Istoria civile del Regno di Napoli, v. 3 - 06

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e da quanto si è finora veduto, non a Giovanni IX in quell'anno,
ma a Giovanni XIII dee attribuirsi tal innalzamento: fatto in que'
medesimi anni, ne' quali Capua, Benevento ed Amalfi furono rendute
Metropoli; ciò che ben dimostra il Chioccarelli[130], facendo vedere,
che da Niceta cominciarono a chiamarsi tutti gli altri suoi successori
Arcivescovi. Ebbe un tempo per suffraganei i Vescovi di Cuma e di
Miseno, ma ruinate queste città nell'anno 1207 restarono estinti,
e furono unite le loro Chiese colle rendite alla Chiesa di Napoli.
Edificata Aversa da' Normanni ebbe pure Napoli per suffraganeo il di
lei Vescovo, ma questi poi se ne sottrasse, ponendosi sotto l'immediata
soggezione del Papa. Ritiene ora solamente i Vescovi d'Acerra, di
Pozzuoli e d'Ischia, a' quali s'aggiunse poi il Vescovo di Nola, che
tolto all'Arcivescovo di Salerno, di cui prima era suffraganeo, fu poco
prima del Ponteficato d'Alessandro III a quel di Napoli sottoposto.
Questi pochi Vescovi furono attribuiti a Napoli; ed a chi considera
lo stato presente delle cose, sembrerà molto strano, come Benevento,
Salerno, Capua e tante altre città d'inferior condizione ritengano
tanti Vescovi suffraganei, e Napoli capo d'un floridissimo Regno
tanto pochi; ma chi porrà mente a' secoli trascorsi, e considererà
quanto erano ristretti i confini del Ducato napoletano, quando Napoli
fu innalzata ad esser Metropoli, ed all'incontro quanto fossero più
distesi i Principati di Benevento, di Salerno e di Capua, e quanto
gli altri Ducati e Province sottoposte al greco Imperio, cesserà di
maravigliarsi. E se questa città nel tempo che fu renduta Metropoli
ebbe sì ristretto Ducato, e per conseguenza sì pochi suffraganei, ben
in decorso di tempo gli auspicj suoi felici la portarono ad uno stato
cotanto sublime, che ella sola potesse pareggiare le più ampie e più
numerose province del Regno.
_Città ch'a le province emula appare,_
_Mille Cittadinanze in se contiene._
Gaeta pur sottoposta al greco Imperio, perchè pretesa da' Pontefici,
ed a Roma pur troppo vicina, quando fu da' Normanni a' Greci tolta, non
fu nè data per suffraganea ad alcun Metropolitano vicino, nè innalzata
a Metropoli, perchè il suo picciolo e ristretto Ducato nol comportava;
onde il suo Vescovo fu sottoposto immediatamente alla Sede Appostolica;
siccome ora a niun altro soggiace.

_Ducato d'AMALFI, e di SORRENTO._
Amalfi in questi tempi meritava, non meno che Napoli, essere innalzata
in Metropoli: ella per la navigazione erasi renduta assai celebre in
Oriente, e divenuta sopra tutte le altre città, la più ricca e più
numerosa, concorrendo in lei per li continui traffichi non meno i
Greci, che gli Arabi, gli Affricani, insino agli Indiani; e Guglielmo
Pugliese[131] ne' suoi versi l'innalza perciò sopra tutte le città
di queste nostre province. Ebbe questa città suoi Vescovi sin dal
suo nascimento, e ne' tempi di San Gregorio M. si porta per Vescovo
Primerio, nè questi vien riputato il primo. La Chiesa di Roma era loro
molto tenuta, così per le tante Chiese che gli Amalfitani ersero in
Oriente, mantenendovi il rito latino, come per essere stati i primi
nella Palestina a fondar l'insigne e militar Ordine de' Cavalieri di
S. Giovanni gerosolimitano. Era perciò di dovere, che innalzandosi a
questi tempi da' romani Pontefici tante Chiese in Metropoli, ad Amalfi
se le rendesse quest'onore, la quale, ancorchè per antica soggezione
dipendesse dal greco Imperio, nulladimanco innalzata a sì sublime
stato, e governandosi in forma di Repubblica da' suoi proprj Duchi,
sola un'immagine ed un'ombra della sovranità de' Greci in quella era
rimasa. Tenendo adunque questo Ducato Mansone Duca, quegli che per
qualche tempo occupò il Principato di Salerno, fu a preghiere di questo
Duca, del Clero e del Popolo amalfitano, da Giovanni XV nell'anno
987 innalzato il Vescovo d'Amalfi a Metropolitano, e gli furono
attribuiti per suffraganei i Vescovi del suo Ducato; poichè ciò che
scrive Freccia, che nell'anno 904 dal Pontefice Sergio III fosse stata
Amalfi renduta Metropoli, non avendo fondamento alcuno, vien da tutti
comunemente riprovato. I suoi suffraganei sono li Vescovi di Scala, di
Minori, di Lettere, e quello dell'isola di Capri, i quali ancor oggi
ritiene.
