La vita militare: bozzetti - 25

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gridare: ahi! ahi! Mi sono avvicinato, il ferito era già in piedi.--Va
all'ambulanza, va--il dottore gli disse. Quegli s'avviò a passo lento
e tremante.--È già guarito? domandai.--Guarito? Vivrà ancora qualche
ora,--mi rispose il dottore. Ne fui meravigliato.--Scherzi delle
palle,--egli soggiunse.
Ho visto dei begli atti di fermezza e di coraggio. Un bersagliere
venne a farsi cavare una palla dalla gamba e tornò indietro a
raggiungere il suo battaglione sul campo. Un soldato di fanteria,
gravemente ferito, portato a braccia da due compagni, pallidissimo,
cogli occhi semispenti, teneva tuttavia un mozzicone di sigaro
fra i denti e sporgeva il labbro di sotto in atto di noncuranza
e di disprezzo. Passò accanto al mio battaglione; molti corsero
a guardarlo; egli volse lentamente lo sguardo intorno e, vistosi
osservato, per far parere anche meglio la sua freddezza, fece un
movimento della bocca come per addentar meglio il sigaro che gli stava
per cadere.
....È morto uno dei miei più buoni e più cari amici, di cui t'ho
parlato molte volte, un sottotenente dei granatieri, lombardo, un
bellissimo giovine, Edoardo B. Era nella mia compagnia in collegio;
tu hai una fotografia in cui ci siamo tutti, cercalo, è il primo a
destra, seduto in terra, col sigaro in bocca; me ne ricordo. Vedi
com'è morto: il suo reggimento era fermo in faccia ai cannoni del
nemico; egli stava seduto sopra un tamburo, a capo basso, e colla
punta della sciabola andava sforacchiando per trastullo le zolle che
aveva tra i piedi. All'improvviso cadde riverso mandando un grido; una
scheggia di mitraglia aveva ferito lui nel petto e ucciso il cavallo
dell'aiutante maggiore che gli stava dietro. Morì dopo cinque ore di
spasimi atroci. Povero amico! Chi te l'avrebbe detto quando studiavamo
pel nostro ultimo esame di collegio, in quelle stanzuccie del quinto
piano, al lume di quel moccolo, con quei quaderni e quella brocca
d'acqua tinta di fumetto; allora che avevi tante belle speranze, ed
eri così felice!....
La risposta a questa lettera è del fratello; la madre s'era messa a
letto colla febbre.--Di tratto in tratto--scrive il fratello,--essa
cade in delirio e ti chiama.
* * * * *
L'esercito retrocede verso l'Oglio.
Piadena, 5 luglio.
....È una tristezza, è un dolore questo continuo attraversare villaggi
e città, in mezzo a due ali di popolo immobile, muto, freddo, che
ci guarda con gli occhi stralunati come se fossimo un esercito
sconosciuto. Chi ha il coraggio di alzare gli occhi in faccia alla
gente? Mi par di leggere su tutti i volti:--Ma bene! ma bravi! O
che metteva conto di far tanto chiasso, per far poi di coteste
figure?--I reggimenti sfilano a capo basso, silenziosi, che paiono
una processione di frati. È uno spettacolo che mi fa male; il mio
pensiero ricorre a te, madre; ho un infinito bisogno di te. Perdonami:
avessi almeno la consolazione di tornare a casa senza un braccio;
potrei dire:--per conto mio ho vinto un braccio di meno.--Ma tornare a
casa intatto e sano e grasso e rosso da mettere invidia a un pascià,
è veramente vergognoso e insoffribile. Quanta bile mi dà questo
specchietto che per quanto io fatichi, e sudi, e mi roda dentro,
s'ostina a riflettermi sotto il mento un altro mento che fa capolino!
