La vita militare: bozzetti - 08

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e che ogni giorno, prima di accomiatarsi da noi, non tralasciavan mai
di ripetere molto enfaticamente che con de' soldati come i nostri la
fortezza di Malghera si poteva pigliarla addirittura con un assalto
alla baionetta.--Ma credano,--dicevamo noi;--la cosa non è poi tanto
facile come pare a loro!--Oh!--rispondevano sorridendo con molta
dignità,--lo slancio del soldato italiano....--E compivano la frase con
un gesto che voleva dire:--Eh, eh, ben altri miracoli può fare.
--Come si fa a far le ritirate?--domandò alla sua volta l'uffiziale
interrogato.--È una domanda un po'....
--Vaga,--suggerì il consigliere.
--Appunto.--
Carluccio tacque e si diede a pensare qualcos'altro da domandare.
Intanto il Consigliere, che era stato un momento sopra pensiero, uscì
fuori a dire:
--Eppure, a pensarci su, ha da essere un gran doloroso spettacolo
quello d'una ritirata.
E tacque in atto di aspettare una risposta.
--Sentano,--rispose l'ufficiale facendosi tutto ad un tratto pensieroso.
Gli altri due, presentendo un discorso lungo, avvicinarono le loro
seggiole a quella del mio amico, e composero anch'essi la faccia a
un'intenta serietà.
--Sentano,--ripigliò l'ufficiale con voce vibrata;--v'è un dolore
appetto al quale la morte dei nostri più cari, la perdita delle
nostre più belle speranze e i più inattesi e più fieri disinganni
della vita non sono che una mestizia sfuggevole, un turbamento
leggero, un nonnulla; e questo dolore è quello che ci strinse l'anima
quella sera.... Il mattino felici, ebbri di gioia, ardenti di un
entusiasmo che ci cavava le lagrime e ci faceva prorompere in grida
da forsennati, impazienti della battaglia, certi, si può dire, della
vittoria; e poche ore dopo.... ecco quell'esercito tanto fresco di
gioventù, tanto pieno di vita, tanto forte di ardimento e di fede,
quell'esercito idolatrato dalla patria, frutto di tanti sacrifici,
oggetto di tante cure, argomento di tante trepidazioni e di tante
speranze; eccolo, poche ore dopo, vinto, disordinato e sparpagliato
per la campagna, rifar mestamente le vie percorse il mattino quasi
in sembianza di vincitore.... Ah! gli è uno spettacolo che strazia
l'anima, che atterra, che schiaccia; è un dolore che nessuna parola
umana basta a significare.--Chi ci renderà,--domandavamo desolatamente
a noi stessi,--chi ci renderà il nostro cuore di stamane, il nostro
orgoglio, la nostra fede, la nostra forza? Chi ci richiamerà negli
occhi quelle lagrime d'entusiasmo? Chi rialzerà l'edifizio su queste
dolorose rovine? E che dirà il paese?... Oh, il paese!--Il pensiero ne
rifuggiva atterrito; ci pareva di risentire le grida e gli applausi
con cui le popolazioni delle città ci avevano accompagnati alle porte,
e quegli applausi e quelle grida ci scendevano nel cuore e gli davan
delle strette terribilmente dolorose.--Oh tacete!--dicevamo dentro di
noi--tacete, siamo soldati, e il nostro povero cuore si spezza!--
Seguì un minuto di silenzio. Il consigliere esclamò mestamente:
--E che scompiglio, figuriamoci, dev'esservi stato quella sera!...--
L'ufficiale rispose con un cenno del capo. Altro minuto di silenzio.
--E la sua divisione--interrogò con molta dolcezza il padrone di
casa--a che ora, presso a poco, cominciò a ritirarsi?--
L'accento della domanda e l'atteggiamento del volto esprimevano
apertamente il suo vivo desiderio di sapere come le cose fossero
veramente andate, e non come le dicevano o l'avevano dette i giornali.
