Istoria civile del Regno di Napoli, v. 3 - 14

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vedendo che l'opporsi all'elezione già fatta, non avrebbe avuto alcun
effetto, perch'era Ildebrando di lui più potente in Roma, vi diede il
consenso. Così fu egli ordinato Sacerdote, e poi Vescovo di Roma nel
mese di giugno del medesimo anno 1073 e nella sua ordinazione prese il
nome di _Gregorio VII_.


CAPITOLO III.
_Conquiste di ROBERTO sopra il Principato di Salerno ed Amalfi._

Roberto dopo aver domata la Sicilia entrò tosto in pensiero d'unire
sotto la sua dominazione l'altre province, che rimanevano in queste
nostre parti; e per un'opportuna occasione che diremo, gli venne fatto
di conquistare il Principato di Salerno sopra Gisulfo suo cognato.
Gli Amalfitani, che, come si disse, caduti sotto la dominazione del
Principe di Salerno Guaimaro, aveano sperimentato pur troppo aspro il
di lui governo, per sottrarsi dal giogo invasero la città, e presso il
lido del mare insieme con gli altri congiurati crudelmente l'uccisero;
ma repressi da Guido suo fratello, dopo il quinto giorno sedati i
tumulti, riebbe la città, ed a Gisulfo suo nipote figliuolo di Guaimaro
fu restituita. Ma con tutto ciò Gisulfo assai più aspramente che
il padre trattava gli Amalfitani, i quali pensarono di ricorrere al
Duca Roberto perchè interponendosi con suo cognato, impetrasse da lui
qualche umanità e clemenza per loro. Il Duca mosso da questi ricorsi,
inviò Ambasciadori a Gisulfo pregandolo di rilasciare tanto rigore,
con cui trattava gli Amalfitani: ma il Principe riguardando questa
preghiera qual importuna rimostranza, ricevette di mal garbo coloro,
che glie la vennero a fare; e cercando occasione di querela, pretese,
che la Costa dopo Salerno infino al Porto del Fico appartenesse a lui;
dichiarossi ancora di voler far rientrare nel suo dominio Areco e Santa
Eufemia, di cui il Duca erasi impadronito. Roberto alla prima proccurò
di guadagnare suo cognato per le vie delle dolcezze, ed accomodar
amichevolmente le cose[310]; ma Gisulfo rifiutò ogni trattato, fidato
forse al soccorso che sperava da Riccardo Principe di Capua, il qual
era entrato a parte ne' suoi interessi, essendo allora in discordia con
Roberto Guiscardo. Costui per non aver da combattere con due nemici,
trattò secretamente d'aggiustarsi con Riccardo, siccome, fattegli
offerte assai vantaggiose, l'indusse a prendere il suo partito contra
del Principe di Salerno[311]. Egli ancora firmò un trattato particolare
con gli Amalfitani, e gli prese sotto la sua protezione, ed avendo
messa la guarnigione dentro la loro città, si dispose a venire,
seguito dalle sue truppe, e da quelle del Principe di Capua, a mettere
l'assedio alla città di Salerno.
Tutti coloro, che prendevano parte negl'interessi di Gisulfo,
l'avvertivano a prevenir la tempesta; e Gregorio VII che l'amava come
suo figliuolo, e l'Abate Cassinense Desiderio ch'era suo grand'amico,
lo consigliavano ad aver pace con Roberto[312]; ma egli ostinato
nè meno volle dar loro risposta. Nè perciò desistette Desiderio, ma
sapendo che Roberto avea già assediato Salerno impegnò il Principe
Riccardo a venire con esso lui a disporre Gisulfo; ma nè meno poterono
conseguire cos'alcuna, anzi non cessava di pubblicare con alterigia
mal fondata, che non prezzava punto l'amicizia del Duca, alla quale per
sempre rinunziava.
