La vita militare: bozzetti - 12

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e messo a piangere e a gridare dalla paura che volesse farlo morir
soffocato.
Qualche rara volta entrava in chiesa e s'inginocchiava e giungeva le
mani come tutti gli altri e borbottava non so che parole; ma dopo pochi
momenti si metteva a ridere e pigliava delle attitudini e faceva dei
gesti strani e irriverenti, così che il sacrestano finiva col venirla a
pigliare pel braccio e condurla fuori.
Aveva una bella voce, e quand'era in sè cantava benino; ma dacchè
gli aveva dato volta il cervello non facea più che un canterellare
inarticolato e monotono, pel solito quando stava seduta sulla soglia di
casa sua o a piè della scala della casa del tenente, mangiucchiando
fichi d'India, ch'erano, si può dire, l'unico suo alimento.
Aveva anch'essa le sue ore di malinconia in cui non parlava e non
rideva con nessuno, nemmeno co' fanciulli; e soleva stare accovacciata
come un cane dinanzi alla porta di casa colla testa ravvolta nel
grembiale o il viso coperto col fazzoletto, non si scotendo, non si
movendo dalla sua positura per qualunque rumore le si facesse intorno
e per quante volte la si chiamasse a nome, anche da sua madre. Ma ciò
accadeva assai di rado; era quasi sempre allegra.
Ai soldati, come dissi, non dava retta e non li guardava nemmeno; ma
riserbava tutte le sue tenerezze per gli ufficiali. Non le largiva però
a tutti nella stessa misura. Dopo ch'essa era tornata dall'ospedale,
il distaccamento s'era mutato da sei a otto volte, e di ufficiali
ce n'eran venuti d'ogni età, d'ogni aspetto e d'ogni umore. Si notò
ch'ella mostrava un'assai più viva simpatia pei più giovani, anche
a differenza di pochi anni; e che sapeva benissimo distinguere chi
era più bello da chi lo era meno, comunque tutti fossero egualmente
il suo «amore» e il suo «tesoro». A un certo luogotenente venuto de'
primi, un uomo sulla quarantina, tutto naso e tutto pancia, con una
vociacela stentorea e due occhi da basilisco, essa non avea mai fatto
buon viso. Gli avea detto qualche dolce parola la prima volta che
s'erano incontrati; ma quegli, infastidito, le avea risposto malamente,
accompagnando le parole con un atto minaccioso della mano, in modo
da farle intendere ch'era miglior consiglio desistere una volta per
sempre. Ed essa avea desistito, non cessando però di tenergli dietro
ogni volta che l'incontrasse per via e di passare molte ore della sera
seduta appiè della scala di casa sua. Entrasse od uscisse, non gli
diceva una parola; ma non si movea di là. E si portò nello stesso modo
con due o tre altri ufficiali che vennero dopo a quel primo, d'indole,
di aspetto e di modi non molto diversi da lui. Ma ne vennero anche
dei giovanissimi e di bella persona e gentili, e di questi si sarebbe
potuto dire che n'andava pazza, se pazza già non fosse stata. Qualcuno
di loro si era fitto in capo di volerla guarire fingendo di esserne
invaghito e di amarla davvero; ma avendo presa la cosa alla leggera,
se n'era annoiato dopo due o tre giorni di prova, e aveva smesso.
