La vita militare: bozzetti - 23

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--Oh Dio mio!
--È o non è un bel fatto?
--E gli hanno dato la medaglia?
--Gliela danno adesso.
--Sarà contento, povero giovane?
--Figuratevi; i suoi compagni gli vogliono un bene dell'anima; i suoi
superiori lo trattano come un figliuolo; tutti lo rispettano, tutti lo
stimano; e se lo merita, sapete? se lo merita davvero; è uno dei più
bravi soldati del reggimento; ce n'è pochi, sapete, come lui; ve lo
assicuro io.
--Ma dov'è questo soldato?
--A momenti il colonnello lo chiamerà fuori delle file.--
Il colonnello tacque.
--Guardate! guardate! esclamò improvvisamente l'ordinanza facendo
voltar la donna dalla parte opposta al reggimento e accennandole le
finestre della casa di fronte.--Guardate quanta gente s'è affacciata
alla finestra! A momenti batteranno tutti le mani; vedrete; le altre
volte mi fu detto che hanno sempre fatto così, e faranno così anche
adesso.--
Intanto il soldato era uscito dalle file, era venuto accanto al
colonnello, e s'era volto di fronte al reggimento, per cui la donna,
rivolgendo la faccia verso i soldati, non lo potè vedere nel viso.
--È quello là il soldato?
--Già.
--E cosa fa adesso?
--Non vedete? Il colonnello gli mette la medaglia sul petto.
--Oh santa Vergine, mi batte il cuore per lui. Come dev'essere
contento, povero giovane! E adesso cosa fanno?
--Adesso tutto il reggimento gli presenta le armi.
--Davvero? domandò la donna con gran meraviglia.
--Sicuro.
--Oh che onore!--esclamò la buona vecchia giungendo le mani e rimanendo
immobile in quell'atto, cogli occhi sfavillanti d'un bellissimo
sorriso, misto di contentezza, di meraviglia e di affetto.
Il colonnello si volse verso il reggimento e con voce alta, sonora,
vibrata, così che ne echeggiò tutta la piazza, gridò:
--Presentate le armi!
La donna si senti correre un fremito per tutta la persona, e si accostò
al soldato e gli si strinse ai panni come se avesse paura.
Al grido del colonnello i quattro maggiori del reggimento si volsero
ciascuno al suo battaglione e ripeterono, con un grido poderoso, il
comando.
Quasi in un sol punto, come se fossero stati mossi da un unico braccio,
mille duecento fucili si sollevarono, lampeggiando, da terra, e
risonarono simultaneamente percossi da mille duecento mani, e tutti i
volti restarono immobili e tutti gli sguardi si fissarono in faccia al
soldato. Gli uffiziali salutarono colla sciabola. La folla spettatrice
die' in uno scoppio d'applausi. La banda suonò.
--Ma chi è questo soldato?--proruppe la povera madre meravigliata,
intenerita, affascinata da quello spettacolo stupendo.
L'ordinanza si voltò, la guardò, aprì la bocca, mandò fuori una voce
articolata, girò gli occhi sul soldato, li rivolse di nuovo alla
donna....
La musica continuava a sonare; il reggimento era sempre immobile.
--È vostro figlio!--gridò l'ordinanza.
La vecchia diè un grido, stette un istante immobile cogli occhi
spalancati e la bocca aperta, si cacciò le mani nei capelli bianchi,
sorrise, gemette, singhiozzò; quegli applausi, quella musica le
risonarono in fondo all'anima come un'armonia di paradiso; quei mille
fucili scintillanti le si confusero allo sguardo in un torrente di
luce; la mente le si intorbidò tutto ad un tratto, le si velarono gli
occhi, vacillò.... Fu sorretta.
Quando rinvenne, il reggimento era sparito; suo figlio le s'era già
avviticchiato al collo, e i due cuori eran così stretti l'un contro
l'altro che la medaglia d'argento ci stava compressa in mezzo a gran
pena. E stettero lungamente in quell'atto.