Roberto sdegnato, non guardò più alle maniere dolci, ma strinse
l'assedio, e serrò quella città sì da presso che nel fine di cinque
mesi, fu ridotta ad una estrema carestia. Quelli che la comandavano
veggendo, che non poteva più mantenersi, pensarono alla loro
sicurezza[313]. Uno de' principali ch'erano dentro la Piazza era
Bacelardo figliuolo d'Umfredo, il quale dopo aver inutilmente aspettato
gli ajuti dell'Imperadore di Costantinopoli tornossene in Puglia,
e cercava per ogni parte di vendicarsi di suo zio; e per questo
motivo egli era entrato in Salerno, affine di soccorrere Gisulfo, ma
temendo di sperimentare il rigore del Guiscardo, s'egli cadeva nelle
sue mani, fuggissene la notte; ed andò a ricovrarsi in una Piazza
vicina, chiamata Sanseverino, che gli aprì le porte. Il Duca scrisse
al Conte Ruggiero, che venisse al più presto da Sicilia ad assediar
Sanseverino, fin tanto ch'egli fosse venuto a fine della spedizione
di Salerno. Ma non si tardò molto ad espugnarlo, poichè le mura della
città cominciarono ad aprirsi per tutte le parti, e gli abitanti
stessi vennero ad invitar Roberto ad entrare per la più larga breccia,
affine di prevenire ancora le disgrazie d'una Piazza presa per assalto.
Gisulfo intanto non si rese per questo, ma si difese nella Cittadella;
ma assalito più ferocemente dal Guiscardo, alla perfine fu obbligato di
mostrare altrettanta sommissione, quanta fierezza avea prima mostrata:
egli si rese alla clemenza del vincitore, e dimandogli per ogni grazia
quella della sua libertà; fugli conceduta, essendosi prima ritirato in
Monte Cassino, da poi si ricovrò sotto la protezione di Papa Gregorio
VII, il quale nella Campagna romana gli assegnò alcune terre, ove
potesse abitare, non lasciando intanto egli di appellarsi Principe di
Salerno, Duca di Puglia e di Calabria, come suo padre Guaimaro, non
già di Sicilia, come per isbaglio si legge nello Stemma de' Principi di
Salerno del Pellegrino.
Il Duca fece di bel nuovo fortificare Salerno, ma senza dimorarvi
molto tempo, marciò tosto contro Bacelardo per togliergli il tempo di
fortificarsi in Sanseverino. Egli vi giunse poco dopo suo fratello
Ruggiero, che già aveva attaccata la Piazza; onde cintala più
strettamente, fu forza rendersi a patti, ciocchè fece che Bacelardo
insieme col suo fratello Ermanno pensassero di nuovo di ritirarsi in
Costantinopoli: dove questi infelici Principi menarono il resto della
lor vita in grande miseria, nella quale dopo molti anni morirono.
Ecco come in quest'anno 1075 secondo l'Anonimo Cassinese, Fr. Tolomeo
di Lucca, e Camillo Pellegrino, il Principato di Salerno s'unì al
Ducato di Puglia, di Calabria e di Sicilia, in poter de' Normanni,
sotto il famoso Duca Roberto, il quale tenendo anche Amalfi, già
minacciava l'altre parti, che restavano, di farle passare ancora
sotto il suo dominio. Ed ecco come in Salerno s'estinsero i Principi
longobardi; ma non però restò in tutto estinta questa Nazione; rimasero
ancora, non altramente che nel Principato di Capua, molte famiglie
dell'istesso sangue ne' Contadi vicini[314]. Rimasero Guaimaro Conte
di Capaccio; Pandolfo Conte di Corneto; Giordano Signor del castello
di Corneto del Cilento nipote del Principe Guaimaro; Astolfo figliuolo
del Conte Gisulfo; Romualdo figliuolo di Pietro Conte di Atenolfo;
Castelmanno figliuolo d'Adelferio Conte; Berengario figliuolo d'Alfano
Conte; Giovanni e Landulfo figliuoli d'Ademaro Conte, che fu detto
il Rosso; Giovanni figliuolo di Guaimaro Conte; Glorioso figliuolo di
Pandolfo Conte; i quali erano ancor viventi negli anni 1110 e 1114. E
Sicelgaita figliuola di Glorioso vedova di Marino Cacapece di Napoli
ancor vivea nell'anno 1155[315]. Così ancora da' Conti Guaiferio ed
Alberto di questo sangue, narra Pellegrino, esser derivata in Salerno
la nobile famiglia di Porta, la di cui posterità con ordine certo
insino all'anno 1335 si ritrova nell'antiche carte: siccome di molti
altri Conti salernitani per sette e otto generazioni insino a quel
tempo esservi ne' vetusti monumenti riscontro, attesta questo medesimo
Autore. E se oggi per ordine certo sarà quasi che impossibile trovar la
serie de' medesimi, non è però, che fosse in questo Principato estinto
affatto il sangue longobardo, e forse anche al presente starà nascosto
sotto ruvidi panni di gente rusticana e selvaggia. Documento, niente
essere la nobiltà del sangue, quando lo splendore e le ricchezze da lei
si dipartono.


