La vita militare: bozzetti - 10

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sergente di squadra; addio; mio capitano, addio.... Che cos'hai?--
Il coscritto era immobile, attonito, colla faccia convulsa, il respiro
affannoso e gli occhi lacrimosi scintillanti d'un sorriso ineffabile.
--Che cos'hai?
Fece uno sforzo per raccogliere la voce abbassando la testa e
allungando il collo come se mandasse giù un grosso boccone; ma non la
raccolse intera e gli venne appena fatto di dire in fretta e a mezza
voce:--Niente.--
L'ufficiale sorrise.
--Sai scrivere?
--....Un poco--rispose il coscritto col respiro tuttavia affannoso.
--Allora vieni con me.--
S'avviò verso la sua camera e il coscritto lo seguì. Entrati che
furono, l'ufficiale fece sedere il suo buon paesano al tavolino,
gli mise una penna in mano, un foglio di carta davanti, e gli
disse:--Scrivi a tuo padre.--
Il coscritto lo guardò a bocca aperta.
--Scrivi a tuo padre.
--....Che cosa?
--Che cosa hai visto, che cosa pensi, che cosa senti; quello che vuoi.
--Ma....
--Zitto; fin che non hai finito non ti permetto di dire una parola.--
E si rimise a leggere il giornale accanto alla finestra. Il coscritto
continuò a guardarlo in aria di stupore, poi chinò la testa, pensò
qualche minuto e cominciò a scrivere adagio adagio.
Dopo un quarto d'ora, l'ufficiale domandò:--Siamo vicini a finire?
--Finito,--rispose il soldato tutto contento.
--Leggi.
--Leggere?
--Già.--
Si vergognava.
--Leggi, ti dico.--
Si dispose a leggere.
--Ma dimmi prima: hai scritto la verità? Sei stato sincero? Hai detto
proprio quello che pensi e quello che senti?--
Il soldato si pose una mano sul petto e alzò gli occhi al cielo.
--Leggi, dunque.--
Cominciò a leggere:
«Caro padre.
»Sono arrivato al reggimento e ci fecero subito tagliare i capelli e
poi ci vestirono. Quel signor ufficiale del nostro paese che tu sai
come si chiama l'ho veduto quest'oggi nel cortile e abbiamo parlato
insieme più d'un'ora. Non si mangia da signori, si sa; ma a far da
mangiare per tanti è difficile farlo bene, e poi l'appetito non manca,
basta fare il suo dovere. I superiori sgridano; ma non sono mica tutti
cattivi, chè anzi c'è dei soldati che si sono fatti ammazzare per
salvarli, e non volevano lasciarli neanche morti nelle mani dei nemici.
C'è anche dei soldati che non sono mai stati in punizione, e così
spero di me. E il tempo passa presto, perchè ci faranno viaggiare e ci
sono le statue, i giardini e le chiese da vedere, e poi le manovre,
poi anche i campi, e i generali si divertono insieme ai soldati e si
fa la tombola. Poi fa piacere vedere la bandiera e sentire la musica;
si trovano degli amici, e il colonnello vecchio si può dire che sia un
nostro secondo padre e noi altri i suoi figliuoli. Intanto ti saluto e
sta' bene, ec. Tuo affezionatissimo figlio.»
--Bravo!--
Il soldato rise e abbassò la testa come fanno i bambini quando si
senton dire che son belli.
--Adesso, per farmi piacere, andrai giù a bere un mezzo bicchiere di
vino alla salute di tutti i coscritti. To'.--
E gli porse un biglietto.
--Signor ufficiale!--disse il soldato vergognandosi e facendo l'atto di
rifiutare.
--Eh!--gridò l'ufficiale in tuono di minaccia.
Il coscritto prese il biglietto, e avviandosi per uscire, balbettò
qualche parola di ringraziamento:--Signor ufficiale.... io.... non so
proprio.... sento che....
