La vita militare: bozzetti - 19

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sventura. Chi noi sapesse altrimenti, avrebbe potuto capire che cosa in
que' crocchi si diceva e si pensava, guardando in ogni camera le poche
faccie rischiarate dal lumicino posto sopra la porta.
--Lo sapete? A Grammichele hanno ucciso un carabiniere; i soldati
l'hanno trovato morto in un fosso; dicono che aveva la faccia tutta
pesta e sformata che non si riconosceva più, e le braccia e le gambe
mezzo rosicchiate dai cani.--Qualcuno domandava perchè l'avessero
ucciso.--Perchè avvelenava la gente.--Un sorriso amaro sfiorava la
bocca degli ascoltatori.--Avete intesa la notizia? A Belpasso hanno
assassinato il delegato di pubblica sicurezza.--A Monreale hanno preso
a fucilate i bersaglieri.--In Ardore hanno ammazzato e sbranato il
capitano della guardia nazionale e il sottotenente Gazzone.--Nel tal
altro paese hanno affisso ai muri un proclama in cui è detto che i
soldati bisogna scannarli e bruciarli quanti sono e distruggere dalle
fondamenta tutte le caserme....--Ma tutto questo perchè?--Perchè
avveleniamo la gente, avete capito?--
S'udiva un rullo di tamburo; la compagnia si schierava, si faceva
l'appello; metà dei soldati mancavano. Il furiere leggeva i nomi,
e ad ognuno che mancasse, il caporale di settimana, ritto accanto
a lui col taccuino in mano, gli veniva suggerendo a bassa voce:--È
infermiere al lazzeretto--, è di pattuglia in campagna--, è di ronda
in paese--, è di servizio al camposanto,--è morto,--e a quest'ultime
parole seguiva nelle file un movimento di sorpresa e un mormorio di
compassione.--Silenzio!--gridava il furiere;--attenti al servizio di
domani.--E leggeva i nomi di quelli ch'eran destinati ai vari servizi
per il giorno dopo, e il più delle volte eran quasi tutti i presenti.
Nessuno fiatava. Qualcheduno, all'udire il suo nome fra i destinati
al servizio d'infermiere negli ospedali, non poteva dissimulare un
senso di ripugnanza e di rincrescimento e alzava gli occhi scrollando
la testa.--Che cosa c'è?--interrogava subito bruscamente quello fra
i sergenti che l'avesse veduto.--Oh.... nulla--Dunque fermo.--E il
poveretto non si moveva più, ed era quella la più grave protesta che
facessero tratto tratto i più indocili e i più arditi.
Le sere dei giorni in cui il colèra aveva mietuto nel paese e fra
la truppa una più larga mèsse di vite, si vedevano tutti quei
soldati intenti all'appello con una immobilità che parevano statue,
e le loro faccie erano atteggiate a un'espressione che aveva più
dell'attonito che del triste, essendo quell'anime, più che addolorate,
sbalordite dall'eccesso delle sventure.--Il tale?--domandava il
furiere.--È stato colto dal colèra un minuto fa; l'han già portato
al lazzeretto,--rispondeva il caporale.--Il tal altro?--Il chiamato
rispondeva di mezzo alle file:--Presente--ma con una voce forzata e
manchevole, in cui si sentiva l'effetto della notizia dolorosa. E
seguiva un silenzio più profondo del consueto.
