Duca di Napoli, e morto da poi Ruggiero altro
suo fratello, fatto Duca di Puglia in suo luogo; finalmente nell'anno
1151 fu da Ruggiero assunto per suo Collega al Regno, e fu coronato
e dichiarato suo successore; siccome morto suo padre gli successe, e
per più anni tenne il Regno di Sicilia e di Puglia; poichè _Errico_
altro suo fratello morì giovanetto vivente il padre avanti la morte di
Ruggiero suo maggior fratello.
Ebbe Ruggiero altre mogli: _Sibilla_ sorella del Duca di Borgogna,
dalla quale presso i più diligenti Scrittori non si legge che avesse
procreati figliuoli: _Beatrice_, dalla quale gli nacque _Costanza_,
quella che destinata a cose più grandi con varie vicende si vide moglie
d'Errico VI Imperadore, e dalla quale nacque il famoso Federico II. le
cui gesta saranno ben ampio soggetto di quest'Istoria. E vi sono chi
a queste tre mogli di Ruggiero aggiunge la quarta, che dicono essere
stata N. sorella d'Anacleto, della famiglia di Pier Lione; e la quinta
chiamata _Airolda_ figliuola del Conte de' Marsi[469].
Ma mentre Ruggiero tenendo assediata Napoli, per mare travagliava
questa città, scorgendo, che per l'estremo valore de' suoi cittadini
non era per rendersi così subito, partissi dall'assedio, lasciando
a' suoi Capitani la cura di quello, ed egli in Salerno fece ritorno;
ove imbarcatosi sopra la sua armata passò in Sicilia per poter nella
vegnente primavera ritornar con esercito più numeroso ad espugnarla,
siccome narra Alessandro Abate di S. Salvatore della Valle Telesia, il
quale qui termina i quattro libri della sua latina istoria normanna.
Intanto il Principe di Capua Roberto era andato in Pisa a cercar
soccorso; ma non fu a tempo, poichè tornato da quella Città, ritrovò
Capua già presa, e furono inutili tutti gli altri suoi sforzi, che fece
da poi per riacquistarla; onde vedute disperate le sue cose, fece di
nuovo in Pisa ritorno. Il Duca di Napoli Sergio ancora, vedendo in tale
strettezza la sua città, temendo dell'ultima sua ruina, se non avea
presti ajuti, imbarcatosi sopra un naviglio passò anch'egli in Pisa per
soccorso, ma non avendolo potuto ottenere, tutto afflitto se ne tornò
indietro a Napoli.
Ma il Principe Roberto avendo ritrovato in Pisa Papa Innocenzo, fu
da costui stimolato a passare in Alemagna, e a chiedere in suo nome,
ed in nome del Pontefice soccorso a Lotario Imperadore. Giunto egli
in Lamagna fu caramente dall'Imperadore accolto, il quale lo rimandò
tosto in Pisa con certa promessa di venire nel seguente anno in Italia
a liberar la Chiesa di Roma dallo scisma, ed a restituire Roberto
nel suo Principato. In questi tempi per la sua dottrina, e più per la
bontà de' costumi Bernardo Abate di Chiaravalle aveasi acquistata in
Europa gran fama di santità; onde non meno presso l'Imperadore, che del
Papa Innocenzio era in somma stima tenuto, ed i suoi consigli erano
di grande autorità, ed avendo proccurato Innocenzio in questo scisma
trarlo alla sua parte contro Anacleto, non può dubitarsi che fu uno de'
mezzi più adoperati ed efficaci a favor d'Innocenzio, e che prendendo
le sue parti con ardore non gli portasse molto ajuto e conforto. Egli
non si ritenne in queste congiunture scrivere calde e pressanti lettere
all'Imperador Lotario, che come avvocato e difensore della Chiesa,
calasse tosto in Italia a reprimere l'orgoglio de' Scismatici, ed a
vendicarsi di Ruggiero. Ed il suo zelo fu tanto, che in una lettera
che scrisse a Lotario, non ebbe alcun ritegno di chiamar Ruggiero
usurpatore, e che ingiustamente aveasi usurpata la Corona di Sicilia,
non altramente, che Anacleto la sede di S. Pietro: _Caesaris est_, e'
diceva a Lotario, _propriam vindicare Coronam ab usurpatore Siculo. Ut
enim constat Judaicam sobolem Sedem Petri in Christo occupasse injurias
sic proculdubio omnis, qui in Sicilia Regem se facit, contradicit
Caesari_; come se la Sicilia Ruggiero l'avesse sottratta all'Imperio
d'Occidente, e Lotario dovesse reputarsi come un altro Ottaviano
Augusto a riguardo di tutte le province del Mondo.
