La vita militare: bozzetti - 07

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di baionette luccicanti; tutta quella gente e pur quella sì profonda
quiete; e quelle voci monotone dei furieri gradatamente men distinte
e più fioche, dalla compagnia li accosto giù giù fino all'ultima, là
in fondo, dove la lanterna appare appena appena come una lucciola;
e poi il tacersi successivo anche di queste voci, e il misterioso
silenzio, e, a un segno di tromba, il subito rompersi delle file e lo
sparpagliarsi rumoroso; e sotto le tende, al buio, quel confuso gridìo
e quell'affaccendarsi frettoloso a comporre i letti co' cappotti, le
coperte e gli zaini, finchè a poco a poco in tutto il vasto campo si
ristabilisce la quiete e una tromba non vista impone con prolungati e
quasi lamentevoli squilli il silenzio.... è uno spettacolo che commove.
Carluccio non aveva mai veduto un campo, e ne rimase profondamente
ammirato e quasi intenerito. E ci sarebbe di che intenerirsi davvero,
chi potesse vedere dentro tutte quelle tende! Quanti moccolini accesi
segretamente in mezzo a due zaini, accanto a un foglio di carta da
lettere sgualcito, dinanzi a una faccia in cui si palesano ad un tempo
e la fatica del lungo cammino e la paura dell'ufficiale di guardia,
che pover'a noi se si avvede del lume, e la lotta penosa fra l'affetto
che prorompe impaziente e la parola che s'ostina a non venir fuori!
Quello è il luogo e quella è l'ora dei ricordi melanconici. Là, sotto
quelle tende, quando tutto tace all'intorno, là s'affollano le immagini
dei parenti lontani e degli amici del proprio paese, immagini vive e
parlanti; care, su tutte, quelle delle madri che vengono ad accomodar
lo zaino sotto la testa al figliuolo pregando dentro al core:--Dio mio!
fate che non sia questo il suo ultimo sonno!--Chi non ha versato una
lagrima, la sera, sotto la tenda, a quell'ora?
--Vieni qua, Carluccio.--
Venne, e io lo condussi sotto la tenda conica della mia compagnia, dove
m'avevano preceduto gli altri due ufficiali subalterni (il capitano era
malato); due di que' giovani pieni di cuore, che, sotto l'apparenza
d'un'indole dolce e mansueta, racchiudono un'anima capace di grandi
cose; di quei bravi soldati che, ignorati o indistinti dai più nelle
congiunture della vita ordinaria, giganteggiano improvvisamente sul
campo di battaglia, e si rivelano eroi, e fanno dire dalla gente:--chi
l'avrebbe mai detto!--Gente che ama la vita soltanto per questo, che,
quando occorre, si può spenderla a un buon fine.
La tenda era illuminata da una candela confitta in terra, e i miei
due amici stavan seduti uno di qua e l'altro di là, colle gambe
incrociate sopra uno strato di paglia che le nostre ordinanze aveano
frettolosamente raccolta in una scappatella dal campo. Appena entrati,
ci sedemmo anche noi e si cominciò a chiacchierare.
Carluccio teneva gli sguardi bassi e appena appena, quand'era
interrogato, osava levarceli in volto un momento per riabbassarli
subito dopo. Aveva ancora gli occhi gonfi e rossi dal gran piangere,
e gli tremavano le mani e la voce, e quelle non sapea come muovere o
dove tenere, e questa gli usciva rauca e fioca, che era una pietà a
sentirlo; imbarazzato e confuso come un colpevole, povero ragazzo! A
forza d'interrogarlo e di pregarlo e di fargli coraggio a parlare,
riuscimmo a snodargli la lingua e a cavargli di bocca qualcosa di più
particolare intorno alla sua famiglia. Poi a poco a poco egli pigliò
animo e s'infervorò nel discorso, confortato dagli atti d'assentimento
e di pietà che andavamo continuamente facendo alle sue parole, per modo
che, a un certo punto, noi pendevamo dal suo labbro, meravigliati e
commossi.
