La vita militare: bozzetti - 02

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e tirandosi addosso una tempesta di bestemmie e d'imprecazioni. Mi
giungeva accanto, gettava la paglia in terra, metteva fuori un gran
sospirone, si asciugava la fronte e:--Signor tenente,--mi diceva tutto
peritoso--mi sono fatto aspettare, non è vero? Che vuole, ho dovuto
andare così lontano!--Distendeva la paglia sull'erba per tutta la
lunghezza d'una persona, ne ammontava una parte, vi poneva sotto il
suo zaino a mo' di guanciale, e poi volgendosi verso di me:--Tenente,
va bene così?--Buon ragazzo, io pensava, ho avuto torto a stizzirmi
con te;--va, gli diceva poi, va a riposare chè n'avrai bisogno.--Ma va
bene così? egli insisteva; se no ne vado a pigliar dell'altra.--Sì,
sì, va bene; va a riposarti, va; non perder più tempo.--Se talora, in
marcia, di notte, io mi sentiva pigliar dal sonno e camminava, come
suol farsi, vacillando e serpeggiando da un lato all'altro della via e
mi avvicinava di troppo alla proda di un fosso, una mano leggiera si
posava sul mio braccio e mi spingeva lentamente verso il mezzo della
strada, mentre una voce sommessa e premurosa mi mormorava:--Badi,
signor tenente, c'è il fosso.--E sempre lui!... Ma che cosa ho fatto
io a quest'uomo perch'e' mi debba circondar di cure e di tenerezze
come una madre? Che cos'ho, che cosa sono io perch'ei m'abbia ad amare
con tanta virtù, con tanta religione? Che merito ho io verso costui,
che non vive che per me, e che per me, ne son certo, darebbe la vita?
Per qual ragione, in qual maniera questo povero giovane dai lineamenti
rozzi, dalle mani incallite sulla vanga, dalle membra indurite nei
disagi e nelle fatiche, senza coltura, senza educazione, nato e
cresciuto in un romito abituro di campagna, ignaro d'ogni uso di vita
cittadina, s'è fatto peritoso e gentile come una fanciulla, e trattiene
il respiro per non destarmi dal sonno, e mi sfiora i panni colla mano
per rimuovermi da un fosso, e mi porge una lettera tenendola colla
punta delle dita quasi temesse di profanarla, e si sente felice d'un
mio sorriso benevolo, d'una mia parola garbata, d'un mio cenno, d'un
mio sguardo che voglia dire: Va bene?... Com'è questo? Ah! bisogna pur
dire che il cuore umano impari sotto questi panni dei palpiti nuovi
e sconosciuti a chi non è soldato o non fu. La gente non suppone in
noi altri affetti fuori di quelli che ci tempestano nell'anima nei
giorni di guerra; in verità che la gente ci conosce ben poco; essa
non sa che a fare il soldato il cuore non solo non invecchia mai, ma
ringiovanisce e si riapre alle tenerezze più soavi della prima età, e
in quelle vive e si esalta, assai più che nelle procellose e tremende
gioie della guerra.... Oh! chi non è soldato non comprenderà mai che
cosa sia l'affetto che mi lega a questo giovane! È impossibile. Bisogna
aver passato molte notti al bivacco, aver fatto molte marcie nel mese
di luglio, essere stato molte volte d'avamposto sotto una pioggia
dirotta, aver patito la fame e la sete tanto da svenirsi, e aver avuto
sempre al fianco un amico che vi ha steso addosso il suo cappotto per
ripararvi dal freddo, che vi ha asciugato i panni, che vi ha porto un
sorso d'acqua, che vi ha offerto un tozzo di pane, privando sè di quel
che porgeva a voi. Servitore! domestico! E v'è chi lo chiama così!