Io l'odio questo neonato insolente che ride sulle sventure della
patria! Scherzo; ma è uno scherzo che va poco giù. Marciamo sotto
il sole di mezzo giorno; a destra e a sinistra della strada, orti,
campi floridi e ville; a traverso il cancello dei giardini vediamo in
lontananza, in fondo ai viali, signori in maniche di camicia sdraiati
all'ombra dei pergolati, e signorine vestite di bianco, vaganti pei
poggi in mezzo ai pini e alle mortelle. Oh loro felici! Non perchè
stanno all'ombra e riposano; ma perchè non portan sull'anima questo
terribil peso di sconforto e di tedio.
Risposta:--Capisco; capisco tutto; le madri capiscono tutto; coraggio,
figliuolo.
* * * * *
La divisione Cugia è a Parma; parte per Ferrara.
Parma, 10 luglio.
....Benedetti soldati! Mi par d'amarli di più dopo quella nostra
sventura; son sempre gli stessi loro, sempre rassegnati, buoni. In
marcia, quando cominciano a curvarsi e a zoppicare, li guardo, li
guardo: mi ci struggo, proprio. Qualche volta, quando me ne fanno
qualcuna, io fo tra me un ragionamento lungo e sottile per provarmi
che quello è veramente il caso di andare in collera, e poi alzo la
voce:--Insomma, è tempo di finirla! Così non si va avanti! Fareste
perder la pazienza a un santo! Or ora....--Impostore--mi dice una
voce di dentro--tu non sei mica in collera.--È vero!--io rispondo
sorridendo, e smetto. Ma poi fermo il proposito di non amarli più,
o almeno di non farmi scorgere, chè se no addio disciplina.--La
vedremo,--dico,--vedremo se riusciranno più a intenerirmelo questo
core di sasso.--E cammino duro, con un cipiglio da metter paura,
sicuro della vittoria. Ed eccotene subito uno:--Tenente, glielo porto
io il cappotto?--Ed io brusco:--No.--Lei è stanco.--No.--Si!--Come!
Stiamo a vedere che ho da essere stanco quando vuoi tu! Al posto.--Ne
viene un altro con una borraccia:--Tenente, questa è fresca.--Non ne
ho voglia.--Assaggi.--Non assaggio.--Una goccia, e vedrà.--Nemmeno una
goccia.--Ed egli mi mette la borraccia sotto il mento:--Vedrà che è
fresca.--So bere da me.--Piglio la borraccia, m'inumidisco la bocca
e gliela ridò.--Tenente!--Cosa?--Lei non ha bevuto.--Ho bevuto.--Ma
se c'è ancor tutta!--e scuote la borraccia.--Oh insomma! la volete
capire che sono stanco e stufo che non ne posso più? Andate al vostro
posto, subito, di corsa, o vi faccio mettere alla guardia del campo
per quindici giorni.... Che modo è questo?--Impostore!--mi ripete la
solita voce.--È vero, io rispondo un'altra volta, e smetto.--Oggi il
signor tenente è di malumore!--dicono i soldati.--No, no--io rispondo
sollecitamente tra me;--no, razza di bricconi.--
Risposta:--Io lo dico spesso con tua sorella Erminia: Alberto se l'è
proprio conservato tutto, tal'e quale, il cuore che aveva da fanciullo.
Non dico che sia merito mio; ma però....
* * * * *
La divisione è partita da Ferrara alla volta di Padova.
Monselice.... luglio.
Trista cosa marciar colla pioggia. Era già notte, eravamo ancora
lontani quattro miglia da Rovigo, e cominciò a piovere a catinelle.
In pochi minuti mi trovai ridotto come se mi fossi cacciato in un
bagno bell'e vestito; l'acqua mi correva a rigagnoli giù per la
schiena e pel petto; il cappotto mi s'era inzuppato che pesava da non
poterlo più reggere; nella strada un palmo di fango; sicchè, figurati!