Quelle sere l'ufficiale soleva dire qualche parola d'incoraggiamento e
di conforto. Si metteva dinanzi al centro della compagnia, scorreva con
una lunga occhiata le faccie della prima riga, e diceva poi quello che
aveva a dire, terminando quasi sempre con un--fatevi coraggio--seguìto
da un leggero movimento delle file che voleva dir--grazie. Un cenno
al furiere, una parola al sergente di settimana, e poi--buona
notte--aggiungeva quasi senza accorgersene, come cedendo a un moto
imperioso del cuore, e se n'andava. E i soldati l'accompagnavano con
uno sguardo che valeva assai più d'un addio. Quante volte, uscendo da
quel camerone, l'ufficiale si sarà detto mestamente:--Forse domattina
non ci saranno più tutti i miei poveri soldati!--E quante volle i
soldati, vedendo uscir l'ufficiale pallido e stravolto, e dietro a lui
l'ordinanza coll'espressione sul volto d'un doloroso sospetto, avranno
detto fra loro:--Forse il nostro ufficiale non lo rivedremo mai più!--
Andato via l'ufficiale, il furiere distribuiva le lettere. Oh una
lettera di casa, in quei giorni, in quei luoghi! I fortunati che
sentivan dire il proprio nome, non potevan frenare l'impeto della
gioia; s'impazientivano, stropicciavano i piedi, tendevan le mani.--A
me.--Mi dia la mia.--A me non me l'ha ancora data.--E a me non me la dà
più?--Silenzio, e fermi al vostro posto!--gridava il furiere. E subito
tutti zitti e fermi come di marmo, con che sforzo, pensatelo voi, a
dover domare quella febbre. Il furiere stava lì un momento a guardarli
con un brutto cipiglio, poi dava le lettere, la compagnia si scioglieva
in silenzio, e ognuno andava a letto.
A notte avanzata, coloro che non potevano dormire udivano pei
cameroni silenziosi un rumore di passi lenti e di voci sommesse, e
levando la testa vedevano l'ufficiale di picchetto e il sergente
di settimana trascorrere lungo le file dei letti, fermarsi dinanzi
a quei ch'eran vuoti, l'uno domandarne e l'altro renderne conto,
rimanendo poi tutti e due, al momento di uscire, un po' di tempo
immobili sul limitare della porta, e come assorti in un pensiero
comune. Era ben facile l'indovinare quel pensiero!--Se accade
qualcosa--diceva sottovoce l'ufficiale,--mi venga subito a avvisare.
Speriamo che non ci sarà nulla.--Speriamo.--E questa parola era
sempre accompagnata da un sospiro, che rivelava un sentimento assai
diverso, e il più delle volte, pur troppo, assai più fondato. Forse,
un'ora dopo quell'espressione di speranza, i soldati eran desti
improvvisamente da uno scoppio di grida acute o di languidi lamenti,
e vedevano i loro compagni balzare in piedi, affollarsi attorno a
un letto, sopraggiungere a passi concitati l'ufficial di picchetto,
il dottore, i soldati di guardia, e indi a poco tutti far largo, e
quattro di quei soldati allontanarsi portando un pagliericcio con
suvvi disteso un morente, e poi un po' di bisbiglio, e finalmente
tutti un'altra volta a letto, e silenzio come prima. La mattina,
appena desti--Caporal di settimana--domandavano ansiosamente i
soldati....--ebbene?--Morto.--Morto!--E si guardavano l'un l'altro nel
viso.
In molti corpi, e in qualcuno più d'una volta, si dette il caso
che fossero nello stesso tempo presi dal colèra un ufficiale e la
sua ordinanza. E in tutti quei corpi, io l'udii raccontare cento
volte, seguì questa scena. La sera, dopo fatta la visita, il furiere
annunziava alla compagnia la disgrazia ch'era accaduta.--Chi vuoi
assistere l'ufficiale?
--Io.--Io.--Anch'io.--Ma se l'ho già detto io, è inutile che lo dica
anche tu.--Oh guarda! son padrone di dirlo anch'io.--Ma se son stato io
il primo.--Ma se ti dico....