--Silenzio!--
Uscì frettolosamente, scese le scale a tre scalini alla volta; fece due
o tre salti nel cortile fregandosi le mani, ridendo e borbottando tra
sè; entrò nella cantina; la vivandiera gli mescè un bicchier di vino
con un bel garbo e un bel sorriso che gli fecero dimenticare la scena
di poco prima; bevette, uscì....
Appena uscito, incontrò quel tal caporale, che gli si avvicinò con un
viso meno agro e un fare più cortese.
--Di' un po': è tuo parente quell'ufficiale che ha parlato con te
un'ora fa?
--No.
--Ma lo conoscevi?
--Molto.
--È quell'ufficiale del tuo paese che tu cercavi?
--Quello stesso.
--Io non aveva mica capito, sai, quando me lo avevi domandato....
--Oh non fa nulla.
--Se avessi capito t'avrei risposto.
--Grazie.--
Il caporale s'allontanò; il coscritto, rimasto solo, disse tra sè:--In
fin dei conti, non è mica un cattivo giovane, no, questo caporale!--
In quel mentre i soldati cominciavano a rientrare a gruppi a gruppi in
caserma, discorrendo forte e cantando. Fra gli altri, veniva innanzi
un drappello di coscritti, un po' brilli, che facevano un chiasso
allegrissimo.
--Quando gli altri fanno il chiasso e tu cacciaviti subito in mezzo
e fallo più di loro;--il coscritto si ricordò quelle parole--Bisogna
far del chiasso,--pensò;--che cosa gridare?... Ah! Viva il soldato
Perrier!--urlò con quanta voce avea in gola.
E gli altri, forse senza neanco aver capito, risposero ad alta
voce:--Viva!--
Il nostro soldato si gettò in mezzo a loro, e cantando e gridando
salirono confusamente nel dormentorio.
L'ufficiale, che lo avea guardato dalla finestra, disse fra
sè:--Codesto giovinetto sarà un bravo soldato.--
E come s'era già fatto buio, e il cielo era tutto stellato, e si
sentiva nel cortile quel gaio rumore, e nella strada sonava la fanfara
della ritirata, tutto questo produsse in lui una commozione così
subitanea, che quasi senza ch'ei se n'avvedesse o ne sapesse il
perchè, levò gli occhi in su ed esclamò soavemente:--Perrier!
E poi un'altra volta:--Oh buon Perrier!... Dove sei? Senti il tuo
nome?--
* * * * *
A guardare un bel cielo, di notte, ci vengono spontaneamente sulle
labbra i nomi più venerati e più cari.


UNA MARCIA NOTTURNA.

Che notte! Nè luna, nè stelle, un buio d'inferno; non s'era mai visto
una tenebra più fitta. Comunque non corressero che i primi giorni di
ottobre, pure tirava una brezzolina d'autunno avanzato, e la si sentiva
batter nel viso sorda e sottile, e scorrer sotto i panni, e raggrinzare
le carni. Si era intorno alle nove della sera; il reggimento aveva
disfatto le tende e se ne stava schierato a traverso il campo, colle
armi al piede, aspettando l'ordine di partire. I soldati, desti pur
allora da un sonno scarso e disagiato, se ne stavan là tutti curvi,
raggranchiti, freddolosi, con una cera agra e scontenta, colle mani
in tasca e i fucili abbandonati sul braccio; e invece del consueto
cicalìo, così vivace ed allegro, non s'udiva che un bisbigliar rado,
sommesso e svogliato. Era sì fitto il buio che, a guardar quel campo
di sulla strada, non vi si scorgeva che la lunga fila delle lanterne
appese in cima ai fucili, ciascuna delle quali illuminava intorno a
sè quattro o cinque faccie piene di sonno. Laggiù, in un angolo del
campo, oltre l'ala estrema del reggimento, si vedevano muovere in un
piccolo spazio molti lumicini, da cui era debolmente rischiarato un
confuso affaccendarsi di persone d'abito vario attorno a certi carri e
a certe casse: i bagagli del vivandiere. Qua e là pel campo luccicava
ancora qualche fiammella; eran gli ultimi guizzi dei fuochi che
avevano accesi i soldati colla paglia delle tende per levarsi di dosso
l'umidità contratta, dormendo, dal terreno. Tutto il resto, buio.