--Ma come mai?--furon le prime parole del figliuolo, appena sciolto da
quell'abbraccio divino.--Come sapevi ch'io era qui? Chi te l'ha detto?
E come sei capitata qui in questo giorno e a quest'ora?--
La donna narrò concitata e affannosa che il giorno innanzi un uffiziale
a cavallo era venuto nel suo paesello, che s'era fermato dinanzi alla
sua porta, che le avea detto dove fosse il figliuolo, e le s'era
offerto di darle del danaro perchè ella potesse venir subito alla città
in carrozza, e questo denaro glie l'avea dato, ed ella era venuta, e
avea trovato subito un soldato che d'incarico dell'uffiziale stava
nella piazza ad aspettarla....
--Dov'è questo soldato?--
Guardarono tutti e due intorno; l'ordinanza era scomparsa.
--Ma adesso capisco, vedi, ripigliò la donna, capisco perchè
quell'uffiziale volle ch'io venissi qui stamattina; voleva che io
vedessi....
Guardò il figliuolo, sorrise e l'abbracciò.
--Voleva ch'io vedessi tutto, e non mi disse nulla per farmi una
sorpresa, e il soldato era d'accordo con lui. Oh che sant'uomo! Ma come
ha fatto a saper dove sto? E che interesse aveva di procurarmi questa
felicità, se non mi conosceva neppure? Dimmelo tu, figliuolo!
Il figlio pensava.
--Ma dov'è quest'uffiziale! quest'uomo! Io lo voglio vedere; voglio
baciargli il vestito, io; io gli debbo la vita. Voglio andar da lui,
sai, figliuolo? Conducimi subito da lui.
--Subito!--esclamò il soldato, riavendosi dai pensieri che lo tenevano
assorto.
E prese per mano sua madre; attraversarono a passi frettolosi la
piazza, imboccarono la via della caserma, vi giunsero, si fermarono a
una trentina di passi dalla porta, davanti a cui erano affollati quasi
tutti gli uffiziali aspettando il gran rapporto, e la vecchia cominciò
a cercare avidamente cogli occhi, e il soldato a sollecitarla cogli
atti e colle parole, cercando, per moto istintivo, anche lui, senza
sapere chi volesse trovare.
--Chi è? L'hai veduto? Accennalo.
--Non l'ho ancora trovato.
--Cerca, cerca.
--Quello là, guarda, quello che si appoggia ai muro.... no, no,
sbaglio, non è quello, non è quello. Quell'altro, piuttosto; quello che
accende il sigaro.... aspetta che si volti, aspetta.... aspetta.... no,
non è lui....
--Ma chi è dunque!
--Ah! eccolo là! Questa volta ne son sicura. È quello che ha messo la
mano sulla spalla al suo compagno che gli è accanto.
--Chè!
--È proprio lui.
--Mamma!
--Ne sono sicura, ti dico.
--Davvero? non t'inganni? ne sei proprio sicura?--gridò il soldato
afferrando per le mani sua madre.
--Sicura come della luce del giorno.--
Il soldato fissò gli occhi sul capitano e stette immobile a
contemplarlo.
Intanto la madre, che più che al capitano aveva il cuore e la testa a
suo figlio, gli si strinse ai panni, e pigliandogli la medaglia fra
l'indice e il pollice della destra, vi avvicinò il viso, la guardò
attentamente di sotto e di sopra, e disse sorridendo al soldato, che
stava tuttavia immobile a guardare il capitano.
--Scommetto che, a questo mondo, dopo tua madre.... la cosa che hai più
cara.... è questa.--E sollevò la medaglia per tutta la lunghezza del
nastro.
--No,--rispose il figliuolo senza voltarsi.
--No! E qual'è dunque la cosa che hai più cara al mondo dopo tua
madre?--domandò la donna con un sorriso affettuoso.