Passando, vedevamo per le finestre delle case dei contadini «rara
tralucer la notturna lampa» e qualche ombra far capolino un istante
e sparire. Ed io pensavo a te, che quand'ero fanciullo, la sera,
spingevi il mio letticciuolo verso la finestra, perchè mi piaceva
sentir battere la pioggia sui vetri e il fischio lungo e lamentevole
del vento, e addormentarmi fantasticando paurose avventure di
pellegrini smarriti per le foreste, e misteriosi lumicini risplendenti
da lunge, e fatali castelli ospitali.--Oh povero ragazzo, in che
stato!--esclamavi giungendo le mani quand'io tornava dalla scuola un
po' fradicio; povera mamma, se tu mi vedessi adesso!--Era il giorno
delle disgrazie. Arriviamo vicino a Rovigo, piantiamo il campo in
un pantano, e poi via, in paese. Io e un mio amico troviamo una
stanzuccia dove asciugarci e riposare, in casa d'una buona famiglia;
ci mettiamo a letto, dormiamo; balziamo giù alle nove della mattina
per andare al campo e partire.... Dio eterno! non m'entran più gli
stivali; li ho lasciati accanto al fuoco, si son ristretti e induriti
che non ci passa neanco la gamba d'un bambino.--Aiuto, amico, aiuto
per pietà!--A noi!--egli grida; si rimbocca le maniche, e li tutt'e
due, tira e tira e tira, e smetti per respirare, e ripiglia con nuova
lena, e smetti daccapo, e ritenta ancora con tutte le forze della
disperazione.... Ah invano! Le gambe intormentite si rilassano, le
braccia spossate cadono penzoloni, e la testa si riversa all'indietro
cogli occhi fuori dell'orbita e la fronte grondante di sudore.--Un
estremo rimedio!--grida l'amico; scucir gli stivali.--Scuciamo!--Mano
alle forbici e ai temperini, e all'opera. Ma i punti non si vedono, e
più ci si affanna e meno si trovano, e le dita gingillano tremanti, e
lo stivale scivola dalle mani, e il mio amico s'è ferito, ed io pure,
e il tempo passa.... Ah! i tamburi! siamo perduti!--Il reggimento
partì senza di noi; lo raggiungemmo in vettura un'ora dopo che s'era
accampato.--Come mai?--domandarono gli amici. Io risposi mostrando
i piedi: li avevo cacciati nel primo paio di barche postomi in mano
dal primo ciabattino di Rovigo che avevamo mandato a chiamare: erano
spettacolose. Un minuto dopo, un biglietto d'arresto a me e al mio
compagno. Appena entrato nella tenda, sbattei in terra gli stivali
gridando:--Là, carnefici!--Ma lei che non aveva l'impedimento della
calzatura,--domandò poi il colonnello al mio compagno,--perchè non è
venuto?--Colonnello! abbandonar gli amici nella sventura....
Risposta:--Quante volte non ho predicato, fin da quando eri bambino,
contro questa maledetta manìa di portar le scarpe strette! Chi sa
cos'avrà detto di te il colonnello! Ma non c'era almeno una donna che
avesse un po' la testa a segno in quella casa di Rovigo, che cercasse
subito, mandasse a vedere, provvedesse, vi levasse in qualche modo
d'impiccio? Pare impossibile! tutti senza giudizio.
Dalle vicinanze di Mestre, 20 luglio.
--...Ho visto Venezia da lontano. Non credevo che si potesse amar
tanto una città da provare, vedendola, quello stesso effetto che fa
l'innamorata. Al primo vederla, così stupenda e gentile, che sembra a
galla sul mare, non mi venne sulle labbra nè un «viva!» nè un «bella!»
come parrebbe spontaneo; mi venne una parola più affettuosa e più
dolce, ed esclamai:--Cara!--Dice un mio amico che Venezia, vista
così da lontano e di sera, gli fa l'effetto d'una fanciulla pallida e
melanconica, appoggiata sul davanzale, col capo reclinato da una parte
sulla palma della mano, e lo sguardo teso sull'orizzonte del mare, in
atto di chi pensa ed aspetta. E appena la vide gridò:--T'amo!--Sì,
tale è il senso che ispira da lontano Venezia; dentro sarà grandiosa
e magnifica e ne imporrà; vista di qui intenerisce e innamora. Cara
madre, tu hai una rivale formidabile....