Ad un tratto echeggia un gran rumor di tamburi; poi silenzio. Le
compagnie si volgon successivamente di fianco, le prime file si
muovono, il reggimento parte. Passa, sopra un angusto ponticello, il
fosso che separa dal campo la via, e là le file si accalcano, e si
osserva un affollarsi di lumi che vanno ora avanti e ora indietro
a seconda degli ondeggiamenti della folla, e partono due a due, e
s'allungano per i due lati della via diritta in una doppia fila, e a
poco a poco si confondono lontano in due strisce luminose ondulanti e
serpeggianti come due gran redini di fuoco agitate dalla coda della
colonna.
E si cammina; e per un po' di tempo si ode un chiacchierio
sommesso che muor poi a poco a poco, a poco a poco in un silenzio
profondo, interrotto da qualche rauca vociaccia degli uffiziali che
brontolano:--In ordine--ogni volta che, gettando l'occhio sonnolento
sui soldati vicini alla lanterna, vi scorgono un po' di allargamento
o un po' di serra serra. Tutti gli altri tacciono. Non s'ode che lo
strascicato rumore delle pedate e il monotono tintinnìo delle scatole
di latta, che segnano la cadenza del passo.
Col diffondersi del silenzio si comincia a diffondere il sonno, il
tormentoso e terribile compagno delle marce notturne. Pover a chi n'è
colto! Non v'ha riposo anteriore, nè colloquio di amico, nè liquor
vigoroso, nè sforzo di volontà che lo vinca; bisogna cedere e subirlo.
Guardate là quell'uffiziale in mezzo alla via. Egli lotta da
più d'un'ora col sonno; ma ormai le palpebre gli si chiudono
irresistibilmente, tremole, gravi; e le ginocchia gli si piegan sotto;
e la testa sollevata a stento gli ricade pesantemente sul petto; e le
braccia gli penzolano inerti e senza forza. La mente a poco a poco
gli si chiude, le immagini gli s'intorbidano, gli si confondono, gli
si trasformano l'una nell'altra bizzarramente. Al suo sguardo velato
di sonno traballano in confuso i soldati che camminano davanti ed ai
fianchi; e gli alberi e le case dall'una e dall'altra parte della
via, di cui appena si discernono i neri contorni, gli presentano
certi aspetti deformi, mirabili, strani. Alle volte egli segue ancora
coll'occhio le mura d'una casa quand'elle sono già d'un buon tratto
passate, o gli par di veder nereggiare un casolare o un folto d'alberi
dove non è. Tal'altra volta gli si para improvvisamente dinanzi,
proprio nel mezzo della via, proprio lì sul suo passo, un grande
ostacolo, una gran cosa nera, ch'ei non sa che sia; ma ei la vede, ma
ella c'è, eccola, è lì, proprio lì, sta per darci contro col capo; si
sofferma, stende il braccio, lo agita.... nulla, non c'era nulla; tira
innanzi. Trenta, cinquanta, cento passi, poi daccapo a sonnecchiare.
E questa volta sogna. E gli pare di camminar solo, diretto non sa
dove, o d'essere in tutt'altro luogo che là, lontano di là, forse a
casa, in mezzo a tutt'altra gente, di giorno.... Ad un tratto, gli
colpisce l'orecchio il rumore delle pedate d'intorno; s'accorge, come
d'improvviso, del tintinnar dei gamellini; si desta, gira lo sguardo,
si ravvede, sbadiglia, ripiglia il passo, e,--poco dopo,--daccapo.
Col mento inchiodato sul petto, una mano in tasca, l'altra sull'elsa
della sciabola, va innanzi, abbandonato al suo peso, a passi ineguali,
a sbalzi, tentennando, serpeggiando, tre passi di qua, quattro passi
di là,--cinque--sei,--giù, una gran spallata nello zaino a un soldato.
