Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 14

Total number of words is 4716
Total number of unique words is 1629
42.0 of words are in the 2000 most common words
57.5 of words are in the 5000 most common words
64.6 of words are in the 8000 most common words
Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
la voglia di pochi;» al che risponde il soprannome di _mannerino_, che
a lui diede in altro luogo. Il Machiavelli, nato di antica stirpe, non
ottenne grado per cui s’innalzasse nella Repubblica; ebbe commissioni
piuttostochè uffici; e segretario dell’uffizio dei Dieci non vuole
confondersi con quei segretari cancellieri della Signoria i quali
tenevano il filo delle faccende perchè non mutavano co’ magistrati.
Alle maggiori ambascerie andava nel secondo grado, e di quel mirabile
suo osservare e giudicare le cose del mondo, allora in Firenze si
accorgevano poco, tenendolo come persona ambigua e che fosse mandato a
rincalzo oppure a guardia degli ambasciatori. Piero Soderini lo adoprò
molto dentro e fuori, avendo in lui fede sino all’ultimo; il che non
tolse a questi di mettere subito dopo in canzone il suo patrono che si
era lasciato cavare di seggio con la innocenza d’un bambino. Mai non
si trova che il Machiavelli tradisse chi egli serviva, ma dei caduti
più non sapeva che farsi e gli obliava. Nemmeno ebbe accusa di essere
avido di guadagni, egli che nacque e visse povero, tanto che appena gli
fu tolto servire lo Stato, temè «divenire per povertà contemnendo.»
I Rucellai amici suoi lo sovvenivano, dilettandosi molto della sua
conversazione: in quegli Orti loro viveva famigliarmente coi più
ingegnosi giovani che allora fossero in Firenze; il Guicciardini, lo
Strozzi, il Vettori avevano seco frequenza di lettere, amando giovarsi
delle argute cose ch’egli notava, ma più di rado de’ suoi pareri:
quando venivano a Roma di queste lettere, Clemente VII voleva gli
fossero lette, ma poi dell’uomo non si fidava.
Pure Niccolò da quella sua povera villa presso San Casciano scriveva
al Vettori, nei primi mesi di Leone, quanto egli bramasse uscire di lì
«e dire, eccomi!» — «Vorrei che questi Signori Medici mi cominciassero
adoprare, se dovessino cominciare a farmi voltolare un sasso; perchè se
io poi non me li guadagnassi, io mi dorrei di me. — Della fede mia non
si dovrebbe dubitare, perchè avendo sempre osservato la fede, io non
debbo imparare ora a romperla; e chi è stato fedele e buono quarantatrè
anni che io ho, non debbe poter mutar natura; e della fede e bontà mia
ne è testimonio la povertà mia.» Passarono gli anni, e i Signori Medici
non l’adoprarono, nè il Governo popolare nei primi suoi giorni mostrò
fare caso di lui. Solo una volta sugli ultimi della vita di Leone gli
Otto di Pratica lo mandarono in Carpi al Capitolo dei Frati Minori
per cose che importavano al governo della provincia di quell’Ordine,
e per cercarvi un predicatore: del che nelle scambievoli lettere egli
e il Guicciardini, fanno i grandi motteggi. Quattr’anni dopo andò a
Venezia, mandato dai Consoli dell’Arte della Lana per la recuperazione
di certi danari. Più tardi il Guicciardini Luogotenente all’esercito
della Lega lo mandava in proprio suo nome al Campo sotto Cremona
perchè sollecitasse il Duca d’Urbino a torsi di là, dov’era un perdere
l’opportunità di prender Genova. Da ultimo andava, mandato dagli Otto,
a stare presso al Guicciardini nella infelice guerra la quale condusse
al Sacco di Roma, e rimase presso lui sempre sino a che non fu mutato
lo Stato in Firenze.
Per tal modo passarono gli ultimi quindici anni del Machiavelli, che
nella stessa famosa lettera da noi citata racconta la vita che egli
faceva standosi in villa. Usciva innanzi giorno ad uccellare mettendo
le panie da sè; poi badava ai tagliatori di certe sue legne e alla
vendita delle cataste; di lì con un libro sotto il braccio andato ad
un fonte, leggeva gli Amori dei Poeti Latini, si ricordava de’ suoi e
godeva un pezzo in questo pensiero. Stava un poco sull’osteria; dopo
mangiato vi ritornava, dove con l’oste ed un beccaio ed un mugnaio
e due fornaciai giuocava a cricca infino a sera, gridando con loro
e combattendosi un quattrino, sì che gli sentivano da San Casciano.