--Non è mia madre vera--egli diceva--ecco perchè non mi vuol bene.
L'altra che era mia madre vera e che è morta, l'altra mi voleva bene,
e molto; ma questa che ho adesso.... È lo stesso come se non ci fossi,
io, in casa; mi dà da mangiare, questo sì, e anche da dormire; ma non
mi guarda quasi mai, e quando mi parla mi parla sempre come se fossi
un.... come se avessi fatto qualche gran male; e io invece non faccio
mai niente di male a nessuno, e tutti possono dirlo, e i vicini di
casa mi vogliono più bene di lei.... Gli altri due ragazzi che sono
più piccoli di me, oh quelli lì non c'è caso che li faccia piangere!
Sono sempre ben vestiti, ed io paio uno di quelli che vanno a domandare
l'elemosina....
--Poverino!--gli disse uno dei miei amici facendogli una carezza.
--E poi essa non mi conduceva mai a passeggiare cogli altri due. Certe
volte mi lasciava chiuso in casa, solo, quelle sere di domenica che
si vede passare tanta gente nella strada, e io stava alla finestra ad
aspettare che essi ritornassero, ed essi non tornavano mai e io mi
addormentavo colla testa sopra il davanzale. Poi, quando tornavano,
essa mi sgridava; io era rimasto chiuso in casa, e loro erano andati
al teatro o al caffè, e gli altri due ragazzi me lo venivano a dire
nell'orecchio:--Noi siamo andati, e tu no, e tu no,--e poi mi facevano
anche le corna perchè io mi arrabbiassi, e se io mi metteva a piangere,
essi mi burlavano e la mamma non diceva niente. E a me quelle cose lì
mi facevano dispiacere, ecco, perchè io a loro non avevo mai fatto
niente di male, e tutte le volte che l'uno o l'altro mi veniva a far
le belle e mi pigliava la voglia di lasciargli andar giù qualche....
mi trattenevo sempre e avevo pazienza. V'era delle volte che la mamma,
quando avevano finito di mangiare, mi faceva portar via i piatti, e
mentre li portavo via i ragazzi mi dicevano:--Guattero.--Oh Dio! Se mi
avessero dato un pugno sulla testa non mi sarebbe rincresciuto tanto
come sentirmi dire quella parola.... Una volta, la sera d'un giorno
di festa, la mamma tornò a casa tardi tardi e aveva il viso tutto
rosso e gli occhi tutti lustri lustri e parlava e rideva forte cogli
altri due, e tutti e tre si posero a cenare e la mamma bevve tutta la
bottiglia del vino. E dopo che ebbero finito, mi chiamò, mi pose tutti
i piatti tra le mani, e mi disse:--To', porta via, mariuolo; è il tuo
mestiere.--E mi diede un calcio e si misero a ridere tutti e tre. Io
non dissi niente; ma quando fui in cucina posai i piatti e mi gettai
sopra una seggiola e stetti lì a piangere come un disperato, al bujo,
fin che se ne andarono a dormire. Se non era Giovannina, una giovane
che stava di casa vicino a noi e faceva la sarta e mi voleva bene, io
sarei stato sempre tutto stracciato....
--Povero bambino! ripetè il mio amico. Io gli domandai in che modo
s'era risoluto a fuggire.
--Da principio--egli rispose--io volevo scappare con una compagnia
di ciarlatani, di quei che fanno i giuochi e che quando trovano dei
ragazzi che nessuno li vuole, se li pigliano con sè; ma poi mi hanno
detto che c'è dei giuochi che per insegnarli a fare i ciarlatani
bisogna che sloghino le ossa delle spalle, e che bisogna averle
slogate fin da piccoli, e io era già troppo grande, e non sono
scappato. La mamma intanto continuava a trattarmi male e a darmi
poco da mangiare. Ma un bel giorno cominciarono a passare i soldati
dell'Italia, e tutta la gente faceva una gran festa a quei soldati,
e i ragazzi li accompagnavano fuori di città e ce n'era di quelli che
li accompagnavano anche per molte miglia; e anzi io ho saputo che
ce n'erano scappati da casa due o tre, ed erano stati via due o tre
giorni, e poi se n'erano tornati, e dicevano di aver mangiato del pane
dei soldati e dormito sotto le tende. Io pensai subito a scappare.