--La volete o non la volete finire?--gridava il furiere?--Tutti
tacevano.--Lo assisterete voi--e indicava il soldato che s'era offerto
pel primo. E questi faceva un sorriso di trionfo, e quegli altri
si rassegnavano a stento. L'indomani mattina, prima dell'alba, il
generoso infermiere era accanto al letto dell'ufficiale malato, e là
passava i lunghissimi giorni, solo, muto, intento, e vegliava le notti
al lume d'una lanterna, seduto sur una seggiola in un canto della
stanza. Oh chi fosse stato là presente quando l'infermo, cominciando
a riaversi e guardandosi intorno e non riconoscendolo sua ordinanza,
domandava:--Chi sei?--e poi, inteso il nome:--Chi t'ha mandato?--E il
buon soldato rispondeva:--Son io che ho voluto venire...--E perchè?--Oh
non si può esprimere quel che rispondevano allora gli occhi di quel
soldato, e quel che passava nel suo cuore stringendo la scarna mano
che si protendeva a cercare la sua! Qualche altra volta, invece, egli
ritornava dopo pochi giorni alla caserma, e appena entrato andava a
sedere sul letto e si metteva a frugare colla spilla del fucile dentro
il luminello, che è una faccenda per cui occorre tener bassa la testa e
si possono così nascondere gli occhi.
Gli ufficiali andavano assiduamente a visitar gl'infermi negli
ospedali, e ci andavano per lo più molti assieme per aver agio
di fermarsi al letto di tutti, e così nessuno avesse motivo di
rattristarsi e disanimarsi, vedendo visitati i suoi compagni e non sè.
Quelle visite eran diventate un bisogno pei poveri malati. A quell'ora
solita essi sentivano giù per le scale il rumore di quelle sciabole,
il suono di quelle voci, correvano subito coll'occhio ad aspettarli
alla porta, e quand'essi apparivano e si sparpagliavano per le camere
dell'ospedale, tutte le faccie si rasserenavano, ed anco negli occhi
immobili dei più aggravati errava un qualche lieve lume di speranza e
di consolazione. Poveri giovani! C'era dei giorni che il rumor delle
sciabole si faceva sentire un'ora più tardi, ed essi in quell'ora
stavan tutt'occhi e tutt'orecchi al più lieve strepito, al più piccolo
moto; ogni momento credevano di sentir quei passi e quelle voci, e
andavan fantasticando quali impedimenti potevano esser sorti, quali
disgrazie accadute, e in quello stato d'ansietà il senso del male si
faceva più vivo.--E non vengono, e non verranno più, e io sto così
male, e non potrò più durarla fino a domani, e morirò solo.... oh!
eccoli!--Questo momento era d'una dolcezza da non potersi significar
con parole.
Gl'infermieri degli ospedali militari eran tutti soldati, si sa; ma
in molti paesi lo eran pure gl'infermieri degli altri ospedali, e lo
furono per tutto il tempo che non si trovò nel popolo chi volesse
prestarsi a quel servizio, neanco colla promessa di larghissime
paghe, chè la paura della morte vinceva ogni cupidità di danaro come
ogni sentimento di pietà. A quell'ufficio i soldati si offrivano
spontaneamente. L'ufficiale di settimana domandava:--Chi vuol
andare?--Mezza compagnia faceva un passo innanzi o alzava una mano.
Quando la domanda era fatta a un intero battaglione, in piazza
d'armi, in presenza di molto popolo, la risposta era uno spettacolo
solenne.--Un giorno alle falde del monte Pellegrino, presso Palermo,
sei o sette compagnie del 53º reggimento di fanteria stavano ferme
e schierate in battaglia dopo aver terminato gli esercizi, quando
il colonnello e un maggiore, tutti e due a cavallo, si vennero a
porre dinanzi alla compagnia del mezzo, e il primo fe' atto di voler
parlare. Gli ufficiali ordinarono il silenzio. Il colonnello disse ad
alta voce dello stato infelicissimo in cui versava la città,--erano i
giorni in cui il colèra infieriva più terribilmente,--degli ospedali
che difettavano d'infermieri, del debito che incombe ad ogni buon
cittadino di prestar l'opera sua a sollievo delle pubbliche sventure,
e terminò dicendo più forte:--Non v'impongo un dovere; vi esorto ad un
sacrifizio; liberi tutti di rispondere sì o no, secondo che detta il
cuore. Ma prima di acconsentire misuri ciascuno le forze dell'animo
suo e pensi che l'ufficio d'infermiere è nobilissimo, ma grave, e
non senza pericoli, e che bisogna prestarlo con gran coraggio e con
grande affetto, o rifiutarlo. Coloro che si profferiscono si mettano a
«ginocc-terr».
