Istoria civile del Regno di Napoli, v. 3 - 11

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ed a Rodolfo poco innanzi da lui eletto Principe di Benevento, e verso
la Puglia fece marciar l'esercito per dare con sì formidabili forze la
battaglia a' Normanni, i quali trovandosi allora di forze ineguali,
credè potere leggermente vincere, e discacciargli dalla Puglia, e da
tutti i luoghi insino allora da essi conquistati.
I Normanni sorpresi dalla novella di questa marcia, ne concepirono
grande spavento, non solo perch'essi in quella congiura orditagli da
Argiro aveano perduto i principali lor Capi, e la maggior parte de'
prodi guerrieri, ma perchè aveano da combattere con un'armata non
punto composta di Greci e di Pugliesi, ma d'Alemani, uomini di statura
e forza prodigiosa, pieni di coraggio, ed abili nell'arte militare:
s'aggiungeva il non potersi fidare de' Pugliesi per l'avversione,
in cui erano appresso quelli entrati. Pensarono perciò a' modi come
potessero sottrarsi dalla tempesta, che gli soprastava; onde spedirono
a tal effetto Ambasciadori al Papa per domandargli la pace; offerirono
d'ubbidirgli in tutte le sue cose; ch'essi non pretendevano altro, che
di possedere quelle terre, che aveano acquistate co' loro travagli
e sudori, e colle armi alle mani: che non avrebbero invase le robe
della Chiesa, offerendogli il lor servigio con tanta sommissione e
riverenza, che non poteva farsi con più umiltà e rispetto. Ma Lione che
credea per le sue forze aver tra le mani la vittoria, stimolato anche
dagli Alemani, che dalla statura bassa de' Normanni ne concepirono
disprezzo, ne rimandò gli Ambasciadori con risposta pur troppo dura;
ch'egli non voleva punto aver pace con essi, se non uscivano d'Italia;
ma replicando coloro, ch'era quasi ch'impossibile ridurre una sì gran
moltitudine a cercar altrove una ritirata per essi, e per le loro
famiglie, furono sparse al vento le loro preghiere, e rimandati senza
conchiuder cos'alcuna.
Quando a' Normanni furono riportate sì dure risposte, voltatisi alla
disperazione, risolvettero infra loro, che più tosto bisognava finir
di vivere gloriosamente, che lasciare con tanta indegnità e vergogna
ciò ch'essi a costo di tanti sudori e travagli aveansi acquistato; e
non curandosi punto, che oltre la disuguaglianza delle forze, mancavan
loro ben anche i viveri, si risolvettero di ricever tosto la battaglia,
ancorchè con tanto loro disavantaggio, risoluti o di morir tutti o di
vincere.
Divisero perciò le loro truppe, che poterono radunare in tre corpi,
a' quali per Comandanti preposero i più celebri Capitani ch'essi
aveano, fra' quali erano allora sopra tutti gli altri eminenti il
Conte Umfredo, Roberto Guiscardo, e Riccardo Conte d'Aversa, figliuolo
d'Asclettino, il quale a Rodolfo era succeduto.
Intanto l'esercito di Lione si collocò in atto di battaglia in una
gran pianura presso Civitade nella provincia di Capitanata[241],
ed avendo sotto i nominati Comandanti disposte le truppe, non v'era
altro ostacolo per darla, se non una piccola montagna, che divideva
amendue gli eserciti. I Normanni furono i primi a montarla per
riconoscere gl'inimici, e ravvisata la situazione di quella infinita
moltitudine d'Italiani, che niente aveano di regolare nella maniera di
guerreggiare, ed un numero assai inferiore d'Alemani meglio disposti,
e molto più da temersi, presero tosto le loro misure, e divisero la
loro piccola armata in tre corpi. Diessi l'ala dritta a Riccardo Conte
d'Aversa per iscaricar su gl'Italiani: Umfredo si mise nel corpo di
battaglia per assaltar gli Alemani con quella cavalleria ch'avea; e
Roberto Guiscardo ebbe l'ala sinistra con un buon numero di Calabresi
scelti, che avea al suo servigio interessati, da poi ch'era stato
nel loro paese. Egli avea ordine di non molto avanzarsi, ma di fare
come un picciol corpo di riserba, sempre pronto a sostenere il resto
dell'armata, ed a fornirla ne' bisogni di truppe recenti.