Il soldato levò il braccio e stese l'indice verso il capitano e rispose:
--Quell'uomo là.--


PARTENZA E RITORNO.
RICORDI DEL 1866.

Alberto, amico mio, copio qualche pagina dal libro dei tuoi ricordi;
non te n'avere a male; se queste pagine non ti faranno onore come
letterato, non ti faranno torto sicuramente come soldato e figliuolo.
Acconsenti e contentati della mia discrezione, chè se volessi veramente
abusare della nostra intimità, potrei pubblicare di te ben altri
segreti.

IN CASA.

I.
Perdute le illusioni e le gioie della giovinezza, quando non mi resterà
che il conforto di ricordarle, più che ad ogni altro giorno della mia
vita ripenserò spesso e lungamente e con sempre viva tenerezza agli
ultimi d'aprile e ai primi di maggio del mille ottocento sessantasei.
Io non aveva mai veduto Torino così allegra, così bella. L'imminenza
della guerra nazionale da tanti anni aspettata e invocata, aveva
risvegliato improvvisamente tutta l'indole generosa e guerriera di
quella città. Bastava passare la sera in una delle strade principali,
per accorgersi dal brulichìo, dall'atteggiamento insolito della gente,
da quei drappelli d'operai, di studenti e di fanciulli, che qualcosa
v'era, che qualcosa bolliva nell'animo di quel popolo, che qualche gran
fatto era seguito o stava per seguire. Parevan tutte sere di festa.
Eran que' giorni che, incontrando un soldato, si guarda; e si almanacca
sul cavalleggere che traversò la strada con un plico nell'abbottonatura
della tunica; e la gente si ferma a veder passare i convogli del treno
d'armata; e nelle scuole de' ragazzi non c'è più modo di tenere un po'
di quiete; e i vecchi ufficiali pensionati parlano ad alta voce nei
crocchi dei caffè battendo il pugno sul tavolino; e le madri si fanno
pensierose; e i giovanotti diventano pazzi; e le donne si veggono
guardate un po' meno del solito, e cessano un po' d'intromettersi, come
fanno sempre, in tutti i pensieri, in tutti i desiderii, in tutti i
disegni; ch'è una fiera tirannide anche quella.
E Torino sentiva quei giorni; essa è la città di quei giorni. La
mattina, i viali della piazza d'arme eran pieni di gente; le famiglie,
i parenti, gli amici dei soldati della seconda categoria, chiamati da
pochi giorni alle armi, la più parte ancora coi loro vestiti: cappelli
a cilindro e papaline rosse, eleganti calzoncini chiari e grandi ghette
da pastore alpigiano, soprabiti neri e giacchette cenciose, tutti alla
pari: bello! Intorno alle caserme un girandolare continuo di mamme
co' fagotti sotto il braccio, un va e vieni di ufficiali e di messi
della Divisione e della Piazza, e una folla di curiosi davanti alla
porta; dentro, un chiasso assordante. La sera, dietro le fanfare e i
tamburini della ritirata, una immensa turba che marciava in cadenza, a
schiere di dieci o dodici insieme a braccetto; canti, fischi, grida,
che n'echeggiavano tutte le strade d'intorno. Nel punto che la musica
e i soldati rientravano in caserma, applausi, evviva, strette di mano,
saluti:--a domani! a domani!--Parevan tutti soldati. Là ti sentivo,
Piemonte!

II.
Quanto eravamo tutti migliori in quei giorni!