Mi ci provai due o tre volte; ma quando cominciava a farsi buio, mi
pigliava un po' di paura, e tornavo a casa. Ma ieri mattina mia madre
mi picchiò con una verga e mi fece molto male; guardino qui i segni
nelle mani, e poi me ne ha date anche nel viso, e tutto questo perchè
io avevo risposto:--Crepa,--a uno dei ragazzi che mi burlava dicendo
che ho le scarpe che sembrano barche; e non mi diedero nemmeno un
pezzo di pane, e po' la sera mi lasciarono solo in casa. Io stava alla
finestra colle lagrime agli occhi ed ero proprio disperato, quando
tutto ad un tratto ho sentito suonar la musica, sono uscito subito di
casa e appena vidi che erano i soldati del re che c'è adesso, di quello
che è venuto a liberare, mi sono gettato in mezzo a loro, e non li ho
più lasciati... Poi lei mi parlò.... (e mi guardava). Poi mi hanno
detto che non avessi paura, mi hanno dato da mangiare... Io avevo una
fame! E mi dissero poi ancora che mi volevano tenere con loro.... Ma io
non voglio mica star qui come un povero a mangiare il pane per niente;
io voglio lavorare.... spazzolerò i panni.... (e mi toccava la tunica),
porterò da bere, andrò a prendere la paglia per dor....--
Ci alzò gli occhi in volto, fece un atto di sorpresa e rimase attonito
a guardarci. Uno dei miei amici gli gettò le braccia al collo e se lo
strinse sul petto, mormorando:--Povero ragazzo!--
E stettero tutti e due immobili così.

IV.
Sul far del giorno, prima ancora che si sonasse la sveglia, ci destò il
rumore d'una pioggia fittissima e un violento scoppio di tuono. Misi
io pel primo la testa fuori della tenda. Nel campo, all'infuori delle
sentinelle, non si vedeva anima viva; ma tutti o quasi tutti i soldati
eran già desti. Di fatti, allo sfolgorar d'ogni lampo, sonava da tutte
le parti dell'accampamento un acutissimo e prolungatissimo brrr, come
fanno i burattinai per annunziar l'apparire e lo sparire del diavolo;
e ad ogni scoppio di tuono un altro fragoroso e prolungato grido ad
imitazione di quello scoppio. Indi a poco fu sonata la sveglia, e il
capitano di guardia chiamò gli ufficiali di settimana al rapporto per
annunziare che dentro tre ore ci saremmo rimessi in cammino. Questo
annunzio mi fece subito pensare a Carluccio. Io non m'ero ancora
domandato che cosa alla fin fine avremmo fatto di quel ragazzo.--Il
figlio del reggimento! Son due belle parole e presto dette; ma
avevamo noi il diritto di tenerlo lontano da casa? E chi si sarebbe
addossata questa responsabilità, poichè qualcuno avrebbe pur dovuto
addossarsela?--Parlai di questo agli amici e tutti convennero ch'era
necessario provvedere al rinvio di Carluccio, scrivendo al Sindaco
di Padova e rivolgendosi alle Autorità del villaggio più vicino. Era
una decisione dolorosa codesta; ma come farne a meno? Mi restava però
una speranza: e se da Padova non rispondessero? E se la matrigna non
rivolesse più il suo figliastro? L'incarico di scrivere a Padova me lo
assunsi io stesso e a gran malincuore e a stento, scrissi; ma l'altro
incarico, quello di condur Carluccio al villaggio e di consegnarlo
alle Autorità, oh questo poi non me lo volli proprio addossare.--Ci
pensino gli altri--dissi tra me;--io la mia parte l'ho fatta.--E cercai
e pregai uno per uno i miei amici perchè facessero quel che restava
da farsi.--Che c'entro io?--mi fu risposto da ognuno di loro.--Ed
io?--domandavo alla mia volta.--Ebbene, non c'entriamo nessun dei
due.--E il dialogo si troncava così. Tornai alla tenda indispettito.