Quasi in un sol punto tutta la linea di battaglia si chinò come a un
grido di comando, e al di sopra delle teste apparirono ritti e distinti
i quattrocento fucili.
Il colonnello si voltò indietro e disse vivamente:--Maggiore!
Questi gli rispose con uno sguardo.
Ma dove più mirabilmente si esercitava la carità dei soldati era nel
soccorrere i poveri.
«Quando io andava in caserma,--mi raccontò un ufficiale del 54º,
ch'era stato un pezzo comandante di distaccamento a S. Cataldo,--ero
ogni giorno accompagnato da uno sciame di poveri; le donne indietro
coi bambini in collo, dinanzi ed ai lati i ragazzi colle mani tese,
lamentando e piangendo. Un altro branco d'accattoni m'aspettava
alla porta, e tutti insieme poi mi circondavano, mi si stringevano
addosso, mi afferravano per le falde, m'intronavano di gemiti e di
grida supplichevoli. Avevo un gran da fare a liberarmene, e il più
delle volte non ci riuscivo se i soldati di guardia non venivano
ad aiutarmi, rompendo la folla a furia di spintoni e di minacce. E
molte volte le minacce a voce non bastavano; bisognava por mano alle
baionette e far l'atto di ferire, e solamente allora cominciavano a
levarmisi d'attorno; ma per poco, chè s'io non ero lesto a infilar
la porta del quartiere, tornavano daccapo. Molti di quegli infelici
stavan tutto il giorno seduti in terra dinanzi alla porta; alcuni vi
dormivan la notte; nessuno poi vi mancava all'ora del rancio, quando
i soldati portavan fuori le marmitte cogli avanzi della minestra.
E allora era un rimescolamento, un urlìo da non potersi quetare
nemmeno colla forza. Affamati com'erano da non reggersi in piedi,
ognuno voleva essere il primo ad avere la sua cucchiaiata di brodo,
si gettavan tutti assieme sulle marmitte, vi cacciavan dentro le
scodelle a dieci a dieci, respingendosi e percotendosi l'un l'altro
e urlando come forsennati, donne, vecchi, fanciulli, alla rinfusa;
tutte faccie scarne, con una certa espressione tra bieca e insensata,
che destava in un punto paura e pietà; sordidi, cenciosi, seminudi,
in uno stato che mettevan ribrezzo. In que' momenti i soldati li
lasciavano fare, nè io poteva pretendere che li tenessero a dovere,
a meno che si fosse risoluti a far del male a qualcuno; ma, appena
cessata la confusione, essi chiamavano in disparte, ad uno ad uno, i
fanciulli e le donne che pel solito eran rimasti a bocca asciutta, e
davan loro da mangiare, tenendo indietro tutti gli altri che in un
momento si riaffollavano e ricominciavano a chiedere. E questo era un
affar di tutti i giorni. Non parlo dei soldati ogni momento fermati
per le vie da famiglie intere di mendicanti, attorniati, perseguitati,
tanto che s'eran ridotti a non uscir più di caserma e a contentarsi di
passeggiar nel cortile. Eppure amavano meglio di stare in quel paese
dove i poveri non li lasciavano in pace, anzichè in quegli altri dove
li fuggivano per paura del veleno; chè anzi in quello stesso esser
tanto implorati e importunati, in quel vedersi, in certo modo, fatti
schiavi della povera gente, essi trovavano una specie di compiacimento,
ed era quell'intima dolcezza che nasce dalla pietà quando la si può
esprimere ed esercitare colla beneficenza. E la pietà la sentivano
quei buoni soldati, e la beneficenza la esercitavano col miglior
cuore del mondo. Non solamente facevan delle limosine ciascuno per