....Gran buona gente questi contadini veneti. Ero di gran guardia
vicino a una casipola, avevo sonno e picchiai per domandare ricovero;
nota ch'eran le due dopo mezzanotte. Mi apre una donna, mi fa entrare
nella prima stanza, mi porta un pagliericcio, una materassa, una
coperta, un guanciale, mi dà la buona notte e va via. Mi corico e
dormo da principe. La mattina appena desto, mi affaccio all'altra
stanza per ringraziare la mia ospite, e la vedo che dorme stesa in
terra, sopra un po' di paglia, con due bambini, uno fra le braccia,
l'altro da un lato, senza un lenzuolo, senza un guanciale, senza un
cencio di coperta; aveva dato ogni cosa a me. N'ebbi rimorso, ira,
vergogna; mi diedi dello snaturato, del poltrone, del villano, del
tristo.... Non ricorderò mai quella notte senza dolore.
Risposta (ah pietosissima spietata!):--Un po' di torto l'hai
certamente; ma.... in fin dei conti tu avevi faticato e dovevi levarti
per tempo; mentre quella donna aveva dormito fino allora e poteva
dormir poi. Un'altra volta badaci però.
....Dalle vicinanze di Mestre.... agosto.
....--Senti questa ch'è nuova di zecca. Ieri l'altro ero d'avamposto
dalla parte di Malghera. Allontanatomi un centinaio di passi dalla
gran guardia, veggo venir verso di me tre signore, una attempata,
le altre due giovanissime (eran sue figliuole), belline, vivaci; e
tutt'e tre mi si ferman davanti, mi fanno un inchino, mi domandan
nuove della mia salute, mi dicono che sono scappate da Venezia, che
son dirette a Mestre, che vogliono andare a Padova dai loro parenti,
e che intanto sono felicissime di vedere un ufficiale italiano,--non
n'avevano ancora veduto nessuno, io era il primo,--e mi fanno festa,
mi affollano di gentilezze, ridendo, girandomi intorno, giungendo
le mani in atto di ammirazione e di sorpresa, e tutto questo con
una ingenuità e una grazia veramente incantevoli. Dopo ch'io l'ebbi
ringraziate tutt'e tre con grande effusione di cuore, la mamma si
voltò alle ragazze e disse loro:--Fategli vedere che cos'avete
sotto il vestito.--Oh che diavolo?--io pensai. Le ragazze si
peritavano.--Animo, alzate.--Alzate!--pensai di nuovo.--Animo, su, o
che c'è da vergognarsi?--Io cadevo dalle nuvole. Le ragazze fecero
ancora un po' le ritrose, ridendo e coprendosi il viso con una mano;
e poi, tutt'e due assieme, facendomi un grazioso inchino, tiraron su
delicatamente con tutt'e due le mani la gonnella del vestito, e mi
mostrarono una bellissima sottana fatta di tre pezzi, uno verde, uno
bianco, e uno rosso con una gran croce bianca nel mezzo....
Risposta.--Cosa viene a fare codesta signora colle sue figliuole in
mezzo a voialtri? Abbi giudizio. Te lo dico perchè so che ce n'è
bisogno; hai una testa!
Padova, 5 settembre.