CAPITOLO IV.
_Il Principato beneventano passa interamente sotto la dominazione de'
Normanni, e la città di Benevento alla Chiesa romana._

Il discacciamento del Principe Gisulfo da Salerno e da Amalfi,
diede a Gregorio VII molto da temere per l'ingrandimento, che in
conseguenza vedeva ne' Principi normanni; ma sopra tutto desiderando
di riporre Gisulfo, cui tanto amava, nella sede donde ne era stato
discacciato, perchè in questa maniera potesse bilanciar le forze
di questi Principi, aspettava opportunità di farlo. Fu ancora più
volte istigato di metter su un altro partito contro Roberto, e di
proteggere i suoi nepoti discacciati; ma non tardò guari che l'istesso
Roberto insieme con Riccardo gli aprirono una ben larga strada alle
contenzioni e brighe. Non erano questi Principi soddisfatti d'aver
cacciato Gisulfo da Salerno, ma vedendo che questi avea sotto Gregorio
trovato nella Campagna romana ricovero, pensarono inseguirlo fin
dove era, e con tal occasione invadere la Campagna; laonde spinsero
incontanente verso quella volta le loro truppe, ed occuparono parte
della Marca d'Ancona[316]. Ma da che in Roma ebbesi la novella, ch'egli
e Riccardo s'avanzavano nelle terre della Chiesa, Gregorio che sopra
tutti i Pontefici non era per sofferire un simil affronto, e che non
aspettava altro che questo per dichiararsi loro inimico, ragunato in
Roma un Concilio con pubblica cerimonia e solennità scomunicò questi
due Principi, e' loro aderenti[317]. Ma scorgendo ch'essi non molto
curavansi di questi fulmini, adoperò nell'istesso tempo un mezzo più
efficace: egli inviò contra di essi una buona armata, che fece loro
tosto voltar cammino. Il Duca ed il Principe per non perder occasione
di proccurarsi in altri luoghi altre conquiste, vennero nell'istesso
tempo a portar l'assedio alla città di Benevento ed a Napoli. Il Duca
strinse Benevento, ed il Principe Napoli.
