Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 07

Total number of words is 4558
Total number of unique words is 1589
42.1 of words are in the 2000 most common words
58.0 of words are in the 5000 most common words
65.8 of words are in the 8000 most common words
Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
negava fin quando si ebbe la prima notizia dell’investitura. Intanto
i Francesi avanzavano condotti dall’Aubigny; ciò fu nell’agosto 1501.
Federigo, la cui maggior forza era nei due valenti capitani di casa
Colonna, Fabbrizio e Prospero; poichè ebbe scoperto il tradimento,
fidò al primo la difesa di Capua; e questi dopo avere ributtati nel
primo assalto con grave perdita i Francesi, era costretto venire a
patti, quando rallentate le guardie entravano i nemici dentro alle
porte inferociti del danno sofferto. Fabbrizio rimase prigioniero; la
città fu saccheggiata con grande uccisione, molti presi e poi venduti,
massime le donne, con empietà efferata. Così perduta ogni speranza,
Federigo convenne con l’Aubigny cedergli Napoli e tutta la parte
superiore del reame, andando libero co’ suoi nell’isola d’Ischia, dove
stavano raccolti miseramente gli avanzi di quell’antica Casa d’Aragona
che fu in Italia tanto possente. Dipoi Federigo si cercò un asilo in
Francia, piuttosto che averlo in Ispagna da quel parente che gli era
stato traditore.
Il Valentino, poichè fu terminata l’impresa di Napoli, avuta frattanto
la possessione di Piombino con l’isola d’Elba, venne ad accogliere
nel nuovo Stato il Papa con grande pompa di solennità guerresche;[65]
andava poi seco a Roma, intantochè i Capitani suoi risalivano per la
Toscana, chiamati a nuovi e a vari disegni che allora si ordivano.
Era in quel tempo il re Luigi male disposto verso i Fiorentini dai
quali non era stato servito, nonostante i patti, nè di soldati nè di
danari; e per la poca fermezza loro non si fidando a quel governo,
dava ascolto ai Medici e si era vôlto a rimetterli in Firenze. Questo
volevano con passione Vitellozzo e gli Orsini soldati del Duca; Pisani
e Lucchesi a ciò inclinavano, sperando che Piero dei Medici sarebbe
contento rientrare con lo Stato dimezzato; Pandolfo Petrucci in Siena
ordiva trame diverse contro i Fiorentini. Da costui fu mosso Arezzo
un giorno a ribellarsi: non vi credevano a Firenze da principio, e
non provviddero; il Capitano della terra Guglielmo de’ Pazzi e il
Vescovo, ch’era figliolo suo, rifuggiti nella rôcca, furono costretti
a renderla. Piero de’ Medici e il Cardinale suo fratello vennero in
Arezzo; gli Orsini stavano tutti per loro, Vitellozzo ed il Baglioni
ciascuno seguivano privati disegni: il Valentino, che aveva messo le
sue genti in quel di Viterbo, guardava incerto quale a lui sarebbe
preda più facile. Ma subitamente l’animo del Re s’era mutato: aveva
questi cercato rimuovere per mezzo di parentadi Massimiliano imperatore
da ogni pensiero circa le cose di Lombardia; ma quell’accordo
essendosi rotto, e perchè ambasciatori di Massimiliano venuti a Firenze
annunziavano che presto scenderebbe egli in Italia per la corona; Luigi
XII a cui parevano già troppo grandi le ambizioni e la fortuna del
Papa e del Duca, si credè fermarle col dare soccorso ai Fiorentini.
Già Cortona e la Valdichiana, Anghiari e Borgo San Sepolcro in Valle
Tiberina, avevano ceduto alle armi di Vitellozzo, credendo quei popoli
che fosse per conto di Piero de’ Medici. Luigi allora, che aveva
fatto della persona sua una comparsa fino a Milano, consentì alle
istanze degli Ambasciatori fiorentini, inviando alla recuperazione
d’Arezzo quattrocento lance sotto a Carlo di Chaumont nipote del
Cardinale d’Amboise, il quale era arbitro dei consigli del Re francese.