Furono però quest'inviti cotanto efficaci, che finalmente Lotario si
dispone a calar la seconda volta in Italia con eserciti più poderosi
e con forte deliberazione di abbattere lo scisma, e discacciar
Ruggiero da queste province; scrisse perciò ad Innocenzio, che nella
festività di S. Jacopo di quest'anno 1136 si sarebbe egli partito
di Lamagna[470]. Papa Innocenzio tantosto inviò tal novella al Duca
di Napoli Sergio, ed il Principe Roberto con cinque navi cariche di
vettovaglia andò a soccorrer Napoli, che grandissima fame pativa,
per tenerla i soldati del Re così stretta, che da niun lato per terra
potevano introdursi viveri. E fatti certi Sergio ed i Napoletani della
venuta dell'Imperadore, ritornò prestamente il Principe Roberto a Pisa,
e di là n'andò ad incontrar Lotario, il quale ritrovò aver già passate
le Alpi, ed essersi attendato a Cremona.

I. _Lotario cala la seconda volta in Italia, ed abbatte le forze di
Ruggiero._
Fu nel declinar di questo anno 1136 nel mese di novembre, che questo
Imperadore fermato in _Roncaglia_ (che come altre volte abbiam
detto, è un campo piano e largo posto sopra il Po non molto lontano
da Piacenza)[471] ragunò, secondo il costume de' suoi maggiori, una
Assemblea di tutti gli Ordini così ecclesiastico di Arcivescovi e
Vescovi, come de' Nobili, di Duchi, Marchesi, Conti, ed altri Baroni, e
de' Magistrati delle città d'Italia, ove a richiesta de' medesimi per
mezzo d'una sua Costituzione stabilì alcune altre leggi feudali, che
riguardano principalmente la proibizione di poter alienare i Feudi.
Questa Costituzione noi l'abbiamo nel libro secondo de' Feudi[472];
ed anche nel libro terzo delle leggi longobarde[473]. Nè l'istesso
Pellegrino[474] può negare che sia di questo Lotario; onde da ciò
ancora si convince, che il Compilatore delle leggi longobarde, unì le
Costituzioni degl'Imperadori come Re d'Italia, cominciando da Carlo
M. sino a quest'ultimo Lotario (poichè quella di Carlo IV fu aggiunta
molto tempo da poi di questa Compilazione) perchè gli altri Imperadori
che dopo Lotario tennero l'Imperio d'Occidente, e che sovente calati
in Italia presso Roncaglia stabilirono altre leggi, atteso che queste
riguardavano solamente i Feudi: i Compilatori delle Consuetudini
Feudali, che furono a tempo di Federico I non stimarono unirle alle
leggi longobarde, ma facendo una Compilazione a parte l'unirono al
Corpo delle Consuetudini Feudali, onde ne surse un nuovo Corpo di leggi
dette Feudali, che ultimamente da Cujacio fu distinto in cinque libri,
come trattando di questa Compilazione a suo luogo più distesamente
diremo.