Riccardo assaltò da prima gl'Italiani comandati da Rodolfo, e caricogli
improvisamente, e con tanto vigore, che non ebbero agio nè pur di far
la minima resistenza. La paura gli confuse in maniera, che ritirandosi
a poco a poco gli uni opprimevano gli altri, e seguitandogli
valorosamente Riccardo, si diedero ad una fuga vergognosa, tanto
che questo prode Capitano a colpi di spade e di dardi ne fè strage
infinita[242].
Il Conte Umfredo ebbe più che fare dalla sua parte cogli Alemani,
e spezialmente con quelli di Suevia. Egli fece sopra di loro una
terribile scarica di frecce, ma essi ne fecero una somigliante
sopra di lui; onde bisognò metter mano alla spada, e l'uccisione
per l'una, e l'altra parte fu terribile. Allora Roberto Guiscardo
credette, che fosse tempo di venire al soccorso di suo fratello: vi
accorse immantenente con Pandolfo, e Landolfo suo figliuolo esiliati
da Benevento[243], seguitato ancora da' suoi Calabresi, i quali
sotto la sua disciplina eran divenuti prodi soldati: egli andò con
furia a buttarsi in mezzo de' nemici. Si pugnò ferocemente, e furono
incredibili le ardite azioni di Roberto in questo combattimento;
finalmente sconfisse i nemici[244], e con tanto empito e vigore gli
confuse, che dopo aver d'essi fatta strage infinita, scorgendo che non
erano in tutto spenti, ricominciando di bel nuovo a battere il resto,
gli finì tutti di tagliar a pezzi[245].
Il Papa, che non molto lontano fu spettatore di sì fiera tragedia,
vedutosi quando men se l'aspettava in tali angustie, prese il partito
di ritirarsi dentro la città di Civitade[246]; ma questa non essendo
un asilo per lui sicuro, fu immantenente assediata, e tantosto fu
costretta a rendersi. Puossi comprendere qual fosse l'imbarazzo del
Papa, e la sua desolazione mentre cadeva in mano de' nemici, cui
egli avea trattati con tanta durezza e severità, e di cui egli avea
concetto, siccome aveagli dipinti presso l'Imperadore Errico, di gente
barbara, inumana e senza religione.
Ma ben tosto s'avvide quanto appresso i Normanni fosse grande la forza
della religion cristiana, e quanto il rispetto, che aveano di colui
ch'essi adoravano per Capo della Chiesa cristiana, e Vicario di Cristo.