conto proprio quando lo potevano e se ne offeriva l'occasione; ma
ogni volta che io, essendoci costretto da qualche supremo bisogno del
paese, ricorsi alle loro povere borse dopo aver dato fondo alla mia,
li trovai sempre tutti, non un solo eccettuato, tutti generosamente
disposti a dar tutto, fin l'ultimo sigaro, fin quel po' di vino che
bevevano la domenica coi pochi soldi risparmiati nella settimana. Non
dimenticherò mai come fu fatta l'ultima colletta per una famiglia del
paese a cui erano morti di colèra il padre e la madre; una famiglia
tutta di femmine, delle quali la maggiore aveva dodici anni.--Veda se
può raccogliere qualcosa,--dissi al sergente.--Egli mi rispose:--Vedrò;
ma c'è da aspettarsi poco o nulla; oramai n'han quasi più bisogno
loro che la gente del paese.--Capisco--gli soggiunsi;--provi ad ogni
modo; per quanto riesca a far poco, qualcosa sarà sempre meglio che
niente.--Andò su nel dormitorio; i soldati stavan tutti seduti sul
pavimento, in circolo, come attorno a una gran tavola, e mangiavano
e chiacchieravano, con quella poca allegria che era possibile in
quei giorni e in quei luoghi. Il sergente s'avvicinò.--Attenti un
momento!--Tutti tacquero.--Ieri mattina, qui in paese, sei bambine sono
rimaste senza padre e senza madre. Chi vuol dar qualcosa tanto per non
lasciarle morire di fame?
I soldati si guardarono in viso come per dirsi:--Che cosa possiamo dare
oramai? La coperta del libretto di deconto per farla bollire?
--Animo--riprese il sergente--una risposta qualunque.
Un soldato si alzò e mostrandogli un soldo nella palma della mano:--Lo
vuole?--dimandò, e fece una cera come se quasi si vergognasse d'aver
offerto così poco.
--Anche questo è qualcosa,--rispose il sergente pigliando il
soldo.--C'è altro?
--Se non si tratta che d'un soldo, ce l'ho anch'io--gli rispose un
altro, e gli gettò il soldo.
--Basta un soldo?--domandò un terzo.--Basta, sì.--Ne ho uno
anch'io.--Io pure.--E così tutti i soldati porsero l'uno dopo l'altro
il loro soldo, e il sergente, a misura che li pigliava,--bravo!--diceva
a questi, e a quegli--bene,--e a quell'altro--benone.--O che bravi
ragazzi!--esclamò poi quand'ebbe tutti i soldi nelle mani;--ma....
ancora una cosa.
--Che cosa?--dimandarono i soldati.
--Pane.
--Pane? Oh se non è che questo,--risposero alcuni,--ce n'è d'avanzo. E
prima gli uni e poi gli altri tagliarono ciascuno una fetta del loro
pan nero.
--Dove lo mettiamo?--domandò uno.
Un caporale prese una bacchetta di fucile e infilò tutte le fette di
pane che gli vennero date. I soldati ridevano.
--E adesso chi porta i denari e il pane alle bambine?--domandò il
sergente.
--Il più bello--rispose una voce. Tutti risero e approvarono.
--Eh sì, il più bello, vattel a pesca! Chi sarà questa bellezza?
--Io!--esclamò un soldato napoletano che aveva nome di essere il più
brutto della compagnia, e fra le risa dei compagni si fece innanzi,
si mise in tasca i denari, pigliò la bacchetta col pane e s'avviò
col sergente per uscire. Tutti gli altri batteron le mani.--Oh
insomma!--gridò il napoletano volgendosi in tronco verso i suoi
compagni;--la volete finire? Vergogna, ridere alle spalle di chi fa le
opere di carità!--Ed uscì mentre nel camerone scoppiava un'altissima
risata. Il sergente m'incontrò su per le scale e, credendo che io
andassi su pur allora,--ah! signor tenente,--mi disse piano colla voce
commossa,--se lei avesse visto!