Non vide Ruggiero più fiera procella di quella, che gli mosse Lotario
in questa seconda volta, che calò in Italia. Si vide in un baleno
sottratte dal suo Regno le più belle province, com'erano queste di
qua del Faro: al suo arrivo si rinvigorirono le speranze de' suoi
nemici, ed i mal contenti si resero più animosi a prorompere in
aperte sedizioni; poichè in prima non mancò Lotario, avvisato delle
angustie, nelle quali era ridotta la città di Napoli, e che i suoi
cittadini per le case, e per le piazze perivan di fame, di mandar
lettere ed Ambasciadori a Sergio, ed ai Napoletani, confortandogli a
durare per picciol tempo nell'assedio, ch'egli tantosto sarebbe venuto
in lor soccorso. Ed in fatti non tardò guari, che s'incamminò verso
Apruzzi, e pervenuto al fiume Pescara, valicatolo, soggiogò Termoli
con molti luoghi di quella provincia; e passato in Puglia, prese la
città di Siponto, ed atterrì in maniera i Pugliesi, e gli pose in tanta
costernazione, che tutte le città di quel contorno insino a Bari, ove
Lotario era passato, si diedero in sua balìa.
Intanto Innocenzio, che dimorava a Pisa, erasi già partito di colà, e
passato a Viterbo per incontrarsi con l'Imperadore, il qual intesa la
venuta del Papa in quella città, gl'inviò tosto Errico suo genero con
tremila soldati, e gli mandò a dire che proccurasse di conquistare le
terre della Campagna di Roma, e di restituire il Principato di Capua
a Roberto, perch'egli per altro cammino avrebbe proccurato di toglier
a Ruggiero l'altre province della Puglia: onde Innocenzio con altro
esercito venne a S. Germano, che tantosto se gli diede. Indi passato
a Capua non vi essendo chi potesse resistergli, tosto si rese padrone
di quella città, e ripose in essa e nel suo Principato il Principe
Roberto[475]. E scorso da poi in Benevento, dopo breve contrasto,
i Beneventani si resero a lui. Indi partissi per girne a ritrovar
Lotario in Puglia, il quale avea già presa Bari[476], e sol gli restava
d'espugnare la sua forte Rocca, la quale Ruggiero avea edificata, e
di grosso e valoroso presidio munita; ma quella finalmente espugnata,
portossi l'Imperadore ed Innocenzio sopra Melfi di Puglia: ed avendola
per alcun tempo tenuta assediata, l'ebbero alla fine in lor balìa.
Fu in questo anno 1137 che Lotario avendo tolta a Ruggiero la Puglia
pensò di crearne un nuovo Duca, ed avendo fatto in Melfi a tal fine
ragunare un Parlamento, ove fece chiamare tutti i Baroni di quella
provincia, trattò ivi della creazione di questo nuovo Duca, mandando
in tanto i suoi eserciti verso Salerno per assediare quella città.
Insorsero per tal occasione gravi contese tra Lotario ed Innocenzio
intorno a quest'elezione[477]: pretendeva Innocenzio per le ragioni
altre volte addotte, che siccome i suoi predecessori aveano investito
i Normanni del Ducato di Puglia, così ora essendosi tolto a costoro,
suo dovesse essere il potere di investirne altri. All'incontro Lotario
pretendendo esser queste province dipendenti dall'Imperio d'Occidente,
essere degl'Imperadori la facoltà dell'investire altri[478], siccome
di fatto l'Imperador Errico ne avea investiti i Normanni. La discordia
s'accese in maniera, che se non fosse stato il timore conceputo, che
Ruggiero lor comune nemico non se ne profittasse, sarebbe terminata
in aperta guerra. A questo fine si pensò un espediente, col quale
proccurossi di non recarsi pregiudizio alle ragioni dell'Imperio, nè
della Chiesa; e fra lor si convenne che il nuovo Duca si dovesse da
ambedue investire[479]. Fu eletto Rainulfo Conte d'Avellino di nazione
normanna, non Germano, come credette il Sigonio[480], cognato del Re,
e figliuolo del Conte Roberto, il quale era nato dal vecchio Conte
Rainulfo fratello germano di Riccardo I Principe di Capua[481].