Oh (esclamava facendo un atto come di sdegno e di ribrezzo) è una
bestemmia! Sì...., perchè quando quest'uomo mi si affaccia là sulla
soglia, e mi saluta, e mi fissa in volto quel suo sguardo pieno di
sommessione timida e amorosa, sento che tanto è rispettoso il cenno
che gli faccio io perchè abbassi la mano quanto è rispettoso l'atto
che egli fa per alzarla.... E quest'uomo mi abbandona,--mi lascia
solo,--parte,--non tornerà più! Ma no! no! io lo andrò a trovare, io!
Lo andrò a cercare quando sarà in congedo; il nome del suo paesello lo
so, domanderò quello della sua parrocchia, quello del suo poderetto,
correrò là, lo sorprenderò a lavorare nei campi, lo chiamerò per
nome.--Non riconosci più il tuo uffiziale?--Chi vedo! Tenente! Lei qui!
egli mi dirà tutto commosso. Sì, sì! avevo bisogno di vederti! Vieni
qua, mio caro soldato, abbracciami.--
In questo punto sentì su per le scale un passo leggero, lento ed
ineguale, come di chi salga titubando e cerchi di indugiare la salita.
Tende l'orecchio senza volger la testa; il passo si avvicina; si sente
una stretta al cuore; si volge, eccolo,--è desso,--è il soldato.
Aveva la faccia turbata e gli occhi rossi; salutò, fece un passo
innanzi e stette guardando il suo uffiziale. Questi tenea la testa
rivolta dalla parte opposta.
--Signor tenente, io parto.
--A rivederci--gli rispose questi stringendo le labbra ad ogni parola
e continuando a guardar altrove.--A rivederci.... Fa buon viaggio....
torna a casa.... lavora.... continua a vivere da buon figliuolo....
come hai vissuto finora e.... a rivederci.
--Signor tenente!--sclamò il soldato con voce tremante e facendo un
passo verso di lui.
--Va, va, che non ti passi l'ora; va; è già tardi; sbrigati; presto.
E gli porse la mano; il soldato gliela strinse fortemente.
--Fa buon viaggio.... e ricordati di me, sai? Ricordati qualche volta
del tuo uffiziale.
Il buon giovanotto voleva rispondere, tentò di mandar fuori una parola
e mandò un gemito; serrò un'altra volta quella mano, si volse, guardò
la porta, guardò di nuovo l'uffiziale che continuava a tener la testa
vôlta dall'altra parte, fece un altro passo innanzi....--Ah! signor
tenente!--esclamò singhiozzando, e fuggì.
L'altro, rimasto solo, si guardò attorno, stette un po' di tempo
coll'occhio immobile sul limitare della porta, poi appuntellò i gomiti
sul tavolino, appoggiò la testa sulle mani, due grosse lacrime gli si
formarono nel cavo degli occhi, vi luccicarono dentro un istante e gli
scesero giù per le gote rapidamente come se temessero d'essere vedute.
Egli si passò la mano sugli occhi, guardò il sigaro, era spento; ah!
questa volta erano lacrime davvero; abbandonò la testa sull'un dei
gomiti, e le lasciò scorrere tutte, chè ne aveva proprio bisogno.


L'UFFICIALE DI PICCHETTO.

Dopo aver fatto battere i _colpi del silenzio_, l'ufficiale di
picchetto diede un'occhiata in giro al cortile del quartiere, non
c'era più nessuno; s'affacciò alle scale che mettono ai cameroni,
nessuno; alzò gli occhi ai terrazzini, nessuno; uno sguardo al portone,
chiuso; una sbirciata nel corpo di guardia, c'erano tutti; i lumi sui
pianerottoli e nei corridoi c'erano, le sentinelle c'erano, i piantoni
c'erano; tutto era in ordine, tutto era quieto, il reggimento dormiva.