Qualcun altro, meno filantropo e più materiale, s'era domandato:--O che
è sempre necessario che una bella ragazza abbia la testa a segno?--e
risposto di no, avea cercato di persuadere a Carmela che per fare
all'amore il cervello è un soprappiù; ma, stranissimo a dirsi, aveva
incontrato una resistenza inaspettatamente ostinata. Non diceva proprio
un no tondo e risoluto, perchè forse non intendeva chiaramente che cosa
si volesse da lei; ma, quasi per istinto, ad ogni atteggiamento e ad
ogni atto, chi mi suggerisce un aggiunto?... ad ogni atto che potesse
parer decisivo, svincolava, l'una dopo l'altra, le mani, ritraeva le
braccia e se le incrocicchiava sul seno e si stringeva in tutta la
persona, ridendo d'un certo strano riso, come i bambini quando credono
che si voglia far loro una burla, ma non san bene qual sia, e, ridendo,
voglion mostrare d'averla capita, appunto per farsela dire. Ma in
que' momenti, animandosele il viso e lampeggiandole lo sguardo, ella
non parea pazza, ed era bellissima, e quel ritegno, quella ritrosìa
imprimendo ai movimenti e alle attitudini della sua persona una
certa compostezza e un certo garbo, dava uno straordinario risalto
alla stupenda leggiadria delle sue forme. Insomma que' pochi che la
tentarono si persuasero ch'era un'impresa disperata. Mi fu detto che
uno di questi, narrando un giorno i suoi vani tentativi al dottore,
esclamasse:--Donne colla virtù nel cervello, nella coscienza, nel
cuore, in che diamine ella vuole, ne ho viste di molte; ma donne, come
questa, che l'abbiano nel sangue, nel sangue! le confesso che non ne ho
viste mai.--Alcuni dicevano che in ogni ufficiale che le piacesse ella
credeva di vedere il suo, quello che l'aveva amata e abbandonata. Forse
non era vero, perchè, qualche volta avrebbe detto qualcosa d'allusivo
a ciò ch'era seguìto, e invece non diceva mai nulla. Frequentemente le
veniva chiesto o dello qualcosa su questo proposito; ma non dava mai
segno d'intendere o di ricordarsi di qualchecosa; ascoltava attenta
attenta e poi rideva. Quando un distaccamento partiva lo andava ad
accompagnare fino al porto, e quando il legno s'allontanava lo salutava
agitando in alto il fazzoletto; ma non piangeva, nè faceva alcun'altra
mostra di dolore. Andava subito a far le sue proteste d'amore al nuovo
ufficiale. L'ultimo venuto pareva che le fosse piaciuto un po' più di
tutti gli altri.

V.
Il dottore tornò poco dopo e raccontò all'ufficiale tutto ciò che
abbiam finito or ora di dire. Questi, pigliando comiato, esclamò una
seconda volta:--Peccato; è tanto carina!--Sicuro, e che fiera e nobile
tempra di carattere doveva avere! soggiunse il dottore. L'ufficiale
uscì. Era notte avanzata, e nella piazza non si vedeva anima viva.
La sua casa era dal lato opposto a quello del caffè. Vi si diresse
lentamente e quasi a malincuore.--Sarà là,--pensava sospirando, e
aguzzava gli occhi, allungando il collo e piegando il capo a destra
e a sinistra, per vedere se ci fosse nessuno dinnanzi alla porta;
ma inutilmente, ch'era buio perfetto. Avanti, avanti, sempre più a
rilento, soffermandosi, serpeggiando, guatando...--Se sapessi che
là c'è un malandrino che m'aspetta col coltello in mano, mi pare
che andrei innanzi più franco e più spedito,--disse tra sè, e fece
risolutamente dieci o dodici passi.--Ah! eccola là.--L'aveva scorta;
era seduta sopra uno scalino al di fuori della porta; ma buio com'era,
egli non potea vederla nel viso.--Che cosa fate qui?--le domandò
avvicinandosele. Essa non rispose subito, s'alzò, se gli mise proprio
petto a petto, e, posandogli tutt'e due le mani sulle spalle, con
una vocina soave e un certo accento che parea parlasse del miglior
senno del mondo, gli disse:--T'aspettavo.... dormivo.--E perchè
m'aspettavi?--domandò ancora l'ufficiale levandosi di sulle spalle
quelle due mani che scesero subito a stringergli le braccia.--Perchè
voglio stare con te,--essa rispose.--Che accento! egli pensò; in
verità che si direbbe che parla da senno.--E cavato subito di tasca
un fiammifero, l'accese e l'avvicinò al viso di Carmela per vederla
bene negli occhi. La stanchezza,--poichè ella era stata in giro tutta
la giornata,--e più quel breve sonno da cui allora si destava, avendo
tolto alla sua fisonomia un po' di quella vivezza smodata e convulsa
che le era abituale, e diffusovi invece una tinta come di languore e
di malinconia, in quel punto il suo viso era veramente incantevole, e
parea tutt'altro che di pazza.