Si scuote, si sveglia, lo guarda un momento cogli occhi stralunati, si
ravvede, si vergogna, scrolla la testa in atto di compatire se stesso,
e poi ripiglia l'andare a passo franco e spedito. Dopo cento passi,
daccapo. Dà un grande urtone in una persona che gli cammina davanti, si
sveglia, guarda:--Oh! scusi, capitano.--Niente, si figuri! Son cose che
succedono a tutti.
Ti si accosta un compagno. Camminate per un po' di tempo, senza
scorgervi, l'uno al fianco dell'altro. Poi:--Sei qui?--Risposta:
un grugnito.--Hai sonno?--Un po'.--Dammi il braccio.--E vi date il
braccio. Spalla contro spalla, fianco contro fianco, e avanti, alla
meglio, a fiancate, a traballoni, a sconquassi. Otto, dieci, venti
passi, e il sonno vi piglia, e le vostre teste pesanti si ripiegano
tutte e due dalla stessa parte e si picchiano.--Ahi!--Vi sciogliete.
E intorno intorno tutti cheti; e sempre buio fitto; sempre le due
lunghe file di lumi che ondeggiano lunghesso i lati della via; e sempre
lo stesso monotono tintinnar dei gamellini.
Tutto ad un tratto suona in mezzo alle file una voce stizzosa:--Su quel
lume!--E il soldato che porta la lanterna e che, preso dal sonno, aveva
allentato il braccio e lasciava cadere il fucile sul capo di chi gli
vien dietro, si desta, ripiega il braccio, e rialza il lume.
Altri pochi passi, e un sonoro e prolungato sbadiglio a raglio d'asino
rompe il silenzio. Due o tre voci gli tengon dietro a contraffarlo; una
risata, e zitti.
Altri pochi passi, e s'alza una voce stridula in tentativo di canto.
Un diavolìo d'urli di protesta e di disapprovazione si solleva dalle
file.--Lasciala lì.--A un'altra volta.--Dormi in pace.--E il mal
ispirato cantore ricaccia in gola il resto della canzone e si tace.
Altri venti passi, e si ode un grido acuto e poi un digrignar rabbioso
di bestemmie.--Che c'è?--Chi è?--È un soldato, colto dal sonno,
che ha dato una violenta stincata contro un paracarri--E intorno
intorno:--Bada ove vai.--Sfido io, cammina a occhi chiusi.--L'hai?
tientela.
Dopo un altro po', scroscia una gran risata alla coda della compagnia,
e un: uh! prolungato in tono di corbellatura.--Cos'è stato? Che è
accaduto? Chi è?--È un povero diavolo che camminava sull'orlo della
via, e sonnecchiava e tentennava e finì col rotolar giù nel fosso.--È
profondo?--Ma! chi ci vede?--Guardiamo.--Animo, animo, (un uffiziale)
che fate lì? Andate oltre. S'alzerà da sè. E voi, volete tener alto
quel lume?
E silenzio, e avanti, e sempre buio, e sempre quella brezzolina gelida,
mordente, uguale, che batte molestamente nel viso e mette un brivido
che par d'esser d'inverno.
--Oh che sonno! Che ora sarà? Le dieci, forse; fors'anco di più. Che
notte! Non ci si vede nulla. Ohè, di', amico, quanto tempo è che si
cammina?... Parla, oh; quanto tempo? Dorme, non sente; a momenti si
rompe il collo... Ho sonno anch'io. Ah! non poter dormire! E gli è un
po' di tempo che si va! Che noia non ci veder nulla! Se si potesse
dormire in piedi.... Ho da provare? Che sonno, Dio mio, che sonno....
che sonno.... la notte è buia.... buia.... e il vento.... dormire....
Ancora un momento, e cadrà nel fosso. Uno squillo di tromba. Alto.