Che restava da fare all'ufficiale di picchetto? Niente, dormire. E così
pensò di fare. Volse ancora una volta gli occhi intorno, di sopra,
di sotto; si avvicinò alla porta della cantina, la tentò colla mano,
era chiusa; tese l'orecchio, nessun rumore.--Ora me ne posso andare a
dormire,--disse fra sè, e si mosse verso la sua camera. Mormorò prima
qualche paroletta nell'orecchio al sergente di guardia:--Siamo intesi,
eh?--e avutone in risposta un rispettoso:--Non dubiti!--accompagnato
da un posar della mano sul petto in atto di coscienziosa promessa,
entrò, chiuse, si levò berretto, sciabola, sciarpa, si accostò al
letto, accomodò la rimboccatura delle lenzuola, portò la destra al
primo bottone della tunica.... Ma--e la ronda?--pensò facendo un lieve
cenno col capo come se movesse la domanda ad un altro; e, preso il
lume in atto dispettoso, si andò a piantare diritto come un palo
dinanzi alla tabella dell'orario, affissa ad una delle pareti sotto
il ritratto del Re. Puntò l'indice in fondo al foglio e cominciò a
farlo serpeggiare sotto le righe leggendo rapidamente e masticando le
parole in suono inarticolato e stizzoso, finchè si fermò ad un tratto
e pronunciò con voce distinta: Ronda nell'interno delle camerate, alle
undici.--Ih!--soggiunse tosto ritornando verso il letto e battendo con
forza il candeliere sopra il tavolino, n'ero ben certo io!--e stava lì
dritto, immobile, cogli occhi fissi sul guanciale, e le mani in atto di
sbottonare la tunica.
Ronda! Ronda!--prese a dir poi, facendo lentamente uscir dall'occhiello
bottone per bottone;--dopo essere stati in piedi tutto il giorno, dopo
aver corso di qua e di là e di su e di giù senza un minuto di requie,
ed essersi sfiatati a gridare dalla mattina alla sera, viene finalmente
l'ora di posar le ossa in un po' di letto e godere un momento di pace;
ma nossignori, c'è la ronda! la ronda alle undici. Voi dovete pigliare
in mano la vostra brava lanterna e da capo a girare, a frugare, a
strillare, e perchè tutti siano a letto, e perchè la cantina sia
chiusa, e perchè non aprano il portone, e perchè nessuno se la batta
dalle finestre, e dàgli e dàgli, che la durerà fin che la può durare.
Finalmente....
Intanto aveva gettata la tunica sopra una seggiola accanto al letto.
--Finalmente sono di carne anch'io come tutti gli altri, e la pelle pel
servizio non ce la voglio lasciare; oh no di sicuro. Già a questo modo
non si va più avanti; è impossibile. Senza burle, non c'è nemmeno tempo
per mangiare, non c'è; e la tabella è lì che lo può dire. Niente di più
facile...
E i calzoni erano andati a far compagnia alla tunica.
--Niente di più facile che metter fuori un orario, seduti a tavolino,
con un buon pranzo in corpo e un sigaro da sette in bocca; niente di
più facile. Il guaio è per i poveri diavoli che ci hanno da stare,
all'orario. Gli è sempre in basso che si sgobba. Che un povero
uffiziale di picchetto non abbia tempo a fare un po' di chilo, o che
importa a certi signori? Sgobbi, sgobbi; e se sgarra, dentro. In fin
dei conti....
E le mutande erano andate a riposar coi calzoni.
--In fin dei conti poi, chi ha da capitare qui a quest'ora, alle dieci?
Chi si piglierà la scesa di testa di venire a vedere se io faccio o non
faccio la ronda? Fuori, un freddo da cani, un vento che fa gelar la
faccia; una strada poi, che c'è da rompersi il collo ad ogni passo. Il
colonnello sta dall'altra parte della città, e poi non è solito a far
delle sorprese. Il maggior di servizio.... oh quello lì è ammogliato
e non c'è pericolo che si risolva a venire. Il capitano d'ispezione a
quest'ora è là che fa la sua partita a tarocchi e non gli salta certo
il ghiribizzo di trascinarsi fin qua. E poi, e quand'anco venisse?
Convien pure....