Questo racconto, con poche parole di più o di meno, udii da un
ufficiale del 54º. E quel che fecero i soldati in quel paese l'han
fatto gli altri del 54º nella città di Caltanissetta, per cui questo
reggimento è stato una vera provvidenza; l'ha fatto il 18º di fanteria
a Terrasini in favore delle due famiglie che assistettero il povero
sottotenente Viale e il sergente Imberti; l'han fatto a Messina il 6º
battaglione di bersaglieri e il 10º reggimento di fanteria; l'ha fatto
il 58º a Petralia Sottana; il 38º battaglione bersaglieri a Monreale;
il 67º di fanteria e il 15º battaglione di bersaglieri a Longobucco;
il 68º di fanteria a Reggio di Calabria; i lancieri di Foggia a
Misilmeri; il 25º battaglione di bersaglieri a Rocca d'Anfo; il 7º
di fanteria a Mantova e il presidio del forte di Bard, e i cacciatori
franchi d'Aosta, e chi sa quanti altri corpi avran fatto altrettanto,
senza che ce ne sia pervenuta notizia, solo perchè nessuno dei
benefattori n'avrà voluto scrivere o parlare con chicchessia, da cui il
fatto potesse venir riferito ai giornali. Eppure anche allora c'era chi
domandava severamente al governo a che si mantenesse in arme un così
«colossale» esercito, e se si credeva di «incivilire il paese colle
baionette», e se di tante «oziose» caserme non sarebbe stato meglio
fare altrettanti ospedali, e se il danaro che si spendeva nell'alte
paghe non si sarebbe potuto impiegare a sollievo della miseria, e via
così. E queste cose si dicevano mentre il soldato divideva il suo pane
col povero, combatteva, soffriva e moriva per la salute del paese.
Qualche volta i municipi a cui i soldati avean reso più grandi servigi,
offrivano loro in compenso quei pochi danari di che potean disporre, e
questi municipi non furon pochi. Ma quei denari eran sempre rifiutati,
e si possono citare dei fatti e dei nomi. Il municipio di Licata,
verso la metà di agosto, offriva cento lire alla 9ª compagnia del
57º reggimento. La sera del 14, il capitano Pompeo Praga si recava in
caserma all'ora della ritirata per annunziare ai suoi soldati l'offerta
del municipio. Erano tutti schierati nel dormitorio, e il furiere
faceva l'appello. Il capitano l'interruppe e diede la notizia che avea
da dare, e soggiunse:
--Furiere, domani mattina prima del rancio sia ripartita la somma fra
tutti.
--Sissignore.
Segui un momento di silenzio.
--Signor.... mormorò una timida voce in mezzo alle file.
--Chi ha parlato?--domandò il capitano. Nessuno rispondeva--Chi ha
parlato?--ripetè.
--Io--rispose un soldato.
--Che cosa volevate dire?
--Volevo dire che.... quanto a me.... (e volgeva peritosamente
lo sguardo a cercare sul volto dei compagni un'espressione di
assentimento) mi pare che soldo più soldo meno.... sia la stessa cosa
per.... (e guardava un'altra volta i compagni) per noi..., e sarebbe
meglio.... mi pare....
--Avanti.
--Qui in paese c'è dei poveri....