--Carluccio!
--Che cosa vuole, signor ufficiale?
Bisogna che tu venga con me fino al villaggio, a pochi passi di qua.--
Un subito sospetto gli attraversò la mente; si fece serio serio, e mi
guardò fiso negli occhi. Io non aveva saputo dissimulare il mio disegno
nè col suono della voce nè coll'espressione del viso; mi voltai da
un'altra parte, e finsi di cercar qualcosa nella mia borsa da viaggio.
--Mi vogliono mandare a casa!--egli gridò tutt'ad un tratto; ruppe
in un pianto disperato, si gettò in ginocchio ai miei piedi, e ora
giungendo le mani, ora afferrandomi per la tunica, cominciò a dire con
impeto vivissimo di passione:--No, no, signor ufficiale, non mi mandino
a casa, per pietà, per pietà; io non posso tornare a casa, io piuttosto
vorrei morire; mi tengano qui, mi diano da fare tutto quello che
vogliono chè io farò tutto, e al mangiare ci penserò io.... Per pietà,
signor ufficiale, non mi facciano tornare a casa....
Io mi sentiva straziare il cuore; mi contenni un istante e poi proruppi
anch'io:--No, no, datti pace, Carluccio, non piangere, non aver paura,
non ti rimanderemo a casa, no; resterai con noi, sempre con noi, ti
vorremo sempre bene...; te lo prometto, stanne sicuro, non piangere,
povero ragazzo; non pianger più....
A poco a poco si quietò.
--Non sono proprio nato per far le parti terribili, via,--dissi tra
me uscendo dalla tenda;--non c'è altro che aspettare la risposta da
Padova, e poi.... e poi vedremo ciò che sarà da fare.--
Due giorni dopo ci accampavamo in vicinanza di Mestre, dove restammo
fermi quasi un mese, fino alla stipulazione dell'ultimo armistizio,
vale a dire fino a quando ritornammo indietro verso Ferrara.
Passano cinque giorni, ne passano sette, ne passano dieci, e la
risposta da Padova non arriva. Si scrive un'altra volta, s'aspetta
altri cinque giorni, altri sette, altri dieci, e nessuna risposta.--Che
si siano smarrite le lettere? io pensava. Niente di più facile con
questo bel servizio di posta! O che l'abbiano ricevute e, assorti
in cure più gravi, non se ne sian dati per intesi? Anche questo
è possibile. O che, bandita la voce del fatto, la matrigna, pur
riconoscendo dai contrassegni che il ragazzo in quistione era il suo,
abbia fatto orecchie da mercante, contentona che l'esercito liberatore
abbia liberato anche lei da un ospite importuno? Ah! questa è la più
probabile. Anzi la dev'essere andata così di sicuro. E in questa
certezza non si scrisse più nè a Padova nè altrove. E con che pro
si sarebbe scritto se non eravamo riusciti nè colle buone, nè colle
cattive a strappar dalla bocca di Carluccio nè il cognome suo, nè
quello della matrigna, nè la casa, nè il mestiere, nè qualsivoglia
altro indizio per cui riuscisse possibile di scuoprire la sua famiglia?

V.
Carluccio continuò a restare con noi. Si provvide subito a rinnovargli
i vestiti, perchè i suoi, già dapprima ricisi e rattoppati da tutte
le parti, oramai gli si erano sciupati del tutto in quei due o tre
giorni di marcia, e gli cadevano a brani. Un cappelletto di paglia,
una giacchettina e un par di calzoni di tela, una bella cravatta
rossa, due scarpette ben adatte al suo piccolo piede: oh povero
ragazzo, come fu contento quando gli presentammo tutta codesta roba!
