La vita militare: bozzetti - 04

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Tutto questo accadeva non sono molti anni in una delle principali città
d'Italia, mentre in una strada vicina al centro del tumulto passava
un drappello di otto soldati, un caporale e un sergente di fanteria
di linea, per recarsi a dare il cambio a un altro drappello, che
stava alla guardia di un edifizio pubblico in una piazzetta vicina.
Il drappello andava innanzi a passo lento, e i soldati guardavano
curiosamente di qua e di là. Appunto in quella strada appariva più viva
che altrove l'effervescenza degli animi e più risoluto e più fiero il
contegno della gente.
La pattuglia passò vicino ad un folto crocchio di que' tali figuri che
vengono a galla solamente in codeste sere, i quali colle faccie torve
ed accese discorrevano molto clamorosamente in mezzo a un circolo di
monellacci adulti, intorno a cui s'era affollata una quantità d'altri
monelli piccini. Uno del crocchio vede la pattuglia, si volta, e
appuntando il dito verso i soldati esclama a mezza voce:--Guardateli
là.--Tutto il crocchio si volta da quella parte, e l'un dopo l'altro
alzando gradatamente la voce cominciano a dire:--Già; eccoli là quei
che non mancan mai di venir fuori quando il popolo vuol far valere le
sue ragioni.--Loro? Se la fanno col calcio del fucile la ragione.--Le
baionette son fatte per forar la pancia a quelli che hanno fame.--A
loro la pagnotta non manca, capite; crepino di fame gli altri; che
importa a loro? E per chi grida ci son delle buone cartucce nella
giberna.--
I soldati si allontanavano senza voltarsi indietro. Il gruppo si mosse
e, preceduto da un'avanguardia di monelli, li seguì. In un momento li
raggiunse, e tenne loro dietro a qualche passo di distanza. I soldati
continuavano a camminare senza volger la testa. Uno del gruppo
comincia a tossire; un altro starnuta; un terzo tosse più forte; un
quarto tira su dai precordi un gran sputo e, volgendosi verso il
drappello, lo butta fuori con un gridaccio rantoloso che termina in uno
scoppio di risa sguaiate; tutti gli altri battono le mani. I ragazzi
fischiano, strillano, e, istigati e sospinti dagli adulti, si vanno
adagio adagio avvicinando ai soldati. Questi continuano a camminare
senza dar segno d'avvedersi di nulla. Quelli si avvicinano ancora e
camminano accanto a' soldati guardandoli in faccia con un muso di
me-ne-rido. Uno di loro comincia ad imitare grottescamente il passo di
scuola gridando con voce nasale:--Uno, due! Uno, due!--Un altro prende
a contraffare la stanca andatura dei soldati curvi e zoppicanti sotto
il peso dello zaino. Un terzo, messo su da uno di quegli sciagurati di
dietro, afferra la falda del cappotto del caporale, dà una tirata e
via. Il caporale si volta ed alza una mano in atto di dargli un ceffone.
--Eh! Eh!--si grida tosto intorno.--Stiamo un po' a vedere, adesso.--A
un ragazzo! vergogna!--È passato il tempo dei croati.--Si vogliono
usare altri modi, adesso!--A un ragazzo! Si provi un'altra volta.--
Uno di que' soldati, a sentir quelle parole, si morse un dito, vi
confisse i denti profondamente, e mise un gemito di rabbia e di dolore.
In quel punto, si sentì percuotere il gamellino da un pugno impetuoso,
il sangue gli salì violentemente alla testa, si voltò, allungò il
braccio e die' una manata nella spalla al monello che l'aveva percosso,
cacciandolo indietro di alcuni passi.
--Ecco! Ecco!--proruppe minacciosamente la turba.--Eccoli i
prepotenti!--Peggio dei croati! Peggio dei birri!--Oh n'avremo a veder
delle belle!--Te la faremo pagare, sai, razza di cane!--Prepotenti!