Vitellozzo, che già era venuto fino presso a Montevarchi, lasciò
l’impresa; e così Arezzo tornò al dominio della Repubblica, alla quale
era tornata nel giorno stesso Pistoia, per una forzata concordia che si
fece allora tra le due Parti.[66]
Il Valentino in queste cose non s’ingeriva; ma da Viterbo, lasciata
stare la Toscana, si era condotto verso le Marche; e diceva andare
contro al Signore di Camerino; e a quel d’Urbino mostrando intanto
ogni amicizia, fece trattato con lui d’avere seco le genti sue e
le artiglierie; le quali non prima ebbe tratte fuori dallo Stato,
entrò in Urbino, e presane possessione, costrinse a fuggirsene il
duca Guidobaldo.[67] Poi subitamente voltatosi a Camerino, l’ebbe
per sorpresa, facendo morire Giulio da Varano che n’era signore, e
i suoi due figli. Ma perchè intanto a lui premeva sopra ogni cosa
purgarsi col Re, ed il momento vedea propizio perchè tra Francia e
Spagna già era minaccia d’offese, andò a Milano in poste avanti che
il Re ne uscisse; col quale ebbe tosto ristretta la Lega ed ottenute
da lui dugento lance che gli fossero aiuto al riacquisto degli Stati
della Chiesa. Presentiva radunarsi contro lui una gagliarda tempesta,
e venne ad Imola guardando gli eventi. Quei condottieri che aveva
tratti seco, sapevano bene che sarebbero alla volta loro spogliati
anch’essi in nome del Papa, del quale erano vassalli; odiavano quindi
in segreto il Valentino, odiati da lui; e ora trovandosi molti in
questo pensiero e nella speranza d’un qualche aiuto in Italia o
fuori, e perchè il pericolo intanto stringeva; si unirono insieme ad
un comune intendimento Vitellozzo e gli Orsini ed i Baglioni ed un
Oliverotto, valente soldato che per iniquo tradimento era divenuto
signore di Fermo; anima d’ogni più astuto consiglio Pandolfo Petrucci:
col Bentivoglio erano d’intesa, poichè il Valentino avea già l’animo
a Bologna. Fatta tra loro una Dieta alla Magione in quel di Perugia,
scopertamente si dichiararono nemici al Valentino; e procedendo,
restituirono lo Stato d’Urbino al Montefeltro. Il Valentino pazientava
fermato in Imola, e aspettando l’aiuto di Francia: co’ negoziati che
si tenevano allora in Roma si era accertato che avrebbe favore dai
Veneziani, e l’ottenne anche dai Fiorentini, che più di lui temevano
Vitellozzo e gli altri che avrebbero rimessi i Medici in Firenze.
Abbandonava intanto l’impresa di Bologna, e diede al Bentivoglio
sicurezza; radunava genti da ogni parte, e in quell’indugiare si sentì
forte ad ogni evento. Del che fatti accorti i collegati della Magione,
e veduto essersi arrischiati troppo e messi in grande paura, cercarono
accordo: il Valentino gli accoglieva benigno e facile. Ricacciarono
essi d’Urbino il Duca; e il Valentino licenziate le genti francesi
col dire che non ne aveva più bisogno, e avanzando a bell’agio per la
Romagna, si rafforzava segretamente di lance spezzate e di gentiluomini
di campagna soliti a vivere delle armi. Accostatosi a Sinigaglia,
chiamò i suoi riconciliati Condottieri a convenir seco le cose comuni.
Vennero a colloquio Vitellozzo e gli altri fuori della porta della
città, ed egli intrattenutigli con discorsi, quando ebbe cenno che le
genti sue gli attorniavano da ogni parte, fece mettere le mani addosso
a Vitellozzo e ad Oliverotto e a Paolo Orsini e al Duca di Gravina, i
quali essendo portati nell’alloggiamento suo, due furono strangolati
la notte medesima e gli altri poco dopo: era la notte che principiava
l’anno 1503. Di che pervenuta segretamente al Papa la notizia, questi
fece subito chiamare in palazzo il Cardinale degli Orsini, che ivi
dopo alcuni giorni moriva; altri quattro di quella famiglia, uno dei
quali era Arcivescovo di Firenze, nel tempo stesso furono ritenuti. Non
mai si vidde tale scelleratezza nè più meditata, nè condotta con tale
maestria: io mi confondo al pensare quanto malvagio spreco si facesse
allora in Italia di fiere indoli e d’ingegni, di scienza di cose e
d’esperienza accumulata, in mezzo a un vivere elegante ed alla cultura
delle arti gentili; nè so più intendere ciò che sia quel che oggi
chiamiamo civiltà.