--Oh caro, caro!--proruppe Carmela appena vide la faccia rischiarata
del tenente, e allungando il braccio tentò di stringergli il mento tra
l'indice e il pollice. Egli l'afferrò per un braccio; essa alla sua
volti afferrò coll'altro il braccio che l'avea afferrata, gli inchiodò
la bocca sulla mano, glie la baciò e glie la morse. L'ufficiale si
svincolò, si slanciò in casa e chiuse la porta.
--Tesoro!--gridò ancora una volta Carmela, e poi, senza dir altro, si
rimise a sedere sullo scalino colle braccia incrociate sulle ginocchia
e la testa inclinata da un lato. Indi a poco prese sonno.
Appena entrato in casa e acceso il lume, l'ufficiale si guardò il
rovescio della mano destra e ci vide la leggera impronta di otto
dentini, intorno a cui luccicava tuttavia il madore di quella bocca
convulsa.--Che razza d'amore è codesto!--disse forte a se stesso,
e, acceso un sigaro, si mise a passeggiare per la stanza ruminando
l'orario per il suo piccolo distaccamento.--Ci penserò domani--disse
poi tutt'ad un tratto, e pensò ad altro. Sedette, apri un libro,
lesse qualche pagina, riprese a passeggiare; poi daccapo a leggere;
finalmente si decise di andare a letto. S'era già quasi finito di
spogliare quando fu colto da un'idea; stette pensando un istante, corse
alla finestra, allungò la mano per aprirla....; la ritrasse, scrollò
una spalla e andò a dormire.
L'indomani mattina per tempo la sua ordinanza, entrando in punta di
piedi nella camera, si meravigliò di vederlo già sveglio, che non era
suo costume di svegliarsi da sè. E gli disse sorridendo:--Qui sotto,
alla porta, c'è quella pazza....--E che fa?--Nulla; dice che aspetta il
signor tenente.--
L' ufficiale si sforzò di ridere, e guardando poi il soldato mentre
gli spazzolava i panni, diceva tra sè:--Questa mattina lavora a vapore
costui.--Quando fu vestito, gli disse:--Guarda se c'è ancora.--Il
soldato aprì la finestra, guardò giù e disse di sì.--Cosa fa?--Si
balocca coi sassi.--Guarda in su?--No.--È proprio dinanzi alla porta
o da un lato?--Da un lato.--Le potrò sfuggire.--E discese. Mail suono
della sciabola lo tradì.--Buon giorno! buon giorno!--gridò, andandogli
incontro su per la scala, la fanciulla; e quando gli fu accosto,
gli si inginocchiò dinanzi, tirò fuori un fazzoletto e afferrandogli
coll'altra mano una gamba sopra la noce del piede, si mise a
spolverargli in gran fretta lo stivale mormorando:--Aspetta, aspetta,
ancora un momento, un po' di pazienza, caro; ancora un momento, ecco,
così, adesso va bene....
--Carmela!--gridò severamente l'ufficiale tentando invano di
sprigionare la gamba dalla sua piccola mano;--Carmela!--
Come fu libero s'allontanò di corsa.--Ma che non ci sia proprio
nessun mezzo di rimetterle la testa a segno?--domandava poco dopo al
dottore.--Mah!--questi rispondeva;--forse! Col tempo, colla pazienza....

VI.
Dopo un mese il dottore e il tenente erano amicissimi. La conformità
della loro natura e della loro età, e più quel trovarsi assieme dalla
mattina alla sera in un paese dove si può dire che non ci fossero
altri giovani della loro condizione, fece sì che in poco tempo si
conoscessero l'un l'altro intimamente e si volessero bene come amici
antichi. Ma durante quel mese l'un d'essi, l'ufficiale, aveva mutato
abitudini in un modo singolare. I primi giorni s'era fatto mandar
da Napoli certi libroni, e la sera, per un par di settimane, non
avea fatto che leggere e pigliar degli appunti e intavolar delle
discussioni lunghe ed astruse col dottore, terminando quasi sempre
col dire:--Basta; io credo che in questo caso i medici ci abbian
poco o punto che fare.--Vedremo a che cosa riescirai,--rispondeva il
dottore, e si dividevano con queste parole, per ripigliare daccapo la
discussione l'indomani.