Sorrento ebbe pure suoi Vescovi antichi; e trovandosi a questi tempi
capo d'un picciol Ducato, fu anche ella innalzata in Metropoli. Marino
Freccia puro autore di questa istituzione ne fa Sergio III intorno al
medesimo anno, che crede essere stata innalzata Amalfi: ma comunemente
si tiene, che da Giovanni XIII dopo Capua, si fosse nell'anno 968
renduta questa Chiesa metropolitana, e che Leopardo ultimo suo Vescovo
avesse avuto quest'onore. I Vescovi Suffraganei, ch'egli tiene, sono
quel di Stabia che ora diciamo di Castellamare, e l'altro di Massa
Lubrense a' quali da poi s'aggiunse l'altro di Vico Equense.
Ecco la disposizione delle Chiese delle nostre province cominciata
a questi tempi nel declinar del decimo secolo, e perfezionata poi
nel principio della dominazione de' Normanni; la quale siccome ha
tutto il rapporto alla presente, che vediamo a' tempi nostri, così
in niente corrisponde alla disposizione e politia temporale delle
nostre province, per cagion che quando fu fatta la nuova distribuzione
delle province di questo Regno, multiplicate poi in dodici, siccome
ora veggiamo, v'erano già stabilite le Metropoli, le quali secondando
la politia dell'Imperio, quella forma e disposizione presero, nella
quale trovarono allora gli Stati quando e dove furono stabilite; e
quantunque molte città cangiassero poi fortuna, e da grandi divenissero
piccole, ovvero da piccole grandi, nulladimanco i Pontefici romani
non vollero mutar la disposizione delle Metropoli già stabilite, così
perchè si ritenesse il pregio dell'antichità, come anche per non far
novità, cagione di qualche disordine. Empierono bensì di più Vescovi
il Regno; con ergere molte Chiese in Cattedrali, che prima non erano,
per quelle cagioni che saranno altrove rapportate ad altro proposito,
ma non mutarono la disposizione de' Metropolitani. S'aggiunge ancora,
che, come diremo al suo luogo, la nuova distribuzione delle nostre
province in dodici, principalmente fu fatta per distribuir meglio
l'entrade regali, e da Ministri che si destinarono, chiamati Tesorieri,
per l'esazione di quelle, si multiplicò il numero; tanto che fu veduto
nell'istesso tempo il numero de' Governadori, ovvero Giustizieri,
essere molto minore di quello de' Tesorieri, e negli ultimi tempi furon
fatti pari: ed i luoghi destinati per la loro residenza furon sempre
varj, spesso mutandosi, secondo il bisogno del regal Erario, ovvero
l'utilità pubblica richiedeva; onde questa nuova disposizione non potè
portare alterazione alcuna alla politia dello Stato ecclesiastico.
In questo stato di cose trovarono i Normanni queste nostre province,
quando vennero a noi. Altra forma fu data alle medesime, quando
passarono sotto la loro dominazione, e quando uniti tutti questi Stati,
ch'erano in tante parti divisi, nella persona d'un solo stabilirono il
Regno in una ben ampia e nobile Monarchia.