....--M'ha preso la febbre, sono venuto a Padova, sono entrato nel
l'ospedale dei Fate-bene-fratelli, m'hanno curato, sono guarito, e
domani torno al reggimento: ecco tutto. T'ho voluto scrivere a fatto
compiuto, come suol dirsi, per impedirti di venir qua, chè certo ci
saresti venuta. E adesso va' in collera, grida, scrivi, protesta; la
è tutt'una; è finito; bisogna rassegnarsi. Anzi, fa' a modo mio, cara
madre; ringrazia il cielo che non sia stata che febbre; pensa a questi
poveri giovani che ho intorno, chi ferito di palla, chi di baionetta,
condannati al letto chi sa per quanti altri mesi, e fortunati
quelli che s'alzeranno ancora. Ho davanti a me un luogotenente dei
granatieri, lombardo, che s'è preso una baionettata nel petto, a
Custoza, da un sergente dei croati, e ferito com'era non s'è voluto
allontanare dal campo. M'ha fatto veder la sua tunica; è ancor tutta
macchiata di sangue. È quasi guarito, si leva, cammina; ma quando
si sveglia, nell'atto che fa per mettersi a sedere sul letto, prova
ancora dei dolori atrocissimi. Mi raccontò il fatto.--Mi ricordo di
poco,--mi disse;--mi ricordo come di un sogno, d'aver veduto quattro
o cinque ceffi orrendamente stravolti correre contro di noi mandando
un urlo prolungato, e uno di essi mi guardava. Ho sempre presenti
quei due occhi spalancati e la punta di quella baionetta; era un uomo
alto, nero, con due gran baffi. In che modo sia riuscito a ferirmi
non mi sovvengo. Ricordo che mi passò dinanzi, rotando la sciabola,
un ufficiale austriaco senza barba, un viso femmineo, giovanissimo,
che gridava disperatamente:--_Jesus Mària! Jesus Mària!_--Passò e
scomparve. Quello lì lo vedo sempre, lo riconoscerei. Parecchi giorni
dopo, essendo all'ospedale colla febbre e il delirio, mi sentivo
ancora l'orecchio intronato da quegli urli e dal suono dei fucili
cozzanti, e vedevo lontano lontano una punta scintillante che veniva
innanzi, nella direzione del mio cuore, lentamente, lentamente, come
se mi guardasse per riconoscermi; e me la sentivo entrar poi tutt'ad
un tratto nelle carni, dura, fredda, e starci lungo tempo e andar
sempre più giù. Ti parrà strano; ma per molti giorni, ad ogni rumore
improvviso ch'io sentissi, allo sbatter d'un'imposta, al cader d'una
seggiola, mi correva un brivido per tutta la persona....--Questo
povero giovane, ferito com'è, l'altra notte saltò giù dal letto in
camicia e venne a domandarmi se avevo bisogno di nulla, perchè gli era
parso ch'io mi fossi lamentato. Mi vergognai. Un imbelle e volgare
febbricitante esser causa che un nobile ferito di baionetta s'incomodi
per lui! Da quella notte in poi, ad ogni rumore ch'egli fa, sia anco
russando, salto giù.--
--Il quartiere generale è a Padova, lo sai? Ieri, mentre dormicchiavo,
mi vidi balenare sugli occhi un petto coperto di medaglie e di croci;
guardo, è lui, è il «burbero benefico.» Ci stette un'ora. Entrai a
discorrere della guerra; egli lasciò cadere il discorso; non sorrise
mai; era molto tristo. Mi lasciò stringendomi a più riprese la mano e
dicendomi con molta serietà:--Sii forte.--
La risposta è una protesta violenta, che dalle prime all'ultime parole
va però gradatamente scemando di forza, tanto che comincia:--Sei
proprio indegno dell'immenso bene che ti voglio.... Il cielo è ben
crudele con me,...--e finisce:--Sia ringraziato il cielo; vedo proprio
che ci protegge: e tu sii benedetto, mio buon Alberto.
Martellago, 15 settembre.