Essi avrebbero potuto, giacchè come Principe del secolo li mosse
guerra, _Jure belli_, e secondo le leggi della vittoria, trattarlo
siccome esso vi compariva. Ma come grossolani non ben arrivavano a
capire quella distinzione di due personaggi in uno, che gl'istessi
Ecclesiastici introdussero nella sua persona per non far con tanta
mostruosità apparire alcune azioni, che non starebbero troppo bene
al Papa, come successore di S. Pietro. Essi lo riputaron sempre per
questo eccelso carattere degno d'ogni rispetto e venerazione, che
la forza della religione, di cui essi erano riverenti, ve l'impresse
sì forte, che per qualunque altro non poterono perderlo; perciò con
inudita pietà, e profondo rispetto lo condussero con ogni sorte d'onore
e riverenza nel loro Campo. Non pure lo lasciarono in libertà, ma il
Conte Umfredo ricevendolo sotto la sua parola, l'accompagnò egli stesso
con gran numero di suoi Ufficiali in Benevento[247], promettendogli di
vantaggio, che quando gli piacesse ritornar in Roma, l'avrebbe egli
accompagnato insino a Capua[248]. Il Papa sorpreso da queste maniere
sì oneste e cristiane, cancellò dal suo animo ogni sinistro concetto,
che prima di lor avea, e pentitosi di quanto insino a quell'ora avea
con poca accortezza, e contro ciò che ricercava il suo carattere,
adoperato, pianse amaramente le sue disavventure. Indi entrato in
Benevento nella vigilia di S. Giovanni di quest'anno 1053 vi si
trattenne insino a' 12 di marzo dell'anno seguente 1054 giorno della
festività di S. Gregorio Papa[249]; e quivi per li travagli sofferti,
e per passione d'animo caduto infermo, avendo a se chiamato il Conte
Umfredo, si fece condurre a Capua, dove avendo dimorato dodici giorni,
in Roma fece ritorno. Quivi arrivato per conciliare le discordie, che a
questi tempi più che mai eransi rese implacabili tra la Chiesa romana,
e la costantinopolitana, spedì all'Imperador Costantino Monomaco tre
Legati, Pietro Arcivescovo d'Amalfi, Federico suo Cancelliero, ed
Umberto Vescovo di S. Rufina, unita poi questa Chiesa da Calisto II al
Vescovado di Porto; ma non ebbe questa Legazione alcun successo; poichè
Lione non molto da poi con molti segni di pietà, e di ravvedimento
finì santamente i giorni suoi nel mese d'aprile di quest'anno 1054,
con lasciar di se, per la sua pietà e candidezza di costumi, titolo di
Santo.
In questi rincontri si narra, che Lione dopo aver assoluti i Normanni
dalle censure e dall'offese, che ei reputava aver da essi ricevute,
avesse conceduto ad Umfredo, ed a' suoi eredi l'investitura della
Puglia e della Calabria, ed anche di tutto ciò che potrebbe acquistare
sopra la Sicilia, e che all'incontro Umfredo avesse reso l'omaggio
di quelle terre alla Santa Sede, come Feudi da lei dipendenti; e che
questa fosse la _prima Investitura_, ch'ebbero i Normanni, come fra gli
altri scrisse Inveges.
In fatti Gaufredo Malaterra[250] parlando della sommessione e rispetto
che i Normanni in quest'incontro portarono a Lione, dice che questo
Papa all'incontro: _Omnem terram, quam pervaserant, et quam ulterius
versus Calabriam, et Siciliam lucrari possent de Sancto Petro
haereditali Feudo sibi, et haeredibus suis possidendam concessit._
Ma questo non fu che un assicurare maggiormente i Normanni della sua
amicizia perchè senza suo ostacolo proseguissero le loro conquiste,
benedicendo le loro arme, e dichiarando perciò le loro future
intraprese giuste; ciò che i Normanni come religiosi desideravano,
almeno per pretesto di giustificare così i loro acquisti, e per non
aver contrari i romani Pontefici, che s'erano allora per le censure e
scomuniche resi a' Principi tremendi. Questi furono i principj delle
nostre Papali investiture, le quali si ridussero poi a perfezione da
Niccolò II per quelle, che diede a Roberto Guiscardo de' Ducati di
Puglia e di Calabria e di Sicilia, come diremo.