Un giorno, dopo aver fatte certe domande al sindaco, l'ufficiale aveva
mandato a chiamare l'unico sarto del paese, poi s'era recato alla
bottega dell'unico cappellaio e poi a quella dell'unico merciaio,
e quattro giorni dopo era uscito a passeggiare sulla riva del mare
tutto vestito di tela di Russia, con un ampio cappello di paglia e una
cravatta di colore azzurro. La stessa sera, incontrandolo, il dottore
gli avea chiesto:--Ebbene?--Nulla.--Nemmeno un segno...?--Nulla,
nulla.--Non importa; perseveranza.--Oh! non ne dubitare.
Il ricevitore del paese aveva fatto per molt'anni il cantante e
sapeva sonare vari strumenti. Un giorno l'ufficiale era andato
a lui e senz'altri preamboli:--Mi faccia il piacere,--gli aveva
detto;--m'insegni a sonar la chitarra.--E il ricevitore, cominciando
da quel giorno, dava lezione di chitarra, mattina e sera, al tenente,
e questi imparava a meraviglia, e in poco tempo s'era messo al caso
di fargli l'accompagnamento quando cantava.--Lei deve avere una bella
voce,--gli disse un giorno il maestro. E di fatto aveva una voce
gentile. Incominciò anch'esso a imparare a cantare, e in capo a un
mese cantava sulla chitarra le canzoncine siciliane con un garbo e una
soavità ch'era un varo diletto a sentirlo.--Abbiamo avuto un altro
ufficiale che sonava veramente bene anche lui!--gli diceva a volte
il ricevitore.--C'è un'arietta--soggiunse un giorno--ch'egli cantava
sempre..... un'arietta.... aspetti; ah come la cantava divinamente!
Cominciava.... Se l'era fatta lui, sa; cominciava:
Carmela, ai tuoi ginocchi
Placidamente assiso,
Guardandoti negli occhi
Baciandoti nel viso
Trascorrerò i miei dì.
L'ultimo dì, nel seno
Il volto scolorito
Ti celerò, sereno
Come un fanciul sopito,
E morirò così.
--Me la dica ancora una volta.--Il ricevitore la ripeteva.--Me la
canti.--E la cantava.
Un altro giorno, dopo aver parlato a lungo col tabaccaio che avea
la bottega accanto a casa sua, andò dal maresciallo dei carabinieri
e gli disse:--Maresciallo, mi hanno detto che lei è un eccellente
schermitore.--Io? Oh Dio buono, son due anni che non ho più preso la
sciabola in mano.--Vuol che si scambi un par di colpi di tanto in
tanto?--E come volentieri.--Allora fissiamo il quando.--E fissarono
il quando. E da quel giorno in poi, ogni mattina, tutti coloro che
attraversavano la piazza sentivano un gran cozzare di sciabole e un
gran pestar di piedi e sbuffi e vociaccie nella casa del tenente. Era
lui e il maresciallo che giocavan di scherma.--Quest'esperimento potevi
risparmiartelo,--disse un giorno il dottore all'ufficiale;--ha dato
segno di nulla?--Di nulla; ma era bene provare. M'han detto ch'egli
tirava ogni mattina col maresciallo, appunto a quell'ora, e ch'essa,
non piacendole di stare a vedere, scendeva in piazza....--Oh sì, ci
vuol'altro, mio caro, ci vuol'altro!

VII.
Era trascorso un mese e mezzo dal giorno dell'arrivo del nuovo
distaccamento. Una notte l'ufficiale stava a tavolino in casa sua, di
fronte al dottore, e colla punta della penna stuzzicando la fiammella
della candela che gli ardeva dinanzi, diceva:--Come vuoi che la vada
a finire? Diventerò pazzo anch'io; ecco come finirà. Mi vergogno di me
stesso, vedi; ci son dei momenti in cui mi pare che tutti m'abbiano a
ridere alle spalle.