Pareva che non credesse ai suoi occhi; si fece rosso, voltò la testa
da un'altra parte, aveva quasi il sospetto che gli si volesse fare
una burla, fece molte volte col gomito l'atto di respingere da sè
quell'insperato regalo, e tenne lungamente il mento sul petto. Ma
quando vide che noi cominciavamo a stizzirci un poco di quella sua
restìa incredulità e facevamo l'atto di andarcene dicendo:--Vestiremo
un altro ragazzo;--allora alzò all'improvviso la testa, fece un passo
verso di noi, accennò colla mano che ci fermassimo ed esclamò con
voce di pianto:--No! no!--Ma si vergognò tosto di quel suo pregare, e
chinò un'altra volta la testa e stette là immobile cogli occhi bassi
e pieni di lagrime. Quando poi ebbe i suoi panni in dosso ne fu tanto
imbarazzato che non sapea più nè camminare, nè gestire, nè parlare.
--Cospetto, Carluccio!--gli dicevano i soldati facendogli largo quando
passava furtivamente in mezzo a loro;--cospetto che lusso!--Ed egli
diventava rosso, e via di corsa.
Ma in capo a poco più d'una settimana si fe' vispo, disinvolto e
arditello come un tamburino; divenne amico di tutti i soldati della
nostra compagnia e di gran parte dei soldati delle altre, e di tutti
gli ufficiali del reggimento, e d'allora in poi prese a condurre una
vita continuamente operosa e utile a sè ed agli altri. Dormiva sotto
la nostra tenda. La mattina, al primo rullo di tamburo, era in piedi
e spariva. Non eravamo ancora ben desti, che già egli era tornato
dalla cucina del nostro battaglione col caffè, col rum, o con altro
che fossimo assuefatti a pigliare, e:--Signor ufficiale,--diceva con
quella sua vocina rispettosa,--è ora....--Ora di che?--si brontolava
noi con voce aspra e arrantolata, soffregandoci gli occhi.--Ora che si
levino.--Ah! sei tu Carluccio? Qua la mano.--E gli davamo una stretta
di mano che lo metteva di buon umore per tutto il giorno.
Contendeva il compito alle nostre ordinanze, voleva spazzolar panni,
lustrar bottoni e sciabole e stivali, lavar camicie e pezzuole: volea
far tutto lui, e pregava umilmente ora l'uno ora l'altro soldato che
per piacere gli dessero qualcosa da fare, che lui avrebbe fatto tanto
volentieri, e che si sarebbe anco ingegnato di far bene, e che a ogni
modo bisognava ch'egli imparasse, che aveva bisogno d'imparare, che
voleva imparare. Qualche volta noi eravamo costretti a levargli gli
oggetti di mano, e a dirgli con una certa severità:--Fa quel che ti
si dice di fare, e non cercare più in là.--E bisognava fare i severi
perchè in buona coscienza non potevamo permettere ch'ei pigliasse
l'uso di farci il servitore. Perchè, povero ragazzo? L'avevamo forse
condotto con noi a tal condizione? Egli aveva un gran timore che a
poco a poco lo pigliassimo in uggia, comunque non si facesse che
colmarlo di carezze e circondarlo di cure e di cortesie; gli pareva
che, a non lavorare, ei dovesse finire col parerci un aggravio inutile,
e però si sforzava di mostrarci ch'era pur buono a far qualcosa o
che, se non altro, aveva del buon volere. Pure il timore di parerci
importuno qualche volta lo assaliva e gli dava pena. Tratto tratto,
mentre mangiava con noi seduto in terra attorno a un tovagliolo steso
sull'erba, accorgendosi improvvisamente d'esser guardato, si vergognava
di mangiare, diventava un po' rosso, abbassava gli occhi, faceva