Da Sinigaglia il Valentino, senza perder tempo, s’indirizzò a Città di
Castello che trovò abbandonata dai Vitelli, e quindi a Perugia, d’onde
medesimamente Gian Paolo Baglioni s’era fuggito. Prese la possessione
dell’una e dell’altra città come Gonfaloniere della Chiesa; e quindi
avviatosi ai confini dei Senesi, ma non osando pigliare quell’impresa,
mandò ambasciatori a Siena perchè fosse cacciato Pandolfo Petrucci,
dichiarando che fatto ciò, continuerebbe la sua strada in terra di
Roma. Il Re di Francia gli avea mandato intimazione di non recare
molestia ai Senesi: bene bramava fossero battuti quegli armigeri
Baroni, _reputando essere utile a conservazione del suo Stato che la
milizia d’Italia si spegnesse_.[68] Pandolfo, lasciata la città in
guardia dei suoi, andò a Pisa per breve tempo. Gli Orsini e i Savelli
correvano la campagna intorno a Roma; onde il Valentino andatigli a
cercare nei loro castelli, espugnò Ceri rôcca fortissima degli Orsini;
per tal modo avendo fiaccate le forze di quelle famiglie che più
non riebbero l’antica grandezza. Ma in questo tempo il Re s’alienava
dal Papa, temendo che non divenisse troppo forte, ora che le cose di
Francia vedeva già messe in pericolo nel regno di Napoli.[69]
Nella divisione tra i Re di Spagna e di Francia non era espresso bene
a chi andasse la provincia di Capitanata che è parte della Puglia, ma
senza la quale i bestiami degli Abruzzi non avrebbero dove svernare;
mutando luogo, dovevano ogni volta pagare una gabella che dava provento
ricchissimo. I Francesi, più forti e più baldi, aveano occupata quella
provincia, e quindi essendo bandita la guerra, venuti innanzi per le
altre che erano tenute dagli Spagnuoli, non lasciarono a questi rifugio
se non poche città poste sul mare Adriatico, obbligando Consalvo di
Cordova a rinchiudersi dentro Barletta; alla quale il vicerè di Napoli
Duca di Nemours poneva assedio, intantochè l’Aubigny campeggiando la
Calabria rompeva altre genti di Spagnuoli venute a soccorso dalla
Sicilia. In Barletta era somma carestia d’ogni cosa, e la peste vi
regnava; ma Consalvo, il gran Capitano, con mirabile fermezza faceva
durare ai suoi quelle crudeli strettezze, dandone egli stesso il primo
esempio; ottenuto anche con le uscite che egli faceva dalla città
sugli assedianti qualche vantaggio non piccolo. Avvenne che in quelle
lunghezze d’assedio nascesse disfida tra’ cavalieri Francesi e quelli
Italiani che seguitavano gli Spagnuoli: dal che si venne, col consenso
dei due Capitani, a fermare le condizioni d’un combattimento fuori
delle mura di Barletta, dove tredici Francesi doveano affrontarsi con
tredici Italiani, primo dei quali Ettore Fieramosca capuano. Al giorno
dato fu la battaglia ferocissima con le picche e con le spade; gli
Italiani rimasti superiori conducevano in Barletta con grande trionfo
i Francesi prigionieri: nobile tema di romanzo in quella miseria di
storia. Avendo i due Re in questo tempo fatta una pace tra loro per
mezzo di Filippo arciduca d’Austria, marito alla erede del trono di
Spagna; fu ai Capitani dei due eserciti mandato ordine si fermassero.
Il che da Consalvo non fu voluto consentire, ed egli di suo proprio
moto continuava la guerra nella quale già vedeva essere superiore.
Imperocchè nuove genti di Spagna essendo venute per mare, assaltarono
in Calabria l’Aubigny che aveva raccolto in Seminara il grosso delle
sue forze, e che ivi fu rotto e fatto prigione insieme ad altri
Capitani e Baroni del Regno di parte francese. Allora Consalvo uscì di
Barletta; ed erano seco Fabbrizio e Prospero Colonna: si affrontarono
i due eserciti alla Cerignola, dove fu battaglia grandissima e
memorabile; il Nemours vi cadde morto, e i Francesi andarono in fuga
avendo perduto i carriaggi e le artiglierie: si raccolsero le reliquie
dell’esercito sotto Ivo d’Allegri e il Principe di Salerno, ma Consalvo
procedendo entrava in Napoli a’ 14 di maggio 1503.