L'aspettazione di quella guerra solenne per cui doveva esser
rivendicata la libertà e restituita la patria a un popolo tanto
illustre, tanto amato, che aveva tanto patito; il sapere che anche
il popolo delle classi più povere capiva, sentiva che quella era
una guerra giusta, santa, ch'era necessità e dovere di farla; il
vedere que' poveri giovani della campagna, rozzi, ignari di tutto,
venire anch'essi a fare i soldati con tanto buon volere, con tanto
buon cuore, e partecipare così presto, se non dell'entusiasmo,
dell'allegrezza comune; l'udire che dappertutto seguiva lo stesso,
che dappertutto accorrevano ad iscriversi fra i volontari centinaia
e centinaia di giovani d'ogni condizione, e che i padri e le madri
stesse li accompagnavano, e il popolo li salutava e li benediceva; che
in quella meravigliosa unanimità di speranze e di voti si componevano
le discordie politiche e non si udiva più che un sol grido; tutto
questo metteva negli animi una serenità, una letizia così piena e
viva che pareva felicità. Ogni mala passione ci fuggiva dal cuore; si
perdonavano antiche offese, si sopivano antichi rancori, si cercavano,
o si ritrovavano, per ufficio d'amici comuni, i nemici, e si metteva
una pietra sul passato. Quel pensiero sempre presente, quell'affetto
profondo che ci occupava di continuo, ci dava un'energia, una vitalità
insolita e vigorosa, che traspariva dagli accenti, dagli sguardi,
dagli atti, dai passi. Che giovialità, che affettuosa armonia tra gli
amici! Come tutti i nostri pensieri eran più alti, più puri, e tutti i
nostri affetti più forti! La primavera non rideva soltanto nei fiori,
non si sentiva soltanto nell'aria e nel sangue; rideva nell'anime, si
sentiva nei cuori; era come il soffio di una vita vergine che ci aveva
penetrati. Che giorni! O patria! se potessimo sentirti sempre così!

III.
Fin dai primi giorni che si parlava della probabilità della guerra,
mi s'era cominciato a far nella testa un po' di confusione; la quale
crebbe poi a mano a mano che la probabilità si venne mutando in
certezza. Confusione, dico, e non saprei dir altro: pensavo, parlavo
e operavo come per l'effetto d'un liquore inebriante. Dapprima
agitazione, poi irrequietezza, poi febbre addirittura; ondate di
sangue infuocato alla testa, gran prurito di menar le mani, grande
smania di moto, d'aria, di luce, di musica e di versi, e assoluta
impossibilità di fissare la mente in un qualunque pensiero. Neanco nel
pensiero della guerra; però che il rappresentarmene coll'immaginazione
gli avvenimenti, per quanto meravigliosi e terribili, gli era pure
un togliere qualcosa a quell'idea d'un avvenire indeterminato,
avventuroso, che m'infondeva tanta allegrezza e tanta pienezza di vita.
Entrato io in casa, non c'era più quiete. Tiravo giù dallo scaffale
una dozzina di libri, ne scorrevo una pagina per ciascuno, sbuffando
e contorcendomi sulla seggiola e pestando i piedi, e poi li buttavo
tutti all'aria ad un tratto.--Non bastano! gridavo; non bastano i
libri! I libri non dicono quel che mi bolle qui dentro!--Aprivo un
giornale; in que' giorni i giornali eran di fuoco;--davo un'occhiata
al solito articolone entusiastico, e stracciavo il foglio in cento
pezzi.--Ma questo è fiacco, Dio mio! questo è freddo!--E preso da
un estro improvviso, sedevo a tavolino e mi mettevo a scrivere in
furia.--Lo scriverò io un articolo!--dicevo; e subito dopo gettavo via
carta, penna e calamaio e sclamavo:--Tutto freddo! È una disperazione!
Ma di' tu, mamma, in nome del cielo, ma che in tutta la letteratura
italiana non ci siano dei versi che mi esprimano questa febbre
che mi divora?--Berchet!--ella mi suggeriva timidamente.--No, no,
Berchet,--io le rispondevo con accento drammaticamente soave;--Berchet
è irato, Berchet odia, Berchet maledice, ed io amo in questi momenti,
amo immensamente, amo tutti, mi sento fratello di tutti, getterei
le braccia al collo a tutti quelli che incontro per la strada. Amo
anche gli Austriaci, sissignora! Tirerò a freddarne molti; ma li amo,
perchè gli è grazie a loro che l'Italia si riscuote così, e solleva la
testa, e si rivela così potente e bella e cara, e diffonde in tutti
i suoi figli questo sentimento ineffabile di orgoglio e di gioia!