«Così rinvolto (continua) in questa viltà traggo il cervello di muffa
e sfogo la malignità di questa mia sorte, sendo contento mi calpesti
per quella via, per vedere se la se ne vergognasse. Venuta la sera, mi
ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; ed in sull’uscio mi spoglio
quella veste contadina, piena di fango e di loto, e mi metto panni
reali e curiali, e rivestito condecentemente entro nelle antiche corti
degli antichi uomini, dove da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco
di quel cibo che solum è mio, e che io nacqui per lui; dove io non mi
vergogno parlare con loro e domandare della ragione delle loro azioni;
e quelli per loro umanità mi rispondono: e non sento per quattro ore di
tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi
sbigottisce la morte; tutto mi trasferisco in loro.»
Tale era quell’uomo. A lui non si disdiceva esercitarsi tutte le ore
della giornata nella conversazione degli uomini abietti, nè molto mi
pare gli costasse farsi triviale con essi. La sera poi, solo nel suo
scrittoio alzava il pensiero fino a quei grandi antichi uomini che
avevano fatto le grandi cose: da quell’insieme di vita uscirono i libri
del Machiavelli. Vestiva egli panni reali e curiali quando gli accadeva
di chiudersi nella solitudine del suo pensiero, ma nel comune abito del
conversare a lui mancavano la gravità e il decoro che pure ci vogliono
a condurre gli altri e farsi autorevole; nè lo tenevano come uomo di
Governo coloro medesimi che più gli erano familiari. Da questo non
essere egli mai stato a capo di molti in grandi faccende proviene, a
mio credere, che nonostante quel mirabile suo acume, gli scritti di lui
non siano pratici abbastanza, come di chi avesse fatto le cose da sè,
le avesse fatte più che guardate, e nel contendere giornaliero avesse
dovuto gli altri saggiare sotto ogni aspetto. Dice egli stesso, che
«a conoscere bene la natura de’ popoli bisogna esser principe, ed a
conoscer bene quella de’ principi bisogna essere popolare.[156]» Parve
a me sempre che il Machiavelli conoscesse gli uomini meglio che l’uomo,
gli conoscesse per quello che fanno essi in comune e che importa
direttamente alla vita pubblica; ma non gli guardasse o intendesse per
quello che sono, ciascuno in sè stesso, e in casa e in famiglia; le
quali cose fanno ostacoli ai quali non pensano gli ingegni speculativi,
ma bene gli sentono i veri pratici del Governo. Inoltre non ebbe il
Machiavelli scienza bastante nemmeno dai libri; fu meno dotto di
molti in Italia nell’età sua, di greco non sapeva, e tra i latini
solo agli storici avea posto mente; nè la scienza intera dell’uomo gli
avevano data gli antichi scrittori. Innanzi gli stava il popolo della
Repubblica di Firenze ed al suo tempo le disperate sorti d’Italia come
esempi del male; il buono e il grande nell’antichità cercava, e quindi
a lui venne l’abito di tenere gli occhi volti indietro, professando
quella sentenza, che sia mestieri gli Stati corrotti ricondurre ai
loro principii; il che è un cercare rimedio alle cose fuori di loro
medesime, cioè in quel loro essere che è svanito. Molte sentenze
del Machiavelli, che sono frutto di quel suo ingegno essenzialmente
speculativo, riescono in fatto meno applicabili ai singoli casi; donde
hanno falsato il pensiero di coloro che troppo seguirono la scuola del
Machiavelli.
Non ha egli, nè credo la lingua italiana, pagina che agguagli quella
Esortazione a liberare l’Italia dai barbari, la quale sta in fondo al
libro del Principe. Qui vanno del pari e fanno tutt’uno l’affetto e
il pensiero; qui è l’espressione di un ideale che ha fonte nel vero.
Un intelletto qual era il suo, doveva bene farsi capace come nessun
rimedio fosse bastante finchè l’Italia non avesse grandezza e forza
da stare appetto delle altre nazioni; era un’idea senza possibile
attuazione, ma una idea che allora nasceva e già cominciava per molti
ad essere un affetto. L’avevano destata i nostri danni e le vergogne,
la prova fatta della impotenza nostra e il soprastare di quelle nazioni
che da noi erano appellate barbare perchè più rozze, ma nelle quali era
più forte compagine, e più attitudine al comando perchè meglio di noi
sapevano ubbidire. Finchè a tal prova non si venisse, un Duca in Milano
e una Repubblica in Firenze avevano bene potuto contare qual cosa nel
mondo: oggi era intristito e pieno di scoramento il vivere delle città
italiane prima lussureggianti; e questa Italia da un capo all’altro
sentì ad un tratto la sua miseria. Il Machiavelli avea veduto le altre
nazioni farsi potenti nella unità, e perchè avevano armi proprie;
conobbe la forza delle Fanterie che ubbidiscono ad un capo solo e
vanno insieme come un popolo ordinato, costrette da un vincolo e da una
necessità comune. Scriveva pertanto i libri sull’_Arte della Guerra_,
i quali formassero a disciplina questo scorretto popolo italiano;
volendo, quanto era in lui, che fosse esercitato nelle armi per via di
quelle milizie provinciali intorno alle quali poneva egli stesso quelle
molte cure che abbiamo già detto. Aveva egli colto sul vivo le cause
della debolezza nostra; nè fu sua colpa se il pensiero di lui rimase,
quanto alla pratica, di nessun effetto.