Intanto s'era ficcato nel letto, tutto tremante di freddo, e
rannicchiandosi e rivoltandosi mollemente sotto le coltri moveva le
labbra ad un risolino di voluttuosa poltroneria.
--Convien pure che picchi per farsi aprire. E prima che il caporale di
guardia l'abbia sentito, e si sia mosso, ed abbia trovato il buco della
serratura, ed abbia aperto, son cinque minuti che corrono ed io ho
tempo di vestirmi o bene o male, volare alla porta, aprirla, afferrar
la lanterna nel corpo di guardia e via nei cameroni a recitare la mia
parte....
E qui die' un gran soffio nel lume, si tirò le coperte sul capo, si
voltò sopra un fianco, cercò una comoda positura e chiuse gli occhi,
pensando:--e via nei cameroni a recitar la mia parte. Oh gli è pure un
gran gusto il cacciarsi in un letto dopo aver faticato tutto il giorno!
Che mestiere! E dire che con tutto il mio buon volere non ne indovino
mai una, con quel barbone di capitano. La carne è cruda? Di chi è la
colpa? Mia. Le scale son sudice? Chi ne ha il torto? Io, diavolo. I
cameroni sono in disordine? Chi se la piglia la parrucca? Io, io,
sempre io, non altri che io.--Oh che buon letto.--E a sentir certuni
noi siam gente che non ha altro da fare che empir di fumo i caffè e dar
dietro alle ragazze. Venite a provare, venite, ora che _tutto il mondo_
è in aspettativa.... e con quel fior di stipendio.... e le imposte....
A mano a mano, divagando in questa difesa di sè stesso, i pensieri e le
immagini gli si intorbidarono; il capitano, il maggiore, la moglie, le
aspettative, le imposte si confusero in una mescolanza bizzarra che si
dileguò a poco a poco, a poco a poco.... Sonno profondo.
Ma non s'era addormentato senza un po' di inquietudine, senza un po'
di rimorso. Ogni volta che gli veniva in capo l'idea della ronda ei si
sentiva dentro un po' di stringimento. Lo stesso accade al discoletto
che mancò alla scuola per andar coi compagni a far alle palle di neve:
l'immagine del maestro e della mamma lo assale a quando a quando e
l'inquieta, e più ei la scaccia da sè, più quella ritorna importuna e
piccosa come una mosca.
Sognò. Cominciarono a passargli per la mente l'un dopo l'altro, que'
dieci o dodici soldatacci indisciplinati che in tutti i reggimenti
salgono in fama per iscappate notturne e baraonde di bettola e
furfantesche imprese condotte a termine fortunatamente; altri celebri
per _farla franca_; altri famosi invece per consegne e per prigioni e
per lunghe appendici al _numero diciotto_; e gli pareva che ciascun
d'essi, passando, gli bisbigliasse a fior di labbra:--Dormi, dormi, chè
te la faccio.--E si dileguava. E gli passavano dinanzi, col sigaretto
in bocca e un mazzettino di fiori in mano, tutti i più eleganti e più
azzimati sott'uffiziali del reggimento, quelli che portano la divisa
sulla nuca e le scarpettine col tacco fatto a punta, ed hanno l'amorosa
in città, e quando se la possono svignare un momento al chiaro di luna
non ne aspettano l'ispirazione due volte. E gli pareva che ciascun
d'essi, passando, mormorasse sommessamente:--Dormi, dormi, chè te la
faccio.--Lo stesso sergente di guardia che poc'anzi gli aveva risposto
quel rispettoso:--Non dubiti,--e gli aveva fatto quel gesto così
rassicurante, ora, ricordandolo bene, parevagli di aver notato che gli
occhi gli scintillassero di malizia e sotto i baffi avesse atteggiato
le labbra ad una smorfia sospetta, come per dire:--Va pure a dormire,
chè te la faccio.