La città di Benevento insino a questi tempi era stata governata da
Landolfo VI. Questo Principe ancorchè avesse generati molti figliuoli,
nulladimanco fu al Mondo padre infelice, poichè pianse la loro
morte esso vivente. Pandolfo ch'egli avea al Principato associato,
fu nell'anno 1074 ucciso da' Normanni presso Montesarchio: onde
sopravvivendo a quest'unico figliuolo ch'eragli rimaso, tenne il
Principato sino all'anno 1077, ma essendo già d'età grave e cadente,
dopo aver regnato in Benevento 39 anni finì i giorni suoi in quest'anno
1077, nè lasciando di se altra prole, mancò in lui la successione de'
Principi di Benevento. Ecco il periodo di questo Principato; e vedi
intanto l'instabile condizione delle cose mondane. Questo Principato
che sopra tutti gli altri stese i suoi confini, e che in tempo d'Arechi
abbracciava quasi tutto ciò, che al presente è Regno di Napoli, ora
s'estingue affatto, il quale infortunio non ebbero gli altri Principati
di Capua e di Salerno; poichè sebbene in questi mancassero i Principi
longobardi, non però s'estinsero i Principati, ma passati sotto i
Normanni, si mantennero lungamente, e Ruggiero ancorchè riducesse
queste province in forma di Regno, non perciò l'estinse, assumendo fra
gli altri titoli anche quelli di Principe di Capua e di Salerno, e ne
onorò anche i suoi figliuoli. Ma quello di Benevento mancò all'intutto;
poichè ricaduta la città in potere del romano Pontefice, l'altre terre
e città del Principato passarono sotto la dominazione de' Normanni,
che all'altre province da essi conquistate l'aggiunsero: e quindi è
che ne' loro titoli non abbiano nemmeno ritenuto quello di Principe di
Benevento, come affatto estinto.
Per la morte adunque accaduta di Landolfo VI ultimo Principe di
Benevento senza prole, mancando la successione di quel Principe;
tosto Gregorio pretese doversi la città restituire alla Chiesa romana.
All'incontro Roberto, che molte terre di quel Principato avea occupate,
pretese ridurre anche Benevento sotto la sua dominazione, come avea
fatto di quelle terre le quali riconoscevano per loro capo Benevento.
Perciò dando il pensiero a Riccardo Principe di Capua dell'assedio
di Napoli, egli a quello di Benevento fu tutto rivolto. Ma queste due
città, quella di Benevento per l'opera e vigilanza di Gregorio, l'altra
di Napoli per lo valore de' suoi cittadini, difendendosi valorosamente,
portarono in lungo gli assedj.
Intanto ammalossi Riccardo, il quale avendosi proccurata la grazia
di Gregorio, assoluto da costui delle censure, poco da poi ne morì.
Giordano suo figliuolo, che gli successe, nudrendo diversi sentimenti
da suo padre, levò tosto l'assedio da Napoli, e staccatosi dalla
lega che suo padre avea fatta con Guiscardo, s'unì col Papa. Roberto
ancora avendo lasciato alquante truppe all'assedio di Benevento, erasi
ritirato in Calabria; onde Giordano per l'assenza sua, unitosi col
Papa, portò tanto innanzi la cosa, che ricevuta da' Beneventani grossa
somma di denaro, fece togliere immantenente l'assedio da quella città,
mandando a terra tutti gli ordegni e macchine, che il Duca Roberto avea
apparecchiate per ridurre quella città nelle sue mani.
Tanto bastò, che Roberto fortemente sdegnato dei portamenti di
Giordano, tornasse tosto dalla Calabria in Puglia, ove ridotte Ascoli,
Monte Vico ed Ariano, andò contro il Principe sopra il fiume Sarno
per presentargli battaglia; e sarebbero fra di loro venuti alle mani,
se l'Abate Desiderio non si fosse frapposto per la pace, il quale
seppe con tanta efficacia e destrezza placare l'animo sdegnato di
Roberto, che lo piegò a farla, rimanendo questi Principi come prima
nella stessa amicizia[318]. Proccurò ancora Desiderio, che Roberto si
rappacificasse con Papa Gregorio, e seppe così ben portarsi che andato
in Roma proccurò che fosse dal Papa assoluto dalla scomunica, siccome
ottenne, ed ebbe la gloria di por pace tra questi Principi nell'istesso
tempo che le gare e discordie loro s'eran esacerbate in maniera, che si
temeva non dovessero prorompere in più crudeli guerre.
Così i Normanni pacificati col Papa ottennero da lui l'assoluzione
delle censure, ed all'incontro Roberto ridotte le terre di Monticulo,
Carbonara, Pietrapalumbo, Monteverde, Genziano e Spinazzola, sotto
il suo dominio, più non curò di rinovare l'assedio alla città di
Benevento; ma lasciatala così libera a Gregorio come la pretendeva,
dall'ora cominciò questa città a reggersi per la Chiesa romana, la
quale introducendovi nuova politia, per Rettori, che per lo più erano
Cardinali, si governò in appresso[319].