Quel fine solo che egli ebbe sempre dinanzi agli occhi, cercare la
forza, era lo stesso a cui tendevano già tutte al suo tempo le cose del
mondo, ed era la prima forma del pensiero politico in quella età che
noi siamo costretti chiamare di risorgimento. Abbisognava innanzi tutto
frenare il disordine del Medio evo, il che si fece spianando le buone
cose e le cattive sotto al regolo del Principato. Vi guadagnarono le
nazioni grandi maggior sicurezza di loro medesime, e più attitudine ai
grandi fatti e alle grandi opere; la libertà crebbe quant’all’esercizio
della vita giornaliera, donde sparirono molte disuguaglianze secondo
i luoghi e soverchierie private le quali impedivano al corpo intiero
delle nazioni l’unirsi all’acquisto dei loro diritti. I mezzi usati
in quella età dai grandi Principi per tirare a sè ogni cosa, furono
ingiustizie e frodi e violenze; ma dove una monarchia forte avea fatto
una nazione grande, il fine poteva cuoprire le colpe state ministre ad
un tale effetto. Fra noi la frequenza dei peccati gli aveva ridotti in
canoni di politica: qui era un contendersi tirannie brevi, angusto il
campo, l’urtarsi continuo; i nuovi Signori non aveano tempo di farsi un
popolo che gli sostenesse; pensieri di Stato non si poteva pretendere
che allignassero tra quei Principi dai quali traeva i suoi esempi il
Machiavelli. Studiava egli i modi atti all’acquisto di un principato, e
non s’accorgeva quei modi stessi poi divenire impedimento a che avesse
mai buono e stabile fondamento. Di tali modi fu maestro sommo sotto
ai suoi occhi il Valentino: costui fece prova di grande accortezza
quando egli seppe tutti in un giorno levare di mezzo i Condottieri che
egli temeva; ma che un tale atto e più altri somiglianti dovessero poi
farlo guardare universalmente come peste pubblica ond’egli da tutti
fu abbandonato, questo nè il Valentino nè il Machiavelli suo lodatore
aveano saputo antivedere. Al Machiavelli mancò la scienza ch’io dissi
dell’uomo, la quale comprende in sè la scienza della umanità mostrando
certi uffici scambievoli ch’è necessario mantenere, e certi limiti
delle umane cose, i quali ogni volta che sieno oltrepassati, si cade
nel vuoto. L’arte politica in Italia fu per due secoli l’arte propria
dei venturieri; a quella scuola si formò il genio del Machiavelli,
e quelli erano i suoi rozzi panni dei quali mai non potè spogliarsi.
Nè quel suo _Principe_ educò ad altro, nè l’idea di Stato come oggi
s’intende e dove il Principe fosse un magistrato, idea che al suo tempo
cominciò a spuntare, fu mai pensata nè antiveduta dal Machiavelli.
Ma fu egli tenuto malvagio al di sopra dell’uso che era comune in
Italia così tra i popoli come nelle corti, ond’è che da lui pigliassero
nome le arti peggiori. Che avesse egli malvagio il pensiero si scorge
ad ogni tratto nei suoi libri: nelle commedie mette innanzi personaggi
malvagi tutti, come se quella fosse l’essenza dell’uomo; dice in
un luogo, che «gli uomini non operano mai nulla bene, se non per
necessità:» il che è vero nei popoli, quando non sia la forza delle
leggi freno ai disordini; ma non è poi vero sempre dell’uomo in sè
stesso e in tutta la vita. In quella crudezza di sentenze disperate
quali era egli solito adoperare, calunniava perfino sè stesso, perchè
nella vita di lui non troviamo scelleratezze nè tradimenti, nè atti
nei quali per utile proprio fosse egli autore del male degli altri.
Malvagio cred’io avesse l’ingegno, l’anima corrotta da quella medesima
disperazione del bene che pare cogliesse tutti in quel secolo gli
Italiani. Loda «la fraude, la quale è meno vituperevole, quanto è più
coperta.» Vero è che sono altri scrittori politici di nome grandissimo
e non italiani, che dicono essere cosa lodevole ingannare; ma se nel
vivere e nel sentenziare riciso e sicuro del grande scrittore mancò la
vergogna, non è maraviglia se i tristi lo tennero peggiore di loro.