E d'una in altra cosa, gli pareva di trovarsi in mezzo alla via,
dietro la caserma, e guardava intorno attentamente se le sentinelle
vegliassero e stessero al posto. C'erano tutte. Anzi ne scorse una
che non gli era sconosciuta; un soldato della sua compagnia, il più
coscritto, il più tondo, e il più poltrone; per giunta di vista corta
e un po' duro d'orecchio.--Ma vedete, egli pensava, se non pare che me
l'abbian messo lì per dispetto un citrullo di quella sorte, che non è
buono a niente!--E lo spiava. La sentinella allungò il collo fuori del
suo casotto, guardò a destra e a sinistra se nessuno venisse, appoggiò
il fucile in un canto, si ravviluppò nel mantello, sedette, chinò la
testa sulle ginocchia e s'addormentò. Il povero sognatore si avventò
stizzito contro quel briccone, lo ghermì per una spalla, lo scrollò,
aperse la bocca ad un'imprecazione....
In quel punto gli parve di sentire un lieve rumore sopra il suo capo;
levò gli occhi in su alle finestre. Dall'un de' davanzali spunta e si
muove incertamente una cosa nera, si allunga, discende lenta lenta,
arriva a terra; è una corda. Dopo averla accompagnata cogli occhi fino
a terra, li rialza alla finestra; vede sporgere una testa, due spalle,
tutta una persona, girare guardinga sopra sè stessa, afferrare la fune,
discendere, sparire. Dietro subito, di corsa. Già gli è vicino, già lo
raggiunge, già stende le mani a ghermirlo pei panni....
In quel punto gli si para davanti una porta; la porta della cantina.
La tenta leggermente colla mano; essa cede. Uh! che baccano! Un
acciottolio di piatti, un tintinnio di bicchieri, un urlìo di voci
rauche e dissonanti, un sonar confuso di bestemmie e di canti e un
puzzo di fumo di pipa che lo respinge indietro. Si fermò un istante;
spinse un'altra volta la porta, e si spalancò. Quale spettacolo! La
stanza piena zeppa di soldati; chi vestito, chi in farsetto, chi col
cappotto sulle spalle a mo' di mantellina spagnola e il berretto
indietro alla bravaccia; chi seduto sulle tavole, chi a cavalcioni, chi
lungo disteso sulle panche, chi sdraiato sconciamente sul pavimento;
gli occhi lustri, vitrei, istupiditi; le faccie accese; altri brillo,
altri briaco affatto; altri sonnacchioso, altri dormente sonno
profondo; qualcuno tentava di rizzarsi in piedi e ricadeva pesantemente
sopra la panca; qualche altro, riuscito a levarsi su, barcollava per
la stanza urtando e facendo tentennare le tavole e tremar sonoramente
i bicchieri e le bottiglie; in ogni parte un gran moto di carte e
di quattrini, e un trinciar l'aria colle mani a modo di scongiuri
cabalistici, e grida e risate, e tutto avvolto in un denso nuvolo di
fumo da restarne soffocati in dieci minuti.--Fuori! fuori!--pareva di
gridare al povero sognatore;--sergente! sergente! mi noti il nome di
tutti, tutti dentro, tutti ai ferri, tutti....
In questo punto gli parve di sentirsi dietro un cigolìo come di
grossa porta che si muova lentamente sui cardini; si volse, guardò
attorno, e si accorse che era nel corridoio d'entrata, vicino alla
porta del quartiere. Un'ombra nera si avanzava sospettosa rasente il
muro, come una figura di bassorilievo ambulante; moveva due passi,
si fermava, si guardava attorno, ricominciava ad andare, si fermava
un'altra volta, come avesse paura; giunse alla porta, tossì, strisciò i
piedi, ed ecco sul limitare della porta del corpo di guardia un'altra
figura, come la prima, circospetta e guardinga. Si scambiarono
poche parole sommessamente; la porta s'aperse adagio adagio, uno di
que' due spari.--Ah! lo riconobbi,--pensò il sognatore, il sergente
dell'ottava.--E si volse e ne vide un altro. Dietro a questo un terzo.