Abbiamo voluto finora descrivere sommariamente i grandi fatti, i quali
nei primi tre anni di quel secolo aveano mutato le sorti d’Italia
col mettere in essa le Signorie forestiere e dare la possessione
effettiva dello stato secolare ai Papi, che prima non l’avevano goduta
che a brani ed incerta. Diremo adesso d’una alterazione che avvenne
allora dentro allo stato della Repubblica di Firenze, rifacendoci
un poco più indietro a dire le cause che la produssero. Dopo alla
morte del Savonarola nulla fu innovato quanto al Governo della città,
contentandosi di mutare le persone di quei magistrati che troppo
sembrassero ligi alla setta; ma non appena era scorso un anno, che
uomini di parte fratesca con gli altri entravano negli uffici. Una
repubblica popolare col Consiglio Grande si può quasi dire che tutti
volessero; e chi non amava di per sè quel modo, lo accettava temendo
peggio. Era una forma ampia e solenne di libertà, e sarebbe stata
come un’idea astratta, sorta in un popolo disavvezzo, se l’esempio
della Repubblica di Venezia non avesse prestato ad essa un’autorità
somma: tenevasi allora in Italia e fuori, Venezia essere quello Stato
che avesse fra tutti migliore governo. Ivi però il nome di Maggior
Consiglio significava la generale assemblea dei nobili, i quali erano
quel che altrove i cittadini aventi parte nella sovranità; e sotto
a quello era l’altro popolo, e sopra un certo numero di famiglie
che aveano la forza e in sè custodivano le tradizioni e la scienza
dello Stato. Ma in questa nostra città popolana il Gran Consiglio
rappresentava l’intero popolo senza distinzioni di ceto nè d’ordine;
lo aveano formato di tutti coloro le cui famiglie fossero state nei
maggiori uffici o sotto il governo dei Medici, o sotto il precedente
Stato libero: il qual modo, sebbene vizioso perchè derivava dalla
formazione sempre arbitraria delle borse, pure con l’andare tanto
indietro comprendeva tutte le parti della cittadinanza, o come dicevano
i benefiziati: le famiglie delle Arti maggiori ivi entravano per tre
quarti, e le minori per l’altro quarto; il che alla forza univa la
libertà con proporzioni che erano abbastanza giuste. Veramente del
Consiglio Grande, com’era formato, nessuno può dirsi fosse malcontento;
questo mantenevano tenacemente quanti volevano la libertà, che in esso
aveva tutto il fondamento suo; era una difesa contro al ritorno dei
Medici, e gli stessi partigiani di questa Famiglia gradivano meglio
confondersi tra la universalità dei cittadini, che avere sul capo la
signoria di pochi, nemici antichi e più inclinati alle oppressioni e
alle vendette.
Nella Repubblica veramente le antiche parti si urtavano poco per essere
ognuna d’esse divenuta molle e cedevole. Viveva qui pure, come da
per tutto, la perpetua guerra tra’ pochi ed i molti; ma più non aveva
l’antica sostanza, nè più serbava le antiche forme: il nome di guelfi o
di ghibellini nulla più valeva, i grandi si erano venuti a confondere
co’ grossi mercanti, il Consiglio Grande aveva finito d’uccidere i
Collegi delle Arti, nè più era guerra degli Artefici della bottega
contro a’ loro capi; nei cittadini più facoltosi la terra formava
il minor cespite di ricchezza, ed in Firenze tra’ patrimoni di molte
famiglie poco era l’eccesso. Tuttociò avrebbe dato buone condizioni
a quell’Assemblea la quale doveva qui essere sovrana come a Venezia;
nè il male era in quella, ma nella mancanza di chi preparasse le
cose che in essa erano poi da decretare, o in altri termini, di chi
governasse la Repubblica sotto il freno dei sì e dei no che l’Assemblea
pronunzierebbe. Negare o approvare ma non discutere si potevano
le grandi e le piccole faccende là dove sedevano intorno a mille
cittadini, ed erano oltre a due mila i nomi scritti di coloro nei quali
il diritto propriamente risedeva. Spettavano quasi tutte le elezioni
a quel Consiglio, ma per non esservi chi le avesse avviate prima e
procacciato ad esse i voti, non si vincevano senza difficoltà grande o
andavano a caso. La libertà era antica in Firenze, ma il congegno del
governo già logoro dopo essere stato per sessant’anni coperta facile
alla servitù, era d’impaccio più che di guida oggi a questa Repubblica
nuova, nella quale entravano idee dottrinali o ch’aveano pregio
dall’imitazione. Ricondurre le cose ai loro principii sarebbe stato qui
pure intempestivo com’era impossibile, essendo invece mestieri dedurre
principii nuovi dai nuovi fatti che il corso del tempo avea generati.
Fin da principio avea la Repubblica avuto qui sempre migliore il popolo
delle istituzioni; alle grandi cose non era formata, ma nell’istoria
di Firenze confrontata a quella del resto d’Italia ritrovò il Balbo
maggiore bontà. Sugli antichi ordini poco fondamento era da fare: i
Collegi che formavano il Consiglio stretto della Signoria, perchè si
traevano come prima dalle borse con la sola aggiunta del dovere essere
approvati, oggi godevano poca stima. Dovevano gli Ottanta in questa
nuova costituzione essere la mente della Repubblica o il Senato;
ma eletti come alla rinfusa da un grande numero di persone, pareva
togliessero al popolo parte di quello che al solo popolo spettava;
quindi erano sempre guardati con gelosia, benchè scelti a breve tempo:
sopra ad ogni cosa temevano divenisse quel Consiglio il patrimonio di
poche famiglie, e ad esso chiamavano uomini spesso di qualità mediocri.