Alla fierezza, alla potenza inarrivabile del suo scrivere, alto e
popolare nel tempo medesimo, che ha del solenne e dello sprezzato e
sotto alla toga romana conserva l’ardito atteggiarsi dell’uomo di San
Casciano; a quelli effetti i quali vengono dallo scrittore, si deve, io
credo, non rare volte certa sovrana autorità che ai suoi dettami venne
concessa.
Nel Machiavelli però mi sembra scorgere l’immagine e la espressione
di quello che era l’Italia al suo tempo. D’ingegno elegante e
fecondissimo, di costumi sciolto; acuto mirabilmente nell’intendere,
ma senza che i fatti corrispondessero al pensiero; vestendosi a
un tratto la toga curiale, ma la vera sua grandezza chiudendo in
sè stesso e ingallioffandosi poscia tra plebee sozzure ed infamie
principesche; rinvolto nella muffa della viltà per isbizzarrire la
fortuna e vedere _se la se ne vergognasse_; e dopo lungo esercizio
in cose di Stato, ambizioso _di servire a chi reggeva_: ammirato e
vilipeso, usato e negletto; posto a segnale di colpe perchè maestro
e perchè infelice; e nei maneggi politici mescolato a’ Principi egli
maggiore d’ognuno di loro, senza solennità di carattere e senza forza
che lo munisse; sopportando superbie indebite, e con indebiti dispregi
e odii vendicandosi. E della politica sentiva come sentiva l’Italia:
ad alto fine intendeva, alti concetti agitava; ma erano forze abusate,
grandezze corrotte, che nella inopia de’ mezzi e nella disperazione,
come le aquile romane i giorni della sconfitta nel fango giacevano. Nè
spenta era la religione più nel pensiero di lui che in quello d’Italia:
come alta cosa la riveriva, come italiana l’amava; poi per isdegno
del malgoverno da cui la vedeva deturpata, con ischerni l’assaliva; e
con i vizi la cancellava dal core suo. Tale fu il Machiavelli e tale
l’Italia.

Se in quegli anni era tra noi chi potesse mostrarsi co’ fatti grande
uomo di Stato, io credo che innanzi a tutti starebbe il nome di
Francesco Guicciardini. Nato quattordici anni dopo al Machiavelli,
non ebbe egli tempo di fare suo proprio l’antico vivere di Firenze; ma
uscito appena dalla puerizia vidde altre genti ed altre scuole regnare
in Italia, e in quell’età quando ciaschedun uomo si forma l’abito del
pensiero, dovette la mente di lui allargarsi a cose maggiori, sebbene
costretta guardarle dal basso. Compieva l’educazione sua fuori di
Firenze, avendo tre anni studiato in Padova la ragion civile; donde
tornato in patria, fu a ventidue anni condotto a leggere l’Istituta,
esercitando anche con molto suo frutto e molto onore l’avvocheria.
Prima di trent’anni e fuor d’ogni esempio andò in Ispagna, come si è
visto, Ambasciatore per la Repubblica. Dalla disciplina del padre avea
attinto costumi gravi, oltre all’usanza dei pari suoi; la professione
di giureconsulto poi gli mantenne, siccome quella che sta nel cercare
dentro al viluppo dei fatti umani la relazione ad un principio alto
e immutabile che è il diritto, a cui s’accompagna per necessaria
congiunzione l’idea del dovere: per questo i veri giurisperiti quando
sien messi a governare, vi recano sempre qualcosa insieme di più
elevato e di più pratico. In quanto all’arte politica, io non dirò già
che il Guicciardini ne avesse in Ispagna una molto virtuosa scuola, ma
trovò uno Stato allora sul colmo, e dimorò un anno presso ad un Re che
a tutti era reputato maestro; nè avrebbe di meglio appreso in Italia.