I compagni compresero il suo pensiero e bisbigliarono:--Sicuro.--Ben
pensato.--Sarebbe meglio far così.--Ai poveri.--Sicuro.--
Il capitano lasciò quetare il bisbiglio e poi:--Sentite. Io voglio che
mi diciate tutti il vostro pensiero sinceramente. Io non vorrei che
qualcuno di voi rifiutasse l'offerta del municipio per compiacermi,
chè mi farebbe invece un vero dispiacere. E non voglio nemmeno che i
più impongano il loro desiderio ai meno. Questi denari ve li siete
meritati, avete faticato, avete sofferto, avete fatto del bene, è
troppo giusto che vi si dia questo po' di compenso. Consigliarvi a
privarvene sarebbe un'indiscretezza, ed io me ne guardo. Anzi vi dico
schiettamente che se l'accettate fate bene. Animo, siate franchi; se
c'è qualcuno fra voi che abbia bisogno della sua parte di denaro me lo
dica senza timore e senza vergogna come lo direbbe a un amico; io non
istimerò meno chi accetta di chi rifiuta; voglio che chi ha bisogno di
denaro lo dica. Animo, c'è nessuno?--
La compagnia commossa dallo schietto e affettuoso linguaggio del
capitano rispose ad una sola voce:
--Nessuno!
--Nemmen'uno?--e tenne d'occhio tutti i volti.
--Nessuno!--ripeterono tutti, e l'accento del grido e l'espressione
degli occhi affermavano la spontaneità di quell'atto.
--Bravi!--esclamò vivamente il capitano.--Domattina andrò al municipio
e dirò a quei signori che la 9ª compagnia del 57º reggimento offre
cento lire di elemosina ai poveri di Licata.
Uscì, e quando fu nella via sentì i canti e le grida allegre dei
soldati che, terminato l'appello, avevan rotte le righe, e si
disponevano ad andare a dormire. Alzò gli occhi in su alle finestre
illuminate della Caserma e gli venne detto forte, proprio come se
parlasse a qualcuno:--Che buoni figliuoli!--
E quel che han fatto a Licata han fatto in Aosta, a Scansano, a Genova,
e in molti altri luoghi, che non giova citare per non riempir le pagine
di nomi. Ma non posso tacere di te, o bravo Zamela, zappatore del
genio, che avendo saputo le sventure ond'era afflitta la tua povera
Messina, mandasti trenta lire al sindaco scrivendogli: «Me le han date
perchè ho assistito colerosi del mio reggimento; non ho altro; ma
questo poco lo do ben di cuore pei poveri del mio paese.»
* * * * *
Le opere di beneficenza sono sempre stimabili e lodabili, anche se
il primo degli impulsi che ci movono a farle, sia il desiderio della
gratitudine e dell'affetto dei beneficati. Ma quando da quest'opere
non si raccoglie neanco il frutto della gratitudine, chè anzi, chi
ci dovrebbe amare e benedire, ricambia coll'odio la nostra carità,
e nell'offerta sospetta l'insidia, e nel benefizio il delitto; e
ciò malgrado si persiste coraggiosamente a far del bene, amando,
perdonando, senz'altro movente che la pietà, senz'altro conforto che
la coscienza, allora s'ha diritto ben più che alla stima e alla lode
che alle virtù comuni si suol dare. Voglio dire delle opere generose
dei soldati in que' paesi dove si credeva ch'essi spargessero il veleno
per mandato del governo, e il popolo li odiava e li malediva. E questi
paesi furono i più.
Da ultimo, poi che s'era visto che anche i soldati morivano, che non
tutti coloro ch'essi portavano agli ospedali ne rimanevano avvelenati,
che anzi i superstiti non finivan mai di lodare la sollecitudine
e l'affetto con cui erano stati assistiti e curati, l'insensata
superstizione era sparita. Ma che i soldati avvelenassero il popolo, in
sulle prime, era una credenza universale, un convincimento profondo,
un fatto su cui non sarebbe stato lecito ad alcuno di muovere un
dubbio. Non v'era chi, occorrendo, non n'avrebbe fatto giuramento
con sincerissima fede. Ognuno teneva tenacemente per fermo, pur non
avendo visto mai nulla, che ci fossero mille indizi, mille prove
irrefragabili di quella orrenda congiura. E una di queste prove, una
delle più efficaci, il volgo la vedeva in quella stessa sollecitudine
dei soldati, in quel loro volersi ficcar dappertutto, e di tutto
immischiarsi, non chiamati, non costretti, sotto colore di esercitare
una carità, che non si poteva credere sentita da gente, com'eran essi,
pagata dal governo, sostenitrice del governo, e però necessariamente
nemica del popolo. Quella carità non poteva essere che una maschera;
quelle opere di beneficenza non potevano essere che un pretesto, un
mezzo di un secondo fine; non si poteva spiegare perchè il soldato,
istrumento d'un governo nemico, stendesse una mano pietosa al povero
e all'infermo, se non con questo ch'ei gli preparasse la morte
coll'altra. In conseguenza di questa convinzione e di questa paura è
facile immaginare come il volgo si portasse coi soldati.