L'ufficiale capì, e, come egli era un molto facondo parlatore, cominciò
subito così:
--Se la memoria non m'inganna, la mia divisione cominciò a ritirarsi
dal campo poco dopo il tramonto. I diversi corpi giungevano a passi
concitati dalle diverse parti della campagna sullo stradone che
mette in Villafranca; quivi le file si disfacevano, i reggimenti
si mescolavano, ogni apparenza di ordine scompariva, e una turba
tumultuosa si versava di corsa nella città, allagando rapidamente la
via principale e la piazza e i vicoli e i cortili di gran parte delle
case. Arsi dalla lunga sete, una gran parte dei soldati si slanciò ai
pozzi con un'avidità rabbiosa e con certe grida di gioia selvaggia
che mettevano spavento. Dieci, venti, trenta, i primi col ventre sul
parapetto, gli altri col petto sulla schiena dei primi, si spenzolavano
sopra la bocca d'un pozzo, co' piedi sollevati da terra, a gran rischio
di cader giù a capo fitto, e si contendevano colle mani convulse la
fune, il secchio, la manovella, respingendosi l'un l'altro a colpi di
gomito, a fiancate, a pedate, minacciandosi di por mano alle baionette
e urlandosi nell'orecchio imprecazioni e bestemmie; finchè il secchio,
tirato su da dieci braccia vigorose, cominciava a vedersi luccicare;
e allora le ire e le grida e le percosse raddoppiavano, tutte le
braccia si protendevano all'ingiù per afferrarlo le prime; su, su,
ancora un tratto, ancor un altro, eccolo; venti mani lo afferrano,
dieci bocche infocate gli s'inchiodano agli orli, tira di qua, tira di
là, l'acqua agitata trabocca e si spande sulle faccie e sui panni e
sul terreno; chi ha bevuto? nessuno; così da per tutto. La più parte
dei soldati si erano sparpagliati pel paese; qualche battaglione,
fraintesi gli ordini ricevuti, non era nemmeno entrato in Villafranca,
e s'era diretto verso la strada di Goito pei sentieri dei campi;
ond'è che dei corpi non restava più, si può dire, che il nucleo; il
colonnello, il portabandiera, gran parte degli ufficiali e pochi
soldati; delle bande, nessuna. La folla di cui eran piene le strade
mandava un gridìo assordante; era un chiamarsi ad alta voce, un fender
la calca a spintoni, un correre di ufficiali qua e là ad agguantare
soldati pel braccio e riunirli e spingerli intorno alla bandiera, un
via vai di aiutanti di campo e di staffette a cavallo; nel centro della
piazza un aggrupparsi frettoloso di colonnelli e di ufficiali di stato
maggiore, un interrogare ansioso, un dare e rivocare concitato di
comandi; tutti ansanti, co' volti accesi; gli sguardi, gli atti, gli
accenti improntati d'un abbattimento, d'una costernazione profonda:
uno spettacolo desolante. Finalmente, come Dio volle, seguìto da una
trentina di soldati, che dovettero sfilare uno a uno fra una colonna
di carri e le ultime case del paese, fui fuori all'aperta campagna,
sulla strada che mena a Goito. Ritrovai il mio battaglione, ridotto a
uno sciame di poco più di duecento soldati, e con esso proseguii il
calmino. A poco a poco si fece buio perfetto; non ci si vedeva di qui
a lì; mezza la strada ingombra di carri d'artiglieria e di provianda