Aveano voluto farne un Senato a imitazione di quello di Venezia, ma
era il contrario; perchè ivi il Senato, benchè ogni anno sembrasse
dal popolo riattingere la potestà, si manteneva continuo negli stessi
uomini e in quelle famiglie dove era la forza delle tradizioni e
della scienza, e che in sè avevano la sovranità effettiva. Inoltre gli
Ottanta erano impediti dalla ingerenza degli altri uffici, attraverso
dei quali come per vagli stretti doveano passare le cose, e che avevano
arbitrio ciascuno nella specialità sua. Le Provvisioni, per essere
vinte, aveano bisogno di seicentosettantasette volontà, come dicevano;
oggi più modestamente le chiamiamo voci. Il Magistrato dei Dieci,
creato nei tempi di guerra, diveniva tirannico, avendo facoltà di ogni
cosa la quale servisse alla difesa dello Stato: regolavano le condotte
e quindi le spese, imponendosi alla Signoria; donde si tiravano addosso
grande odio. Gli chiamavano i _Dieci spendenti_; imputavano ad essi
le imprese male riuscite e le gravezze: aveano cercato di limitarne
le facoltà, ma era peggio ora che le cose volevano azione tanto
più spedita quanto più vasti e subitanei erano i pericoli: infine
lasciarono per qualche tempo di creare quel Magistrato.
La città era in basso stato, e la plebe malcontenta per la mancanza
dei lavori; gli anni aveano dato una mezza carestia. Le gravezze, che
molto divenivano frequenti, passavano a stento nel Consiglio Grande,
nel quale dovevano avere i due terzi: i poveri e i mediocri ne facevano
accusa agli uomini di maggior potenza. Volevano far legge di quella
gravezza che aveva nome di _Decima Scalata_, e per la quale dove i
meno agiati pagavano il terzo, la tassa pei ricchi era in quel tempo
alle volte più dell’entrata; il che riusciva tanto più gravoso che
le ricchezze in danaro essendo facili a nascondere, il peso cadeva
su’ pochi che vivevano delle possessioni: ritenevano alle volte i
cittadini più ricchi, e gli facevano per forza prestare al Comune. Ma
tali violenze sempre avevano scarso effetto; e il peggior male stava
in questo, che i malcontenti, seguendo il modo usato del dire di no
a ogni cosa, faceano che spesso nel Consiglio Grande nessun partito
potesse vincersi, e nessuno uomo avesse voti per la Signoria per gli
Ottanta, fuorchè i dappoco e meno sospetti. Frattanto le varie parti
s’ingegnavano a speculare intorno al numero dei voti richiesti: con
l’obbligo della metà più uno le provvisioni passavano con difficoltà;
e quindi le fecero vincere con le più fave, cioè col maggior numero
relativo: in ambo i modi è da vedere quanto sottili calcoli facessero
affinchè i partiti riuscissero dominati dall’una o dall’altra delle
varie condizioni di cittadini.[70] I meno agiati, col portare i
carichi, volevano anche avere una larga distribuzione degli uffici; e
ottennero quindi che fossero tratti a sorte i minori, dei quali era il
maggior numero nel Contado.
Così alla macchina del Governo erano intoppi le antiche forme, nè
questo popolo rinveniva più sè medesimo nei tempi nuovi. Grande fu
quando la sua politica per le cose di fuori si racchiudeva in un’idea
sola, ampliare e svolgere il principio guelfo; questa era compresa
da tutti del pari, ed in quel semplice andamento il fascio intero
della cittadinanza spesso facea meglio dei suoi reggitori. Ma i tempi
avevano spenta in Italia ogni idea comune; la forza era in pochi, gli
stranieri prevalevano; era un difendersi per sottili astuzie cercando
vivere, o i meglio accorti strappare qualcosa in quelle rovine alle
spese d’un vicino che fosse più incauto. Era una scacchiera sulla
quale il gioco voleva uomini molto esercitati che sapessero odorare le
cose da lungi, e che pure ingannando l’uno l’altro, avessero modo tra
loro d’intendersi: in ciascuna trattazione tra Stato e Stato bisogna
pure che l’una parte possa contare sull’altra, perchè altrimenti non
si va innanzi. Era oggimai la politica un mestiere che bisognava con
l’abitudine aver fatto suo; e non poteva essere in uomini tratti fuori
a caso, i quali restando in ufficio poche settimane, rigettavano
poi l’uno sull’altro il carico delle cose male consigliate o male
condotte. Al che in Firenze si aggiugnevano i lunghi divieti che le
leggi davano alla casa e alla persona del Magistrato da una volta
all’altra, i quali accrescevano i vizi di quello spesso variare, fatto
peggiore dai sospetti pei quali temevano che i primari cittadini non
volessero mutare lo Stato. «Concorrevaci tutti i disordini che fanno
i numeri grandi, quando hanno innanzi le cose non punto digerite; la
lunghezza al deliberare, tantochè spesso vengono tardi; il non tenere
secreto nulla, che è causa di molti mali. Da questi difetti nasceva
che non pensando nessuno di continuo alla città, si viveva al buio
degli andamenti e moti d’Italia; non si conoscevano i mali nostri prima
che fossero venuti; non era alcuno che avvisassi di nulla, perchè
ogni cosa subito si pubblicava; i principi e potentati di fuora non
tenevano intelligenza o amicizia alcuna colla città, per non avere con
chi confidare nè di chi valersi pel frequente mutare dei Magistrati.»