Peggio dei croati! Vergogna, percuotere un ragazzo inerme!--
E i monelli, imbaldanziti dall'ira della turba e dalla sicurezza
dell'impunità, andavan proprio a cacciar la testa tra soldato
e soldato, bisbigliando con voce rauca e invelenita:--Brutto
soldato--Prepotente--Birro--Mangia-pane a tradimento--Aguzzino--Crepa,
crepa.--
E la turba intorno:--Vergogna! Percuotere un ragazzo inerme!--
--Vigliacchi!--diceva intanto fra sè e sè il povero soldato mordendosi
or l'uno or l'altro labbro in modo che il sangue ne schizzava
fuori:--Vigliacchi! Un ragazzo inerme! Ma non sapete che ci son delle
parole che uccidono? Birro! Croato! A me! A me! Oh!--E si addentava
un'altra volta la mano scrollando la testa in atto disperato.
Dopo pochi minuti, sempre seguìto da quella gente, il drappello
giungeva nella piazza ed entrava nel suo corpo di guardia: una
stanzaccia bassa e squallida, illuminata debolmente da una lanterna. Fu
subito mutata la sentinella alla porta del palazzo, a un venti o trenta
passi dalla guardia, il drappello che v'era prima se n'andò, e i nuovi
arrivati si misero ad assestare gli zaini sui tavolacci e ad appendere
le sacche e le borraccie agli uncini.
Giunta a una cinquantina di passi dal corpo di guardia, la gente che
tenea dietro al drappello si era fermata e di là andava provocando i
soldati con atti e con parole di scherno, a cui essi facevano le viste
di non badare. Vedendo che non c'era modo nè verso di suscitare uno
scandalo, stavano già per allontanarsi quando uno di loro osservò che
il soldato in sentinella era appunto quel tale che poco prima avea
percosso il ragazzo nella spalla.
--È proprio lui?--Proprio lui.--Ma davvero?--Ma sì vi dico, è quello
stesso.--Ah, razza di cane, adesso t'aggiustiamo noi pel dì delle
feste. Aspetta, aspetta.--
E si mossero tutti verso la sentinella. A una trentina di passi, si
fermarono, si schierarono, e la stettero guardando in cagnesco. Il
soldato stava là, accanto al suo casotto immobile, rigido, colla testa
alta e gli occhi fissi in quelle bieche figure che gli si erano parate
dinanzi. Ad un tratto, si stacca dal gruppo un giovanastro cencioso,
col cappello schiacciato sur un orecchio e un mozzicone di sigaro in
bocca, si fa innanzi colle mani in tasca canterellando in aria di
corbellatura, e si viene a piantare a un quindici passi di fronte alla
sentinella, figgendole in faccia uno sguardo insolente, e incrociando
le braccia e atteggiando tutta la persona ad una sprezzante spavalderia.
Il soldato lo guardò.
Allora quel giovanastro girò improvvisamente sui tacchi e gli voltò
le spalle, dando in una gran risata di concerto cogli altri, che lo
stavano a guardare istigandolo co' cenni a farsi onore e a dar qualche
bella prova di sè.
Il soldato scrollò due o tre volte la testa, strinse le labbra e mandò
fuori un lungo sospiro, battendo ripetutamente il piede in terra come
per dire:--Ah la pazienza! la pazienza!... è una cosa dura!--
Il monello si voltò un'altra volta di fronte al soldato e, dopo un
istante di esitazione, si tolse di bocca il mozzicone di sigaro e
glielo gettò ai piedi, indietreggiando di otto o dieci passi per
mettersi al sicuro da uno scoppio d'ira e da un assalto improvviso.