che si fermavano ad ogni tratto, così che s'aveva un gran da fare a
non rompersi il viso contro la punta di qualche sbarra e a guardarsi
i piedi dalle ruote; fossi a destra e a sinistra della via; paracarri
e mucchi di pietre ad ogni passo; di tratto in tratto carri rovesciati
nel bel mezzo della strada, e sacca aperte ed ogni maniera di
provvisioni da bocca sparpagliate; ad ogni po' di cammino il carretto
d'un vivandiere fermo, con suvvi un lumicino e attorno una grossa
turba di soldati che impedivano il passo ai sopravvegnenti; di tempo
in tempo un qualche maggiore o ufficiale di stato maggiore a cavallo
che ti capitava alle spalle mentre men te 'l pensavi, e pover'a te se
non eri lesto a scansarti; da tutte le parti gruppi di soldati che ti
obbligavano a serpeggiare sulla via come una saetta; ad ogni momento
canne di fucili che venivano a un pelo dal cavarti gli occhi e violenti
urtoni di addormentati; un polverio denso e continuo che t'empiva gli
occhi e la bocca; un incessante vociare di soldati d'artiglieria contro
i carrettieri borghesi, che, storditi in mezzo a tanto scompiglio,
ingombravano malamente la strada; un gridar rabbioso d'ufficiali che
s'affaccendavano invano a rannodare gli sparsi avanzi del proprio
pelottone; soldati che salivano e scendevano continuamente dalla strada
nei campi e da' campi sulla strada, precipitando e rotolando giù
per le sponde dei fossi; in somma una confusione, un frastuono, uno
stordimento da non potersi ridire; una notte d'inferno. Oh! gli è un
gran tristo spettacolo quello d'una ritirata!
Gli stenti della giornata, e più ancora le tante e sì varie e sì
violente commozioni dell'animo in così breve spazio di tempo, avevano
stremate le mie forze; io era stanco morto; adocchiai un carro
d'artiglieria dove c'era un posto vuoto, colsi il primo momento in cui
si fermò, salii, gli artiglieri mi fecero largo, sedetti, mi appoggiai
e presi sonno. Mi svegliai sul far del giorno. Eravamo a pochi passi
dal ponte di Goito. Pioveva. Mi toccai i panni; erano fradici. Guardai
in su; il cielo era tutto velato da un nuvolone scuro, eguale, che
prometteva la pioggia per tutta la giornata. Guardai intorno, pei
campi; sempre soldati a stormi che procedevano lentamente, coi capi
dimessi, cogli sguardi a terra. Molti di essi avevan sciolto la tela
della tenda e se l'eran posta in dosso a guisa d'uno scialle per
ripararsi dall'acqua; molti che avevan perduto lo zaino e la tela si
ricoveravano sotto quella d'un compagno e andavano così due a due,
stretti a braccetto, colle teste avviluppate; altri, perduto il cheppì,
s'era posto in capo il fazzoletto; altri; buttato via lo zaino, portava
la sua roba in un involto appeso alla baionetta; tutti poi camminavano
a gran fatica, zoppicando e inciampando ad ogni momento. Qualcuno di
tratto in tratto si arrestava e si appoggiava a un albero o si adagiava
in terra, e si levava faticosamente poco dopo, e ripigliava la via.
Passai sul ponte; quel ponte su cui, poche ore prima, stavan di fronte
una sentinella austriaca e una sentinella italiana squadrandosi in
cagnesco; entrai in Goito; svoltai a destra nella strada principale....