FINE DEL LIBRO OTTAVO.


STORIA CIVILE DEL REGNO DI NAPOLI
LIBRO NONO

I Normanni, che nel nostro linguaggio non altro significano, che
uomini boreali[132], siccome i Goti ed i Longobardi, non da altra
parte del Settentrione, che dalla Scandinavia uscirono ad inondare
l'Occidente. Essi cominciarono la prima volta a farsi sentire nei lidi
della Francia a tempo di Carlo M. verso il fine del secolo ottavo;
e quaranta anni da poi, o poco meno, cominciarono a travagliare i
marittimi Fiaminghi e' Frigioni, sotto i cui nomi si comprendevano
allora Trajetto al Reno, l'Ollanda, e la Valacria. I Re di Francia per
trattenergli furon a buon patto costretti nell'anno 882, di dar loro la
Frisia per abitazione[133]. Ma non essendo abbastanza soddisfatti di
questa provincia, cominciarono ad invadere altri luoghi d'intorno con
incendj e rapine sotto Rollone lor Capo, famoso e valorosissimo Pirata,
il quale nell'istesso tempo, che i Saraceni con non minor crudeltà
inondavano la nostra cistiberina Italia, egli co' suoi Normanni
travagliava miseramente, e con inaudita barbarie la Francia. Portarono
questi Popoli l'assedio insino a Parigi, invasero l'Aquitania, ed altre
parti ancora di quel Reame sotto il regno di Carlo il Semplice; onde
non potendo questo Principe resister loro, pensò avergli per amici
e per confederati; onde convennero, che Carlo dovesse stabilmente
assegnar loro la Neustria, una delle province della Francia per loro
sede, e dovesse dar a Rollone per moglie Gisla sua figliuola, come
scrive Dudone di S. Quintino[134], o sua parente, secondo il parer
del Pellegrino[135], ed all'incontro Rollone, deposta l'Idolatria ed
il Gentilesimo, nel quale questi Popoli viveano, dovesse abbracciare
la religione cristiana. Così fu eseguito intorno l'anno 900 di nostra
salute[136]: a Rollone con titolo di Duca fu data stabilmente la
Neustria, e sposata Gisla, il quale nell'istesso tempo fu da Roberto
Conte di Poitiers tenuto al sacro fonte, dove insieme col nome, si
spogliò di quella sua crudeltà e barbarie, e volle nomarsi Roberto
dal nome del suo Compare; e seguendo l'esempio del lor Capo gli altri
Normanni si resero da poi più culti ed umani. Rimasa questa provincia
di Neustria sotto il lor dominio, le diedero dal loro il nome di
Normannia, che oggi giorno ancor ritiene.
Da questo Roberto primo Duca di Normannia ne nacque Guglielmo, che il
padre creò Conte d'Altavilla, città della stessa provincia. Costui
generò Riccardo, dal quale nacque un altro Riccardo: di questo II
Riccardo nacque Roberto II, ed un altro Riccardo che III diremo.
E da Roberto II ne nacque Guglielmo II, dal quale comunemente si
tiene, che fosse nato _Tancredi_ Conte d'Altavilla, quegli che ci
diede gli Eroi, per li quali queste nostre province furon lungo tempo
signoreggiate[137].
Ebbe Tancredi di due mogli dodici figliuoli maschi oltre altre femmine,
delle quali una nomossi Fredesinna, che fu moglie di Riccardo Conte
d'Aversa e Principe di Capua, un'altra fu moglie di Gaufredo Conte di
Montescaglioso, ed un'altra ebbe per marito Volmando[138]. I figliuoli
della sua prima moglie nominata Moriella furono Guglielmo soprannomato
_Bracciodiferro_, Drogone ed Umfredo (i quali, come vedrassi, furono
i tre primi Conti della Puglia) Goffredo e Serlone. Gli altri sette
gli ebbe da Fredesinna sua seconda moglie, il primogenito de' quali
fu Roberto soprannomato _Guiscardo_, ch'è lo stesso, che in antica
favella normanna, scaltro ed astuto, e questi divenne Duca di Puglia e
di Calabria, il II fu Malgerio, il III Guglielmo, il IV Alveredo, il V
Umberto, il VI Tancredi, il VII ed ultimo fu Roggiero, che conquistò la
Sicilia, e stabilì la Monarchia[139].