dei bocconi piccini piccini, e se non si badava noi ad empirgli il
bicchiere, egli non ardiva di farlo, e stava a bocca asciutta magari
per tutto il tempo del desinare. Talvolta sotto la tenda, mentre si
stava pigliando sonno, egli, all'improvviso, si vergognava di occupar
tanto spazio e di giacere sopra tanto strame, e si levava a sedere e
lo sparpagliava di qua e di là verso i nostri posti, riserbandone una
piccola parte per sè, e coricandosi poi tutto rannicchiato rasente la
tela della tenda, a rischio di pigliar qualche malanno per causa della
brezza. Non mi sfuggiva pur uno di tutti questi suoi atti, nè uno de'
suoi pensieri, e mi affrettavo sempre a dissipare le sue vergogne o
apostrofandolo allegramente:--Ebbene, Carluccio?--o stringendoli la
guancia fra l'indice e il medio con quel fare che significa:--Vivi in
pace, ti proteggo io.--Ed egli subito si rassicurava. Oh che mesta e
amorosa pietà mi metteva in cuore quella sua delicata vergogna!--Povero
Carluccio,--pensavo io, quando, ardendo ancora il lume sotto la
tenda, lo vedevo dormire quieto e tranquillo, tutto ravvolto nel mio
cappotto e colla faccia nascosta per metà dentro il berretto d'un
soldato;--povero Carluccio! Perchè non hai più madre, tu ti credevi
solo sopra la terra, e non ti immaginavi che alcuno ti potesse voler
bene! No, Carluccio; pei fanciulli senza madre e senza padre ci sono i
soldati; essi non hanno che un pezzo di pane in tasca; ma in compenso
chiudono molto tesoro d'affetto nel cuore, e dispensano generosamente
l'una e l'altra cosa a chi n'ha bisogno. Dormi tranquillo, Carluccio, e
sogna tua madre; ella certo ti guarda di lassù, ed è ben lieta che tu
sia fra noi, perchè sa che sotto i nostri ruvidi cappotti batte il suo
cuore.
Di giorno era continuamente in faccende. Andava fuori del campo a
prender acqua pei soldati quando era proibito d'uscire; e lo si vedeva
in giro in mezzo alle tende tutto carico di borraccie e di gamelle,
rosso in viso, sudante, accompagnato da una folla di assetati, che
gli si stringevano ai panni e gli facevano ressa.--Carluccio, la mia
gamella;--la mia borraccia, Carluccio;--voglio prima la mia;--no, la
mia, te l'ho data prima di lui;--e no,--e sì.--Ed egli a far cenno che
si quetassero e a sospingerli indietro:--Uno alla volta, da bravi;
fatemi il piacere; tiratevi un po' in là; lasciatemi respirare.--E
si asciugava la fronte e pigliava fiato, chè proprio gli era stanco
e sfinito da non poterne più. Di quando in quando qualche soldato lo
ricercava per farsi scrivere una lettera a casa, o per farsene leggere
e spiegare una ricevuta. Questo favore ei lo faceva con molta gravità.
Stava un momento sopra pensiero e poi diceva serio serio:--Vediamo.--Si
sedevano sotto la tenda e, dopo aver molto ragionato tutti e due
coll'indice teso verso il foglio scritto o da scriversi, finalmente
Carluccio, rimboccate le maniche della giacchetta, si metteva all'opera
agrottando le sopracciglia, stringendo le labbra e mandando fuori un
suono inarticolato che voleva dire:--È un affar serio; ma via, farò
tutto quel che potrò.--
Aiutava poi ora l'uno ora l'altro ad accomodare le tende, e ci aveva un
garbo a tirare quelle cordicelle e a conficcare in terra quei piuoli,
da far credere ch'ei non avesse fatto mai altro in vita sua.