Ecco come la città di Benevento passò in dominio della Chiesa romana,
prima che queste province fossero ridotte ed unite in forma di Regno;
e per questa ragione nell'investiture, che diedero da poi i Papi del
Regno di Napoli, si riserbavano la città di Benevento, come quella
che non era ivi compresa, ma fuori di quello, ed alla Chiesa romana
sottoposta; quindi è che i Beneventani siano reputati come forastieri,
e non naturali del Regno.
E vedi intanto come queste nostre province ch'erano a tanti Principi
sottoposte si uniscono pian piano insieme nella persona di Roberto,
le quali finalmente sotto Ruggiero Conte di Sicilia s'unirono in
forma di Reame. Ora niente restava a Roberto di conquistare che
il picciolo Ducato di Napoli. Questo Ducato, ancorchè riconoscesse
gl'Imperadori d'Oriente per Sovrani, scorgendosi dalle scritture anche
di quest'ultimi tempi, che si ponevano i nomi di quegl'Imperadori, come
si osserva in quella portata dal Summonte, la quale si legge fatta
sotto il nome d'Alessio Comneno; nulladimanco mantenevasi in forma
d'una picciola Repubblica retta da' suoi Duchi e Consoli, i quali per
la declinazione de' Greci in queste parti, aveano quasi che scossa
ogni dipendenza e subordinazione, che prima aveano cogl'Imperadori
d'Oriente. Tutto il rimanente era passato già sotto la dominazione
de' Normanni: sotto Roberto Guiscardo la Puglia, la Calabria, il
Principato di Bari, di Salerno, Amalfi, Sorrento, e le terre del Ducato
di Benevento. Sotto Riccardo il Principato di Capua, ed il Ducato di
Gaeta; la qual città ancorchè avesse i suoi particolari Duchi, era però
subordinata al Principe di Capua.


CAPITOLO V.
_Litigi, ch'ebbe l'Imperador ERRICO con Papa GREGORIO, il quale ricorre
al Duca ROBERTO, che lo libera dall'armi dell'Imperadore._

La pace che Desiderio proccurò tra il Papa ed il Duca Roberto fu
sì opportuna per ambedue, che ciascuno ne ricavò per quella molti
vantaggi, ma sopra tutto Gregorio, che in altra guisa sarebbesi trovato
in angustie più gravi ed insuperabili; poichè certamente senza gli
ajuti di Roberto, sarebbe stato da Errico oppresso. Le discordie tra
lui e l'Imperadore erano esacerbate in maniera, che prorompendo in
manifeste contenzioni, finalmente terminarono in sedizioni, guerre e
scismi ostinati. I primi semi di tante discordie furono le impedite
investiture, ed il vedersi escluso l'Imperadore nell'elezione del Papa;
s'aggiunse ancora il dispetto, che la Contessa Matilda gli fece, per
aver donate molte terre e castelli della Liguria, e della Toscana alla
Sede Appostolica[320]. Gregorio all'incontro accagionando Errico, che
per denaro, e con privata autorità investiva i Vescovi ed Abati, lo
riprese prima acremente, ma da poi nell'anno 1076 venne alle censure.