Morte agli Austriaci, ma viva anche loro! Non mi son mai sentito tanto
cristiano!--Poi mi slanciavo alla finestra e mi stizzivo del silenzio
che regnava nella strada.--Ma guardate che tranquillità vergognosa!
Ma è possibile? Ma perchè non scendon tutti giù a fare strepito? Ma
che gente sono costoro?... Oh! domiamo questa febbre.--E chiusomi in
camera e dato di mano alla sciabola, supponevo d'aver a fronte un
ufficiale austriaco di que' lunghi, magri, con un par di baffoni irsuti
e d'occhioni stralunati, e mi mettevo in guardia, e giù botte, parate,
molinelli, salti e grida, finchè cadevo sul sofà rifinito. Matto, via.
Non è a dire se il vicinato s'accorgesse della mia esistenza. Oltre
che le mie declamazioni poetiche si sentivano dalla strada, solevo
passar tutta la sera sul terrazzino del cortile; e tutti sanno come
sono i cortili delle case nuove di Torino (stavamo in uno de' tre
grandi palazzi di via Nizza, dirimpetto alla stazione della strada
ferrata); sono grandi piccionaie, dove c'è più gente che pietre, e dopo
desinare tutti fan capolino alle finestre, e quei di sopra guardano
in casa di quei di sotto, e quei di sotto vedono le gambe di quelle
di sopra, e nelle soffitte si fa all'amore, e sui terrazzini i bimbi
fanno il chiasso e gl'impiegati leggono i giornali, e dai letti in
giù fino al pian terreno, e dal pian terreno in su fino ai tetti,
que' d'un piano dicon male di que' dell'altro, e tutti si salutano
e si sorridono da buoni amici. Stavamo al secondo piano. Avevamo
da un lato una gentile, colta ed arguta signora napoletana, nostra
grande amica; una donna alla Cairoli, piena di energia e di slancio,
immaginosa, faconda; la quale, un giorno che suo figlio dovea battersi
in duello, aveva colpito di meraviglia e di ammirazione mia madre,
dicendo tranquillamente:--Egli farà il suo dovere.--Dall'altra parte
stava un vecchio ingegnere, pittore, ottuagenario, cieco, veterano di
Napoleone primo, circondato da una mezza dozzina di nipotini piccini
e carini ch'erano la mia delizia; un bel vecchio, un cuor santo; mi
voleva un gran bene, mi chiamava suo figliuolo, e quand'ero lontano e
tardavo un paio di giorni a rispondergli, andava a domandar timidamente
a mia madre se nell'ultima sua lettera io avessi trovato nulla che
mi potesse offendere. Allo stesso piano, dirimpetto a noi, abitava
una vedova sui quarant'anni, elegante, languida, magra, bruttina,
furiosa divoratrice di romanzi, solita ad affacciarsi alla finestra
ogni volta che c'ero io, e a darmi certe occhiate lunghe e stanche,
stringendo la bocca e piegando malinconicamente da un lato la testa
finto-ricciuta. Alla finestra accanto alla sua stava pel solito la
sua cuoca affetta d'incipiente passione per la mia ordinanza (bel
giovinetto, tra parentesi); un faccione tondo, porporino, gonfio che
parea che soffiasse; due gran labbra, due grand'occhi, due gran spalle,
e qualche ardita curva qua e là, che dava nell'occhio fino alle ultime
lontananze della casa. Al terzo piano, sopra la ninfa languida, ci
stava uno studente d'Università, giovanissimo, buon figliuolo, smanioso
della guerra, già iscritto nel ruolo dei volontari, un capo ameno dei
più curiosi e più cari. In qualunque ora del giorno, a un mio batter
di mani, balzava d'un salto sul terrazzino colle braccia e il viso in
aria a guisa di poeta improvvisatore, e m'interrogava e mi rispondeva
in versi, e intavolava discorsi di alta politica, di alta guerra, di
alta filosofia, di alta letteratura (stava al terzo piano), declamando,
gesticolando, canterellando, ch'era una festa a sentirlo. Al suono
della sua voce tutto il vicinato si faceva alle finestre.