....Finalmente! Siamo per la prima volta acquartierati a Martellago,
poco lontano da Mestre; ho una camera! un letto! un tavolino! uno
specchio! Oh felicità sovrumana! Tu non lo capisci, cara, che cosa
voglia dire per noi possedere un po' di casa dopo tanti mesi che si
dorme in terra e ci si lava il viso nei rigagnoli.--È mia!--esclamo
misurando in lungo e in largo la camera a passi lenti e gravi, e
girando lo sguardo sulle pareti.--È mia; me la pago e me la passeggio
e me la godo e tengo tanto di chiave in tasca!--La prima sera,
nell'atto di salir sul letto, ho provato una certa peritanza, una
certa soggezione; mi pareva d'essere un contadinaccio penetrato
segretamente in un salotto di signori, e che da un momento all'altro
mi dovesse calar sulle spalle una tempesta di bastonate. Poi, quando
ho messo il ginocchio sulla sponda e l'ho sentita dar giù, credetti
di cadere, mi trattenni, sorrisi e risalii, con una sorpresa, con
un piacere, che mi ricordò quello che provavo da ragazzo aprendo la
scatoletta da cui saltava fuori il mago sabino con quella gran barba.
Che sonno delizioso! Che allegro svegliarsi!... Una camera! Ma io
sono un re; voglio spassarmela, voglio fare il _giovin signore_;
voglio goder la vita. Ho già cominciato. Mi son fatto portare il
caffè a letto; mi son levato e vestito lemme lemme, sbadigliando
voluttuosamente e domandando ogni momento del tempo e dell'ora; ho
avuto l'impertinenza di mandarmi a chiamare un barbiere del paese,
e di riceverlo sdraiato sulla poltrona, e di accendere un sigaro
e di aprire un libro.... Gran bella cosa nuotar negli agi e nelle
morbidezze! Cara, lo crederesti che io amo tanto la mia cameretta
da curare la disposizione simmetrica delle seggiole? Tu riderai;
eppure.... Adesso comincio a rendermi ragione del perchè e del come
voi altre donne amiate tanto la casa; non ti burlerò più per quella
tua cura religiosa che tutto sia al suo posto, pulito, lucido. Quante
cose insegna la tenda!--
Risposta:--Per capir certe cose non ci dovrebb'essere bisogno della
tenda, mi pare! Dormi colla finestra chiusa; non son più giorni da
pigliar aria i primi di settembre; se non hai abbastanza coperte,
chiedine alla padrona di casa. A proposito: è giovane questa tua
padrona? è maritata? ha figliuoli? Che donna è? Queste padrone di casa
mi dan sempre da pensare perchè per solito vogliono immischiarsi un
po' troppo nelle cose che non le riguardano. Tu poi sei un benedetto
ragazzo!
Martellago, 16 settembre.
....È strano; cioè è naturalissimo, ma in sulle prime mi parve
strano, che fra noi, dopo una campagna, anche coloro che parevano
più spensierati, più freddi, più cinici, sentano un prepotente
bisogno d'affetto, e parlino ad ogni momento e con tutti della loro
famiglia (molti avean persino dimenticato d'averla), e scrivano di
qua e di là, e custodiscano religiosamente le lettere, e scongiurino
gli amici lontani a mandare i ritratti, e cerchino per mare e per
terra un amoruzzo sentimentale pur che sia. Questi mutamenti seguono
più generalmente e in modo più pronto e più vivo dopo una guerra
sfortunata; si capisce. Certuni sono andati a dissotterrare non so
che cugine lontane, di cui forse non sapean neanche il nome, ed hanno
intavolato con loro una corrispondenza letteraria disperata. Le
cugine, sorprese e intenerite dalla subita e appassionata espansione
di quei cuori, rispondono cose di fuoco; i ferri, come si dice, si
scaldano; prevedo di gran matrimoni. Le guerre rubano molti figliuoli
alla patria; ma gliene preparano anche molti. Se tu li vedessi, come
li vedo io, certi don Giovanni in diciottesimo, certi crapuloni, che
qualche mese fa ponevano la bottiglia, il sigaro e la bionda o la
bruna al di sopra di tutti gli affetti e di tutte le felicità umane;
se tu li vedessi la sera, appoggiati alle finestre, guardar la luna
con occhio melanconico, e lamentarsi con me:--Son due giorni che
non mi scrive!--È inutile, già; la donna è sempre la nostra riverita
signora e padrona; l'ambizione, la gloria, qualche altra felicità
aspettata o sperata, possono qualche volta illuderci, farci credere
che si possa fare a meno di lei, nasconderla, per così dire, agli
occhi della nostra mente e ai desiderii del nostro cuore; ma poi....