Fu adunque Rainulfo creato nuovo Duca di Puglia, e gli fu dato
lo Stendardo, con cui fu investito del Ducato per mano d'ambedue,
d'Innocenzio e di Cesare. E Falcone Beneventano aggiunge, che a' 5
di settembre l'istesso Papa Innocenzio nella chiesa arcivescovile di
Benevento unse Rainulfo in Duca di Puglia, essendo a questa unzione
presenti il Patriarca di Aquileja, molti Arcivescovi, Vescovi ed Abati.
Così insino a questo punto i due più fieri nemici di Ruggiero, i quali
si erano così ben distinti a favor di Lotario e del Papa, riceverono i
premj de' loro sudori e travagli: Roberto fu restituito nel Principato
di Capua, e Rainulfo a più sublime dignità fu promosso. Rimaneva
l'altro, ch'era Sergio co' suoi Napoletani, i quali finora avean
con inaudita costanza in mezzo a tante calamità e penurie sostenuto
l'assedio della loro città; perciò Lotario ed Innocenzio verso queste
parti rivoltarono tutti i loro sforzi, e tenendo i loro eserciti
presso Salerno, pensarono di espugnar prima questa città, e da poi
passare a levar l'assedio di Napoli, aspettando in tanto il sospirato
soccorso di Pisa, senza il quale non poteva per via di mare portarsi
soccorso alcuno in quella città, e senza il quale non era da sperare di
poter ridurre Amalfi e gli altri luoghi marittimi d'intorno, sotto la
dominazione di Cesare. Ma ecco che pur troppo opportunamente i Pisani
con cento legni armati, siccome avean promesso, giunsero in Napoli, ed
introdotto soccorso in questa città, tanto che non vi era più timore di
rendersi, non guari da poi fu loro da Cesare comandato, che passassero
in Amalfi affin di ridurre quella città co' luoghi vicini, siccome vi
passarono con quaranta sei galee, e quivi giunti, espugnarono Amalfi,
Scala e Ravello, e facendo gran bottino in quella città, e nella sua
riviera, ridussero Amalfi sotto la dominazione dell'Imperadore.


CAPITOLO II.
_Ritrovamento delle Pandette in Amalfi; e rinovellamento della
giurisprudenza romana, e de' libri di Giustiniano nell'Accademie
d'Italia._

Fu in quest'incontro, che la città d'Amalfi ancorchè espugnata, si
rese luminosa e chiara ne' secoli seguenti sopra tutte le altre città
d'Europa: poichè alla sua gloria d'aver un suo cittadino trovata
la bussola, s'accoppiò quella d'essersi con tal occasione trovato
in questa città il volume delle Pandette di Giustiniano Imperadore
da taluni creduto che fosse propriamente quello istesso, che questo
Imperadore fece compilare. Gli esemplari di questo volume erano quasi
che sepolti, per le molte Compilazioni seguite appresso de' Basilici,
e per le molte altre cagioni, che si dissero nel settimo libro di
quest'Istoria: solo per la Francia, come fu altrove notato, ne girava
attorno qualcheduno, poichè osserviamo che Ivone Carnotense, che
fiorì a' tempi di Pascale II verso l'anno 1099 nelle sue epistole
allega sovente le leggi delle Pandette[482]. Ma in Italia n'era
affatto perduta ogni memoria: solamente, come si disse, il Codice,
le Istituzioni, e le sue Novelle erano conosciute, più per diligenza
de' romani Pontefici, e per li Monaci, appresso i quali era allora la
letteratura, che per altro.