E poi un quarto. Il sergente della quinta. Il furiere della sesta.
Il furiere della terza.--Ah! traditori!--sognò di gridare--alla sala
tutti! tutti alla sala! sergente di guardia! sergente....
In questo momento gli parve di dar della mano contro qualche cosa di
cedevole e di lanoso. Si volge; è un letto. Dietro a questo un altro,
e poi un altro, e un altro ancora, una lunga fila di letti. Guarda
intorno e s'accorge d'essere in un dormentorio; un lumicino in fondo
al camerone rischiarava velatamente gli oggetti; tutto taceva; si
sarebbe sentito volare una mosca. All'improvviso uno dei dormenti
comincia a russare, dapprima leggermente, poi più forte, poi in un modo
da farsi sentir nella strada. Qualcuno si sveglia. Un vicino tende le
braccia, sbadiglia, si frega gli occhi e scappa fuori a dire:--Ohè!
non potresti dormire un po' più da cristiano?--Niente, non se ne dà
per inteso.--Hai capito di dormire un po' più da cristiano?--gli urla
più forte il vicino. Niente; gli è come parlare al muro.--Corpo di una
bomba!--esclama questi saltando giù dal letto, ora t'aggiusto io.--Se
gli avvicina, lo afferra per ambe le braccia e gli dà una scossa così
gagliarda che ne trema il suo letto e quello dei vicini. Il russatore
si scuote, si desta, intravvede, comprende, un calcio alle coperte, un
grido, un salto, è in piedi col guanciale nelle mani, e giù sulla nuca
all'importuno una botta da orbo. Questi gli rende la pariglia; il primo
incalza; un terzo accorre in sostegno del più debole; un quarto vola in
difesa del primo; s'impegna la zuffa; tutti balzan dal letto; cresce il
baccano; il lume si spegne; le schiere si confondono; un vetro è andato
in pezzi; un altro; gli zaini vengon giù dalle assicelle, le lenzuola
giù dai letti, i fucili giù dalle rastrelliere.... Il povero sognatore
stordito, convulso, cieco d'ira, sta per mandar fuori un grido poderoso
che copra quel frastuono d'inferno e inarca la persona per slanciarsi
in mezzo alla mischia....
In quel punto sentì bussare gagliardamente alla porta, e gli parve
che una voce lo chiamasse per nome. Palpitante, esterrefatto,
tutto grondante di sudore, si levò faticosamente a sedere, tese
l'orecchio, trattenne il respiro.--Tenente! tenente! il capitano
d'ispezione,--disse un'altra volta quella voce.
--Dio mio! presto, le calze, le calze; dove sono le calze? No, non
importa; i calzoni.... dove sono? Ah! eccoli.... presto. Le scarpe, ih!
non possono entrare; su, su, su, ci sono. La tunica; un braccio, un
altro.... la tunica c'è. La sciabola.... Ma dov'è in nome di Dio questa
sciabola? La sciarpa, adesso, la sciarpa, va a trovare la sciarpa....
Eccola qui; ah! finalmente....
E così vestito alla carlona, colla tunica sbottonata, senza calze,
senza cravatta, senza mutande, s'avventò trafelando alla porta,
l'aperse, guardò intorno e lo vide.... Vide il capitano d'ispezione,
dritto, immobile, rigido, colle braccia incrociate sul petto e la tesa
del berretto calata sugli occhi e gli occhi scintillanti sotto le
sopracciglia aggrottate come due carboni roventi.
--Ha fatto la ronda?
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Ora io domando: è peggio fare un sogno di questa sorte, o buscarsi una
scalmana facendo la ronda, od anco dare una stincata in qualche letto
allo scuro? Io sono per la stincata e per l'infreddatura. E credo che
la più parte dei lettori siano con me.


L'OSPITALITÀ.

Una sera, sul cadere di ottobre del mille ottocento sessantasei, un
reggimento di fanteria venne colto a mezza marcia fra San Donnino e
Piacenza da un così furioso acquazzone, che in pochi minuti i soldati
furon fradici fino all'ossa, e la via diventò tutta un pantano.