Il soldato tremò, impallidì e alzò gli occhi al cielo stringendo i
pugni e arrotando i denti; gli si cominciava a offuscar la ragione.--Ma
perchè mi fate così?--diceva poi dolorosamente tra sè volgendo gli
occhi e sporgendo la faccia verso quella gente come se in realtà
parlasse con loro;--perchè mi fate così? che cos'avete con me tutti
voi altri? v'ho fatto forse qualche cosa di male? Io non vi ho fatto
niente, io. Gli è perchè ho dato un pugno a un ragazzo? Ma e lui
perchè mi è venuto a insultare? chi l'aveva provocato, lui? E chi
vi aveva cercati tutti voi altri? Che cosa volete da me? Io non ho
offeso nessuno; io non vi conosco nemmeno; io sono un povero soldato,
e faccio il mio dovere, e sto qui perchè me l'han comandato. Sì sì,
sbeffeggiatemi, fischiatemi, vi fate un bell'onore a trattare i vostri
soldati in quel modo.... come se fossero briganti, come se....
In quel punto, un torso di cavolo lanciato con gran violenza rasente
la terra, saltellando, sibilando, gli venne a cadere ai piedi.--Dio!
Dio!--egli gridò disperatamente, coprendosi con una mano la faccia e
chinando la fronte sull'altra che teneva appoggiata sopra la bocca del
fucile.--Io perdo la testa! Io non posso più resistere! Io mi brucio
il cervello!... Ma allora è inutile,--gridò poi con voce soffocata
e tremante dall'ira e dal dolore--è inutile che ci facciano portare
queste....--e die' una forte manata di sotto in su nelle due medaglie
che portava sul petto facendole urtare fra loro e risonare;--è inutile
che ci diano le medaglie perchè abbiamo fatto la guerra pel nostro
paese, se poi ci gettano in faccia i mozziconi di sigaro e i torsi di
cavolo! Ah voi volete farmi abbandonare il mio posto? Voi volete che
io tradisca la consegna? Ci foste anche cinquanta, vedete, ci foste
anche cento, non mi fareste movere di qui; mi saltaste pure addosso
tutti in una volta; io mi farei sventrare come un cane; ma al primo
venuto, almeno al primo, una palla nel petto e a due altri, almeno a
due, la baionetta nel ventre. Venite avanti, vigliacchi. Non insultate
da lontano. Sì, sì, lo capisco, è inutile che mi facciate segno, lo so
bene io che avete i coltelli nelle tasche; ma non siete mica da tanto
da piantarceli nello stomaco e alla luce del sole! Voi ce li volete
piantare nella schiena e di notte e....
Ad un tratto ruppe in un altissimo grido, lasciò cadere il fucile,
portò tutt'e due le mani alla faccia, vacillò e cadde ai piedi del
casotto: aveva toccato una sassata nella fronte.
Tutti gli altri soldati accorsero; la turba si disperse e scomparve;
il ferito fu trasportato nel corpo di guardia col viso e le mani e i
panni sanguinosi; gli fu subito lavata la ferita, fasciata la fronte,
dato da bere, e preparato un po' di letto sul tavolaccio colle coperte
da campo degli altri soldati. Mentre tutti gli si fanno attorno, e
l'affollano di domande e di conforti, e il sergente lo rimprovera
perchè non ha chiesto soccorso al primo insolentire di quella gente,
entra all'improvviso un uffiziale, e dietro a lui le prime file d'un
pelottone di soldati, e nello stesso punto, cacciato innanzi da un
vigoroso spintone, balza in mezzo alla stanza un uomo colla faccia
livida di terrore, i capelli rovesciati sulla fronte, i vestiti e la
camicia ridotti un informe stracciume. Lo avevano arrestato poc'anzi su
quella stessa piazzetta i soldati del pelottone allora arrivato: egli
aveva opposto una resistenza accanita.