Intanto i Normanni avendo disfatta l'armata di Lione, ancorchè
l'avessero trattato con tanto rispetto, assicurati che furono di
lui, non vollero perdere sì opportuna occasione di stendere la loro
dominazione, e di portare altrove le loro armi. Niente resero al Papa
di ciò, che pretendeva sopra Benevento; poichè se bene Pandolfo,
Principe di Benevento, e Landolfo suo figliuolo, alla venuta di
Lione fossero stati esiliati da quella città, nulladimanco sconfitto
Lione col favore de' Normanni, a' quali aveano dato ajuto in quella
battaglia, tornarono di bel nuovo a reggere Benevento[251]; nè se
non dopo molti anni cominciò a governarsi dalla Chiesa romana, tanto
che la commutazione fatta con Errico non ebbe il suo effetto se non
molto da poi, e più per munificenza de' Normanni, che per quella
d'Errico. Nel che non bisogna ricercare altro miglior testimonio della
antichissima Cronaca de' Duchi e Principi di Benevento, il cui Autore
fu un Monaco del monastero di Santa Sofia di Benevento, che si conserva
nell'archivio del Vaticano, e fu fatta imprimere dal diligentissimo
Pellegrino, a cui fu trasmessa da Roma dall'Abate Costantino
Gaetano Monaco Cassinense, che da un antico Codice del Vaticano
l'estrasse[252]. In questa Cronaca[253] si legge, che se bene reggendo
il Principato di Benevento Pandolfo, e Landolfo suo figliuolo, alla
venuta di Lione fossero stati esiliati da Benevento, nulladimanco si
soggiunse, che da poi vi tornarono, e Pandolfo dopo aver regnato molti
anni in Benevento, finalmente abbandonò il secolo, e si rese Monaco
nel monastero istesso di S. Sofia, lasciando Landolfo suo figliuolo
per successore, il quale tenne il Principato per tutto il tempo che
visse insino all'anno 1077. Onde si convince con molta chiarezza, che
la permuta con Errico non ebbe effetto; ma se poi la Chiesa romana
acquistò quella città, tutto si dee alla liberalità de' Normanni, che
per le ragioni che vi tenea per quella commutazione fatta da Errico,
glie la rilasciarono, come qui a poco vedrassi.
Seppero ancora i Normanni ben servirsi di questa vittoria, sottoponendo
tutta la Puglia al loro dominio dopo tredici anni di guerra, da che
l'aveano invasa. Tolsero a' Greci Troja, Bari, Trani, Venosa, Otranto,
Acerenza, e tutte le altre città di quella provincia, tanto che
Guglielmo Pugliese potè dire:
_Jamque rebellis eis Urbs Appula nulla remansit:_
_Omnes se dedunt, aut vectigalia solvunt._
Quindi furono poi rivolti tutti i loro pensieri alla impresa della
Calabria, la conquista della quale saremo ora a narrare.


CAPITOLO IV.
_Conquiste de' Normanni sopra la Calabria: Papa STEFANO successor di
LIONE vi si oppone; ma morto opportunamente in Firenze, vengon rotti i
suoi disegni._

La morte di Lione IX rinovò in Roma i disordini per l'elezione del
successore: e dappoichè per le contrarie fazioni stette quella Chiesa
per un anno senza Capo, finalmente il famoso Ildebrando, che dal
monastero di Cugnì erasi portato in Roma, ove fu fatto Sottodiacono di
quella Chiesa, come uomo di somma accortezza, fu adoperato a por fine
a tali confusioni. I Romani, non trovandosi nella lor Chiesa persona
idonea per occupar quella Sede, mandarono Ildebrando oltre i monti a
dimandar all'Imperadore un successore, ch'egli in nome del Clero e del
Popolo romano avesse eletto: assentì Errico, e fugli dimandato Gebeardo
Vescovo di Eichstat, di cui fecesi poc'anzi menzione. Con sommo
dispiacer d'Errico, che non voleva toglierselo dal suo lato, venne
costui in Roma, ed innalzato a quella Sede, Vittore II fu nomato[254].
Come si vide nel Trono pontificio, tosto mutò sentimenti di quanto
prima avea fatto mentr'era in Germania, dove avea a Lione impediti i
domandati soccorsi, di che con gran pentimento amaramente, fatto Papa,
si dolse. E se il suo Ponteficato non fosse stato cotanto breve, e la
sconfitta precedente non avessegli scemate le forze, ed ingrandito
quelle dei Normanni, avrebbero questi certamente sperimentato in
Vittore gl'istessi sentimenti di Lione.