Una delle città in cui più generalmente si dette fede al veneficio, fu
Catania, ov'era di presidio il 9º reggimento di fanteria. Varrà il suo
esempio per tutti gli altri paesi.
I soldati, nell'ore libere, non andavano mai soli per la città; sempre
a tre a tre, a quattro a quattro, o a brigatelle anche maggiori, per
esser sicuri dalle violenze, e imporre ritegno a chi avesse in animo
di insultarli o di far loro del male a tradimento. Andavano quasi
sempre per le vie principali, e non molto lontano dalla caserma;
qualche volta, e solamente in caso di necessità, per le vie rimote;
fuori di città mai, chè certo vi sarebbero stati provocati o aggrediti.
Ma dovunque essi andassero, o in pochi o in molti che fossero, eran
guardati bieco da tutti. Se nella via c'era un crocchio, quelli che
davan loro le spalle si voltavano prontamente indietro, tutti si
ritraevano d'un passo, e si susurravano qualcosa nell'orecchio.--Eccoli
qui--diceva forte qualcuno. E qualcun altro:--Badatevi.--I soldati
passavano, e il crocchio si ricomponeva. Molti, vedendoli da
lontano venir verso di loro giù per la via, scantonavano. Altri,
incontrandoli, giravan largo e si fermavan poi a guardarli quand'eran
passati, con una curiosità mista di orrore e di paura. Nei quartieri
della povera gente, al loro apparire alcuni chiudevan gli usci
e s'affacciavano alle finestre; altri socchiudevan le imposte e
guardavano per lo spiraglio; le donne chiamavano ad alta voce i bambini
che giocavano in mezzo alla strada, o li andavano a prendere in braccio
e li portavano in casa di corsa; i fanciulli scappavano di qua e di
là volgendosi indietro a far i visacci; e a misura che i soldati
andavano oltre, le porte e le finestre si riaprivano, e la gente
faceva capolino con gran sospetto, interrogandosi e rassicurandosi a
vicenda co' cenni. Non di rado i soldati udivano sonar nell'interno
delle case urli e parole che non potevan capire, ma che dall'accento
iroso o beffardo apparivano indubbiamente dirette a loro; e alzando
gli occhi alle finestre vedevano spuntare adagio adagio una faccia,
che, appena vedutili, si ritraeva; o non vedeano che una mano sporta
fuori del davanzale e agitata in atto di minaccia, o ferma colle dita
estreme distese e l'altre chiuse in atto di far le corna. Altre volte,
passando, si sentivan mormorare alle spalle un aperto insulto, o una
maledizione, o una parola incompresa che sonava l'una o l'altra cosa,
si volgevano e vedeano una faccia volta in su a guardar le nuvole in
aria distratta; domandar conto dell'insulto gli era un radunar gente
e provocare un tumulto; tacevano e tiravano innanzi. Talora, invece
che una parola, fischiava alle loro orecchie una pietra; tornavano
addietro, cercavano chi fosse, interrogavano i presenti; nessuno sapeva
nulla, nessuno aveva visto, nessuno aveva sentito.
Andando a pigliare i viveri, i carri del reggimento bisognava farli
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