Al primo apparire del prigioniero, il soldato ferito balzò dal
tavolaccio, fe' un salto verso di lui, gli si pose dinanzi faccia
contro faccia, lo fissò un momento cogli occhi stralunati ed accesi,
mise un grido che gli uscì tronco e rauco fra i denti digrignati, die'
un passo indietro, e appoggiandosi fieramente sopra il piede destro e
levando la mano sinistra coll'indice teso sul volto a quel miserabile
che lo guardava atterrito:--Ah sei tu!--urlò con una voce che gli
agghiacciò il sangue;--sei tu! ti riconosco! Tu m'hai dato del birro
nella via, m'hai rotto la testa con un sasso sulla piazza; birro! birro
a me! a un soldato! Ah!--Gli si avventò contro, lo afferrò al collo per
la giacchetta e per la camicia, lo inchiodò con una spinta alla parete,
sollevò un pugno nocchiuto, convulso, gli pigliò la mira del capo
coll'occhio bieco e sanguigno.... Tutto questo in un lampo; i presenti
s'interposero, li divisero, due soldati afferrarono e trattennero per
le braccia il ferito, un caporale sorresse quell'altro disgraziato
che stava per cadere, e tutti e due stettero così qualche momento a
guardarsi negli occhi ansando e sbuffando; l'uno, bianco dalla paura,
le braccia penzoloni e il capo abbandonato sopra una spalla; l'altro
colla faccia alta ed accesa, i pugni serrati e tutta la persona agitata
da un tremito violento. Intanto una folla di curiosi s'era radunata
davanti alla porta del corpo di guardia.
L'uffiziale guardava attonito gli uni e gli altri, e collo sguardo e
col gesto dimandava al sergente e al caporale la cagione dell'accaduto.
Il sergente, in mezzo a un silenzio generale, raccontò tutto quel
che sapeva. L'uffiziale ascoltò attentamente, stette un minuto sopra
pensiero, diede uno sguardo ai cittadini che s'erano avanzati fino alla
soglia della stanza, come per dire:--Sentite,--e poi volgendosi al
prigioniero:--Cosa faresti tu--gli domandò--a un soldato che t'avesse
tirato una pietra nella testa?... Non temere; per parte nostra non
ti sarà torto un capello; i soldati non si vendicano; stanne pur
sicuro. Lo vedi questo qui?--E indicò il soldato ferito.--Se adesso
i tuoi compagni se la pigliassero con te e ti volessero ammazzare,
egli si getterebbe fra te e loro e si buscherebbe un'altra sassata per
difenderti. Ma tienti bene a mente, e questo lo dico per tutti quelli
che mi sentono (e accennò la porta); tenetevi bene a mente questa
verità: che c'è qualcuno ancor più scellerato, più vigliacco e più
spregevole dell'assassino che salta dal cespuglio sulla strada e pianta
il coltello nelle reni al viandante senza sospetto e senza difesa; e
questo qualcuno è colui che tira un sasso nella testa a un soldato e
poi fugge a nascondersi nella folla dei curiosi e degli onesti, dove sa
che la sua baionetta non può penetrare. E poi se quella baionetta lo
raggiunge.... eravamo inermi! si grida, eravamo inermi! e s'incrociano
le braccia sul petto e si abbassa la testa e si fa le vittime!...
Eravamo inermi! È una menzogna! Voi lo sapete che vi son degl'insulti
che ci straziano l'anima, che ci offuscano la ragione, e che per noi i
vostri torsi di cavolo sono punte di coltello nel cuore.... Credetelo;
perchè i soldati si facciano rompere coraggiosamente il petto dalle
palle dei nemici bisogna che essi vadano alla guerra senza il cappotto
macchiato dalle buccie di limone dei loro concittadini; il soldato
assuefatto ai fischi del suo popolo non si assuefarà mai ai fischi
delle palle sul campo di battaglia.... Non crediate per questo che
egli serbi rancore contro di voi, e che le vostre offese possan mai
fargli intiepidire nel cuore l'affetto pel suo paese. Se domani il
paese lo manda alla guerra, egli ci va allegramente colle cicatrici
delle vostre sassate sul viso, e in mezzo agli applausi e ai saluti
dimentica i fischi del giorno innanzi, e stringe le mani che lo hanno
percosso. Ma pensate però che questo soldato che pone il suo petto
fra voi e i vostri nemici, che accorre al vostro capezzale nei giorni
delle epidemie, che spegne gl'incendi delle vostre case, che veglia le
notti alla campagna per difendere le vostre terre e le vostre famiglie
dalle bande degli assassini; pensate che questo soldato non ha che un
solo conforto, un solo compenso a tante fatiche, a tanti pericoli, a
tanti sacrifizi, e questo compenso è la stima e l'affetto dei suoi
concittadini.... Guai se glielo torrete! Le fatiche gli diventeranno
insopportabili, i pericoli gli faranno paura, la virtù del sacrifizio
troverà il suo cuore chiuso e ghiacciato, e allora.... allora pensate
che in quest'esercito avete i vostri fratelli, i vostri amici, che
domani ci sarete forse voi stessi, che un giorno ci manderete i vostri
figliuoli.... Basta così; alzati, sciagurato.--
Il prigioniero era caduto ai piedi dell'uffiziale.