Quale spettacolo! A destra e sinistra della strada, sui canti, rasente
i muri, sotto le gronde, sulle soglie delle botteghe e delle porte di
casa, dappertutto soldati rifiniti dal cammino e dal digiuno, chi in
piedi colle spalle appoggiate al muro, chi accosciato, raggricchiato,
colle mani sulle ginocchia e il mento sulle mani e gli occhi vaganti
qua e là con uno sguardo stanco e pieno di sonno; altri sdraiati e
dormienti colla testa sullo zaino; qualcuno che sbocconcellava un tozzo
di pane tenendolo stretto con tutte e due le mani e girando intorno
uno sguardo sospettoso, come se altri minacciasse di venirglielo a
strappare dai denti; qualcun altro che riassestava gli oggetti nello
zaino, o lento e svogliato rasciugava colla falda del cappotto le
armi. E intanto la strada formicolava di soldati che si avviavano verso
Cerlungo; molti, guardando di qua e di là con un viso tra l'attonito
e il disgustato, passavan oltre; altri si fermavano accanto al muro,
gettavano trascuratamente lo zaino a terra e vi si lasciavan cadere
su con una specie d'inanimato abbandono; di tratto in tratto qualcuno
di que' che giacevano, appuntellando i gomiti in terra, si levava con
grande sforzo in piedi, e il primo soldato del suo reggimento che gli
venisse fatto di veder passare, con quello s'accozzava e si rimetteva
in cammino. Alle porte delle poche botteghe ch'erano aperte, un
continuo affacciarsi di soldati, a tre, a sette, a dieci alla volta,
e un chiedere insistente se vi fosse qualcosa da mangiare, ch'essi
l'avrebbero pagato, s'intende, e tendevan le braccia e allargavan le
mani per far vedere i quattrini.--No, giovanotti,--rispondeva dal
fondo della bottega una voce tutta pietosa,--mi rincresce, non c'è
più niente.--A un'altra bottega dunque; niente neanco a questa; via,
ad un altra; lo stesso. E via così. Passando dinanzi a certe tane di
caffè, si vedevano molti ufficiali dormire colle braccia incrociate
sul tavolino e la testa appoggiata sulle braccia; sopra ogni tavolino
tre o quattro teste, e in mezzo bicchieri e bottiglie e tozzi di pane
sbocconcellati. Qualcuno, la testa abbandonata sulla mano, guardava
nella via coll'occhio fisso e stralunato; erano faccie triste, pallide,
stravolte come dopo una malattia. Il caffettiere, ritto in fondo alla
bottega, colle braccia incrociate sul petto, stava osservando gli uni
e gli altri, tacito e pensieroso. Gli sbocchi delle vie laterali erano
ingombri di carri e di cavalli, intorno ai quali si affaccendavano in
silenzio alla rinfusa soldati del treno e carrettieri borghesi. Intanto
passavano per la strada principale alcune batterie di artiglieria;
quell'andare lento e grave, quel rumore monotono e cupo dei carri
che facea tremare i vetri delle finestre, e quei robusti artiglieri
pensosi, seri, ravvolti nei loro grandi mantelli grigi; tutto, insomma,
l'assieme di quel tremendo convoglio metteva nell'animo una profonda
mestizia. Molte carrozze, con entro ufficiali feriti, venivan dietro
l'artiglieria adagio adagio, fermandosi ogni volta che la colonna
ond'eran preceduti si fermava. Comunque vi formicolasse una tanta
e tale moltitudine, pure, all'infuori del rumore dei carri e delle
carrozze, regnava in Goito un alto silenzio come di città disabitata.
I corpi della mia divisione s'erano accampati sulla sinistra della
strada che conduce da Goito a Cerlungo e va oltre fiancheggiando la
destra sponda del Mincio. I campi avevano un aspetto melanconico.
Non vi si vedevano che pochi gruppi di soldati sparsi qua e là, che
spiegavano le loro tende fradice e ripulivano i panni e le armi;
tutti gli altri stavan sotto le tende; ad ogni momento nuovi soldati
sopraggiungevano, erravano incertamente pel campo in cerca della loro
compagnia, e, come la più parte avevan perduto lo zaino ed i bastoni e
la tela, stavan poi là in piedi accanto alle tende dei compagni, colle
mani in mano, mortificati, imbronciti, a guardarsi attorno con quella
cera di chi non sa che pesci si pigliare. In quei campi non si sentiva
alcuna voce, alcuno strepito; vi regnava una quiete stanca e severa.
Raggiunto il campo del mio reggimento, andai a gettarmi subito sotto la
tenda e sedetti, senza parlare, accanto ai miei compagni, che da più
d'un'ora erano là. Non ci salutammo, non iscambiammo una parola, non ci
guardammo neppure in viso; stemmo là muti e immobili come smemorati.