Errico essendo stato ancora offeso per una superba ambasceria, che
Gregorio gli avea mandata, fece tosto ragunar un Concilio in Vormazia,
nel quale accusato Gregorio di molti delitti ed enormità, fu deposto;
da poi mandò egli in Roma i suoi Ambasciadori con lettere piene di
disprezzo e di contumelia, per le quali se gli notificava di dover
deporre il Ponteficato. All'incontro Gregorio ragunato in Roma un
altro Concilio scomunicò tutti i Vescovi, che alla sua deposizione
in Vormazia avean consentito: depose Errico del Regno di Germania e
di quello d'Italia, ed assolse tutti i suoi sudditi dal giuramento
di fedeltà, che gli avean dato, proibendo loro di prestargli più
ubbidienza, ed esortando tutti i Principi a prendere l'armi contro
Errico. I Principi d'Alemagna considerando, che per la guerra che i
Sassoni allora aveano mossa ad Errico, non era punto tempo da nudrire
queste contese, persuasero all'Imperadore di proccurar la pace col
Papa, e nell'istesso tempo proccurarono, che il Papa venisse in
Alemagna, ove si sarebbero riconciliati, e accordato il tutto. Simulò
Gregorio di volervi andare, ma essendo giunto a Vercelli, ritirossi
a Canossa ch'era un castello posto nel distretto di Reggio. Errico
premuto da' Sassoni voleva ad ogni suo costo aver pace col Papa, onde
tosto passando l'Alpi venne ivi a trovarlo, e chiedergli perdono[321].
Gregorio non volle prima ammetterlo; ma dopa averlo fatto per tre
giorni aspettare scalzo alla porta di quel castello, essendosi
interposti li familiari del Papa, e' Principi dell'Imperio, finalmente
gli concedette il perdono.
Ma comprendendo, che per la sua acerbità, Errico maggiormente
si sarebbe irritato, ed avendogli ancora Matilda avvertito, che
l'Imperadore gli tendeva insidie per averlo in sue mani, tosto se ne
tornò in Roma, ove nell'anno 1080, con maggiore celebrità, di nuovo
scomunicollo, lo depose della Corona dell'Imperio, sciolse i suoi
vassalli dal giuramento, vietò a tutti i Cristiani il prestargli
ubbidienza: e diede il Regno di Alemagna a Rodolfo Duca di Suevia,
esortando tutti i Principi di Germania ad eleggerlo Imperadore.
Quando Errico riseppe che i Sassoni aveano eletto Rodolfo Imperadore
per opporlo a lui, lasciò l'Italia, e passato in Francia presentò a
Rodolfo la battaglia; pugnossi la prima volta ferocemente da ambedue,
e fu fatta strage infinita, ma non bastando il tempo, si riserbò ad
un'altra giornata: si tornò a combattere, e finalmente cedendo la parte
di Rodolfo, venne fatto ad Errico di disfarlo. Restò in questa pugna
Rodolfo miseramente ucciso, il quale in presenza de' suoi Capitani
mostrando la sua mano tutta bruttata di sangue per le ferite, avanti
di morire sì gli disse[322]: _Vedete questa mia mano tutta bruttata di
sangue; con questa io giurai al mio Signore Errico di non insidiare
alla sua vita, ed alla sua gloria; ma il Pontefice romano mi ridusse
a trasgredire i giuramenti dati, e ad usurparmi quell'onore che a me
non era dovuto. Qual fine io n'abbia conseguito voi già il vedete: lo
vedranno ancora quelli che m'hanno istigato a questo._
Errico, sconfitto il suo rivale, memore degli oltraggi ed ingiurie
ricevute da Gregorio, tosto ritornò in Italia; ed avendo fatto
convocare prima in Magonza, e da poi in Breslavia un Concilio di
Vescovi, fece deporre Gregorio, ed in suo luogo eleggere per Papa
l'Arcivescovo di Ravenna, che Clemente III appellossi: indi calando in
Roma con una potente armata, discacciato Gregorio, collocò Clemente in
quella sede[323], dal quale volle anche ricevere la Corona imperiale.
Gregorio intanto erasi ritirato nel castello di S. Angelo co' suoi, ove
non potendo ricevere aiuto da' Romani, nè volendo altri soccorrerlo,
essendo le forze dell'Imperadore pur troppo grandi, può credersi in
quanta costernazione vivesse. S'aggiungeva ancora che Giordano Principe
di Capua co' suoi Normanni, temendo che Errico da formidabili eserciti
circondato non gli discacciasse dal Principato, proccurarono unirsi con
lui contro Gregorio[324], onde le cose del Papa erano ridotte in istato
pur troppo lagrimevole.