Ma morto egli in Firenze nel 1057 due anni dopo la sua esaltazione,
e rifatto in suo luogo Federico Abate di Monte Cassino, e Cardinale,
che prese il possesso di quella Sede il giorno di S. Stefano, e
perciò prese il nome di Stefano X, da altri, per la cagione altrove
rapportata, detto Stefano IX, furono da costui calcate le medesime
vestigia de' suoi predecessori. Fu da' diligenti investigatori
delle gesta de' Pontefici con istupore notato, che ancorchè i loro
predecessori, per sostenere le loro intraprese, avessero sofferto
morti, prigionie ed altre calamità; non per tutto ciò gli successori si
spaventavano di proseguirle, anzi vie più forti e vigorosi s'esponevano
ad ogni maggior rischio e cimento. Essi eransi persuasi, che
l'ingrandimento dei Normanni in queste nostre province, era lo stesso
che il loro abbassamento, e lo reputavano come loro declinazione,
siccome queste medesime gelosie tennero co' Longobardi, quando gli
videro troppo potenti in Italia. Gli accagionavano perciò di mille
delitti, che rapivano le robe delle Chiese, che desolavano le province;
ed in fine proccuravano rendergli odiosi a' provinciali, per potere
in cotal modo giustificare le loro intraprese, e renderle al Mondo
commendabili. E se bene sopra queste province non potessero pretendervi
ragione alcuna di sovranità; nientedimeno la loro grandissima gelosia
degli avanzamenti de' Normanni pose costoro in tal necessità, che
siccome prima doveano reprimere, ed opporsi alle forze degl'Imperadori
d'Oriente a' quali finalmente queste province si toglievano: così ora
aveano da contrastare co' Pontefici romani, i quali come se ad essi si
togliessero, si opponevano con vigore a' loro disegni, nè v'era mezzo,
che non adoperassero per impedire i loro progressi.
Prima, come si è potuto osservare nel corso di quest'Istoria,
non avendo per se forze tali, solevano implorare gli aiuti de'
Principi stranieri, siccome per discacciare i Longobardi ricorsero
a' Franzesi; ora essendosi resi per lo dominio temporale di tanti
Stati più forti, lontani questi soccorsi, e mancata ogni speranza di
potergli avere dall'Imperadore, e potendogli somministrare i loro
Stati forze sufficienti, lo facevano per se soli; e quando queste
mancavano, solevano ricorrere al presidio delle armi spirituali e delle
scomuniche, alle quali la forza della religione avea dato tanto vigore
e spavento, che non solo a' Popoli ed a' Principi erano tremende, ma
quel ch'è degno di stupore, erano formidabili e spaventose a' Capitani
delle milizie, ed a' soldati stessi, uomini per lo più scelleratissimi;
i quali nell'istesso tempo, che s'atterrivano delle scomuniche, non
avevano alcuna difficoltà di menare una vita scellerata, e d'usurparsi
quello del prossimo, senz'alcun riguardo d'offendere la Maestà Divina.
Innalzato pertanto Stefano al Ponteficato romano, si dispose
immantenente a voler discacciare d'Italia i Normanni. Traeva egli
origine da' Duchi di Lorena, e nato da regal stirpe, voleva nel
Ponteficato segnalarsi in opre grandi ed illustri. Fu prima da Lione
IX fatto Cancelliero della Sede Appostolica: indi fu Abate di Monte
Cassino, e poi da Vittore II fu fatto Cardinale. Assunto ora al
Ponteficato vennegli in pensiero, imitando Lione, di voler discacciar
d'Italia i Normanni[255]; anzi nato per cose più grandi s'accinse ad
una più illustre impresa.
Un anno avanti nel 1056 era morto in Germania Errico, ed avea lasciato
per successore un suo piccolo figliuolo di sette anni, che succeduto
poi all'Imperio, fu col nome del padre anche chiamato Errico. Fra gli
Scrittori germani ed italiani vi è gran confusione nel numero di questi
Errichi. Errico il Negro da' Germani vien chiamato III, gli Italiani
lo dicono II, non tenendo conto di quell'altro Errico, che non fu se
non semplice Re di Germania, nè giammai Imperadore. Noi seguiteremo gli
Italiani, onde il successore d'Errico il Negro lo diremo Errico III non
IV. Morì Errico dopo aver regnato diciassette anni, e quattro mesi. Le
sue leggi furon raccolte da Goldasto[256], e Cujacio nel quinto libro
de' Feudi ne registrò alcune a quelli appartenenti.