Ella non ci arresta, come dice il Manzoni, nel viaggio superbo;
Ma ci segna; ma veglia ed aspetta,
Ma ci coglie....
Oh ci coglie sempre!
Risposta:--E tu chi hai dissotterrato? Per carità: giudizio! giudizio!
giudizio!
17 settembre.
--....Un altro fenomeno da notarsi, dopo una guerra, è l'ardore della
lettura che rinasce vivissimo in tutti, anche nei più alieni, o per
indole d'ingegno o per insufficienza di coltura, da questa maniera
di occupazione e di diletto. Tutti leggono, tutti cercan libri; il
parroco del paese è stato costretto a mandare in giro tutti i volumi
della sua biblioteca. A me che vado agli eccessi, come tu dici, in
tutto, è venuta una vera manìa; non è più voglia di libri quella
ch'io sento, è fame, fame rabbiosa. Ma son sempre fedele al mio
amore antico. Tutte le ore libere del giorno e della sera le passo
leggendo e rileggendo e pensando e sviscerando questo caro, questo
benedetto, questo santo romanzo I Promessi Sposi, mio eterno compagno
ed amico, fonte per me di tante dolcezze, di tante consolazioni, e di
quella eguale e soave tranquillità d'animo e di cuore, in cui ogni
mio affetto si purifica e si rafforza, ogni mio pensiero s'innalza,
e le cose e gli uomini e il mondo e la vita, tutto mi si presenta
all'intelletto sotto il suo aspetto migliore, tutto circonfuso d'amore
e di speranza. Non so come; ma la mia patria, il mio reggimento, te,
gli amici, tutto sento d'amar di più e più nobilmente, meditando
questo vangelo della letteratura. E non v'è una pagina a cui non sia
legato un ricordo delle nostre prime letture; quando tu tenevi il
libro sulle ginocchia, ed io leggevo e tu ascoltavi, e le mie lacrime
cadevano sulle tue mani, e a certi punti si chiudeva il libro e ci
abbracciavamo; o s'io leggeva nella mia camera, uscivo e venivo a
cercarti per piangere fra le tue braccia. L'ho qui dinanzi questo
libro, lo tengo fra le mani, me lo stringo sul cuore e gli dico:--Per
tutte le lacrime che hai fatto spargere a me e a mia madre, per tutti
i santi affetti che m'hai destati e tenuti vivi nell'anima, per tutto
l'amore che m'ispirasti agli uomini e alla vita e alle cose nobili
e grandi, io ti giuro che come fosti la mia prima lettura, sarai
l'ultima, e che fin che la mia mano ti potrà reggere ed il mio sguardo
fissarti, cercherò te, sempre te, libro-paradiso!--
Dopo questa lettera c'è l'annunzio della partenza da Martellago, e poi,
giorno per giorno, un cenno delle partenze e degli arrivi successivi,
da Padova a Rovigo, da Rovigo a Pontelagoscuro, da Pontelagoscuro a
Ferrara, da Ferrara a Modena, da Modena a Parma.
Parma, 16 ottobre.
--Senti che tiro m'ha fatto quel briccone di ordinanza. Due settimane
fa, ricorrendo il giorno del suo nome, presi una bottiglia di barbèra
dal vivandiere, ci attaccai sul collo un pezzo di carta con suvvi
scritto--San Remigio--e, colto un momento ch'egli non c'era, andai
a mettergliela sotto la tenda. Non seppi altro; non mi ringraziò;
non die' mai segno di nulla; credetti che glie l'avessero rubata.