Potevano essere le nove della sera. I soldati, ravvolti il capo e le
spalle nelle coperte da campo e nelle tele da tenda, tiravano innanzi
lentamente e stentatamente, e nessuno parlava. Dopo un breve tratto di
via il reggimento si fermò; la maggior parte dei soldati si coricarono
per le prode dei fossi e presero sonno; gli altri si ripararono sotto
gli alberi che fiancheggiavano la strada.
Tonava e lampeggiava maledettamente. Cessata la prima furia del
temporale, s'era levato un vento a folate che spingeva di traverso
una pioggia minuta e fredda da cui non v'era modo di schermirsi la
faccia per quanto la s'imbacuccasse colla coperta da campo e col bavero
del cappotto. A poca distanza dalla strada appariva tratto tratto,
rischiarata dai lampi, una bella e signorile villetta, e fra questa
e la via un piccolo giardino a scompartimenti e ad aiuole, sparso di
mortelle e di vasi di fiori. Fra lampo e lampo, si vedeva muovere
l'ombra di due persone sulle tendine di una finestra illuminata.
In quella stanza, stava raccolta in quell'ora la famiglia d'un
ricco possidente piacentino, il quale soleva ogni anno protrarre la
villeggiatura fino alla fine d'ottobre, in compagnia dei suoi figli
e di una sua sorella vedova, attempata, bizzarra, e con certi fumi
di boria patrizia pel capo; ma, in fondo, di buona indole e di buon
cuore. Il salotto era mobiliato riccamente e illuminato da un'elegante
lampadario appeso alla vôlta. Due bei bimbi si baloccavano attorno
alla tavola da pranzo; un giovanetto leggeva un giornale in un canto;
dall'altro lato due ragazze di diciotto in vent'anni sedevano davanti
a un tavolino da lavoro discorrendo col fratello maggiore; il babbo
e la sorella in piedi accanto alla finestra erano assorti in una
conversazione animata.
--Con vostra buona pace--brontolava la sorella--io non partecipo nè
punto nè poco ai vostri sacri entusiasmi.
--Tanto peggio per voi; avrete molte consolazioni di meno.
--Belle consolazioni! Guardate la vostra campagna in che stato vi si
è ridotta con questo continuo passar di soldati. Ci siete stato nelle
vigne?
--Ci son stato; e per questo? Potevano fare assai peggio. Già, più d'un
grappolo per uno credo che non n'avranno preso, perchè da una mano
debbon tenere il fucile, e nello zaino l'uva non ce la possono mettere
senza sciuparla.
--Allora tanto valeva invitarli a rubare.
--A servirsi, volete dire; era inutile.
--Sarebbe stato più generoso.
--....È vero, e mi pento di non averlo fatto.
--Mi fate dispetto.--
Il fratello si mise a ridere.
--Sicuro che mi fate dispetto, perchè, scusatemi, avete una filosofia
senza sugo. Bene, sì, ammetto, sono soldati, difensori della patria,
martiri, eroi, tutto quel che vi piace, tutto quel che volete;
amiamoli, incensiamoli, idolatriamoli, passi anche questo; ma da
lontano, Dio mio! da lontano e in complesso. Tutto l'esercito insieme
lo rispetto anche io; ma i soldati uno per uno, poi.... In fin dei
conti non son altro che contadini vestiti tutti d'un colore. O che c'è
bisogno di andar loro incontro per la campagna, come fate voi, per
ringraziarli d'avervi rubato, e condurveli in casa a bere, e trattarli
a pasticcini, e accompagnarli al cancello come se fossero principi?
Il fratello continuava a ridere.
--Ridete, ridete. E ogni volta che passa un reggimento continuate a
scender giù voi e tutta la vostra famiglia a vederlo passare, e a star
là sulla porta con due ragazze di quell'età, e ne sentirete delle belle
da quei vostri guerrieri assuefatti a bazzicar le bettole, a ubriacarsi
di acquavite e a masticar tabacco. L'altro giorno intanto....