Questi però non furono i primi, che a noi ne vennero: essi, come
vedremo, seguirono le pedate di alcuni altri Normanni, che poco prima
si erano stabiliti in Aversa, onde bisogna distinguere gli uni dagli
altri per non confondergli, come han fatto alcuni Scrittori. I primi
vennero a noi intorno l'anno 1016. I figliuoli di Tancredi calarono
in Italia intorno l'anno 1035. Ma non tutti, poichè due ne restarono
in Normannia, nè gli altri tutti insieme ci vennero, ma secondo che
le congiunture furono loro propizie, or due, or tre, ed in altra
somigliante guisa incamminaronsi a queste nostre parti; nè maggiore fu
il numero de' primi, come vedremo[140].
Ciò che apparirà di più portentoso ne' loro successi sarà, come un
branco d'uomini che vengono di Francia a traverso di mille sciagure
abbiano potuto rendersi padroni di uno de' più vaghi paesi del Mondo:
come una sola famiglia di Gentiluomini di Normannia, soccorsi solamente
da un picciol numero di suoi compatrioti, abbiano potuto stabilirsi una
Monarchia ne' confini dell'Imperio d'Oriente e d'Occidente: abbiano
potuto contro due potenti inimici riportar tante e sì maravigliose
vittorie, liberar l'Italia e la Sicilia dall'incursioni, e dal giogo
degl'infedeli Saraceni, ciò che a Potenze maggiori non fu concesso,
e dopo avere debellati i Greci ed i Principi longobardi, fondare in
Italia il bel Reame di Napoli e di Sicilia. Certamente a niun'altra
Nazione, se ne togli i Romani, è sì fortunatamente avvenuto, che così
bassi principj, in tanta potenza ed Imperio fossero arrivati. Le altre
Nazioni, come abbiam veduto de' Goti e de' Longobardi, non in forma
di pellegrini, di viandanti vennero in Italia, ma con eserciti ben
numerosi, che inondarono le nostre contrade, si stabilirono il Regno.
All'incontro se si considererà lo stato infelice, nel quale erano
ridotte queste nostre province infra di lor divise, ed a tanti Principi
sottoposte; e l'estraordinario valore e bravura di questa Nazione,
non saranno per apportar maraviglia i loro fortunati avvenimenti.
Si aggiunse ancora che le maniere di guerreggiare usate in que'
tempi, non eran come quelle d'oggidì: non vi era allora quasi regola
alcuna per assaltare o per difendersi. Un esercito intero si vedeva
alcune fiate disfatto senza sapersi nè come nè per qual cagione,
e la più grande abilità consisteva, o in una gran forza di corpo
incomparabilmente maggiore de' nostri tempi, poichè praticavansi con
maggior frequenza quegli esercizj, che posson giovare ad acquistarla;
o pure in una bravura eccessiva, che faceva concepire a' combattenti
tanta confidenza, donde sovente maravigliosi successi sortivano, o
alla perfine in alcune imprese orgogliose, la cui condotta in altra
guisa non sarebbesi potuto giustificare, se non dall'avvenimento che ne
seguiva.
Questo è quello, che produceva quei vantaggi, che noi ravviseremo
ne' Normanni, i quali aveano quel medesimo lustro e grandezza, che
nell'azioni de' Romani spesse fiate ammiravansi. Ed in fatti di poche
altre Nazioni si leggono tante conquiste, quante dei Normanni: essi
posero sottosopra la Francia, e molte regioni di quella conquistarono.
Guglielmo Normanno discese da' medesimi Duchi di Neustria, acquistossi
il fioritissimo Regno d'Inghilterra, e lo tramandò alla sua posterità.