Ieri sera, tornando da una passeggiata fuori del campo, entro nella
tenda e vedo al mio posto un gran monte di paglia fresca, ben
raccolta e spianata, che pareva levata allora da un pagliericcio;
e dalla parte dove metto la testa, un'immagine di santo appesa al
sostegno della tenda, con foglie e fiori intorno, e un cerino acceso
dinanzi; accanto, sul coperchio del baule, un astuccio di legno,
fatto col coltello, che poteva passare per un portasigari; sotto
l'astuccio un mazzetto di sigari legato con un nastrino rosso. Guardo
l'immagine: c'è scritto su--Santa Teresa--; guardo l'astuccio--Santa
Teresa;--guardo il nastrino dei sigari--Santa Teresa.--Ne rimasi
commosso. Non credevo che il cuore di questo giovane, oltre all'esser
tanto buono, fosse anche tanto delicato, da onorare e festeggiare il
nome di mia madre invece del mio.--
La risposta della madre è un vero schiaffo al regolamento di
disciplina. Se il soldato d'Alberto fosse diventato ad un tratto
generale d'armata, essa non avrebbe potuto scrivere in altro modo. E
pare che in seguito il signor Remigio non fosse mal ricompensato della
sua delicatezza perchè un giorno si presentò all'ufficiale con una
lettera di casa sua tra le mani e colle lagrime agli occhi, e fece con
voce tremante un lungo ringraziamento....
--Ho capito--disse Alberto tra sè quand'egli ebbe finito;--le due madri
sono amiche.--
Da Parma a Piacenza, da Piacenza a Pavia, da Pavia a Bergamo; altri
quindici giorni di marcia, di cui la metà colla pioggia.--Penso alle
scorticature dei tuoi poveri piedi--dice una lettera della madre, e non
posso far altro che mandarti dei sospiri di dolore.--Mandami delle
calze di filo--risponde il figliuolo.
Bergamo è l'ultima stazione, dalla quale ricomincia il racconto di
Alberto.


RITORNO.

Eran gli ultimi giorni di dicembre; io era sempre a Bergamo col mio
reggimento, ricreandomi co' libri dal servizio di guarnigione, che
sempre, ma in ispecie dopo una guerra, è d'una monotonia e d'una
noia.... Zitto! Non pensavo nemmeno a tornare a casa perchè il periodo
dei lunghi congedi non era per anche aperto, e di brevi sentivo dire
che il colonnello non ne voleva dare, se no l'avrebbero chiesto tutti;
mia madre continuava a scrivermi che--assolutamente e a qualunque
costo mi voleva rivedere e non poteva più durarla così,--ed io a
risponderle:--abbi pazienza; aspetta un altro poco,--ed ella:--è
impossibile; e io daccapo a quetarla, e intanto passavano i giorni e le
settimane.
Una bella mattina sento picchiare all'uscio della mia camera,
apro:--Chi veggo! Colonnello!
Mi salutò con molta gravità, non volle sedere, mi disse che veniva da
Venezia, ch'era diretto a Milano, che aveva buone notizie della mia
famiglia.... A questo punto mi guardò in viso e disse con una cert'aria
di pietà e di rimprovero:--Io già capisco che tu hai una gran smania di
tornare a casa.
--Eh.... dopo una campagna!--risposi umilmente.
--Campagna! campagna!--egli ripetè in suono di stizza;--non la
chiamare così; sono state quattro marcie mal fatte e quattro
schioppettate mal tirate.--
Io tacqui. Egli continuò serio serio:--Avvezzati a tenere il reggimento
per la tua vera famiglia.--
Io continuai a tacere. E lui:
--Tu, per indurirti un po' codesto cuoricino di cera, per diromperti
un po' alla vita del soldato, che non sai ancora cosa sia, lasciatelo
dire, avresti bisogno di fare una campagna nelle Indie almeno almeno di
cinque anni.--
Ed io zitto. E lui ancora:
--Tutta questa impazienza, tutto questo gran bisogno di riattaccarsi al
grembiale della mamma, è molto antimilitare.--
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