Sebbene fosse egli alieno da ogni concetto speculativo e sempre
vivesse in grandi faccende, pochi altri scrissero quanto lui; ma era lo
scrivere a lui una parte di quel lavoro d’osservazione che egli cercava
ridurre a scienza, per quindi usarla nei pubblici fatti. Abbiamo oggi
a stampa molti suoi scritti che prima giacevano negli archivi della
famiglia: la storia di Firenze, opera giovanile, a noi è già nota; e
vi è un trattato su questa Repubblica in forma di dialogo; poi vari
discorsi intorno al Governo della città nelle tante mutazioni allora
patite, ma il maggior numero scritti per assicurare lo Stato ai Medici;
poi oltre al carteggio di Spagna, quello da lui tenuto nei vari governi
ch’egli ebbe in Romagna ed altrove per la Chiesa, ed il carteggio dei
Commissariati e della Luogotenenza generale nella guerra del Papa con
Cesare. Le lettere a noi sono esemplare di bello scrivere signorile;
per la materia l’importanza loro riesce grandissima, ed esse onorano
generalmente il Guicciardini. Quelle dell’ultima guerra che finì col
Sacco, mostrano con quale alto esercizio d’autorità facesse quanto era
in lui per tenere fedeli all’obbligo e all’onore loro il Duca d’Urbino
e il conte Guido Rangoni, al quale aveva diritto di comandare. Dipoi lo
troviamo con appassionata sollecitudine adoperarsi, ma invano, a cavare
il Pontefice di prigione, dispiegando egli solo in tanta ruina virtù e
consiglio che nulla lasciano da desiderare.
In altri scritti, o riandando le cose a bell’agio o anche pigliando a
esaminare punti difficili a risolvere in vari tempi e in vari luoghi,
discuteva egli il pro e il contra dei partiti da pigliare, a fine
di studio; al quale fine altri lavori si trovano fatti per uso suo
proprio. Vi hanno per ultimo un grande numero di pensieri politici: in
questi mostra egli volere come tirare una quintessenza delle cose da
lui osservate o fatte da lui, non senza pigliare a esame sè stesso,
quasi egli volesse formarsi una dottrina politica in tutte le varie
sue parti quanto più fosse possibile sufficiente. Imperocchè dalle
date che sono apposte a questi ricordi, si vede com’egli nei tempi
d’ozio ne scrivesse molti insieme, richiamando nel suo pensiero le
cose fatte e le vedute in quell’intervallo, perchè servissero a lui
come canoni al giudicare e norme all’oprare. Di tale ostinato lavoro di
riflessione che in lui si faceva, è prova solenne l’Istoria d’Italia:
niun’altra l’agguaglia quanto alla moltiplicità dei fatti che dentro vi
stanno, ciascuno al posto che gli si appartiene, con le cause che gli
produssero e con gli effetti che ne seguirono, essi stessi divenendo
cause di altri eventi. Pregio sommo di quello storico è la comprensione
dei fatti minuti, che per legami sovente oscuri si uniscono a rendere
inevitabili quelle conseguenze d’onde poi si muta la sorte dei popoli.
Fu proverbiale contro al Guicciardini l’accusa d’averci descritto le
guerre di Urbino e di Pisa con troppo minuta e spesso noiosa diligenza;
ma non poteva egli narrare un fatto senza fermarsi a porre in chiaro
le circostanze della riuscita, non che gli errori per cui falliscono
i disegni. Voleva con quella sua Istoria dare insegnamenti a chiunque
abbia mano in cose di Stato o in cose di guerra.
Quanto a sè, non ebbe egli mai le mani libere come chi governa la
patria sua o la sua parte, facendo le cose che ama e che vuole e in
quelle ponendo tutto sè medesimo: si lagna invece come di sua sventura
l’avere dovuto ne’ più alti gradi servire a due Papi, egli che odiava
i vizi dei chierici. Ma era comune sorte ai politici italiani, servire
cause che niuno di essi poteva amare se non per proprio suo guadagno,
ed alle quali non avrebbe in fondo dell’animo bramato vittoria. Quando
in Italia sorse la coltura, cominciò gigante, perchè una grande contesa
occupava di sè tutti gli animi e tutti i pensieri; molti papi furono
grandi politici, e nell’opposto campo Matteo da Sessa e Pier delle
Vigne poteano esser tali, perchè seguivano una parte che aveva in sè
un vero e che era comune a un grande numero d’Italiani. Ma questa
coltura progredì ornandosi mentre si fiaccava, nè il Guicciardini
ebbe una bandiera cui seguitare con alto animo e volontà forte, più
che non l’avessero quei condottieri delle milizie pei quali divenne
la guerra una scienza, intanto che ogni virtù militare veniva a
spegnersi in Italia. Tale in politica fu il Guicciardini; e finchè
basti ad onorare il nome suo l’avere servito con fede e nel governare
mantenuto non che il decoro delle apparenze ma un sentimento dei suoi
doveri, potrebbe essere egli tra’ nostri politici tenuto il migliore.