La nostra Puglia, la Calabria, la Sicilia, la famosa Gerusalemme e
l'insigne Antiochia passaron tutte sotto la loro dominazione[141].
Ma come, e quali occasioni ebbero gli uomini di questa Nazione di
venire in queste nostre regioni cotanto a lor remote, e come dopo vari
casi se ne rendessero padroni, è bene che qui distesamente si narri;
poichè non altronde potrà con chiarezza ravvisarsi, come tante e sì
divise Signorie, finalmente s'unissero insieme sotto la dominazione
d'un solo, e sorgesse quindi un sì bel Regno, che stabilito poscia
con provide leggi, e migliori istituti, poterono i Normanni per lungo
tempo mantenerlo nella loro posterità; nè se non per mancanza della
loro stirpe maschile si vide, dopo il corso di molti anni, trapassato
ne' Svevi, i quali per mezzo d'una Principessa del lor sangue, ad essi
imparentata, vi succederono. Non potrebbe ben intendersi l'origine
delle nostre papali investiture, e come fosse stato poi riputato questo
Regno Feudo della Chiesa romana, se non si narreranno con esattezza
questi avvenimenti, donde s'avrà ben largo campo di scovrire molte
verità, che gli Scrittori, parte per dappocaggine, molti a bello studio
tennero fra tenebre ed errori nascose.
Nel racconto delle loro venture, e di tutti gli altri avvenimenti
di questa Nazione, non ho voluto attenermi, se non a' Storici
contemporanei, ed a coloro, che più esattamente ci descrissero i
loro fatti, la cui testimonianza non può essere sospetta. I più
gravi e più antichi fra' Latini saranno Guglielmo Pugliese, Goffredo
Malaterra, Lione Ostiense, Amato Monaco Cassinese, Orderico Vitale,
Lupo Protospata, l'Anonimo Cassinese, Pietro Diacono e Guglielmo
Gemmeticense. E fra' Greci, la Principessa Anna Comnena, Giovanni
Cinnamo, Cedreno, Zonara ed altri raccolti nell'istoria Bizantina, i
quali Carlo Dufresne illustrò colle sue note.
Guglielmo Pugliese rapporta in versi latini, ancorchè poco eleganti, ma
molto buoni per lo stile del secolo in cui vivea, le azioni e' fatti
d'armi de' Normanni nella Calabria. Questi scrive, non come un Poeta
s'avviserebbe, ma come un Istorico, che vuole solamente ad un racconto
fedele insieme ed ordinato aggiunger il numero ed il metro. Arriva il
suo racconto insino alla morte dell'illustre Roberto Guiscardo accaduta
circa l'anno 1085. Diegli alla luce ad istanza di Papa Urbano II, che
nell'anno 1088 fu innalzato al Ponteficato, e dedicogli a Rogiero
figliuolo e successore di Roberto Guiscardo. Questo suo poemetto
istorico manuscritto fu ritrovato da Giovanni Tiremeo Hauteneo Avvocato
Fiscale della provincia di Roven nella libreria del monasterio di
Becohelvino vicino Argentina.
Goffredo Monaco, di cognome Malaterra, è un Autore più degno di fede:
scrisse egli in prosa molto a lungo l'istoria delle conquiste fatte
in Italia da' Normanni, per ordine di Rogiero Conte di Sicilia e di
Calabria, fratello che fu di Roberto Guiscardo. Quest'opera essendo
stata lungo tempo sepolta in obblio, il di lei manuscritto fu ritrovato
in Saragozza infra l'istoria de' Re d'Aragona l'anno 1578 da Geronimo
Zurita, che la diede alla luce; ed il Baronio di questo ritrovamento,
come d'un vero tesoro ne parla; quindi coloro, che hanno scritta
l'Istoria di Sicilia, per non aver letto quest'Autore, in molti abbagli
sono incorsi.