All'improvviso, sentiamo un grido acuto a pochi passi fuor della
tenda; un altro grido più lontano; un terzo più presso: dieci, cento,
mille voci prorompono come di concerto da tutte le parti del campo, e
s'ode un rumor diffuso di passi concitati. Che è questo? Ci slanciamo
fuor della tenda. Oh che magnifico spettacolo! Tutto il reggimento
affollato correva di rapidissima corsa verso la strada di Goito; e
non solamente il nostro, ma quel che avevamo a destra, e quello di
sinistra, e gli altri più lontani, tutti volavano verso la strada colla
furia d'un assalto. Guardai in faccia ai soldati; eran faccie mutate,
convulse, radianti; e mandavano alte grida di gioia, e fragorosi e
prolungati scoppi di battimani si elevavano al cielo da tutte le
parti del campo. Volammo verso la strada; passarono due carabinieri a
cavallo colle sciabole nude; apparì una carrozza...; tutte le teste si
scoprirono, tutte le braccia si sollevarono, un solo e poderosissimo
grido proruppe dalle mille bocche della moltitudine accalcata; la
carrozza passò; i soldati se ne tornarono.... Ma il campo mutò aspetto
improvvisamente; si riaccese in tutti la speranza e la fede; nessuno
rientrò nelle tende; in ogni angolo del campo si levò e durò fino a
sera uno strepito pieno di gaiezza e di vita; le bande risonarono le
note marcie, vecchie e care compagne dei nostri entusiasmi, e il nostro
cuore risentì per un momento i divini palpiti di due giorni prima.--Oh
si combatterà ancora! noi dicevamo; si combatterà ancora!
--Chi c'era in quella carrozza?--domandò Carluccio con viva curiosità.
--Il Re.--

VIII.
--Signori miei,--ci disse il medico la prima volta che Carluccio si
levò,--sono in dovere di dirvi che questo ragazzo ha assolutamente
bisogno di tornarsene a casa. È guarito; ma il menomo strapazzo gli può
riuscire fatale. Forse tra pochi giorni, fatta la pace, volteremo le
spalle a Venezia, ce n'andremo a Ferrara, e da Ferrara Dio sa dove; ci
metteremo in corpo la piccola bagattella di quindici o venti giorni di
marcia, o anco di più, ed è impossibile che questo ragazzo ci segua;
egli ha bisogno di quiete, di riposo, e non di marciar sette ore al
giorno e di dormire sull'erba. Questa non è vita per un fanciullo
convalescente; ne converrete anche voi.--
E ci lasciò. Restammo qualche tempo soprapensiero. Ma alle parole del
medico, per quanto si scavizzolasse a cercarle, non c'era ragioni
da opporre. Ch'egli ritornasse a casa era una necessità evidente,
imperiosa; ma come farlo tornare? Ma a qual casa ei tornerebbe,
povero infelice? Alla sua, per morirvi di crepacuore? No, certo; e
dove dunque? Si pensò, si consultò, si discusse, e non si riusciva a
concludere nulla, e si era già quasi in procinto di non far caso dei
consigli del medico, quando un ufficiale padovano, un giovanotto di
tanto cuore che a darne un po' per uno a tutto il reggimento gliene
sarebbe avanzato, uscì fuori a dire:
--Me ne incarico io, solo ch'io sappia il suo cognome e dove sta di
casa. Lo metterò sotto la protezione della mia famiglia; scriverò a
casa oggi stesso. Protetto dai miei potrà tornare colla matrigna, e
se ci sarà bisogno ce lo piglieremo in casa e ce lo terremo fin che
occorra; ve ne do parola; va bene?--
La proposta fu accolta con un generale «benissimo» e un gran batter di
mani sulle spalle al proponente che gli fece sollevare dalla tunica
tutta la polvere presa alla manovra.
--Ora viene il difficile però!--egli soggiunse liberandosi da noi con
un paio di pizzicotti ben'azzeccati.
--Che cosa? si domandò.