Quando si facevano gli esercizi egli si ritraeva in un angolo del
campo, e di là ci guardava estaticamente per tutto il tempo che gli
esercizii duravano. Quando tutto il reggimento era schierato e faceva
il maneggio dell'armi, quel povero ragazzo andava in visibilio. Quel
battere sulla terra di mille e cinquecento fucili, in un colpo solo,
come un solo fucile; quel lungo ed acuto tintinnìo di mille cinquecento
baionette inastate, tolte, rimesse e ringuainate in un momento; quel
poderoso tonar dei comandi, e quel profondo silenzio delle file e
tutte quelle faccie immobili ed intente come statue; lo spettacolo di
tutte queste novità lo accendeva d'entusiasmo, gli metteva addosso una
irrequietezza, una smania di fare, di gridare, di correre, di saltare,
e tutto questo egli faceva sempre e subito appena il reggimento aveva
rotto le righe; prima no. Prima si contentava di pigliare degli
atteggiamenti eroici e di guardarci colla testa alta e l'occhio
fiero, senza accorgerssene, notate; assecondava inconsapevolmente i
moti dell'animo, come quando qualcuno, narrando, ci commove, e noi
esprimiamo coi moti del volto intento il senso e gli affetti delle cose
narrate.
Quando poi sentiva la musica del reggimento, pareva matto.
Quelle sere che qualcuno di noi doveva andare agli avamposti, egli si
mostrava di un umore un po' men gajo del consueto.--Buona notte, signor
ufficiale!--ci diceva, con un lungo sguardo, quando partivamo; e,
uscito fuor della tenda, stava a guardarci fin che non eravamo spariti.
Questi modi affettuosi e così spontaneamente gentili ei li usava con
tutti, ufficiali e soldati; e però tutti lo amavano. Quando passava
in mezzo alle tende d'una compagnia qual si fosse, era un chiamarlo
da tutte le parti, un tender di braccia per trattenerlo, un alzarsi e
un corrergli dietro dei soldati con le lettere in mano:--Carluccio,
un momento, un momento solo, una parola, solamente una parola.--Gli
ufficiali li salutava militarmente e con un'espressione di più o meno
profondo rispetto a seconda de' gradi, che egli aveva imparato a
distinguere fin dai primi giorni. Aveva una gran paura del colonnello.
Quando lo vedeva di lontano o se la dava a gambe o si rannicchiava
dietro una tenda; il perchè non lo sapeva neanco lui. Ma un giorno,
mentre egli stava a chiacchiera con due o tre soldati presso alla tenda
d'un aiutante maggiore, eccoti sbucare all'improvviso il colonnello.
Tremò da capo a piedi; non era più in tempo a nascondersi; bisognava
guardarlo e salutarlo; alzò gli occhi timidamente e portò la mano
al cappello. Il colonnello lo guardò, gli passò la mano sotto il
mento e gli disse:--Addio, buon ragazzo.--Carluccio andò a un pelo
dall'impazzare; volò subito da noi, e, ansando e balbettando, narrò
l'accaduto.
Cosa strana in un ragazzo della sua età, egli non abusò mai menomamente
della famigliarità con cui si trattava. Sempre docile, umile,
rispettoso, come il primo giorno in cui lo raccogliemmo sulla via. E
di quel fortunato giorno tratto tratto ei ce ne soleva parlare; non
mai però senza che gli luccicasse qualche lagrima negli occhi. Aveva
anche le sue ore melanconiche, specialmente i giorni di pioggia,
quando tutti i soldati stanno raccolti sotto le tende, e il campo
è tacito e deserto. In quell'ore egli stava seduto sotto la tenda
colla faccia verso l'apertura e gli occhi immobili a terra come se
contasse le goccie di pioggia che venivano dentro.--Carluccio a che
cosa pensi?--gli domandavo.--Io? a niente.--Non è vero, vieni qua,
povero Carluccio, vieni qui accanto a me; io non sono che uno fra
i tanti che ti vogliono bene; ma ti voglio bene per tutti. Siediti
qua; discorriamocela fra noi altri due, e via dal cuore tutte le
malinconie.--Egli piangeva. Ma eran malinconie che svanivano presto.

VI.