Lione Vescovo d'Ostia è un Autore assai noto, e che va per le mani
d'ognuno; essendo egli Religioso di Monte Cassino scrisse la Cronaca
di quel monastero poco dopo il tempo, di cui saremo per ragionare; ed
ancorchè il suo impegno fosse di far apparire al Mondo la santità e
grandezza di quel Monastero, nulladimeno ci somministra molti lumi per
bene intendere le cose de' Normanni, nel Regno de' quali egli scrisse.
Amato Monaco Cassinense fiorì intorno a questi medesimi tempi: fu
anch'egli da poi fatto Vescovo, ancorchè non si sappia qual Cattedra
gli si fosse data. Pietro Diacono[142] tra gli uomini illustri di
Cassino novera quest'Amato, e rapporta esser egli stato intendentissimo
delle sacre scritture, e versificatore ammirabile. Fra le altre sue
opere, che compose, fu quella de _Gestis Apostolorum Petri, et Pauli_,
indirizzata a Gregorio VII, R. P., e l'istoria de' Normanni[143]
divisa in otto libri, che dedicò a Desiderio, quel celebre Abate di
Monte Cassino, che assunto da poi al Ponteficato fu detto Vittore III.
Quest'istoria de' Normanni scritta da Amato, per quel che sappiamo, non
uscì mai alla luce del Mondo per mezzo delle stampe: Giovanni Battista
Maro nell'annotazioni a Pietro Diacono rapporta, che a' suoi tempi
questa istoria si conservava manuscritta nella Biblioteca Cassinense,
ove molte cose degne da sapersi intorno alle gesta ed a' riti de'
Normanni erano accuratamente descritte. Ma l'Abate della Noce piange
questa perdita, e nelle note alla Cronaca Cassinense[144], rapporta
essere stata tolta da quella Biblioteca, siccome molte altre cose
degne d'eterna memoria. Visse quest'Autore intorno l'anno 1070 nel qual
tempo, secondo ciò che comportava quel secolo, essendo la letteratura,
per lo più presso a' Monaci, ne fiorirono molti altri, come Alberico,
Costantino, Guaifero, Alfano, che poi fu Arcivescovo di Salerno, ed
altri, che possono vedersi presso Pietro Diacono.
Scrissero ancora de' Normanni qualche cosa Lupo Protospata, l'Anonimo
Cassinense, e Pietro Diacono stesso; ma Orderico Vitale, e Guglielmo
Gemmeticense molto più diffusamente, oltre di molti Scrittori moderni,
che sono a tutti notissimi.
La Principessa Anna Comnena, detta ancora Cesaressa, si rese più
famosa al Mondo per la sua mente e per la sua erudizione, che per la
sua qualità e per li suoi natali: ella fu figliuola d'Alessio Comneno,
detto il Vecchio, Imperador di Costantinopoli, e di Irene. Zonara e
Niceta ci assicurano, che questa Principessa amava lo studio con un
ardore estremo, e che la sua ordinaria occupazione era su i libri.
Non solo s'applicava all'istoria ed alle belle lettere, ma ancora
alla filosofia: ella scrisse in quindici libri la Istoria d'Alessio
Comneno suo padre, al quale il nostro Roberto _Guiscardo_ mosse una
crudelissima guerra, che fu parte del soggetto della sua istoria; ed
ancorchè alcune fiate, secondo il costume della sua nazione, manchi di
rapportare con esattezza la verità, nulladimanco deve esser creduta,
qualora favella in commendazione di Roberto Guiscardo, cui per essere
fiero inimico di suo padre, grandemente odiava. Promette ella nel
proemio della sua istoria di non dire cosa, per la quale possa essere
accusata di compiacenza o d'adulazione, e che non sia uniforme alla
verità; nientedimeno si vede, che ciò ch'ella scrive di suo padre, è
un elogio continuato. Gli Autori latini non sono di questo sentimento,
poichè questi non parlano d'Alessio, che come d'un Principe furbo e
simulatore, di cui il Regno fu più notabile per le sue viltà, che per
le sue belle azioni: ed in vero la sua ingiusta gelosia fece gran torto
a' Franzesi, che crocesegnati militavano sotto il famoso Goffredo
di Buglione per la conquista di Terra Santa; ma forse evvi troppa
asprezza nelle Opere de' Latini, siccome soverchia lode in quella
d'Anna Comnena. Della sua istoria Hoeschelio ne pubblicò gli otto primi
libri, ch'egli avea avuti dalla libreria Augustana. Giovanni Gronovio
vi faticò da poi; e nel 1651 Pietro Poussin Gesuita gli diede fuori
colla sua traduzion latina, che abbiamo della stampa del Louvre. Da
poi il Presidente Cousin ce ne ha ancora data una traduzione in lingua
franzese, e finalmente Carlo Dufresne l'illustrò colle sue note.