--Ridere di che?--domandava il dottore.
--Di che?--ripetè l'altro per pigliar tempo alla risposta.--Ridere di
questo mio.... zelo, di questa mia pietà per quella povera disgraziata,
di questi miei esperimenti, di questi tentativi.... inutili.
--Zelo! pietà! Queste non son cose che possano dare argomento a
ridere.--E gli fissò gli occhi nel viso, e poi:--Dimmi la verità; tu
sei innamorato di Carmela.
--Io?--esclamò vivamente l'ufficiale, e rimase immobile nell'atto di
interrogare, facendosi rosso fino alla radice dei capelli.
--Tu,--rispose il dottore.--Dimmi la verità; sii sincero con me; non
sono qui il tuo unico amico?
--Amico sì; ma appunto perchè voglio esser sincero non ti debbo dire
ciò che non è,--rispose l'altro. Tacque un momento, e poi tirò innanzi
a parlare in fretta, ora diventando pallido, ora color di fuoco,
balbettando, imbrogliandosi e contraddicendosi, come un fanciullo colto
in fallo e obbligato a raccontare la sua monelleria.
--Innamorato, io? E di Carmela? D'una pazza? Ma ti pare, amico mio? Ma
come ti è venuta in mente una stranezza di questo genere? Il giorno che
ciò fosse... ti do fin d'ora il diritto di riferire al mio colonnello
che m'han dato volta le girelle e che bisogna chiudermi co' matti.
Innamorato!... mi fai ridere. Ne sento pietà di quella povera creatura,
questo sì; una vivissima e fortissima pietà; non so quel che darei
per vederla guarita; farei volentieri per la sua salute qualunque
sacrifizio; godrei della sua guarigione come se fosse una persona
della mia famiglia.... Tutto ciò è vero; ma da tutto ciò all'esserne
innamorato ci corre! Le voglio bene, è vero anche questo, e le voglio
molto bene, come credo che glie ne voglia anche tu, perchè la pietà
va sempre insieme all'affetto.... E poi le voglio bene perchè si dice
che sia stata sempre una ragazza onesta, affettuosa; che quel suo
primo e solo amante l'abbia amato davvero, amato degnamente, coll'idea
di diventare sua moglie, e senza volergli affidare il proprio onore
prima di portare il suo nome... Questa è virtù, caro mio, e virtù di
quella propriamente detta, e io l'ammiro, capisci, e quella poveretta
mi fa tanto più compassione quanto più essa meritava d'incontrare una
sorte felice invece di una disgrazia com'è quella che le è toccata.
E come si potrebbe non averne compassione e non amarla? Il carattere
della sua stessa pazzia non è forse l'espressione d'un'anima buona,
amorosa, gentile? Dalla sua bocca io non ho mai sentito che parole
dolci e modeste, e quel mettermi le mani addosso ch'ella fa, quelle
sue carezze, quel suo baciarmi le mani, sono certamente atti da pazza,
ma non han nulla che passi il limite della decenza. L'hai mai veduta a
fare un atto disonesto? No di sicuro; ed è per questo, ti ripeto, che
le ho posto affetto. Povera ragazza, abbandonata da tutti... ridotta a
menar la vita d'un cane... Dimmi un po' se non le vuoi bene anche tu!
Io te lo dico schietto, io le voglio un bene dell'anima. E quella sua
stessa bellezza... perchè è bella poi.... bella come un angelo, questo
non si può negare; guardale gli occhi, la bocca, tutta la persona....