L'ha scampata. Giù tutti, come corpi morti; si casca dove si casca,
sulle pietre, tra le spine, nel fango, dove che sia: tutto è comodo,
tutto pulito tutto soffice, tutto delizioso. Lì, sopra un mucchio di
sassi, dall'un lato della via, s'è rovesciata, d'un sol colpo, tutta
una squadra, l'un sull'altro, l'uno attraverso dell'altro; la canna
del fucile sotto la schiena, la borraccia di un compagno sotto la
testa, un piede del caporale di squadra contro la faccia, lo zaino d'un
altro compagno contro un fianco; la mano, talvolta, fra l'erbe, dentro
qualcosa d'umido e di molle...; ma che monta? La voluttà del sonno è
così cara, così dolce, così potente, che non si può badare ad altro
che a goderla intera e ad abbandonarvisi anima e corpo. Oh la dolcezza
d'un lungo e tormentoso bisogno finalmente appagato! In tutte le membra
si insinua e si spande un senso di piacer languido, uno sfinimento
soave.... Oh che delizia! dormiamo.
Se su quel punto della strada battesse per un momento il raggio della
luna, oh che quadro bizzarro ci si offrirebbe allo sguardo! Gli è
come un mucchio di cadaveri buttati là alla rinfusa: altri supino,
altri bocconi, altri disteso, altri rannicchiato, e qua e là braccia e
gambe e piedi e fucili che spuntano di mezzo alle gambe e alle braccia
d'altrui; una mescolanza che, a distinguervi membro per membro cui
appartenga, ci sarebbe un gran da fare. Sulle prime, in quel mucchio
di corpi, succede un po' di movimento, un po' di rimescolìo; ciascuno
cerca, dimenandosi lievemente, la più comoda positura, e ne nasce un
po' di litigio.--Fatti in là, sangue di Bacco!--Via quel piede!--Tira
in là cotesta gamba; o non vedi che me la dai sul muso?--Ma gli è
l'affar d'un momento, e poi tutti zitti. Un sonno pieno e profondo
s'insignorisce di tutti. Dapprima si sente un respirar grosso e
frequente; poi come un sospirar fievole ed interrotto; poi un gemere
sordo e arrantolato; infine un russar generale su tutti i tuoni, bassi,
baritoni, soprani, consonanti e dissonanti, striduli e sonori, una
musica d'inferno.
Uno squillo di tromba; è l'_attenti_.
Di quel mucchio nessuno l'intende, nessuno si muove; tutti quieti,
immobili, come corpi morti. Un altro squillo; e niente; immobili
come prima.--Vi farò alzar io, adesso!--tuona sui dormenti una voce
minacciosa. A quella voce, ecco là una gamba si stira, qui si stende
un braccio, più in là si dondola una testa, più in qua si torce una
vita, come segue in un gruppo di biscie che si svolgano lentamente al
tepore del sole.--Ci alziamo adunque, sì o no?--ripete più irosamente
la voce di prima. Uno dei dormenti s'alza a sedere, un altro si frega
gli occhi col rovescio della mano, un altro tasta intorno in cerca del
cheppì, un quarto è già in piedi, e un quinto e un sesto.... Tutti
ritti: oh finalmente! Ma che pena, Dio mio, che tormento esser destati
così bruscamente e doversi levar su proprio nel punto che si cominciava
a gustare il sonno!--Dov'è il mio cheppì?--E il mio fucile?--Dammi il
mio cheppì, di'.--Questo è il mio.--Ma no; il tuo è quest'altro.--Di
chi è questo fucile?--A me, dammelo.--Va a trovar la nappina,
adesso!--E lì cerca, e raspa, e fruga di qua di là, fra le pietre della
via, giù nel fosso, fra l'erbe, nei cespugli, ansando, sbuffando,
bestemmiando.... Squilla un'altra volta la tromba e il reggimento si
rimette in cammino.
E sempre buio, e sempre la stessa brezzolina fredda, che agghiaccia il
muso e increspa la pelle. Dio, che freddo a star fermi! si trema. Le
lanterne son tutte spente: oscurità completa. Chi sa in che confusione
camminan questi bricconi! Fortuna per loro che non ci si vede.