Giovanni Cinnamo visse sotto l'Imperador Emanuele Comneno, i cui fatti
egli distese nella sua Istoria: egli è uno scrittore elegante, e si
studia imitare Procopio. De' nostri Normanni sovente egli favella, e
va ora la sua Storia parimente illustrata colle note di Carlo Dufresne.
Cedreno, Zonara e gli altri Scrittori raccolti nell'istoria Bizantina,
de' nostri Normanni alle volte anche favellano.
L'occasione che si diede a' Normanni, che fin dalla Neustria si
portassero in queste nostre parti, non deve attribuirsi ad altro,
che al zelo ch'ebbero questi Popoli della nostra religion cristiana,
dappoichè deposta l'Idolatria si diedero ad adorare il vero Nume.
Correva allora appo i Cristiani il costume d'andar pellegrinando il
Mondo, non tanto come oggi, per veder città e nuovi abiti e costumi
diversi, quanto per divozione di veder i santuarj più celebri. Per tal
cagione si resero in questa e nella precedente età famosi in Occidente,
ed appresso di noi due celebri luoghi delle nostre province, quello
del Monte Gargano per l'apparizione Angelica, l'altro del Monte Cassino
per la santità e miracoli di S. Benedetto e dei suoi Monaci: ma sopra
tutti i santuarj, com'era di dovere, estolse il capo nell'Oriente
Gerusalemme, città santa, ove il nostro buon Redentore lasciò asperso
il terreno del suo sangue, ed ove fu sepolto.
Fra tutti i Cristiani del Settentrione è incredibile quanto a
quest'esercizio di pietà fossero inclinati i Normanni della Neustria:
ad essi, nè la lunghezza del cammino, nè la malagevolezza de' passi,
nè il rigor de' tempi e delle stagioni, nè la necessità di dover
sovente traversar per mezzo di ladroni e d'infedeli, nè la fame,
nè la sete, nè qualunque altro si fosse maggior periglio o disagio,
recava terrore. Per rendersi superiori a tante malagevolezze s'univan
a truppe a truppe, e tutti insieme traversando que' luoghi inospiti
essendo di corpo ben grandi, robusti, agguerriti e valorosi, valevano
per un'intera armata, e sovente sopra i Greci, e sopra gl'Infedeli
diedero crudelissime battaglie; e ruppero gli ostacoli. Solevano con
tal occasione, o nell'andare o nel ritorno venire a visitare i nostri
santuari di Gargano e di Cassino.