--Avete fatto un gran che d'un nonnulla. Se quella parola l'avesse
detta chiunque altro, che non fosse un soldato, non l'avreste nemmeno
avvertita. Bisogna condonar qualcosa alla gioventù. E poi son guerrieri
in fin dei conti, e non frati.
--Sì, sì, continuate pure a idolatrare il cappotto bigio, e un giorno o
l'altro vi toccherà qualche lezione.
--L'aspetto. Ma non volete capirla che non è il cappotto bigio che io
idolatro; ma proprio quei contadinacci che lo vestono, rozzi, come dite
voi, e beoni e scostumati, e quelle loro manaccie incallite, e quelle
loro faccie ossute e arse dal sole, e quelle loro fronti che per tanti
anni stettero curvate sui solchi ed ora....
--Ed ora mi fate più dispetto di prima.--
In quel punto s'udì picchiare alla porta di casa.--Dopo un minuto, un
servitore venne a dire che un soldato il quale avea smarrita la via
cercava ricovero.
--Stiamo a vedere che lo fate salir qui a ricevere i vostri
complimenti,--disse la sorella.
--Fatelo salir subito,--disse risolutamente il padrone.
--Oh!
--Subito; qui, in questa stanza.--
Il servitore scomparve.
Si sente un passo lento e strascicato venir su per le scale. Poi
un colpo come di corpo pesante lasciato cader sul pavimento;... ha
lasciato cader lo zaino. Poi il suono del fucile appoggiato alla
parete. Subito dopo la porta del salotto s'apre; eccolo sul limitare.
Pallido, cascante, grondante d'acqua, sordido di fango il viso e le
mani, e il capo inclinato languidamente sulla spalla, gira l'occhio
intorno peritoso e meravigliato.
Primo il padrone, e tutti gli altri dopo lui, gli si fanno intorno
sollecitamente.
--Avanti, avanti, giovinotto; avanti liberamente.--
Egli fa un passo innanzi, abbassa gli occhi, vede il tappeto e si
ritrae mormorando:
--Scusino.... io non avevo veduto.
--Ma che!--sclama il padrone, e lo piglia pel braccio e lo fa venire
avanti e lo costringe a sedere accanto al cammino. Egli si fa bianco
bianco nel viso, abbandona il capo all'indietro e lascia cadere le
braccia penzoloni.--Oh Dio mio!--gridano tutti insieme spaventati;
il padrone gli sorregge il capo, uno dei figliuoli gli asciuga la
fronte, l'altro gli sbottona il cappotto e gli fa odorare una boccetta
di aceto; le ragazze e le donne di servizio corrono di qua e di là,
confuse, affannate, senza saper che si fare. Finalmente ei rinvenne e
la sua prima parola fu un grazie detto con una voce trepida e fioca
che veniva schietta schietta dal cuore. In quel momento, facendogli
un po' di violenza, gli tolsero il cappotto e la cravatta, gli
fecero indossare una giacchetta, e gli avvolsero attorno al collo
un fazzoletto.--Grazie!--ripeteva il soldato opponendo una timida
resistenza;--grazie!--
--Oh che scena!--diceva intanto tra sè la sorella del padrone; ma non
diceva per l'appunto quel che sentiva. E mostrava alla figlia maggiore
le orme di fango rimaste sul tappeto; ma nell'atto stesso che le
mostrava sentiva quasi dispetto di non provare dispetto.
--O che v'è accaduto, buon giovane, che v'è accaduto?--dimandava con
viva sollecitudine il padrone di casa.--Siete malato? Siete caduto?
Eravate solo? D'onde venite?--
A voce bassa e lenta, e interrompendosi tratto tratto come se gli
venisse meno il respiro, il povero soldato raccontò tutto quel che
gli era seguìto. Era partito da San Donnino che già si trovava male
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