--«O risorta per voi la vedremo....»--gridava tendendo un braccio
verso di me, e battendo la cadenza coll'altra mano sulla ringhiera
del terrazzino. Ed io a lui:--«Al convito dei popoli assisa....»--E
lui:--«O più serva (la serva volgeva gli occhi in su), più vil, più
derisa....»--Ed io:--«Sotto l'orrida verga starà. «E lui:--Sotto
l'or....--Ed io:--Rida ver....--E lui:--Ga starà.--E poi tutt'e due
assieme:--Ga starà! ga starà! ga starà!--
Grande ilarità a tutti i piani.--Così mi piace la gioventù,--mormorava
il buon vecchio. E la cuoca si nascondeva dietro un'imposta e dava in
uno scroscio di risa. E la sua padrona faceva un bocchino ridente che
voleva dire:--Che cari matti!--E la signora napoletana mi lanciava un
frizzo, e mia sorella scappava, e mia madre mi tirava pel vestito, e
mio fratello brontolava:--È troppo,--e mio cugino il colonnello, quando
c'era, soldato rigido, austero, che mi voleva un gran bene, ma mi
faceva delle gran lavate di testa, per cui gli avevo posto il nome di
burbero benefico, mi diceva seriamente:--Sii serio.--
E davanti a lui, non lo nego, restavo un po' mortificato; ma tutt'ad
un tratto scappava fuori l'amico con un'altra strofa, e allora addio
serietà, e più matto di prima.
Codesta era la commedia pubblica, seguiva poi la privata. Veniva a
trovarmi il nipotino più grande del vecchio soldato, ed io:--Animo,
in riga!--e pigliavo pel braccio mia madre, e mia sorella, e il
bambino, e volere o non volere li mettevo in riga, e ce li facevo
stare, e se mia madre rideva le battevo una mano sulla spalla e le
dicevo:--Ferma, cara signora, e dritta, e seria, se no noi chiuderemo
le porte e vi declameremo cinquanta ottave con tutta la forza dei
nostri polmoni, e voi sapete che ce li avete fatti robusti.--No! no!
per pietà!--essa rispondeva.--Dunque silenzio!--gridavo io.--E bisogna
starci!--mormorava ella ridendo di nuovo e rivolgendosi a mia sorella,
ed era tanto caro, tanto gentile quel suo riso!--Attenti! Marche!--Il
grido era così tonante che i miei soldatini si disordinavano e se la
battevano chi di qua chi di là turandosi le orecchie; e io dietro,
e uno per uno li riconducevo al posto, e li lasciavo poi liberi a
patto che gridassero tutti insieme:--Viva la guerra!--Ma mia madre mi
diceva:--E io non grido.--E tu griderai.--E io no.--Allora pigliati un
bacio, angelo.--
Ma di giorno in giorno ella diventava più pensierosa. Parecchi
reggimenti erano già partiti; da un'ora all'altra s'aspettava l'ordine
di partenza pel mio; essa lo sapeva. Spesse volte, mentre facevo il
chiasso, la sorprendevo che stava guardandomi con aria malinconica, e
le dicevo:--Cosa pensi?--Figliuolo,--mi rispondeva tristamente,--penso
che non abbiamo più che pochi giorni da stare insieme.... Godo che tu
sia allegro così, e nello stesso tempo.... questa tua allegria.... mi
fa male, perchè.... penso che sentirò assai più dolorosamente il vuoto
e il silenzio.... che ci sarà in questa casa.... tra poco.--
È vero, io pensava. Povere donne! Coraggio, coraggio! noi diciamo loro;
noi che andiamo alla guerra pieni d'entusiasmo, di ambizione, di sogni
di gloria, allegri, spensierati, circondati d'amici; ma esse restan qui
sole, senza conforti, senza, distrazioni, sempre con quel pensiero, con
quel dolore fisso, immobile....