--Persuaderlo.--
Risolvetti d'incaricarmene io, e ci separammo.
La sera di quello stesso giorno, prima del calar del sole, mentre
stavamo in dieci o dodici a chiacchierar di bubbole accanto alla
baracca del vivandiere, quello stesso ufficiale padovano di cui dissi
poco fa, levò la voce sopra il cicalìo della brigata, ed esclamò:
--È stato concluso un nuovo armistizio; possiamo allontanarci dal
campo; chi viene a veder Venezia?
--Io--risposero tutti ad una voce.
--Andiamo subito?
--Andiamo subito.--
E tutti si mossero.
--Carluccio, vieni con noi, andiamo a veder Venezia.--
Dal nostro campo, situato in vicinanza di Mestre, Venezia non si
vedeva; ma in assai meno d'un'ora potevamo condurci in un punto di dove
ell'era visibilissima; quel punto, voglio dire, in cui dalla grande
strada che corre fra Padova e Mestre si dirama, dalla parte di Venezia,
una piccola via, la quale sopra un argine assai rilevato giunge sino
a Fusina, sulla spiaggia della laguna. In quel luogo v'è un gruppo di
case di campagna e una locanda nota e cara per due dei più graziosi
visini ch'io m'abbia mai veduto dacchè porto questi occhi. Pigliammo
la via di Padova e ci dirigemmo a quelle case. Appena oltrepassata la
locanda, che delle case era l'ultima, ci si doveva presentare allo
sguardo, tutta ad un tratto, Venezia. La più parte di noi non l'aveva
mai veduta; e però, come fummo giunti presso al casale, ci cominciò
a battere il cuore molto forte. La vedremo finalmente, si pensava,
la vedremo codesta benedetta città; ancora cinquanta passi; ancora
quaranta; ancora.... oh come mi tremano le gambe! Ancora venti passi,
dieci.... Qualcuno si soffermò e si guardò intorno sorridendo come
per dire:--Oh vedete un po' come sono ancora ragazzo! Ancora cinque
passi.... Eccola!--Un fremito mi corse da capo a piedi, e il sangue mi
si rimescolò precipitoso. Restammo tutti immobili e senza parola.
Dinanzi a noi si stendeva un vasto spazio di terreno incolto e nudo,
sparso qua e là di guazzi e di larghi pantani, dopo il quale si vedeva
in lontananza luccicare un tratto di lacuna e al di là di questo,
Venezia. Essa ci appariva, come a traverso di una nebbia rada, in un
lieve colore azzurrino, che le dava un non so che di delicato e di
misterioso. A sinistra, quel suo ponte immenso, stupendo; a destra,
lontano lontano, il forte di San Giorgio, e più in là molti altri forti
sparsi per le lagune, che apparivano appena come punti neri. Era uno
spettacolo maraviglioso. Il luogo intorno intorno era deserto, e tirava
una brezzolina che faceva stormir forte gli alberi vicini; unico rumore
che si sentisse.
Nessuno parlava, tutti contemplavano attonitamente Venezia.
--Orsù!--gridò all'improvviso uno de' miei compagni, un bell'umore,
amico un po' troppo tenero, se si vuole, delle bottiglie e del baccano;
ma buon ragazzo quanto altri mai.--Orsù, non istiamo qui a fare i
sentimentali. Chi lo beve un dito di vino?--
Qualcuno gridò di sì, altri assentirono coi cenni, Carluccio corse alla
locanda, e noi ci sedemmo lungo il ciglio dell'argine vôlti dalla parte
di Venezia.
--Ecco l'amico dei galantuomini!--esclamò quel mio amico accennando
il vino che giungeva.--Mano alle bottiglie, su i bicchieri!--Si sa,
noi militari, in campagna, non si sta lì alla goccia; si tracanna a
occhi chiusi, e però non è a maravigliarsi se dopo qualche minuto vi fu
qualcuno che si sentì in vena di cantare.