Dopo una mezz'ora di cammino silenzioso, qualcuno comincia a
scorgere, lontano lontano, un lumicino tremolante, che a volta a
volta si eclissa e riappare come una lucciola.--Che sarà?--Andiamo
innanzi;--ancora;--ancora un po';--un altro pochino. Il lumicino non
si eclissa più; appare più grande e splende più vivo.--Lo vedi?--È
la lanterna alla testa del reggimento.--No no, è un paese.--Ma che
paese!--Andiamo innanzi--innanzi,--innanzi... Eh?....--Hai ragione, è
un paese.--La voce si propaga; i sonnecchianti si scuotono; i dormenti
si svegliano; nasce un po' di bisbiglio.--Oh! benedetto il cielo; ecco
le case, ecco la via d'entrata, eccoci entrati.--
L'ora è tarda; le vie son quasi deserte; lo scalpiccìo del reggimento
echeggia distintamente in quella solitudine, e il bisbiglio si spande
a destra e sinistra per le vie torte ed oscure. Casupole di qua,
casupole di là, e tutto chiuso, sbarrato, come se fosse un villaggio
abbandonato. Ma a misura che si procede, a manca e a dritta della
via, a pian terreno, si schiude a mezzo qualche porticina per cui
si vedono luccicar dentro i focolari, e affacciarsi e sporger fuori
timidamente la testa qualche donnicciuola già spogliata a mezzo, e
accorrere fuori della soglia i fanciulli, e ai piani di sopra aprirsi
qualche impannata, e tralucere l'interno lume, e apparir dietro i vetri
una figura nera che guarda giù che cos'è l'insolito tramestìo.... Ah!
quella figura nera sarà scesa allora allora dal letto, dove dormiva e
tornerà tra breve a dormire saporitamente i suoi sonni queti e soavi!
Oh quel letto! Par di vederlo, par d'avere sott'occhio la rimboccatura
delle lenzuola fatta e distesa sul capezzale, e di passarci la mano
su, e di sentir la fragrante freschezza della tela pur ora uscita di
bucato. Oh fortunato chi dorme là entro! Oh quando riavrò il mio letto
anch'io! Felici, beati tutti coloro che hanno un letto!
La via, prima torta ed angusta, si fa dritta a poco a poco e si
allarga,--si allarga,--ecco, sbocca in una piazza. La bella piazza!
Due file a destra, due file a sinistra: tutti guardano intorno. Qua
e là gruppi di curiosi, qualche bottega aperta, lì una chiesa, là la
casa del sindaco, una fontana, un porticato, e laggiù.... Oh, guarda,
guarda: un caffè!
Strana, ma pur vera emozione! Traversate di notte, dopo una marcia
lunga e penosa, un villaggio; passate, stanchi, spossati, assetati,
sordidi di polvere e di fango, disavvezzi da molto tempo da ogni
gentile costumanza e da ogni diletto della vita cittadina, passate
dinanzi a un caffè; e vi batterà il cuore d'una certa tenerezza, d'un
certo struggimento malinconico, quasi d'una mesta pietà di voi stessi,
e lancierete in quel caffè uno sguardo avido, invidioso, bieco d'amore
collerico, come fanno i bambini; e serberete per molto tempo in mente
l'immagine del loco, degli oggetti e delle persone.