Il che non vuol dire che fosse buono; era accusato d’animo duro,
superbo ed avaro. Quest’ultima accusa credo gli venisse dai rigidi
modi nell’amministrare; in quanto a sè, netto fino al non sapere come
procacciarsi danaro alle doti da maritare le sue figliole. Duro e
superbo era egli; inclinava piuttosto al crudele che al fraudolento;
a chi governa giudicava essere buona ogni cosa pure di riuscire, ma
dentro a sè stesso la regola d’una legge parea che sentisse. A lui non
andavano le massime scellerate, come si vede ne’ suoi Ricordi; che
gli uomini fossero tutti malvagi necessariamente e sempre, dichiara
sentenza bestiale ed assurda. Ai Principi (dice) torna gran conto
apparire buoni; ma tosto aggiunge che la necessità di mantenere coteste
apparenze dovrebbe nel fatto mostrare ad essi come il più sicuro
modo sia essere tali. Si scorge in più tratti come egli intravegga
il vuoto delle grandezze, e in certi appunti della sua vita scritti a
trent’anni, e per lui solo, confessa a Dio la vita mondana, la quale
non s’era per anche indurita in colpe maggiori.
Era il governo per lui un fatto, nè alla libertà credeva, nè alla virtù
delle forme. Di genio andava con gli Ottimati, pel grande dispregio in
che ebbe i Consigli e i voti popolari; non si vede però che cercasse,
come altri al suo tempo, fondare un governo sull’esemplare dei
Veneziani; ma costretto stare co’ Medici, che egli non amava, questo
solo avrebbe voluto, che sotto a quell’ombra governassero i più capaci,
primo egli fra tutti. Non gli repugnava dare al Papa il consiglio
di porre lo Stato di Firenze in mano a pochi senza temerne pericolo;
perchè (diceva egli) quei pochi avendo il campo libero agli arbitrii,
saprebbero anche d’essere in odio all’universale; il che gli terrebbe
più stretti a quella Casa il cui nome era una forza. Cotesti consigli
non erano buoni: ma peggio fu quando i Medici essendo tornati principi,
si trovò a questi sospetto, come uomo troppo alto locato, intanto che
a lui rodevano il cuore le ire superbe contro agli uomini popolari che
avevano osato sì a lungo resistere. Allora i consigli da lui dati al
Papa, che sono impressi in più discorsi, mostrano ch’egli nè avrebbe
voluto un principe effettivo, nè altro saputo raccomandare se non quel
suo solito governo di pochi. Ma era troppo tardi; e già Clemente, si
era sentito le mani libere quando ebbe visto l’Italia tutta ammutolita
dalle armi straniere; e il Guicciardini, che ad ogni modo era costretto
a volere lo Stato de’ Medici, sfoggiando in durezza e inacerbito dalle
private sue passioni, fu crudele nel confinare chiunque avesse potuto
dare ombra. Ma pure temeva si potesse dire che aveva fatto poco; del
che si scusava col mettere fuori la necessità «di mantenere viva la
città a fine che questo non sia uno Stato senza entrate, che non vuol
dir altro che un corpo senz’anima.» Il Guicciardini lasciava di sè
memoria odiata nella patria sua.

Mi è caro questa rassegna d’ingegni pei quali ha grandezza l’istoria
nostra, finire col nome di Michelangelo Buonarroti. Sugli ultimi
due che abbiamo notati pesarono gravi le colpe del secolo a cui
appartennero; ma il Buonarroti ebbe natura e ingegno che sembrano
del tempo dell’Alighieri e si direbbero come usciti seco dal masso
medesimo. Che se il Poeta si può inalzare più in su dell’Artista,
ciò viene in lui non che dalla qualità del fine, dalla eccellenza
dei mezzi che ad esso conducono; l’ingegno suo vive nell’esercizio
d’un pensiero più alto e più vario e senza confine, contempla
continuo gli aspetti e le forme e le imagini delle cose guardandole
dentro all’anima sua, e fuori nella universalità del mondo; adopra
incessantemente di sè stesso la parte più degna. Ma invece l’artista,
perchè delle cose non può altro rendere che le parvenze, esprime
con l’uso di mezzi meccanici quella imagine che egli ha concetta; lo
studio tecnico, a lui necessario, gli porta via troppa gran parte di
sè, non dice intera la sua parola. Nessuno mai ebbe nè tanto facili
come il Buonarroti nè tanto possenti i mezzi dell’Arte, ond’è che
niuno mai lo agguagliasse in quanto all’esprimere gli alti concetti
per via d’imagini figurate. Continuò fino alla vecchiezza lo studio
paziente ed ostinato dell’anatomia del corpo umano; vivea su’ cadaveri
quell’uomo di tanta autorità e fama le intere giornate, cercando nel
morto come si muovessero i muscoli, e in essi dipoi col pensiero suo
divinatore mettendo la vita. Di questa sua scienza faceva uno sfoggio
che può alcune volte parere soverchio; ma intanto fu egli il più ideale
degli Artisti antichi e moderni. In questo amore, in questo sentimento
dell’ideale stava il movente della forza per cui fu creatore il genio
del Buonarroti: andava sempre più in là dei mezzi che l’arte gli dava,
sebbene avesse la facoltà di trarre da un marmo alla prima l’ingombro
del masso informe nel quale vedea la figura che avea concetta nel
suo pensiero, e a farla uscire fuori mandasse giù colpi del fiero
scalpello.