Per l'infanzia del figliuolo governava l'Imperadrice Agnesa sua madre:
Stefano valendosi dell'opportunità del tempo, vennegli in pensiero
d'innalzare al Trono imperiale il Duca Goffredo suo fratello, con
risoluzione, che unendo le sue forze con quelle del fratello, potessero
con facilità discacciare i Normanni d'Italia, a' quali egli portava
odio implacabile.
Ma intanto questi valorosi Campioni sotto il famoso Roberto Guiscardo,
a cui il Conte Umfredo suo Fratello avea somministrate molte truppe,
perchè l'impiegasse alla conquista della Calabria, aveano fatti
progressi maravigliosi sopra questa provincia[257]. Essi da poi che
Roberto per una sua ingegnosa astuzia, erasi impadronito di Malvito,
aveano steso più oltre i confini, e sotto la lor dominazione poco da
poi fecero passare le città di Bisignano, di Cosenza e di Martura.
Nè la morte del Conte Umfredo accaduta in Puglia intorno l'anno 1056
avea potuto interrompere il corso di tante conquiste, anzi diede a
quelle più veloce corso: poichè non lasciando Umfredo che due piccioli
figliuoli, Bacelardo ed Ermanno, lasciò il governo de' suoi Stati a
Roberto stesso, a cui raccomandò i figliuoli, e spezialmente Bacelardo
suo primogenito; onde succeduto Roberto nel Contado di Puglia dava
terrore a tutti i Principi vicini, e molto più a Stefano R. P., dal
quale era perciò grandemente odiato.
Ma a Stefano, cui non mancava ardire di cacciare i Normanni d'Italia,
mancavano però le forze, e sopra tutto i danari: fu perciò tutto inteso
a farne raccolta, e l'impegno nel quale era entrato gli fece pensare
un modo pur troppo violento e scandaloso. Egli che da Abate di Monte
Cassino fu innalzato alla Cattedra di S. Pietro, volle nel Ponteficato
stesso ritenere quella Badia, nè permise che in suo luogo fosse altri
sustituito; onde disponeva di quel monastero per doppia ragione con
tutta libertà ed arbitrio[258]. Per le molte oblazioni de' Fedeli in
questo tempo, pur troppo per li Monaci prospero, aveano essi raccolto
un ricchissimo tesoro d'oro e d'argento, che in quel monastero i
Monaci con gran cura e vigilanza custodivano: Stefano vedendo che per
nessun altro miglior modo poteva conseguir il suo fine, pensò averlo
in mano, ed ordinò al Proposito di quel monastero, che tutto il tesoro
d'oro e d'argento ch'ivi trovavasi l'avesse subito, e di nascosto
portato in Roma. Avea egli disposto di passare con quello in Toscana,
ove era il Duca Goffredo suo fratello, affinchè conferito con lui il
suo disegno, potessero da poi ritornarsene insieme per discacciare
d'Italia i Normanni. La costernazione nella quale entrarono i Monaci
per sì infausta novella ben ciascuno potrà immaginarsela: essi tutti
mesti e dolenti, tentarono invano colle lagrime rimovere il Papa;
onde finalmente da dura necessità costretti, avendo ragunato tutto il
tesoro, in Roma a Stefano lo portarono. Il Papa quando lo vide, e vide
insieme la mestizia ed il dolore de' Monaci, che glie lo portarono,
sorpreso allora dalla mostruosità del fatto, ravvedutosi dell'eccesso,
tosto pentissi d'averlo domandato, e lo rimandò indietro[259]. Ma poco
da poi essendosi incamminato per la Toscana, fermatosi in Firenze, fu
sorpreso da una improvvisa languidezza, che in pochi dì lo privò di
vita in quest'anno 1058[260].