Non vi restava altro, che il ricorrere agli aiuti del famoso Roberto.
Ma questi trovavasi molto lontano per soccorrerlo. Avea questo Principe
ne' precedenti anni collocata in matrimonio una delle sue figliuole
chiamata Elena, col figliuolo dell'Imperador Michele Ducas, appellato
Costantino, Principe di tanta bellezza e sì ben disposto, che la
Principessa Anna Comnena non fa punto di difficoltà di chiamarlo una
principale opera della mano di Dio. Costei ancora non può trattenere il
suo sdegno contro dell'Imperador Michele, per aver dato un figliuolo
sì bello alla figliuola d'un uomo come Roberto, cui ella tratta,
secondo il fasto ed alterigia de' Greci, qual miserabile ladrone, ed
indegno d'imparentarsi con gl'Imperadori d'Oriente; ma Elena infelice
Principessa era caduta pochi anni da poi in uno strano eccesso
di miseria; poichè Niceforo Botoniate avendo discacciato Michele
dall'Imperio d'Oriente, avea confinata tutta la sua famiglia in un
monastero, e con inaudita inumanità avea fatto castrare Costantino
marito della Principessa Elena. Un'ingiuria sì crudele ridondava in
molto disprezzo ancora del Duca Roberto, il quale non poteva far di
manco di non sentirla; ma d'altronde riguardava con occulto piacere
l'occasione di portare le sue armi in Oriente.
Per la qual cosa egli ascoltò benignamente un Greco, che comparve
alla sua Corte, e si spacciava per l'Imperadore Michele stesso, il
quale per dar credenza all'impostura, minutamente narrava il modo, col
quale era scappato via dal monastero, in cui era stato racchiuso in
odio solamente, come e' diceva, dell'alleanza che avea contratta co'
Normanni. Il Duca fece fare a questo personaggio onori straordinari,
come se effettivamente fosse stato l'Imperadore[325]; contuttochè
molti Signori, ch'erano stati a Costantinopoli, ed aveano veduto
Michele, confessavano che non lo ravvisavano per desso, o che bisognava
che fosse molto cangiato. Ma Guiscardo non voleva entrar in questo
dibattimento, se questi fosse il vero, o il falso Michele: tutto
eragli una cosa per giugnere al suo intento. Egli pretendeva solamente
ricondurlo a Costantinopoli alla testa d'un'armata, e di restituirlo
al Trono imperiale, disegnando forse d'innalzarvisi egli medesimo,
se si trovasse che questi non fosse il vero Michele. In fatti non si
dubitò, che fosse un giuoco per allettare più facilmente i Greci, e per
aver un pretesto più plausibile d'intrigarsi negli affari dell'Imperio
d'Oriente: qualunque si fosse il supposto Michele, che Anna Comnena
dice essere stato un Monaco greco, appellato _Rettore_, non lasciò
Roberto di profittare del carattere, che gli fece sostenere.
Ma mentre che il Duca avea apparecchiato tutto ciò, ch'era necessario
per una spedizione tanto importante, ebbe avviso, che in Costantinopoli
era nata una nuova revoluzione, che avea messo fuori la Principessa
Elena dallo stato miserabile, in cui ella prima si trovava; poichè
Alessio Comneno essendo stato poc'anzi dalle Legioni proclamato
Imperadore in Tracia avea deposto dal trono, e fatto tosare Niceforo
Botoniate; ed egli era entrato trionfante in Costantinopoli ove avendo
fatto uscire dal monastero la Principessa Elena la trattava con grand
onore, disegnando così guadagnarsi il Duca Roberto, cui grandemente
stimava e vie più temeva, che non gli contrastasse sì be' principj.