In fatti molte leggi del _Codice_ vediamo noi da' Pontefici romani
rapportate nelle loro decretali, come in quelle di Gregorio III
e d'altri Pontefici[483]: delle _Istituzioni_, e delle _Novelle_
non era così rara la notizia, poichè abbiam veduto che il celebre
Abate Desiderio nella sua Biblioteca Cassinense ne conservava gli
esemplari; ma la più bella parte, ch'era quella delle Pandette, ed
ove racchiudesi il candore e la pulitezza delle leggi Romane, era
a noi molto più nascosta, e rara la notizia. In Ravenna non è ancor
deciso il dubbio, se veramente se ne conservasse qualche parte. Guido
Pancirolo[484] rapporta l'opinione di alcuni, che credevano nell'anno
1128 in Ravenna in un'antica Biblioteca essere state ritrovate le
Pandette, le quali offerte a Lotario, avendole riconosciute per
legittimo parto dell'Imperador Giustiniano, avesse ordinato, che
pubblicamente si spiegassero nelle Scuole. Ma l'istesso Pancirolo
riputa più vera l'opinione di coloro, che scrissero in Ravenna il
_Codice_ di Giustiniano essersi ritrovato, non già le _Pandette_, le
quali in Amalfi in quest'anno 1137 per l'occasione già detta furono
scoverte. Alla città dunque di Amalfi non molto da Napoli lontana si
dee questa Gloria; non già a Melfi di Puglia, come alcuni Oltramontani
scrissero i quali non ben intesi de' luoghi particolari, e delle città
di queste nostre Province, hanno sovente preso abbaglio in confonder
l'una coll'altra città; siccome per contrario il Concilio celebrato
in Puglia a Melfi nell'anno 1059 sotto Niccolò II, dissero che si
fosse celebrato ad Amalfi. Alcuni altri, forse tratti dall'amore della
gloria della loro patria, non si ritennero di dire che non in Amalfi,
ma che in Napoli i Pisani mentre entrarono a soccorrerla, l'avessero
trovate, e che toltele a' Napoletani in Pisa le trasportassero; della
qual credenza ancorchè vana, e che non ha alcun appoggio, e ripugnante
a tutta l'istoria, è gran maraviglia che avesse trovato chi ne restasse
preso come fu il Summonte e Francesco de' Pietri, il quale fra gli
altri suoi deliri, onde tessè la sua istoria, non tralasciò inserirvi
anche questo. E novellamente un moderno Scrittore pugliese pur sognò
che nè in Amalfi, nè in Napoli si fossero trovate le Pandette, ma in
Molfetta, e non per altra ragione, se non per la somiglianza del nome,
e se non perchè Molfetta era la patria dello Scrittore: così oggi (non
altramente, che della patria d'Omero e del Tasso) contrastano molte
città per appropriarsi la gloria di questo ritrovamento.
Ma oltre agli antichi Annali, non deve ciò parer cosa strana a
coloro, i quali dal corso di quest'Istoria avranno appreso quanto
gli Amalfitani fossero stati per le navigazioni celebri, e quanta
fosse la frequenza de' traffichi e del commercio, che avean nelle
parti d'Oriente e nella Grecia, ciocchè non l'ebbero quelle città,
le quali ancor esse aspirano a questa gloria; onde fu cosa molto
propria, che gli Amalfitani fra le altre cose che da Levante portarono
nella loro città, v'avessero anche portate le Pandette, volume così
raro, e nel quale era riposto il candore delle leggi romane; ed in
fatti comunemente si narra[485], che per opera d'un Mercante paesano,
navigando in Levante, l'avesse quivi comprate, e nel suo ritorno
ne avesse fatto un dono alla patria. Nè può recarsi in dubbio, che
i Pisani fra le altre prede, che fecero in Amalfi, fu questa delle
Pandette, e questa sola, in premio delle loro fatiche sofferte in
quell'impresa, cercarono ardentemente a Lotario Imperadore, il quale
gliele concedette di buona voglia; onde trasportate da loro in Pisa,
acquistarono perciò il nome di Pandette Pisane, che lo ritennero poco
men di tre secoli insino all'anno 1416, nel quale surta guerra fra i
Pisani e' Fiorentini, Guido Caponio Capitano de' Fiorentini avendo
espugnata e presa la città di Pisa, come una gran parte del suo
trionfo, trovate in quella le Pandette, le trasferì in Fiorenza, ove
oggi giorno con venerazione, e come cosa di gran pregio si conservano
nella Biblioteca de' Medici in due tomi divise: onde quando prima erano
appellate _Pisane_ si dissero da poi _Fiorentine_, come oggi giorno
ritengono il nome. Gli antichi Annali di Pisa appresso Plozio Grifo,
Rainero Grachia Pisano antichissimo Istorico, che scrisse sono più di
300 anni _de Bello Tusco_ in cotal guisa narrano questo ritrovamento
insieme e trasportamento da Pisa in Firenze, e Plozio presso Taurello
afferma, aver tenuto egli in casa un antico istromento di questa
donazione che Lotario fece a' Pisani delle Pandette Amalfitane. Così
ancora lo rapportano il Sigonio[486], Raffael Volaterrano, Angelo
Poliziano[487], Antonio Gatto[488], Francesco Taurello[489], Arturo
Duck[490], e tutti gli altri Scrittori, insino a Burcardo Struvio[491],
ch'è l'ultimo fra i moderni a confermarlo.