--Di', tu, padovano, insegnaci una bella barcarola, tu che ne sai tante
e ce le urli nell'orecchio dalla mattina alla sera, volerti o non
volerti sentire.--
E tutti gli altri:--Sì, insegnaci una bella barcarola.--
--Rivolgetevi a lui,--rispose il padovano appuntando il dito verso un
suo vicino, che pizzicava di poeta e di tenore.--Fategli improvvisare
una romanza a lui, che è del mestiere.
--Bravo! Sicuro!--esclamarono tutti gli altri in coro.--Animo, signor
poeta, fuori la romanza, fuori la musica, fuori la voce, e presto,
e senza farsi tanto pregare, com'è uso di voi altri accozzatori di
strofe.--
Credo che il mio amico, a cui erano rivolte queste parole, avesse già
una poesia bella e fatta nella testa, perchè accettò l'invito troppo
prontamente e con un troppo aperto sorriso di compiacenza. Ad ogni modo
però, egli non tirò fuori che dei versi dozzinali; versi da campo, che
vuol dire roba da strapazzo.
--Ci vorrebbe una chitarra....
--O dove s'ha da pigliarla qui una chitarra? Mi fai ridere.
--Aspetta, aspetta,--gridò un terzo e si diresse di corsa verso la
locanda. Indi a poco, tornò con una chitarra in mano:--Voleva ben dire
io che non s'avesse a trovare una chitarra qui a poche miglia dalla
città delle gondole e degli amori notturni. To'!--
Il poeta (scusate) prese la chitarra, si pose in atto di sonare: tutti
gli si strinsero attorno, tacquero, e stettero aspettando.
--Sentite. Prima vi recito i versi, strofa e ritornello; poi la strofa
la canto io e il ritornello lo cantate voialtri; va bene?
--Benissimo. Animo, cominciamo.--
Ed egli incominciò:
Pur ti saluto anch'io,
O Venezia immortale!
Che infinito desìo,
Cara, io n'avea nel cor!
Che divino m'assale
Entusiasmo d'amor!
--Ma che! ma che!--interruppe schiamazzando quello stesso originale
che avea fatto la proposta di bere;--cos'è cotesta roba? Non vogliamo
delle malinconie noi, vogliamo star allegri; ci vuole una barcarola, ci
vuole; ma che «immortale» ma che «disìo» ma che «fremito», ma che mi
vai fantasticando, caro il mio poeta? Ti paion musi questi da fare i
sentimentali?--
Tutti quelli che aveano alzato il gomito più del dovere approvarono
clamorosamente.
--Bel gusto,--io risposi,--fare i buffoni! Oh ne abbiamo proprio di
che, con questa probabilità che c'è in aria di dover rimetter la
sciabola nel fodero, e ripigliar gloriosamente la via di Ferrara e
tornarsene chi sa dove a menar la vita papaverica della guarnigione! Oh
abbiamo proprio di che fare i buffoni!--
I «sentimentali» si dichiararono dalla mia, i bevitori insistettero, il
poeta tenne duro, e la brigata si divise in due. Una metà si scostò da
noi di alcuni passi, e accesi i sigari, seguitò a trincare col miglior
gusto del mondo; l'altra metà ripigliò il canto interrotto.
--Vi canteremo un ritornello anche noi, signori poeti
piagnoloni!--gridò uno dei baccanti alzando il bicchiere: tutti gli
altri risero.
--Cantate pure!--si rispose dalla nostra parte.
E il poeta (scusate) ripigliò:
Che divino m'assale
Entusiasmo d'amor!
E il coro:
Sì, Venezia immortale,
T'abbiam tutti nel cor.
E i baccanti:
Che poeta bestiale!
Che cane di tenor!
E lì una gran risata.--La vocina di Carluccio si sentiva distintamente
in mezzo a tutte l'altre, sottile, tremola, armoniosa.