Così, morto Stefano, andarono a vuoto tutti i suoi disegni, e fu la
costui morte sì opportuna a' Normanni, che non avendo altri, che
impedisse i loro vantaggi, poterono indi a poco stendere le loro
conquiste, non pur nella Calabria, ma sopra il Principato di Capua
ancora, per un'occasione, che più innanzi saremo a narrare.

I. _ROBERTO GUISCARDO è salutato I. Duca di Puglia e di Calabria._
Intanto per la morte di Stefano tornò Roma di bel nuovo nelle
confusioni e disordini; poichè Gregorio d'Alberico Conte di Frascati,
ed alcuni Signori Romani, di notte, e con gente armata, posero per
forza nella Santa Sede Giovanni Vescovo di Velletri, che prese il
nome di Benedetto; ma essendosi opposto a quest'elezione Pier Damiano
uomo da bene (il qual poco prima da Stefano richiamato dall'Eremo, era
stato fatto Vescovo d'Ostia) insieme con gli altri Cardinali, fecero
in guisa, che tornato Ildebrando dalla Germania, ove era stato mandato
da Stefano all'Imperadrice Agnesa, avendo inteso tali disordini,
fermossi in Firenze, da dove attese a far ritrarre i migliori Romani
dal partito contrario, e col favore del Duca Goffredo Marchese di
Toscana oprò in maniera, che ragunati in Siena que' Cardinali, che
non aveano avuta parte nell'elezione di Benedetto, vi elessero per
Papa Gerardo Arcivescovo di Firenze. L'Imperadrice Agnesa madre
d'Errico, confermò l'elezione, e diede ordine al Duca Goffredo di
metter Gerardo in possesso, e di cacciarne Benedetto. Questi prese il
partito di rinunziare il Ponteficato; onde Gerardo portatosi in Roma,
vi fu riconosciuto per legittimo Papa, e fu chiamato Niccolò II, il
quale poco da poi nell'anno 1059 tenne un Sinodo di 113 Vescovi, dove
comparve Benedetto, dimandò perdono, e protestò, che gli era stata
fatta violenza. In questo Concilio furono fatti regolamenti per la
libertà dell'elezione del Papa, e stabilito, che i Cardinali dovessero
in quella avere la parte migliore; poi l'eletto fosse proposto al
Clero ed al Popolo, ed in ultimo luogo si ricercasse il consenso
dell'Imperadore.
Queste revoluzioni, che molto spesso accadevano in Roma, e molto
più i disordini, che nell'istesso tempo si sentivano nella Corte
di Costantinopoli, maravigliosamente conferivano all'ingrandimento
de' Normanni. Non temevano da parte alcuna di ricevere impedimenti;
poichè la minorità d'Errico III, governando l'Imperadrice sua
madre, non faceva molto pensare alle cose di queste nostre province.
Costantinopoli, per la morte accaduta nell'anno 1054 di Costantino
Monomaco, tutta era in disordine e confusione; poichè succeduta
nell'Imperio Teodora sorella di Zoe, e dopo un anno quella morta,
_Michele Stratiotico_ fu dagli Ufficiali del Palazzo posto in suo
luogo; ma questi, resosi poi Monaco, lasciò volontariamente la Corona
nell'anno 1057, onde insorsero nuove fazioni per l'elezione del
successore; ma acquistando maggior forza quella di _Isaacio Comneno_,
fu questi salutato Imperadore in quest'anno 1058.