le mani; glie l'hai mai guardate le mani? E i capelli? Così arruffati
come li porta sembra una selvaggia; ma son capelli bellissimi... E poi
vestita in un altro modo... Ebbene, quella sua stessa bellezza mi fa
sentir più forte la pietà. Guardandola, non posso a meno di dir tra
me: Peccato! Peccato che quest'occhio di sole non si possa amare! Ma
non sai che quella ragazza lì, se avesse la ragione come tutte l'altre,
sarebbe un visetto da far girare la testa a chi sa chi? E anche adesso
ci son dei momenti che, se non si sapesse che è pazza, si starebbe
per fare uno sproposito; per esempio, quando ti guarda fiso negli
occhi e poi sorride e ti dice:--caro,--e la sera, al buio, quando non
la vedi nel viso, e la senti soltanto parlare e dirti soavemente che
t'aspettava, che vuol stare con te fino al mattino, che sei il suo
angelo... che so io? in quei momenti non ti par pazza. Io la guardo,
l'ascolto come se fosse in sè e sentisse veramente quel che mi dice,
e ti assicuro che, mentre l'illusione mi dura, il cuore mi batte;....
ma, ti dico, mi batte come se fossi innamorato. E provo a chiamarla
per nome, non so perchè... con una certa idea... colla fissazione
ch'essa mi debba rispondere qualcosa che me la riveli guarita tutto
ad un tratto...--Carmela!--le dico. Ed essa:--Che vuoi?--Tu non sei
pazza, non è vero?--le domando.--Io pazza?--essa mi risponde, e mi
guarda con una cert'aria di sorpresa che mi farebbe giurare che non
l'è--Carmela!--allora le grido esaltato improvvisamente da una dolce
speranza.--Dimmelo un'altra volta che non sei pazza!...--Mi guarda
attonita un po' di tempo e poi scoppia in una gran risata. Oh! amico,
credilo, allora, lì su quel subito, darei la testa nel muro. Tu sai
quant'ho fatto per veder di restituirle la ragione; ma non sai tutto.
Quasi ogni sera io me la son fatta venire in casa, le ho parlato per
ore intere, le ho sonato e cantato le canzoni che il suo amante le
cantava, ho provato a dirle che ero innamorato di lei, a colmarla di
carezze, a finger di piangere e di disperarmi, a lasciarla fare di me
quel che voleva, baciarmi, abbracciarmi, carezzarmi come fan le madri
a' bambini... Ho provato a fare lo stesso io a lei, e con che cuore io
lo facessi, te lo lascio immaginare, chè non ti saprei dire se provassi
ribrezzo, o paura, o vergogna, o rimorso, o tutto questo insieme;
fatto sta che, baciandola, tremavo e impallidivo come se baciassi un
cadavere. E alle volte mi pareva di fare un sacrificio generoso e
n'esultavo profondamente, e miste ai baci le lasciavo cadere sulle
guancie le lacrime; e in cert'altri momenti mi pareva di commettere un
delitto e sentivo orrore di me stesso.... Ho sofferto il soffribile,
caro amico, e tutto invano. E quanto cresceva la disperazione tanto mi
ardeva più viva e più ostinata nel cuore questa maledetta febbre.... E
non posso dormire la notte perchè so ch'essa è già accovacciata dinanzi
alla mia porta, e, martellato come sono continuamente da quest'idea, mi
par di dover sentire da un momento all'altro picchiar nei vetri e veder
apparire al di sopra del davanzale quel viso stravolto, e piantarsi
nei miei quei due occhi immobili e senza sguardo! Altre volte mi par
di sentirla udire su per le scale e balzo a sedere sul letto, o mi
par di udire giù nella piazza un suo scroscio di risa, e quelle risa
mi fan l'effetto d'una mano di ghiaccio sul cuore, e non ho coraggio
di affacciarmi alla finestra a guardare. E mi metto a leggere, a
scrivere, ma sempre colla mente a lei, sempre tristo, irrequieto, quasi
pauroso, non so nemmen io di che. E allorchè mi domando quando finirà
quest'angosciosa vita, e come finirà, e che traccia ne resterà nel mio
cuore, io non ardisco rispondermi, ho paura della mia risposta, e mi
caccio le mani nei capelli.... come un disperato.... Oh amico! dimmi
che non diventerò pazzo anch'io perchè io sento che il mio cuore si
spezza e che io non reggo a questa vita...; non reggo, non reggo.--
E stese una mano per pigliar quella del dottore; questi gli si fece più
accosto colla seggiola, e, commosso com'era da non trovar più parola,
gli pose ambe le mani sulle spalle, lo guardò un istante e l'abbracciò.