Quello là era un caffè ampio, illuminato, luccicante di specchi, pieno
di uffiziali di stato maggiore e di aiutanti di campo, coperti d'oro,
d'argento, di ciondoli, di pennacchi, di medaglie e di croci; altri
dentro, altri sulla soglia, altri fuori sulla piazza, e facevano tutti
un continuo dimenar di braccia e di gambe e un chiassoso strascicare
di sciabole. Un denso nuvolo di fumo avvolgeva ogni cosa; si vedeva e
si sentiva un gran stappare di bottiglie di birra, e un affaccendarsi
e un correre di fattorini, rossi nel viso, trafelati, confusi dalla
frequenza e dalla splendidezza insolita degli avventori; un girare
e rigirare alla pazza dal di dentro al di fuori, dal di fuori al di
dentro, chiamandosi, garrendosi gli uni cogli altri, che non sapevano
più dove avessero la testa; e sul dinanzi della porta una folla di
popolo con tanto d'occhi e di bocca aperta a contemplare i galloni
più larghi e i petti più medagliati. E in fondo al caffè, proprio
in fondo in fondo, in un angolo, dietro a un tavolino circondato
dagli uffizialotti più giovani, sopra una sedia rialzata, in una
specie di nicchia, di tempietto, un bel visino di fanciulla su cui
combattevano amabilmente il pudore e la civetteria, in mezzo a tanti
inconsueti omaggi, a tante garbatezze di lega signorile, a tante
sviscerate proteste, e a tante audaci preghiere e a tanto contorcersi e
molleggiare di vite sottili e di gambe co' calzoni alla pelle.
Tutti gli occhi si figgono avidamente là, su quella figura gentile, su
quel bel viso, e vi restano fitti fin ch'ella dispare allo sguardo.
Non sono pensieri, non sono immagini e desiderii di voluttà ch'ella ci
desta in quei momenti; oh no; bensì ci mette in cuore come un desiderio
stanco di pace e di affetto, una malinconia vaga, e ci sentiamo
improvvisamente soli, abbandonati e scoraggiti. La donna ci richiama
vivamente alla memoria le dolcezze quete e soavi della vita domestica,
le quali, paragonate alla nostra dura vita di soldato, appunto in
quell'ora, in quei momenti in cui di tal vita non si provano che le
amarezze e i disagi, non le consolazioni, nè i fieri contenti; ci fan
quasi parere d'essere infelici. Quel viso di donna ci ravviva in mente
l'immagine di nostra madre e di nostra sorella o di qualche creatura
più ardentemente cara, e, quando esso ci fugge dallo sguardo, noi
chiniamo la testa, e pensiamo, e diventiamo tristi, e quelle tenebre
par che ci pesino sul petto e ci mozzino il respiro, e guardiamo e
riguardiamo il cielo se comincia a schiarire, e in quel malinconico
vaneggiare della fantasia, ci pare che ci addormenteremmo così
volentieri per sempre, vedendo comparire ancora una volta nostra madre
e il sole....
Il reggimento è fuor del villaggio. Sempre lo stesso buio e la stessa
brezzolina. Di lumi non se ne parla più chè son tutti spenti da un
pezzo. E dunque? Dovremo noi seguitare fino alla tappa il reggimento,
con questo fresco e con questo buio, ed assistere al ripetersi di
tutte le scene che abbiamo vedute fin qui? Quelli a cui garbi lo
seguano; io lascio ch'ei faccia il suo cammino, gli auguro che trovi
un buon campo, e vi mangi un rancio saporito e vi dorma un sonno lungo
e tranquillo, perchè, a dire il vero, questi poveri soldati n'hanno
bisogno e se lo son meritato.


UN MAZZOLINO DI FIORI.

--Guarito, guarito; non ci ho neanco più il segno; guarda.--Così mi
diceva l'anno scorso, sul cadere di febbraio, dopo una quindicina di
giorni che non ci eravamo più visti, un ufficiale giovanissimo, che io
incontrava in casa di una signora nostra amica, e così dicendomi mi
porgeva la mano perch'io la guardassi. La guardai; non c'era proprio
traccia di nulla.--E quell'altro? gli chiesi.--Sta meglio.--Chi? Chi
sta meglio? Chi è che s'è ammalato?--interruppe la padrona di casa
sopraggiungendo. Io e il mio amico ci scambiammo un sorriso.--L'ho
da dire?--questi mi chiese. Io gli risposi che se fossi stato in lui
l'avrei detta.