--In questi giorni....--soggiungeva mia madre--io capisco, io sento che
in questi giorni non son più nulla per te.... No, no, lascia ch'io lo
dica; non me ne lamento mica, sai!... Povero figliuolo, è naturale...
ma....
--Senti,--io le dicevo per consolarla;--tu che hai un cuore così
nobile, così eletto, tu puoi trovare un conforto in te stessa, assai
più facilmente di molte altre donne. Non siamo egoisti. Credi tu che
questa guerra si debba fare? che sia giusta? che sia un sacro dovere
per il paese?
--Oh questo sì--essa rispondeva asciugandosi le lacrime.
--E dunque, se non la facessimo noi, generazione adulta, la
dovrebbero far dopo noi i nostri figliuoli. Se non ci fossero
adesso cinquecentomila madri che piangono, ci sarebbero fra venti,
fra trent'anni. Noi ci sacrifichiamo pei nostri figliuoli, pei
cinquecentomila bambini e le cinquecentomila bambine che adesso stanno
ancora nelle fasce; queste hanno in quelli i loro predestinati amanti,
i loro predestinati sposi; non vorremmo noi assicurare, per quanto sta
in noi, il loro avvenire da ogni dolore, da ogni sventura, e fare che
un giorno essi possano innamorarsi, sposarsi, e moltiplicarsi in pace?--
Mia madre sorrideva, ma tornava subito trista.--Tutto questo è
vero....--diceva sospirando;--ma non basta, figliuol mio, non basta a
consolare una madre!--
E appoggiati i gomiti sulla tavola e abbandonata la fronte sulle mani,
piangeva tacitamente. Io tentavo di consolarla.--No, figliuolo; vattene
fuori, va a cercare i tuoi amici, io non voglio rattristarti; lasciami
pianger sola; va.--
Era di sera; ella stava là al buio in un cantuccio della stanza, sola,
muta, e pensava e pensava.
* * * * *
Non ho esperimentato mai quanto in que' giorni la meravigliosa
potenza dell'immaginazione sul sentimento. Cominciavo talvolta, così
per ozio, a fantasticare intorno ai casi possibili della guerra, e
poi a poco a poco mi raccoglievo e m'internavo così profondamente
nella immaginazione delle battaglie, delle entrate trionfali, dei
ritorni, che mi pareva proprio d'esserci, di sentire, di vedere, e
mi si rimescolava il sangue, e mi stringevo la testa fra le mani che
pareva la mi dovesse scoppiare tant'era il tumulto delle idee che vi
turbinavano dentro, e il petto mi ansava, e mi pigliavano degl'impeti
di tenerezza infantile.