--Bravo! Sicuro! Giustissimo!--esclamò con voce commossa la gente che
era sulla soglia, e a poco a poco entrò nella stanza.
--Alzati!--ripetè l'uffiziale. Quegli si alzò.--Scusi, signor
tenente--disse uno della folla facendosi innanzi e ponendosi una
mano sul petto;--quest'uomo deve domandar perdono al soldato che ha
ferito.--Tutti approvarono.
L'uffiziale interrogò collo sguardo il soldato; questi scrollò una
spalla. La gente insistè; l'uffiziale e il soldato dissero un'altra
volta di no. La folla, più vivamente commossa dalla generosità di
entrambi, ripetè con molto calore le sue istanze. Allora il prigioniero
si prostrò spontaneamente ai piedi del soldato. Metteva pietà: era
tutto stravolto e tremante; ansava forte colla faccia nascosta nelle
mani e tentava e non poteva profferire quella parola, che più che dal
volere degli astanti, gli era forse imposta dal cuore. Il soldato lo
guardò un istante in aria di compassione.
--Perdonagli!--gli disse l'uffiziale.
--Per me,--rispose il soldato con un accento che volea parer noncurante
e non l'era,--per me.... gli ho già bell'e perdonato.
--Bravo!--dissero ad una voce i soldati, i cittadini e l'uffiziale.
Intanto questi aveva acceso un sigaro alla lanterna e lo teneva fra le
dita. Il prigioniero uscì, scortato dal sergente e da quattro soldati,
asciugandosi gli occhi colla manica della giacchetta; tutta l'altra
gente, mormorando, lo seguì.
--E tu sta allegro, veh!--disse l'uffiziale al ferito battendogli una
mano sulla spalla e ponendogli coll'altra il sigaro in bocca.
Il soldato addentò il sigaro sorridendo, mandò fuori due o tre boccate
di fumo, e poi, premendone la punta tra l'indice e il pollice per farlo
meglio fumare, rispose con una faccia perfettamente serena:
--Sicuro che sto allegro.... ma capirà bene, signor tenente, che, in
fin dei conti, le son cose che annoiano.
--Oh! te lo credo!--esclamò l'uffiziale ridendo.
Tutti i soldati risero, rise anch'esso il povero ferito, e si continuò
a chiacchierar di bubbole per un altro paio d'ore, tanto che, in fin
dei conti, la fu una delle più allegre serate.... che si possano
passare in un corpo di guardia.


LA MADRE.

Allorchè l'inverno muore lentamente nella primavera, nelle sere di que'
bei giorni limpidi, queti, senza vento, in cui si tennero spalancate
per le prime volte le porte e le finestre, e si stesero fuori dei
davanzali i vestiti da estate, e si portarono sulle terrazze i vasi dei
fiori, in codeste belle sere chiare e stellate, anche le città,--non
solamente quell'eterna campagna de' poeti,--offrono uno spettacolo
vago, gentile, pieno di allegrezza e di vita. A passeggiar per le
vie, si sente di tratto in tratto nel viso un'ondata d'aria tepida,
odorosa, di che? di quai fiori? di quali erbe? non si sa; son profumi
indistinti, ignoti, che sentono di freschezza, di gioventù, di vita.