Sentiva altamente la bellezza; ma questa mi pare facesse consistere
piuttostochè nella assoluta squisitezza delle forme, in quella imagine
che a lui raffigurasse meglio l’idea della mente, e che non di rado
cercava esprimere con la poesia scritta. A questa però non aveva egli
avuto scuola nè fattosi abito sufficiente, ond’è che fallisse molte
volte a lui lo strumento, sebbene adoprato con grande fatica. Quel
ch’egli aveva immaginato, fidava sicuro all’opera della mano; e quanto
più andava in là per tal modo, tanto più lontano poneva quel segno al
quale avrebbe voluto condursi col mezzo della parola. Sono di lui molte
poesie, che più tardi andarono a stampa non so s’io mi dica rifatte o
disfatte da uno della famiglia sua. Ora ne abbiamo, grazie al signor
Guasti, il primo getto qual era uscito dalla penna del Poeta: io non
mi perito di chiamarlo tale, sebbene a lui mancasse l’arte di fare i
bei versi, e desse alcune volte nell’astruso o in quei troppo arguti
concetti ai quali il secolo già inclinava: sono spesso embrioni di
liriche, a cui l’Editore ben fece d’aggiungere una interpretazione.
Ma in tutti i luoghi dove al Buonarroti riesca in parole scolpire il
pensiero, e dove il concetto abbia intera e limpida espressione, ogni
volta insomma che trovi egli modo a scrivere la sua poesia come già
dentro a se stesso l’aveva sentita, è grande poeta.
Come nell’arte Michelangelo tenne un luogo dove egli era solo, così
mi pare lo tenesse in tutta la vita, che a lui durava lunghissimi
anni. Accolto all’uscire dalla fanciullezza nella casa ed alla mensa
di Lorenzo de’ Medici, e avendo fino dalla gioventù destata di sè
maraviglia, fu tosto chiamato alle grandi opere del principio del
pontificato di Giulio II, che volle di lui fare una gloria del suo
regno. Il Papa lo amava, nè poteva stare senza lui; ma impetuosi
com’erano entrambi, facilmente si guastavano tra loro e tosto venivano
alle rotte. Il Papa una volta discorrendo di lui e dell’eccellenza sua
diceva: «ma è terribile, come tu vedi; non si puol praticar con lui.»
Si direbbe che l’uno dell’altro avesse paura: essendo Michelangelo una
volta fuggito da Roma, dovette il Papa quasi pregando e con intromessa
d’altri farlo andare a Bologna perchè gli facesse in bronzo la statua,
che poi fu distrutta dal popolo bolognese. Sentiva altamente di sè
You have read 1 text from Italian literature.
Next - Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 15
  • Parts
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 01
    Total number of words is 3899
    Total number of unique words is 1320
    40.7 of words are in the 2000 most common words
    57.8 of words are in the 5000 most common words
    67.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 02
    Total number of words is 4394
    Total number of unique words is 1666
    41.8 of words are in the 2000 most common words
    58.2 of words are in the 5000 most common words
    66.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 03
    Total number of words is 4581
    Total number of unique words is 1701
    41.0 of words are in the 2000 most common words
    57.3 of words are in the 5000 most common words
    65.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 04
    Total number of words is 4577
    Total number of unique words is 1655
    40.6 of words are in the 2000 most common words
    56.9 of words are in the 5000 most common words
    65.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 05
    Total number of words is 4638
    Total number of unique words is 1637
    39.3 of words are in the 2000 most common words
    54.6 of words are in the 5000 most common words
    63.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 06
    Total number of words is 4624
    Total number of unique words is 1639
    41.5 of words are in the 2000 most common words
    59.0 of words are in the 5000 most common words
    67.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 07
    Total number of words is 4558
    Total number of unique words is 1589
    42.1 of words are in the 2000 most common words
    58.0 of words are in the 5000 most common words
    65.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 08
    Total number of words is 4573
    Total number of unique words is 1588
    43.8 of words are in the 2000 most common words
    61.6 of words are in the 5000 most common words
    70.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 09
    Total number of words is 4563
    Total number of unique words is 1606
    42.9 of words are in the 2000 most common words
    60.5 of words are in the 5000 most common words
    69.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 10
    Total number of words is 4551
    Total number of unique words is 1694
    40.3 of words are in the 2000 most common words
    57.1 of words are in the 5000 most common words
    64.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 11
    Total number of words is 4564
    Total number of unique words is 1581
    41.7 of words are in the 2000 most common words
    58.6 of words are in the 5000 most common words
    68.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 12
    Total number of words is 4614
    Total number of unique words is 1636
    42.1 of words are in the 2000 most common words
    58.7 of words are in the 5000 most common words
    67.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 13
    Total number of words is 4610
    Total number of unique words is 1616
    40.9 of words are in the 2000 most common words
    58.9 of words are in the 5000 most common words
    67.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 14
    Total number of words is 4716
    Total number of unique words is 1629
    42.0 of words are in the 2000 most common words
    57.5 of words are in the 5000 most common words