Era il filo delle trattazioni tenuto solamente dal Cancelliere della
Signoria, Marcello Virgilio Adriani, uomo dotto come la Repubblica gli
sceglieva. «I danari andando per molte mani e per molte spezialità, e
senza diligenza di chi gli amministrava, erano prima spesi che fossino
posti; e si penava il più delle volte tanto a conoscere i mali nostri
e dipoi a fare provvisioni di danari, che e’ giungevano tardi: in
modo che e’ si gittavano via senza frutto, e quello che si sarebbe
prima potuto fare con cento ducati, non si faceva poi con centomila.
Nasceva da questo, che non si potendo fare provvisioni di danari,
erano costretti da ultimo lasciare trascorrere ogni cosa, stare senza
soldati, tenere senza guardia e munizione alcuna le terre e le fortezze
nostre. E però i savi cittadini e di reputazione, vedute queste cattive
cagioni, nè vi potendo riparare perchè subito si gridava che volevano
mutare il Governo, stavano male contenti e disperati, e si erano in
tutto alienati dallo Stato, ed erano il più di loro la maggior parte
a specchio, nè volevano esercitare commissarie o legazioni se non per
forza, perchè sendo necessario pe’ nostri disordini che di ogni cosa
seguitassi cattivo effetto, non volevano avere addosso il carico e
grido del popolo senza loro colpa. Non volendo gli uomini savi e di
reputazione andare commissari o ambasciatori, bisognava ricorrere a
quelli che andavano volentieri: non andavano se non quando non potevano
far altro un messer Guid’Antonio Vespucci, un Giovan Battista Ridolfi,
un Bernardo Rucellai, un Piero Guicciardini,» padre dello Storico di
cui trascriviamo qui molte parole.
«Questi modi dispiacevano ai cittadini savi e che solevano avere
autorità, perchè vedevano la città ruinare ed essere spogliati d’ogni
riputazione e potere. Aggiungevasi che ogni volta che nasceva qualche
scompiglio, il popolo pigliava sospetto di loro, e portavano pericolo
che non corressi loro a casa; e però desideravano che il Governo
presente si mutassi, o almeno si riformassi. Era il medesimo appetito
in quegli che si erano scoperti nemici di Piero de’ Medici, perchè
per i disordini della città avevano a stare in continuo sospetto che
i Medici non tornassino, e così reputavano avere a sbaraglio l’essere
loro. Così gli uomini ricchi e che non attendevano allo Stato,
dolendosi di essere ogni dì sostenuti e taglieggiati a servire di
danari il Comune, desideravano un vivere nel quale, governasse chi si
volesse, non fossero molestati nelle loro facoltà. Agli uomini invece
di case basse, e che conoscevano che negli Stati stretti le case
loro non avrebbono condizione; ed agli uomini di buone case, ma che
avevano consorti di più autorità e qualità di loro, e però vedevano
che in un vivere stretto rimarrebbono addietro: a tutti costoro, che
erano in fatto molto maggior numero, piaceva il presente Governo nel
quale si faceva poca distinzione da uomo a uomo e da casa a casa; e
con tutto intendessero che vi era qualche difetto, pure ne erano tanto
gelosi e tanto dubbio avevano che non fossi loro tolto, che come si
ragionava di mutare ed emendare nulla, vi si opponevano.[71]» Una
volta che il vecchio Guid’Antonio Vespucci, essendo Gonfaloniere, si
era lasciato innanzi al Consiglio uscire tra’ denti e tra i labbri
questa conclusione, che non essendo essi cittadini contenti dei modi e
della qualità del presente governo, non si volessero astenere di farlo
intendere alla Signoria, la quale non mancherebbe ai loro desideri;
fu tale il romore nella Sala del Consiglio per la frequenza degli
spurgamenti e dello stropicciare per terra i piedi, che egli tutto
perturbato si ripose a sedere. Il Proposto subito diede licenza al
Consiglio, ed il Gonfaloniere se n’andò la sera medesima a casa con la
febbre, dove gli cantavano la notte: «Zucchetta, Zucchetta, e’ ti sarà
tolta la forma della berretta.[72]» Ma in seguito stracchi dalle grandi
e spesse gravezze e dal non rendere il Monte le paghe a’ cittadini, e
in ultimo mossi dai casi d’Arezzo e di Pistoia, divennero facili ad
acconsentire che si pigliasse qualche modo di riformare il Governo,
purchè il Consiglio non si levasse, nè lo Stato si ristringesse in
pochi.