E quell'aria si aspira con voluttà aprendo la bocca e dilatando le
narici, e pare che ci rinfreschi il sangue e ci rinnuovi la vita.--Oh,
che buon'aria!--esclamiamo di tratto in tratto, e, quasi senza volerlo,
quasi senza addarcene, di cantonata in cantonata, di via in via, ci
troviamo fuori delle mura, lungo i viali circostanti alla città, nei
giardini, e scopriamo e solleviamo la testa per sentirci alitare su
tutta la fronte e scorrere fra mezzo ai capelli quella buon'aria soave.
Quelle sere non si può stare in casa, o, se ci si ha da stare, si
sta affacciati alla finestra a guardar giù nella strada la insolita
frequenza e l'insolito moto, e a rodersi del non poter discendere
in mezzo a quella gente; che andare a letto per tempo e non godere,
neppure dalla finestra, una così bella serata, ci parrebbe un peccato.
Nelle vie principali è un vero formicolìo. Le case son vote. Le
famigliuole, anche le più casalinghe, si decisero ad uscire dal
guscio; il babbo si affacciò alla finestra, guardò giù, guardò il
cielo:--Bel tempo!--esclamò, e voltosi alla famiglia che gli stava
dietro aspettando un cenno:--usciamo--disse allegramente, e dopo molto
correre e vociare di qua e di là per tutte le stanze battendo palma a
palma e mettendo sossopra la casa per cercare le vestine e i cappelli
al buio, i ragazzi son pronti e la brigatella si mette in moto. Anche
la nonna, povera vecchia, si sente quella sera fuggire qualche anno
d'addosso e, malgrado i malanni abituali, esce anch'essa, appoggiata
al braccio del nipote più savio. La comitiva si allunga giù per la
via, due a due; i ragazzi innanzi salterellano e sfringuellano tra
loro dando colla testa e colle mani nelle gambe a chi passa; i vecchi
indietro, zoppicando e tossendo, badano a scansare le carrozze e a non
perder d'occhio i fanciulli. Gli sposi di fresco e i fidanzati girano,
due a due, e rigirano per le vie più quiete e pei viali dei giardini,
stretti pel braccio, appiccicati, le teste che si toccano, le dita
che si stropicciano, le gambe che si rasentano, e lì a dire e a dire
e a dire, e a scambiarsi delle lunghe occhiate, e dei lunghi sospiri,
e delle lunghe strette di mano, esclamando di tratto in tratto cogli
occhi volti al cielo:--Com'è bella, questa sera, la luna!--La sartina
torna dalla bottega alla casa dondolando rasente i muri la personcina
leggera, e facendo le viste di non accorgersi di un cappello cilindrico
che le tien dietro passo per passo, e le si parerà dinanzi alla svolta
di quella tal cantonata, buia che è un piacere. Le fanciulle più
poverelle, che hanno lavorato in casa dal levar del sole al tramonto,
scendono, saltellando, le scale, incontrano sulla soglia della porta le
vicine che stavano ad aspettare, fan crocchio e levano un cicaleggio
garrulo e vivace, aggruppando le testoline come i fiori di un mazzetto,
e facendo rotare attorno all'indice teso il nastro delle forbici
attaccato alla cintola, e rispondendo alle parolette bisbigliate dai
giovani che passano:--Grazioso! col cuore, e colla bocca: sfacciato!--E
volgon loro, con un moto dispettoso, le spalle, non tanto però che
colla coda dell'occhio non arrivi a squadrarli dalla testa ai piedi
per veder chi sono e come sono. Altre, schierate in quattro o cinque
a braccetto, col capo scoperto, giungono fino in fondo alla via,
toccandosi nei gomiti al passar dell'uno e dell'altro, e parlandosi
nell'orecchio e ridendo forte, e volgendosi di quando in quando a
garrire con un piglio materno alle più piccine che scorrazzano attorno.