Da capo:
Ma pur mentr'io ti miro
E canto e ti sorrido,
Perchè un lieve sospiro
Come di mesto amor,
E non di gioia un grido
Prorompe dal mio cor?
Il coro:
Ti guardo, ti sorrido,
Ma non ho lieto il cor.
E i baccanti:
Invece io me la rido,
È il partito miglior.
E qui un gran frastuono di bicchieri e un altro rumoroso scoppio di
risa; il sole era scomparso, e la brezza alitava fresca più che mai.
Ahi! da questa contrada
Che in noi si affida e spera
Ahi! non la nostra spada,
Non l'italo valor,
Ma una virtù straniera
Caccierà l'oppressor!
E il coro:
Quanto è mesta la sera
Con tal presagio in cor!
E i baccanti:
Che squisito barbèra!
Che spuma! Che color!
Questi due ultimi versi furon cantati con meno vivezza degli altri.
Che la solitudine del luogo, e il morire del giorno, e la vista di
Venezia che si andava popolando di lumi cominciasse a mettere un po' di
malinconia anche nel cuore dei baccanti?
O madre, sul tuo seno
Vorrei chinar la testa,
E sciorre al pianto il freno,
E infonder nel tuo cor
Questa dolcezza mesta
Che mi sembra dolor.
E il coro:
Vorrei chinar la testa
Di mia madre sul cor.
E due voci dell'altro gruppo:
Non mi romper la testa, Fammi questo favor.
Gli altri non risero più. Fu ripetuta altre due volte l'ultima strofa.
I baccanti non fecero più parola e si voltarono tutti verso Venezia.
Cantammo una quarta volta l'ultima strofa; ma Carluccio non la cantò
più; ne aveva compreso il significato, povero ragazzo, e gli si era
stretto il cuore; l'ora, il luogo e quella stessa musica lenta e mesta
della canzone gli avean destato nell'anima una subita e viva tenerezza.
--Cos'hai Carluccio che tieni la faccia nascosta nelle mani?--io gli
sussurrai nell'orecchio.
--Nulla.
--Senti.... E se noi ti dessimo un'altra mamma che ti volesse bene
davvero?
Mi guardò cogli occhi spalancati. Io gli parlai lungamente a bassa
voce; egli stette ad ascoltarmi senza batter palpebra.--Ebbene?--gli
domandai quand'ebbi finito. Non mi rispose; andava strappando i fili
d'erba che aveva intorno.--Ebbene?--
Si alzò di scatto, salì di corsa sull'argine e s'andò a nascondere al
di là; dopo un momento si sentì uno scoppio di pianto così disperato
che mi fece tremare il cuore.
--Cosa c'è?--domandarono gli altri.
--C'è quello che si poteva prevedere.--Tutti tacquero e si udirono
distintamente i singhiozzi di Carluccio.
--Bisogna lasciar che si sfoghi,--disse uno;--ne ha bisogno, povero
fanciullo, e gli farà bene.
Ripigliarono la canzone:
O madre, sul tuo seno
Vorrei chinar la testa
E sciorre al pianto il freno,
E infonder nel tuo cor
Questa dolcezza mesta
Che mi sembra dolor.
Fra verso e verso si sentiva il singhiozzare stanco e lamentoso di quel
poveretto.
Lo spettacolo di Venezia, in quel punto, era incantevole.
--Zitti!--disse improvvisamente un di noi.--Tutti ammutolirono e tesero
l'orecchio: il vento ci portava or sì or no un suono fioco di trombe.
--È la fanfara dei croati di Malghera!--esclamò il padovano.
Non dimenticherò mai lo strano senso di malinconia che provai in quel
momento.
* * * * *
È inutile ch'io ripeta i pianti, le disperazioni e le preghiere di
Carluccio; basti il dire che più d'una volta la pietà ch'ei ci fece fu
tanta da metterci in procinto di mandar tutto a monte. Ma si trattava
della sua salute e tenemmo fermo. L'idea però d'una buona famiglia che
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