Aveano a tal fine chiamata una Pratica di Quaranta dei principali
cittadini, ma si trovarono le opinioni varie: taluni volevano per
mezzo d’una Balía mutare ad un tratto lo Stato del popolo; ad altri
pareva senza toccare il Gran Consiglio, mettere invece di quello degli
ottanta come un Senato dei più qualificati cittadini che fossero stati
nei grandi uffici; i quali fossero a vita, ed avessero le facoltà
maggiori, come quella di creare i Dieci ed altre cose. Giudicavano
altri che il fare tali alterazioni sarebbe con troppo scandalo e
pericolo, contentandosi di correggere quei difetti dai quali venisse il
peggior male, soprattutto quanto alle provvisioni dei danari, le quali
volevano che si vincessero alla metà più uno, senza bisogno di avere
i due terzi. Ma riscaldando i dispareri, dopo essere stati in Pratica
più giorni, cominciarono quando uno e quando un altro a non volere più
radunarsi; talchè per allora cotesta Pratica andò in fumo. Ma il popolo
a queste cose dubitando che non volessero i primi cittadini mutare
lo Stato, quando si venne a eleggere la Signoria nuova pe’ mesi di
luglio e agosto 1502, si accordarono nel Consiglio Grande a eleggere un
Gonfaloniere di piccola qualità e dappoco. Il caso fece che al Priorato
portassero uomini qualificati, come un Acciaiuoli ed un Morelli, e
primo tra tutti per vigore d’animo, Alamanno Salviati; i quali avendo
scorto che ogni altro partito dispiaceva troppo, s’accordarono a
proporre la creazione d’un Gonfaloniere a vita.
Avrebbono intorno a questo supremo Magistrato voluto porre una
deputazione di cittadini, i quali avessero più facoltà che gli Ottanta
e a lui servissero di freno, cosicchè lo Stato venisse di fatto,
come a Venezia, in mano di pochi. Ma quel disegno dovette essere
abbandonato, perchè il popolo, anzichè il consiglio di pochi, soffriva
la potestà d’uno: gli uomini intendono a questo modo la libertà;
la sanno cedere ma non confinare. Venne in consulta se invece del
Gonfaloniere a vita dovessero farne uno a tempo lungo; ma vinse l’altro
modo, considerando che un Gonfaloniere a vita, avendo il maggior grado
che potesse desiderare, l’animo suo si quieterebbe; dove se fosse a
tempo, avrebbe in cuore il desiderio di perpetuarsi procedendo con
You have read 1 text from Italian literature.
Next - Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 08
  • Parts
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 01
    Total number of words is 3899
    Total number of unique words is 1320
    40.7 of words are in the 2000 most common words
    57.8 of words are in the 5000 most common words
    67.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 02
    Total number of words is 4394
    Total number of unique words is 1666
    41.8 of words are in the 2000 most common words
    58.2 of words are in the 5000 most common words
    66.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 03
    Total number of words is 4581
    Total number of unique words is 1701
    41.0 of words are in the 2000 most common words
    57.3 of words are in the 5000 most common words
    65.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 04
    Total number of words is 4577
    Total number of unique words is 1655
    40.6 of words are in the 2000 most common words
    56.9 of words are in the 5000 most common words
    65.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 05
    Total number of words is 4638
    Total number of unique words is 1637
    39.3 of words are in the 2000 most common words
    54.6 of words are in the 5000 most common words
    63.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 06
    Total number of words is 4624
    Total number of unique words is 1639
    41.5 of words are in the 2000 most common words
    59.0 of words are in the 5000 most common words
    67.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 07
    Total number of words is 4558
    Total number of unique words is 1589
    42.1 of words are in the 2000 most common words
    58.0 of words are in the 5000 most common words
    65.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 08
    Total number of words is 4573
    Total number of unique words is 1588
    43.8 of words are in the 2000 most common words
    61.6 of words are in the 5000 most common words
    70.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 09
    Total number of words is 4563
    Total number of unique words is 1606
    42.9 of words are in the 2000 most common words
    60.5 of words are in the 5000 most common words
    69.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 10
    Total number of words is 4551
    Total number of unique words is 1694
    40.3 of words are in the 2000 most common words
    57.1 of words are in the 5000 most common words
    64.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 11
    Total number of words is 4564
    Total number of unique words is 1581
    41.7 of words are in the 2000 most common words
    58.6 of words are in the 5000 most common words
    68.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 12
    Total number of words is 4614
    Total number of unique words is 1636
    42.1 of words are in the 2000 most common words
    58.7 of words are in the 5000 most common words
    67.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 13
    Total number of words is 4610
    Total number of unique words is 1616
    40.9 of words are in the 2000 most common words
    58.9 of words are in the 5000 most common words
    67.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 14
    Total number of words is 4716
    Total number of unique words is 1629
    42.0 of words are in the 2000 most common words
    57.5 of words are in the 5000 most common words
    64.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 15
    Total number of words is 4617