--Senta dunque--incominciò l'amico rivolgendosi alla signora.--Tre
giorni prima che finisse il carnovale, una sera verso le cinque, io
stava davanti a un caffè a vedere il corso delle carrozze, solo,
imbroncito, pigiato dalla folla, tutto bianco di farina, maledicendo il
momento che m'era venuta l'ispirazione di uscir di casa e di cacciarmi
là in mezzo. Di tratto in tratto passava un soldato di cavalleria colla
sciabola nuda e faceva cenno alla gente che si tirasse indietro per non
ingombrare il corso, e al cenno aggiungeva qualche parola rispettosa
e cortese. Davanti a me c'eran quattro o cinque monelli che, appena
passato il soldato, si gettavano in mezzo alla strada fra carrozza e
carrozza e si contendevano a pugni i coriandoli e i fiori sparsi sul
lastrico con gran rischio di restare schiacciati dai cavalli e con
gran noia dei cocchieri che per andare innanzi dovevano spolmonarsi
a gridare che si badassero e facessero largo. Uno dei soldati che
percorrevano la strada, dopo averli ammoniti e sgridati cinque o sei
volte, visto che facean sempre peggio, perdette la pazienza, spronò
il cavallo verso di loro e alzò la sciabola come per dare un colpo
di piatto, che in nessun caso, sicuramente, non avrebbe mai dato. Un
signore che m'era vicino, vedendo quell'atto, esclamò:--Eh!--E quando
il cavaliere si rimise la sciabola contro la spalla, soggiunse:--Avrei
un po' voluto vedere.--E poi, volgendosi verso un suo vicino:--Frutti
dell'educazione: prepotenza e brutalità.--Mi si rimescolò il sangue;
alzai una mano, la ritenni, la cacciai in tasca, e con tutta la calma
di cui fui capace e col più cortese accento che potei metter fuori
mormorai nell'orecchio a quel signore:--Quale educazione?--Si voltò,
fece un atto di sorpresa, impallidì; ma si rinfrancò tosto e rispose
con insolente scioltezza:--L'educazione militare.--Io non vidi più nè
lui, nè la folla, nè il corso, e non mi ricordo neanco più quel che gli
dissi e quel che mi rispose; non so altro che l'indomani mattina tornai
a casa con una mano ferita, e i miei amici mi dissero che quel signore
aveva la guancia sinistra divisa in due. Ecco tutto. Or ora io stava
dicendo che la mia mano non serba più segno della scalfittura, e che
quell'altro signore sta meglio.--
La signora che fino allora era stata a sentire con gran serietà,
alzando di tratto in tratto gli occhi al cielo ed esclamando:--Dio
mio!,--si rallegrò con gentili parole dell'esito fortunato del duello,
e poi usci fuori improvvisamente con una domanda.... da donna:--Ma lei
perchè lo ha provocato? Non era meglio finger di non sentire?--
Il mio amico mi guardò; io guardai lui, e ridemmo tutti e due.
--Perchè ridono?
--Senta, signora--quegli rispose.--Posto pure, cosa che non è, ch'io
dovessi fingere di non sentire, come l'avrei potuto se l'ira mi accese
il sangue e mi spense ogni lume di ragione? Sapevo io che cosa mi
facessi in quel momento?
--Certo che....
--E poi la gente che era là attorno aveva sentito, e poi l'offesa
colpiva tutto l'esercito, e poi quelle parole erano una menzogna, e
poi, appunto in quell'occasione, quella menzogna era una calunnia, e
poi il tuono di voce con cui quella calunnia era stata proferita sonava
come una provocazione, e poi quel signore, come seppi in seguito e come
non poteva essere altrimenti, perchè vi sono delle parole che rivelano
tutta l'anima d'un uomo, quel signore era un....
--Zitto! zitto! non occorre ch'io lo sappia.
--E poi c'era un'altra ragione per cui quelle parole dovevano riuscirmi
tanto amare e oltraggiose, e questa ragione gliela voglio dire.
Ascolti. Quattordici anni fa....
--Niente meno!
--Senta; ero a Torino colla mia famiglia; avevo sette anni. Il
penultimo giorno di carnovale mia madre mi mise un bel vestitino da
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