I Normanni perciò con miglior agio attesero a dilatare i loro confini,
e que' di Puglia sotto il famoso Roberto Guiscardo gli distesero
sopra quasi tutta la Calabria. Questo Principe, essendo succeduto nel
Contado di Puglia, era riconosciuto non già come Tutore di Bacelardo
suo nipote, qual egli era secondo che narra Guglielmo Pugliese[261],
ma come assoluto Signore. Egli sembrava, che in quest'occasione non
fosse disposto a contentarsi d'una semplice tutela, siccome da dovero
non se ne contentò da poi; anzi pretese, che dovea egli succedere ad
Umfredo, conforme Umfredo era succeduto a' suoi fratelli primogeniti;
ed egli avea già designato per suo successore Roggieri altro ultimo
suo fratello, col quale avea diviso l'Imperio, e creatolo perciò
come lui anche Conte. Era pertanto tutto inteso a discacciar i Greci
dal rimanente della Calabria, prese Cariati e molte altre Piazze
d'intorno, e portò finalmente le sue armi infino a Reggio capo di
quella provincia, alla qual città pose l'assedio. Gli assediati non
potendo lungamente sostenerlo si diedero a Roberto; ond'egli rendutosi
Signore di così illustre ed antica città, non si contentò più del
titolo di Conte, ma con solenne augurio e celebrità fecesi salutare,
ed acclamare Duca di Puglia e di Calabria. Lione Ostiense[262] narra,
che la gloria dell'espugnazione di Reggio gli partorì questo novello
titolo. Curopalata scrisse, che lo produsse il governo trascurato
e puerile di Michele VII, Imperador Greco; ma il Pellegrino[263] fa
vedere, che Roberto ad emulazione dei Greci, e per rintuzzare il lor
fasto lo facesse. Aveano essi costituito Argiro in Bari Duca di Puglia,
ancorchè questa nella sua maggior estensione fosse passata sotto il
dominio de' Normanni: imperocchè i Greci ancorchè perdessero l'intere
province, non perciò lasciavano di ritenere almeno i fastosi titoli
ed i nomi di quelle, trasferendogli sovente in altra parte, siccome
fecero dell'antica Calabria, la quale, come fu ne' precedenti libri
osservato, passata che fu sotto la dominazione de' Longobardi, essi
trasportarono questo nome di Calabria in un'altra provincia, che allora
ancora ritenevano.
Chi a Roberto conferisse questo nuovo titolo di Duca, non è di tutti
conforme il sentimento. Lione Vescovo d'Ostia par che accenni, che fu
una casuale acclamazione del Popolo; ma Curopalata dice, che i Signori
e Baroni pugliesi suoi vassalli, vedendo che egli allo Stato di Puglia
avea aggiunta la Calabria, con pubblico consiglio, ritenendo per essi
i titoli di Conti sopra le terre che s'aveano divise, decretarono il
titolo Ducale a Roberto; donde si convince l'errore del Sigonio[264],
il quale reputò, che insuperbito Roberto per l'espugnazione di Reggio
in Calabria, e poco da poi per l'altra di Troja in Puglia, disdegnando
l'antico titolo di Conte, per se stesso, e di sua propria autorità
s'intitolasse Duca di Puglia e di Calabria.
Agostino Inveges[265] va conghietturando, che nella creazione di questo
novello Duca s'osservassero quelle cerimonie, le quali a que' tempi
s'osservavano in Francia nella creazione del nuovo Duca di Normannia,
e sono descritte nel Tomo degli Scrittori antichi della Istoria de'
Normanni; dove si narra, che l'Arcivescovo dopo alcune orazioni ed
il giuramento, che prestava il nuovo Duca di difendere il Popolo a
se commesso, e di usar con quello giustizia, equità e misericordia,
davagli l'anello, e da poi gli cingeva la spada, ond'è verisimile, e'
dice, che il normanno Guiscardo volendo consacrarsi Duca di Puglia in
Italia, fossesi servito delle medesime cerimonie. Avevano pure i Duchi
particolar Corona, Berrettino, Veste e titoli propri. La Corona ducale,
che ponevano sopra le loro arme, secondo che la descrive Scipione
Mazzella[266], era un cerchio senza raggi, o diciam punte di sopra
(le quali convengono solamente al Principe) ma in luogo delle punte
vi usavano alcune perle, e d'attorno alquante gioie. Il Berrettino,
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