Intanto i garzonetti vengon via dalle fabbriche e dalle officine col
cappello schiacciato sur un orecchio, la giacchetta gettata a casaccio
sopra una spalla, un mozzicone di sigaro sprezzatamente addentato
e volto e rivolto fra le labbra nere; vengon giù a stormi per la
via, dimenando le spalle con quel certo vezzo sgarbato e vociando lo
stornello di moda; s'imbattono in quelle fanciulle, si accostano, dan
del gomito nel gomito, del ginocchio nei cerchi, una gran boccata di
fumo nel viso; le poverette si sparpagliano strillando, tossendo,
passando le mani sugli occhi lagrimosi. I monelli staccano coll'unghie
e tiran giù dai muri gli avvisi de' teatri; i fanciulletti fanno il
chiasso nelle piazze, e le madri, ritte in crocchio sulle porte coi
bimbi in collo, indugiano il grido consueto:--A letto!--grazie alla
tepidezza inconsueta dell'aria e alla serenità purissima del cielo.
Lungo le vie, dalle botteghe a dritta e a sinistra, si sente uno
sbatter continuo d'imposte, un suonar violento di spranghe e uno
scorrere rumoroso de' paletti negli anelli, e un darsi e un ricevere
la buona notte dagli operai che vanno a casa. Rimangono aperte le
botteghe signorili, illuminate, lucenti, dalle ampie vetrine, dalla
soglia affollata di curiosi; notevoli, fra le altre, quelle de' librai,
per quei concistori di letteratoni antiquati, tabaccosi, colle chiome
lunghe e scarmigliate, rincantucciati là in fondo a brontolar di
politica barbogia o di cartapecore dissotterrate; i caffè pieni zeppi
di avventori avvolti in una gran nebbia di fumo, e un cicalìo rumoroso
che, ad ogni aprire e chiudere della vetrata, risuona a ondate nella
via. Nelle piazze, come dissi, e nelle strade un vero formicolìo, e un
andirivieni di carrozze veloci.
Era una di codeste belle sere, quando il mio reggimento, giunto
la mattina in una delle più cospicue città d'Italia, si trovava
sparpagliato per le vie aspettando che si sgombrasse la caserma ch'ei
doveva occupare, e si desse nei tamburi per la ritirata.
I soldati erano tuttora in pieno assetto di marcia, le ghette
abbottonate sopra i calzoni, la giberna alla cintura, la sacca del pane
e la borraccia a tracolla. Stanchi della marcia e tuttora bianchi di
polvere i panni e i capelli, stavan fermi a gruppi sulle cantonate,
le spalle al muro, le braccia incrociate sul petto, l'una gamba
piegata sull'altra; o immobili dinanzi alle botteghe degli orefici a
contemplare a bocca aperta quelle vetrine tappezzate di medaglie e
di croci d'ogni forma e d'ogni colore, a cui gl'impiegati vecchi e
i maggiori anziani sogliono, passando, lanciare un'amorosa occhiata
di traverso, e un sospiro. Molti s'erano impancati nelle osterie a
rifocillarsi con un sorso di vino; altri, i meno rifiniti, vagavano per
le vie. Tutti però, o quasi tutti, avevano la cera seria, ingrognata,
e parlavano rado, sommesso e svogliato; un po' per la spossatezza e
la sonnolenza, e più per quell'attonitaggine, quello stordimento da
cui suol esser presa la mente quando ci troviamo per la prima volta in
mezzo a una città sconosciuta e rumorosa.