(Dopo tutti costoro, ultimamente _Errico Brenemanno nella_ sua
_Historia Pandectarum_, impressa ad Utrecht l'anno 1722, esaminando
questo punto d'istoria, tolse ogni dubbio, con far imprimere pag.
410 le parole della Cronica antica o siano Annali Pisani, che egli
trascrisse da un antico Codice manuscritto, che si conserva nella
Biblioteca de' Domenicani di Bologna: dove parlandosi della guerra, che
Papa _Innocenzio_, e _Lotario_ coll'aiuto de' Pisani, mossero contro il
Re _Ruggiero_ di Sicilia, si leggono queste parole: _Li Pisani pridie
nonas Augusti armorono 46 Galee, et forono a la costa de' Malfi, et
quello dì per forzia lo presero con septe Galee et doe Nave; in la
quali ritrovarono le Pandette composte dalla Regia Maestà di Justiniano
Imperatore, e dopoi quella brusorono etc_.)
Lotario se bene avesse a' Pisani conceduta una cosa di tanto pregio,
essendo egli un Principe dotto, e sopra a tutto riputato saggio facitor
di leggi, non trascurò di osservarle, e scorto che in esse v'era il
candor delle leggi romane, pensò non doversi trascurare 1'utile che
poteva da quelle ritrarsi, e che non doveano, siccome prima, rimaner
così tra le tenebre nascoste e sepolte. Evvi gran contrasto tra i
Bolognesi e gli altri Scrittori, se Lotario avesse con suo editto
stabilito che le Pandette pubblicamente si leggessero in Bologna,
ovvero per privato studio d'Irnerio si fossero ivi insegnate insieme
con gli altri libri di Giustiniano. Li Dottori bolognesi narrano, che
Lotario diede ordine ad Irnerio, il quale in Bologna leggeva filosofia,
che pubblicamente le dichiarasse, il che egli cominciò a fare nell'anno
1128 ciò che sarebbe accaduto prima, che le Pandette si fossero trovate
in Amalfi. Corrado Uspergense dopo aver narrata l'istoria di Lotario,
dice che Irnerio lo facesse a petizione della Contessa Matilda; e negli
Argomenti dell'Istoria di Bologna, che s'attribuiscono a Carlo Sigonio,
nell'anno 1102 si legge che la Contessa Matilda ad Irnerio che ivi
leggeva filosofia, avesse imposto spiegarle, e che vi facesse le prime
chiose. Ma Burcardo Struvio[492] stima favoloso ciò che Corrado narra
della Contessa Matilda, che mentre imperava Lotario avesse ciò imposto
ad Irnerio, essendo indubitato, che Matilda morì nell'anno 1115 prima
dell'Imperio di Lotario, e l'istesso Sigonio riprova ancora ciò che
Corrado dice, per questa istessa ragione[493]. Quindi Struvio crede,
che quegli Argomenti, che si leggono dopo l'istoria di Bologna non han
potuto esser mai opera del Sigonio, il quale manifestamente nella sua
Istoria del Regno d'Italia dice il contrario, e riprende Corrado che
l'avea scritto.
I più gravi Autori perciò condannano per favoloso questo racconto,
e rapportano che Irnerio, nè per autorità della Contessa Matilda, nè
per comando di Lotario avesse nella Scuola di Bologna interpretati i
libri di Giustiniano, ma per privato studio, e per soddisfare la sua
ambizione.