Ma tutto ciò non bastava per arrestare i disegni di Roberto, il quale
avendo già tutto all'ordine per quella spedizione, non volle perder
tempo a darvi principio; ond'essendosi a tal effetto portato in
Otranto, ove dovea imbarcarsi con tutta la sua armata, provide prima
al governo de' suoi Stati ch'e' lasciava in Italia. Lasciò il governo
de' medesimi nelle mani di Ruggiero soprannomato Bursa suo figliuolo
secondogenito, che egli avea generato da Sigelgaita sua seconda moglie,
dichiarandolo erede in presenza del Popolo del Ducato di Puglia, di
Calabria e di Sicilia[326]. Questi era un Principe di tutto garbo,
e di estremo valore; e gli lasciò per Ministri il Conte Roberto di
Loritello suo nipote ed il Conte Girardo persona di somma esperienza,
e di conosciuta integrità.
Egli s'imbarcò insieme colla Duchessa Sigelgaita, che volle seguire
suo marito come un'Eroina alla testa delle sue truppe. Portò seco
ancora il valoroso _Boemondo_ suo figliuolo avuto dalla prima moglie
Adelgrita, ed alquanti Baroni normanni. Giunti che furono nell'anno
1081 nell'isola di Corfù cominciarono ad invadere quelle Piazze per
ridurre quell'isola sotto la loro dominazione: Alessio Imperadore
avvisato della mossa di Roberto, tosto fece apparecchiar un'armata per
reprimerlo; e quindi cominciò fra questi due Principi una guerra sì
crudele, che ebbe avvenimenti sì grandi che spinsero la Principessa
Anna Comnena figliuola dell'Imperadore Alessio a tesserne l'istoria,
nella quale, con tutto che cercasse ingrandire le gesta di suo padre,
non potè però parlare di Roberto, se non con elogi d'estremo valore
e fortezza. E condennandomi il mio istituto a tralasciare sì illustri
avvenimenti, rimetto i curiosi all'istoria di questa Principessa, ed a
ciò che Malaterra e Guglielmo Pugliese ne scrissero. In breve dopo aver
Roberto espugnata la città di Durazzo si rese padrone di quell'isola,
ed aspirando a cose maggiori, spinse da poi le sue conquiste nella
Bulgaria, facendo tremare tutto quel paese del suo nome fino alle porte
di Costantinopoli.
Mentre che questo glorioso Eroe era intrigato in questa guerra
con Alessio Comneno, ebbe pressanti e calde lettere dal Pontefice
Gregorio[327], il quale nell'istesso tempo, che si rallegrava delle
sue vittorie che riportava in Oriente, gli esponeva l'urgente bisogno
che avea la Sede Appostolica del suo soccorso, e lo stato lagrimevole
in cui trovavansi per le forze d'Errico. Il Duca era stato fin da che
partì da Otranto avvisato de' sforzi d'Errico, il quale non essendo
ancor partito da quella città, gli avea mandati Ambasciadori per
tirarlo dalla sua parte; ma Roberto rimandatine tosto gli Ambasciadori,
n'avea anche avvisato il Papa, con sentimenti sì obbliganti, sino a
dichiararsi, che se non fosse già seguito l'imbarco delle sue truppe,
l'avrebbe egli medesimo condotte alla volta di Roma; ma con tutto che
lo stato de' suoi affari lo chiamassero necessariamente altrove, non
perciò lasciava di raccomandar gl'interessi della Santa Sede al Conte
Roberto suo nipote, ed al Conte Girardo suo grande amico[328].
Ma ora ch'erasi disbrigato dalla conquista di Corfù, e che in Bulgaria
avea portate le sue vittoriose armi, avendo intesa l'urgenza del
bisogno, con tutto che si trovasse nel colmo delle sue conquiste,
le interruppe per girne a prestar al Papa quell'aiuto, che gli
avea promesso: e lasciando il governo della armata al suo figliuolo
_Boemondo_ ed al Conte di Brienna, ripassò in Italia sopra due vascelli
con un piccolo numero delle sue genti, e venne ad approdare in Otranto.
Per bramoso ch'e' si sentisse di marciare immantinente verso Roma, non
potè farlo sì presto, e si contentò mandare al Papa una grossa somma di
denaro, aspettando che fossero terminati nella Puglia gli affari, che
richiedevano indispensabilmente la sua presenza; poichè alcune città,
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