In mezzo alla serietà taciturna d'un piccolo gruppo di soldati che
stavan seduti sulla gradinata d'una chiesa accanto alla caserma,
spiccava in singolar modo la gaiezza irrequieta e l'incessante
parlantina di uno di loro, bassetto della persona, di forme esili
e snelle e di volto imberbe e simpatico per due grand'occhi color
del cielo, il quale saliva e scendeva e risaliva continuamente la
gradinata, saltellando a mo' di un ragazzo; e si fermava ora accanto
all'uno, ora accanto all'altro, ed empiva l'orecchio di chiacchiere a
tutti, e a questi tirava le falde del cappotto, a quell'altro levava
dal cheppì la nappina per posargliela sulle ginocchia, a un terzo
metteva le mani sugli occhi dicendogli. Indovina!--Insomma, pareva che
avesse l'argento vivo addosso. Passando davanti a quella chiesa, lo
notai; mi fermai rasente al muro opposto della via, e stetti qualche
minuto a guardarlo, pensando quale potesse mai essere la cagione di
quella tanta e così strana festività. La fisonomia aperta e piacevole
di quel soldato mi si scolpì nella memoria. Mi allontanai.
Il dì dopo mi venne fatto di sapere, per mero accidente, ciò che
avevo dimandato a me stesso la sera. Quel soldato era soldato da
quattr'anni; per una serie fortuita di casi che non importa narrare,
dal dì della sua partenza da casa fino a quel giorno, egli non aveva
ancora ottenuto un congedo, nemmeno brevissimo, per ritornare al suo
paese e rivedere la sua famiglia. Quattr'anni! A un soldato, come seppi
ch'egli era, di cuore, svisceratissimo dei suoi parenti e del luogo
ov'era nato e cresciuto, d'indole mite e pacata e abborrente da ogni
maniera di stravizzo (gli stravizzi, fatti abituali, addormentano, o,
almeno, illanguidiscono gli affetti più vivi e le memorie più care),
a un soldato siffatto quattro anni passati senza vedere la famiglia
e il paese natìo dovevano esser parsi assai lunghi! E gli eran parsi
tali davvero; si era sempre mostrato un po' malinconico; in caserma,
taciturno; fuori, per lo più, solo. Nelle ore di libertà, mentre i
suoi compagni gironzavano pei giardini pubblici facendo delle carezze
interessate ai bimbi condotti per mano dalle belle ragazze, egli soleva
misurare in lungo e in largo la piazza d'armi col mento inchiodato
sul petto, o stava seduto sur un sedile di pietra all'estremità d'un
viale solitario a disegnar dei fantocci nell'arena colla punta dei
piedi. E pensava sempre ai parenti, agli amici, ai luoghi che non
aveva più visti da quattro anni; e sopra tutti e sopra tutto pensava a
sua madre. Sua madre era una povera contadina, vecchia, infermiccia,
ma di natura gioviale e intensamente amorosa; un cuor d'angiolo. Dei
suoi figli, quel ch'ell'amava con più viva tenerezza ed anche con un
cotal sentimento particolare di sollecitudine e di pietà gentile,
era il figlio soldato; cosa naturale. E gli scriveva o gli faceva
scrivere di frequente, e le sue lettere lette, rilette e baciate e
ribaciate e portate lungamente in seno come una reliquia di santo,
avevano virtù di mitigarle d'assai l'amarezza di quella lontananza.
E così al figlio le lettere della madre. Ma sì! ci vuol altro! La
carta, alla fin fine, è carta, e le madri amorose li voglion vedere,
i figliuoli, li vogliono aver sotto gli occhi, vogliono toccarseli
colle mani e baciarseli in fronte dieci e dieci volte d'un fiato; e ai
figliuoli non basta il saper che quella cara testa dai capelli bianchi
è a casa e pensa a loro; vogliono stringersela fra le braccia, quella
testa; voglion posarci la bocca sopra, a quei capelli bianchi. E
però, così la buona vecchia come il suo caro soldato avean vissuto,
in quei quattr'anni, una vita di continue speranze e di continue
aspettazioni deluse, di malinconie, di ansietà, di batticuori. Il
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