Irnerio a questi tempi, ne' quali la Giurisprudenza insieme colle altre
discipline cominciavano a risorgere, fu riputato uno de' migliori
Giureconsulti. Della sua patria contendono i Germani ed i Milanesi,
ed i Fiorentini pur ne vogliono la lor parte: egli prima fu dato
a' studj di Filosofia e delle Lettere umane secondo che comportava
l'uso di que' tempi, e si crede che navigasse in Levante, ed in
Costantinopoli le avesse apprese; indi a Ravenna tornato, avessele
quivi insegnate, ed acquistasse gran fama d'uomo di lettere. Ma
dismesso poi lo studio di Ravenna, fu da' Bolognesi chiamato nella loro
città, dove si pose a leggere Filosofia. Erasi in Bologna stabilita
una Scuola, ove s'insegnava anche giurisprudenza, ed eravi _Pepone_
che la professava; ed essendo tra' Professori insorta disputa sopra la
parola _AS_ denotante le dodici oncie, Irnerio con tal occasione si
diede a studiare i libri di Giustiniano, e divenne famoso Giurista,
tal che oscurò la fama di Pepone. Fece sommo studio sopra il Codice,
e sopra le Instituzioni e le Novelle di Giustiniano, accorciandole,
ed adattandole poi alle leggi del Codice, perchè si conoscesse in che
le Novelle discordavan da quelle; fece ancora le prime sue chiose a
questi libri; ed egli fu il primo che nell'anno 1128 commentasse le
leggi romane. Coloro che scrissero in Ravenna in quest'anno essersi
trovato un altro esemplare de' Digesti, oltre di quello, che correva
per la Francia, dicono che Irnerio prima che fossero in Amalfi trovate
le Pandette (che Angelo Poliziano[494] credette essere quelle istesse
che pubblicò Giustiniano, nel che discordano Andrea Alciato[495], ed
Antonio Augustino[496], e dalle quali egli è almen certo, per essere
antichissime, che furon tratti gli altri esemplari[497]) impiegasse i
suoi talenti anche sopra i Digesti, e che insieme con gli altri libri
di Giustiniano le insegnasse in Bologna, e vi facesse le prime sue
chiose. Ma gli altri, che ciò niegano, e dicono che i primi esemplari
delle Pandette fossero usciti in Italia da quelle d'Amalfi, sostengono
che Irnerio spiegasse in quella Accademia i Digesti da poi che furono
ritrovate in Amalfi, ma non già per autorità e comandamento che ne
avesse avuto dall'Imperador Lotario: ma per privato suo studio, siccome
prima in Bologna faceva sopra gli altri libri di Giustiniano, e sopra
l'altre discipline, senza ordine dell'Imperadore. Nè quell'Accademia
in questi tempi fu istituita da Lotario, nè per suo editto si legge,
che avesse comandato, che quivi si dovessero spiegare, ed insegnare
per sua autorità i libri di Giustiniano, siccome sostiene Federico
Lindenbrogio[498]; soggiungendo Ermanno Conringio[499], che se Lotario
avesse ciò ordinato, e gli fosse stato tanto a cuore la Scuola di
Bologna, trovate che furono in Amalfi le Pandette, non a' Pisani, ma a'
Professori bolognesi ne avrebbe fatto dono.
Ma quantunque sopra ciò non si leggesse particolar editto di Lotario,
non è però, che questo Principe non favorisse questi studj, e che a'
suoi tempi la Scuola di Bologna non fiorisse molto più che ne' passati,
avendovi Irnerio sopra le leggi romane fatti progressi maravigliosi;
onde avvenne che questi studj furon coltivati e promossi, e molti vi
s'applicarono in guisa, che dalla Scuola d'Irnerio ne uscirono poi
valenti Dottori, i quali o in voce, e per mezzo delle loro chiose in
iscritto, illustrarono le leggi di Giustiniano, e diffusero il loro
studio, non pure in Bologna, ma per tutte le Accademie d'Italia.