Una notte ero di guardia al Palazzo Madama; ero solo nella mia
camera, seduto a tavolino, col lume davanti, e fantasticando più
stranamente del solito, supponevo di essermi levato a sì grande altezza
da abbracciar collo sguardo il paese intero, monti, valli, fiumi,
foreste; e sentivo e vedevo in tutte le città le strade brulicare di
popolo, e le piazze d'armi sfolgorare di baionette; e dalle fortezze,
dagli arsenali, dai porti, uscire un suono confuso di armi e di canti,
lo strepito cupo d'un lavoro concitato, febbrile; e per le strade
ferrate, convogli sterminati, pesanti, lenti, percorrere il paese
in tutte le direzioni, incontrandosi, incrociandosi, inseguendosi,
salutati a festa dal popolo della campagna accorrente, e fermarsi qua
e là, e versar cannoni, carri, cavalli, onde d'armati; e ad un tratto
scoppiare concordemente da tutte le parti un formidabile frastuono
di tamburi e di trombe, e da ogni città spuntare e allungarsi per la
campagna le colonne dei reggimenti, convergere, congiungersi due a
due, tre a tre, e avanzar lentamente verso i confini, incoronando le
alture, serpeggiando lungo i fiumi, allagando le valli, spiegandosi
in immense linee di battaglia sui piani; e sui monti del Tirolo, dal
Lago di Garda su su a perdita d'occhio, rosseggiare in mille punti le
bande dei volontari, inerpicarsi, precipitar giù per le chine, sparir
nei burroni, riapparire in vetta alle rupi; e intanto tutta la vasta
pianura lombarda popolarsi di tende e di parchi, risonar di musiche e
di grida; e poi calare la notte, e tutto quetarsi; e finalmente, al
primo chiarire d'una bell'alba di primavera, un nuvolo di cavalieri
spiccarsi colla rapidità del fulmine dal quartier generale, spargersi
in tutti i sensi, e propagare un grido di campo in campo; e tutto
l'esercito rimescolarsi violentemente, e riordinarsi, e avanzare....
E qui l'immaginazione non potendo abbracciar tutto il quadro della
smisurata battaglia, m'appariva un immenso velo di nebbia rotto qua
e là a grandi tratti, d'onde si vedevano i nostri giovani reggimenti
lanciarsi all'assalto dei colli, retrocedere, risalire ostinati; e
squadroni di cavalieri a lancia calata irrompere pancia a terra contro
i quadrati; e batterie raggiungere di volo altre batterie, e dal sommo
delle alture fulminare e squarciare i fianchi delle colonne fuggenti;
e stormi infaticabili di bersaglieri sparpagliarsi e riannodarsi e
inseguire e recedere e celarsi e ridistendersi in lunghe catene; e in
ogni parte assalti succedere ad assalti, linee succedere a linee, e il
cielo rimbombare dell'orrendo fragore. Quand'ecco tutto ad un tratto si
fa un alto silenzio, la nebbia si dissipa, la polvere dispare, sulle
creste di tutti i monti ondeggiano i nostri battaglioni, sventolano le
nostre bandiere, echeggiano le nostre fanfare, e dall'uno all'altro
capo d'Italia un grido di gioia lungamente preparato, lungamente
compresso, si sprigiona e.... Sii pure immenso, o grido, e risuonino di
te tutte le volte del cielo; ma non me lo copri, no, non me lo copri
quel filo di voce tremola che prorompe dal seno.... Oh Dio! la mia
testa, la mia testa!
Mi slanciai fuor dalla camera, uscii dal Palazzo; Piazza Castello era
deserta e queta come il cortile d'un vasto convento; la collina di
Superga si disegnava distintamente sul cielo limpido e stellato, e la
facciata della Gran Madre di Dio, rischiarata dal raggio della luna,
pareva che fosse lì a due passi.--Che bella notte!--esclamai.--Oh! io
sono veramente felice!--
Ma un'immagine turbava quella mia felicità: l'immagine di una povera
donna, seduta in un cantuccio della sua cameretta, colla fronte
appoggiata sulle mani, al buio, che pensava, pensava.


PARTENZA.

I.
Il 6 di maggio, verso le cinque di sera, stavamo in crocchio una
diecina d'ufficiali sulla porta della caserma, quando s'udì un passo
precipitoso giù per le scale e subito dopo comparve l'aiutante maggiore
affannato gridando:--Signori! Si parte questa sera alle otto. Bagagli
in caserma alle sette. Montura di marcia.--
Un grido di gioia, e senza neanco domandare dove s'andava, via di
corsa, chi al caffè vicino ad avvisare gli amici, chi in caserma a
chiamare l'ordinanza, e chi a casa. Di lì a un momento scoppia nel
quartiere uno strepito d'inferno, sonano i tamburi, si sparge la
notizia nel vicinato, la gente accorre, e in pochi minuti, di casa
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