Nel cominciar adunque dell'undecimo secolo[145], quaranta, come
scrive Lione Ostiense[146], ovvero, secondo l'opinion d'altri, cento
di questi Normanni partiti dalla Neustria s'incamminarono verso
Oriente, e fin che in Gerusalemme giungessero, fecero nel cammino
molta strage di que' Barbari. Nel ritorno tennero altra strada; ed
imbarcati sopra una nave solcarono il Mediterraneo, e nella spiaggia
di Salerno[147] giungendo, sbarcarono in que' lidi, ed in quella città
entrati, furono da' Salernitani, sorpresi dalla robustezza de' loro
personaggi, onorevolmente ricevuti. Reggeva Salerno in questi tempi,
come si è narrato, dopo la morte del Principe Giovanni, Guaimaro
III suo figliuolo, chiamato, come si disse, da Ostiense[148], il
maggiore, per distinguerlo dall'altro Guaimaro suo figliuolo, che
gli succedette. Questo Guaimaro dall'anno 994 che morì Giovanni suo
padre, resse il Principato di Salerno ora solo, ora con suo figliuolo
insino all'anno 1031, nel quale il di lui figliuolo morì. Furono
per tanto da questo Principe invitati a trattenersi in Salerno per
ristorarsi dalle fatiche del viaggio, e per goder un poco l'amenità
del paese. Ma ecco che sopraggiunse un accidente, nel quale a questi
pochi Normanni diedesi opportunità di mostrare il lor valore, e di
compensare insieme con Guaimaro le accoglienze, che usò loro. Nel corso
di quest'Istoria sovente si è narrato, che i Saraceni non mancaron
mai d'infestare il Principato di Salerno, che ora dall'Affrica, e
spesso dalla vicina Sicilia sopra molte navi giungendo alla spiaggia
di quella città, depredavano i contorni della medesima, ed a campi e
castelli vicini di molti danni e calamità eran cagione: Guaimaro, non
avendo forze bastanti per potergli discacciare, proccurava per grossa
somma di denaro comprarsi la quiete ed il minor danno. Essi ora ci
vennero sopra molte navi, mentre questi Normanni erano in Salerno,
e fattisi da presso Salerno minacciavano saccheggiamenti e ruine, se
con grossa somma di denaro non si fosse ricomprata: Guaimaro, che non
avea alcun modo da difendersi, si dispose a condiscendere alle loro
richieste, ed intanto ch'egli co' suoi Ufficiali erasi occupato a far
contribuire i suoi vassalli, i Saraceni calati dalle navi in terra,
riempirono lo spazio ch'è tra il mare e la città, ove aspettando il
riscatto, si diedero alle crapole ed alle dissolutezze. I Normanni,
che non erano avvezzi soffrire quest'obbrobrio rimproverando a'
Salernitani, come lasciassero trionfare con tanta insolenza i loro
nemici, con disporsi più tosto da se medesimi a pagare le spese del
trionfo, che pensare a difendersi, vollero essi con inaudita bravura
vendicare i loro oltraggi, e prese l'armi, mentre i Saraceni a tutto
altro pensando stavano immersi tra le crapole ed il riposo, gli
assalirono all'improviso con tanto impeto e valore, che d'un numero
considerabile di loro fatta strage crudele, gli altri sorpresi si
misero tosto in fuga, e così costernati e dissipati, pensarono rientrar
ne' loro vascelli assai più presto di quello ne erano usciti, e pieni
di scorno ritirarsi da quella piazza. Un fatto così glorioso portò
a' Salernitani non minor allegrezza, che ammirazione, ed il Principe
Guaimaro non sapeva in che modo dar segno della sua riconoscenza al lor
merito: pregogli che restassero nel paese, offerendo loro abitazioni e
carichi i più onorevoli; ma essi si protestarono in quell'azione non
aver avuta mira ad alcun loro privato interesse; e che non volevano
altra ricompensa, che il piacere d'aver soddisfatto alla loro pietà
in combattendo a favor de' Cristiani contro degl'Infedeli. Del resto
per corrispondere alle cortesie di Guaimaro, ed al desio che mostrava
d'aver appo di se uomini di tal sorta, gli promisero, o di ritornare
essi medesimi, o d'inviargli de' giovani loro compatrioti di pari
valore[149]. Si risolsero per tanto di ritornar alla loro patria,
per cui rivedere ardevano di desiderio. Il Principe, non potendo più
arrestargli, usò loro tutte le maniere perchè almeno nel loro arrivo
gl'inviassero gente di lor nazione; e mentre imbarcaronsi per la
Normannia, fecegli accompagnare da molti suoi Ufficiali con barche
cariche di frutti i più squisiti insino al loro paese: donò loro ancora
delle vesti preziose d'oro e di seta, e ricchi arnesi di cavalli. I
disegni di Guaimaro ebbero il loro effetto, e quell'aria di liberalità
e di magnificenza fu non solo un invito, ma ben anche una forte
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