Sursero quindi _Martino_ da Cremona: _Bulgaro_, che a' tempi di
Federico Barbarossa fiorì cotanto in Bologna: _Ugone_, e Giacomo
_Ugolino_, _Ruggieri_, _Ottone_ e _Placentino_, che si resero cotanto
celebri nell'Accademia di Montpellier in Francia. Pileo discepolo
di Bulgaro, che in Bologna ed in Modena si rese illustre per le sue
_Quistioni Sabbetine_. _Alberico_ della Porta di Ravenna: ed il di lui
discepolo Azone, il quale fra i Giureconsulti della sua età tenne il
primo luogo, maestro del nostro _Roffredo Beneventano_, di _Balduino_
e di tanti altri.
Da questo risorgimento de' libri di Giustiniano nell'Accademie
d'Italia, e dalla Scuola d'Irnerio comunemente si crede, che
avessero origine le solennità da poi praticate in creare i Dottori,
attribuendosi ad Irnerio, che per autorità di Lotario concedesse a'
Professori di legge il grado del Dottorato, leggendosi, che avesse
dichiarati Dottori Bulgaro, Ugolino, Martino e Pileo[500]. E narra
Acerbo Morena[501], ch'essendo Irnerio nell'ultimo di sua vita, se gli
accostarono i suoi scolari, e gli domandarono, chi voleva, che dopo la
sua morte fosse il lor Dottore, ed egli lor nominò Bulgaro, Martino e
Ugone, ma che tenessero Giacomo in suo luogo, onde questi fu costituito
lor Dottore. Ma Itterio[502] e Conringio[503] reputano, che queste
solennità in conferire i gradi di Dottore nell'Accademie, traesse
origine da' Francesi, donde poi l'appresero gl'Italiani.
Credettero il Sigonio[504], Arturo Duck[505], ed altri, che Lotario,
oltre d'aver comandato, che i libri di Giustiniano si leggessero per
sua autorità nelle pubbliche Accademie, ordinò che anche ne' Tribunali
si allegassero, e che tralasciate le leggi longobarde, quelli solamente
i Giudici seguissero. Ma la costoro opinione non ha fondamento veruno
d'istoria, non leggendosi, non pure editto alcuno di Lotario, come
sarebbe stato necessario che ciò comandasse, ma nemmeno Istorico
contemporaneo, che lo scrivesse; ond'è che i più gravi Scrittori[506],
e lungamente Lindenbrogio[507] ripruovano il costoro errore. Quel che
poi manifestamente convince il contrario, è il vedersi, che le leggi
longobarde in Italia, e più in queste nostre province lungamente da poi
si mantennero, e ne' Tribunali secondo quelle si decidevano i litigi, e
la legge romana come per tradizione era mantenuta da' provinciali; nè a
questi tempi da' libri di Giustiniano era allegata, i quali non aveano
ancora acquistata nel Foro autorità alcuna, siccome tratto tratto
l'acquistaron da poi per uso più, e per forza della ragione, che per
legge di alcun Principe.
Ma se mai di Lotario fossevi stata legge, che ciò comandasse, quella
certamente nelle nostre province, ch'erano sotto la dominazione del Re
Ruggiero suo inimico, non avrebbe avuto alcun vigore. Questo Principe,
come qui a poco vedremo, ricuperò ben tosto tutte quelle province, che
Lotario avea invase, e debellò tutti i suoi nemici, riunendole al suo
Regno di Sicilia, che stabilito in forma di vera Monarchia non ubbidiva
altre leggi, se non quelle, che i Longobardi v'introdussero, e quelle
che egli stabilì da poi. E ciò non pur accadde imperando Lotario, e
durante il Regno di Ruggiero, ma anche nel tempo de' Re normanni suoi
successori, i quali continuando perpetua guerra con Corrado e Federico
I che a Lotario successero, non permisero mai, che le costoro leggi
fossero in queste province osservate, e che avessero alcuna forza
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