    64.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 15
    Total number of words is 4617
    Total number of unique words is 1722
    39.2 of words are in the 2000 most common words
    56.3 of words are in the 5000 most common words
    63.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 16
    Total number of words is 4645
    Total number of unique words is 1604
    43.6 of words are in the 2000 most common words
    59.5 of words are in the 5000 most common words
    67.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 17
    Total number of words is 4562
    Total number of unique words is 1578
    43.5 of words are in the 2000 most common words
    61.6 of words are in the 5000 most common words
    70.2 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 18
    Total number of words is 4565
    Total number of unique words is 1674
    40.1 of words are in the 2000 most common words
    55.5 of words are in the 5000 most common words
    63.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 19
    Total number of words is 4606
    Total number of unique words is 1628
    42.4 of words are in the 2000 most common words
    59.3 of words are in the 5000 most common words
    68.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 20
    Total number of words is 4572
    Total number of unique words is 1597
    42.6 of words are in the 2000 most common words
    59.1 of words are in the 5000 most common words
    66.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 21
    Total number of words is 4630
    Total number of unique words is 1544
    42.2 of words are in the 2000 most common words
    58.6 of words are in the 5000 most common words
    68.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 22
    Total number of words is 4596
    Total number of unique words is 1589
    42.4 of words are in the 2000 most common words
    60.2 of words are in the 5000 most common words
    67.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 23
    Total number of words is 4635
    Total number of unique words is 1657
    42.5 of words are in the 2000 most common words
    58.8 of words are in the 5000 most common words
    66.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 24
    Total number of words is 4428
    Total number of unique words is 1636
    36.4 of words are in the 2000 most common words
    49.1 of words are in the 5000 most common words
    56.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 25
    Total number of words is 3958
    Total number of unique words is 1687
    21.0 of words are in the 2000 most common words
    26.7 of words are in the 5000 most common words
    31.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 26
    Total number of words is 4297
    Total number of unique words is 1164
    38.4 of words are in the 2000 most common words
    49.1 of words are in the 5000 most common words
    54.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 27
    Total number of words is 4300
    Total number of unique words is 1587
    35.2 of words are in the 2000 most common words
    46.7 of words are in the 5000 most common words
    52.2 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 28
    Total number of words is 3730
    Total number of unique words is 1377
    30.3 of words are in the 2000 most common words
    45.4 of words are in the 5000 most common words
    52.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 29
    Total number of words is 3591
    Total number of unique words is 1178
    36.0 of words are in the 2000 most common words
    50.6 of words are in the 5000 most common words
    59.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 30
    Total number of words is 3600
    Total number of unique words is 1112
    37.4 of words are in the 2000 most common words
    53.0 of words are in the 5000 most common words
    61.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 31
    Total number of words is 3710
    Total number of unique words is 1211
    38.0 of words are in the 2000 most common words
    54.0 of words are in the 5000 most common words
    60.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 32
    Total number of words is 3819
    Total number of unique words is 1184
    38.8 of words are in the 2000 most common words
    55.7 of words are in the 5000 most common words
    64.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 33
    Total number of words is 3697
    Total number of unique words is 1147
    35.9 of words are in the 2000 most common words
    50.3 of words are in the 5000 most common words
    58.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 34
    Total number of words is 3816
    Total number of unique words is 1140
    38.9 of words are in the 2000 most common words
    54.0 of words are in the 5000 most common words
    61.2 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 35
    Total number of words is 3867
    Total number of unique words is 1158
    38.2 of words are in the 2000 most common words
    53.4 of words are in the 5000 most common words
    60.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 36
    Total number of words is 3833
    Total number of unique words is 1237
    40.9 of words are in the 2000 most common words
    55.6 of words are in the 5000 most common words
    64.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 37
    Total number of words is 3836
    Total number of unique words is 1232
    45.9 of words are in the 2000 most common words
    60.9 of words are in the 5000 most common words
    67.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 38
    Total number of words is 1927
    Total number of unique words is 1016
    33.6 of words are in the 2000 most common words
    42.7 of words are in the 5000 most common words
    46.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.