In un angolo del campo v'erano due piccole case, abitate da una buona
famigliola di contadini, nelle quali si era stabilito il quartier
generale delle cucine di tutti gli ufficiali dei quattro battaglioni.
Figuratevi che confusione! V'erano da sei a otto soldati, tra cuochi
e guatteri, per ogni cucina; un continuo litigarsi dei primi che non
sapevano far niente e volevano insegnarsi l'un l'altro a far tutto;
un continuo bisticciarsi degli altri che rivaleggiavano per diventar
cuochi; un continuo va e vieni di ordinanze a prendere il desinare per
gli ufficiali agli avamposti, e contadini, e venditori, e ragazzaglia
dei dintorni: una babilonia.
In una nuda stanzaccia di quelle case fu ricoverato Carluccio quando
lo colse la febbre. La quale da molti giorni infieriva nel reggimento
a tal segno che, ogni giorno, n'eran colti da tre a cinque a sette
soldati per ogni compagnia. Carluccio l'ebbe tanto forte che si temeva
ne morisse. Il medico del reggimento lo curò con una sollecitudine
che non si poteva maggiore; tutti noi gli femmo un'assistenza più che
paterna.
Fra le tende e la porta della sua stanza era un incessante andirivieni
di soldati. Entravano in punta di piedi, s'avvicinavano adagio adagio
al suo letticciuolo, lo guardavano negli occhi ch'ei moveva intorno
gravi e socchiusi o teneva lungamente immobili sul volto delle
persone senza dar segno di conoscerle; lo chiamavano per nome, gli
posavano una mano sulla fronte, si facevano l'un l'altro certi cenni
per dirsi il proprio parere sullo stato del piccolo infermo; poi si
allontanavano tacitamente, si soffermavano sul limitare della porta
per guardarlo ancora una volta, e uscivano scotendo la testa in atto
di dire:--Poveretto!
--Carluccio, come stai?--gli chiesi un giorno quand'ei cominciava a
star meglio.
--Mi rincresce.... egli rispose, e lasciò la risposta a mezzo.
--Che cosa ti rincresce?
--Non posso....
--Ma che cosa non puoi?
--.... Far qualche cosa.--E abbassò gli occhi e mi guardò le scarpe e i
calzoni, e soggiunse:--.... Fanno tutto gli altri....
Voleva dire delle ordinanze che ripulivano tutta la nostra roba esse
sole, senza che egli le potesse aiutare.
--E io son qui...., disse ancora con voce di pianto,... son qui.... a
non far niente.... d'imbarazzo.... Voglio....--E fece uno sforzo per
levarsi a sedere; non ci riuscì e ricadde colla testa sul guanciale
e si mise a piangere.--Che bell'anima!--io esclamai, e dissi e feci
quanto seppi per consolarlo.

VII.
--Come si fa a far le ritirate i giorni delle battaglie? È vero che
i soldati non camminano più al loro posto e vanno ognuno dove gli
pare?--Questa domanda dirigeva Carluccio, una sera, ad uno degli
ufficiali della mia compagnia, il quale, seduto accanto al suo letto,
lo svagava con que' fantastici racconti di guerre e di battaglie,
che si soglion fare ai fanciulli. L'interrogato sorrise, certamente
pensando quanto una tale domanda avrebbe potuto parer sottile e
furbesca dove non l'avesse fatta un fanciullo di quell'età, ed anco
beffarda se non l'avesse fatta un amico.
E sorrisero pure altre due persone che si trovavano là, sedute
anch'esse accanto al letticciuolo; l'una delle quali era un consigliere
comunale d'un paesello vicino; l'altra il proprietario di quegli stessi
terreni che il nostro reggimento occupava; due ometti di mezza età,
molto gioviali, molto panciuti e, ben inteso, molto sviscerati della
causa italiana; soliti a venir la sera in quella stanzuccia per istare
un po' a chiacchiera coi «valorosi» ufficiali dell'esercito italiano;
gente di campagna, alla buona, cui si leggeva il buon cuore sul viso,
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