    Total number of unique words is 1722
    39.2 of words are in the 2000 most common words
    56.3 of words are in the 5000 most common words
    63.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 16
    Total number of words is 4645
    Total number of unique words is 1604
    43.6 of words are in the 2000 most common words
    59.5 of words are in the 5000 most common words
    67.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 17
    Total number of words is 4562
    Total number of unique words is 1578
    43.5 of words are in the 2000 most common words
    61.6 of words are in the 5000 most common words
    70.2 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 18
    Total number of words is 4565
    Total number of unique words is 1674
    40.1 of words are in the 2000 most common words
    55.5 of words are in the 5000 most common words
    63.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 19
    Total number of words is 4606
    Total number of unique words is 1628
    42.4 of words are in the 2000 most common words
    59.3 of words are in the 5000 most common words
    68.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 20
    Total number of words is 4572
    Total number of unique words is 1597
    42.6 of words are in the 2000 most common words
    59.1 of words are in the 5000 most common words
    66.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 21
    Total number of words is 4630
    Total number of unique words is 1544
    42.2 of words are in the 2000 most common words
    58.6 of words are in the 5000 most common words
    68.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 22
    Total number of words is 4596
    Total number of unique words is 1589
    42.4 of words are in the 2000 most common words
    60.2 of words are in the 5000 most common words
    67.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 23
    Total number of words is 4635
    Total number of unique words is 1657
    42.5 of words are in the 2000 most common words
    58.8 of words are in the 5000 most common words
    66.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 24
    Total number of words is 4428
    Total number of unique words is 1636
    36.4 of words are in the 2000 most common words
    49.1 of words are in the 5000 most common words
    56.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 25
    Total number of words is 3958
    Total number of unique words is 1687
    21.0 of words are in the 2000 most common words
    26.7 of words are in the 5000 most common words
    31.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 26
    Total number of words is 4297
    Total number of unique words is 1164
    38.4 of words are in the 2000 most common words
    49.1 of words are in the 5000 most common words
    54.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 27
    Total number of words is 4300
    Total number of unique words is 1587
    35.2 of words are in the 2000 most common words
    46.7 of words are in the 5000 most common words
    52.2 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 28
    Total number of words is 3730
    Total number of unique words is 1377
    30.3 of words are in the 2000 most common words
    45.4 of words are in the 5000 most common words
    52.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 29
    Total number of words is 3591
    Total number of unique words is 1178
    36.0 of words are in the 2000 most common words
    50.6 of words are in the 5000 most common words
    59.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 30
    Total number of words is 3600
    Total number of unique words is 1112
    37.4 of words are in the 2000 most common words
    53.0 of words are in the 5000 most common words
    61.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 31
    Total number of words is 3710
    Total number of unique words is 1211
    38.0 of words are in the 2000 most common words
    54.0 of words are in the 5000 most common words
    60.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 32
    Total number of words is 3819
    Total number of unique words is 1184
    38.8 of words are in the 2000 most common words
    55.7 of words are in the 5000 most common words
    64.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 33
    Total number of words is 3697
    Total number of unique words is 1147
    35.9 of words are in the 2000 most common words
    50.3 of words are in the 5000 most common words
    58.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 34
    Total number of words is 3816
    Total number of unique words is 1140
    38.9 of words are in the 2000 most common words
    54.0 of words are in the 5000 most common words
    61.2 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 35
    Total number of words is 3867
    Total number of unique words is 1158
    38.2 of words are in the 2000 most common words
    53.4 of words are in the 5000 most common words
    60.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 36
    Total number of words is 3833
    Total number of unique words is 1237
    40.9 of words are in the 2000 most common words
    55.6 of words are in the 5000 most common words
    64.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 37
    Total number of words is 3836
    Total number of unique words is 1232
    45.9 of words are in the 2000 most common words
    60.9 of words are in the 5000 most common words
    67.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia della Repubblica di Firenze v. 3/3 - 38
    Total number of words is 1927
    Total number of unique words is 1016
    33.6 of words are in the 2000 most common words
    42.7 of words are in the 5000 most common words
    46.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.