Tutto ad un tratto l'ufficiale sciolse la testa dall'abbraccio
dell'amico, alzò la faccia lagrimosa e lo fissò con uno sguardo in cui
brillava il principio d'un sorriso.--Ebbene?--domandò l'altro con lieta
ansietà.
--E se rinsanisse?--esclamò l'ufficiale col viso improvvisamente
rasserenato; se ritornasse com'era una volta, se riacquistasse la
ragione e il cuore come l'aveva prima, e quegli occhi perdessero per
sempre quella strana luce e quella guardatura immobile che fa paura,
e quella bocca non ridesse mai più di quel riso orribile, e un giorno
ella mi dicesse da senno:--Ti ringrazio, ti benedico, caro, che m'hai
ridata la vita; ti voglio bene, ti amo....--e piangesse! Vederla
piangere, sentirla ragionare, trovarla sempre linda, pettinata e
composta come tutte l'altre fanciulle; e vederla tornare in chiesa a
pregare, e arrossire come prima, e riprovare ad uno ad uno come per una
seconda infanzia tutti gli affetti casti e soavi di cui ha smarrito il
sentimento! La sera non trovarla più qui a piè della scala, doverla
andare a cercare a casa, accanto a sua madre, occupata a lavorare,
tranquilla, contenta.... Oh Dio mio, e se potessi dire che son io che
l'ho mutata così, che l'ho fatta rivivere, che le ho ridato tutte
le speranze e tutti gli affetti, che l'ho restituita alla famiglia,
alla felicità.... Oh amico mio!--esclamava afferrandogli le mani e
fissandolo cogli occhi pieni di pianto;--mi parrebbe di essere.... un
dio, mi parrebbe d'aver creato qualcosa anch'io, di possedere due anime
e di vivere due vite, la mia e la sua; mi parrebbe mia quella creatura,
crederei che il cielo me l'avesse predestinata, e la condurrei dinanzi
a mia madre come se fosse un angelo.... Oh io non potrei capire tanta
felicità, io impazzirei dalla gioia; oh se fosse vero! se fosse vero!--
E abbandonò la fronte sulle mani, piangendo.
--Oh mio amore!--s'intese gridare in quel punto giù nella
piazza. L'ufficiale balzò in piedi e disse risolutamente al
dottore:--Lasciami.--
Quegli gli strinse la mano, gli disse--Coraggio!--e partì.
Il tenente rimase qualche minuto immobile in mezzo alla camera,
poi andò alla finestra, l'aperse, si ritrasse d'un passo, e stette
contemplando un istante lo stupendo spettacolo che gli s'offeriva allo
sguardo. Una notte limpida, chiara, senza vento, ch'era un incanto.
Lì subito sotto gli occhi la parte bassa del paese; i tetti, le vie
deserte, il porto, la spiaggia, su cui batteva così bianco il lume
della luna che vi si sarebbe veduto passare una persona distintamente
come di giorno, e poi il mare quieto e liscio come un olio, e lontano
lontano i monti della Sicilia rilevati e distinti come se fossero là
presso, e un silenzio profondo.--Potessi anch'io godere di questa pace
soave!--pensò l'ufficiale spaziando collo sguardo nella immensità di
quel mare; e s'affacciò, palpitando, alla finestra, e guardò giù.
Carmela era seduta dinanzi alla porta.
--Carmela!
--Carino.
--Cosa fai costì?
--Cosa fai.... aspetto; lo sai pure. Aspetto che tu mi faccia salir
sopra. Non mi vuoi questa sera?
--Scendo ad aprirti.--
Carmela, dalla contentezza, si mise a batter le mani e a saltellare.
La porta s'aperse, e apparve l'ufficiale col lume in mano. Carmela
entrò, gli tolse di mano il lume, gli passò dinanzi e cominciò a salir
le scale in fretta in fretta mormorando:--Vieni, vieni, poverino...--e
poi, volgendosi per porgergli la mano:--Da' la mano alla tua piccina,
mio bel giovanotto,--e lo trasse per mano fino in casa.
Quivi l'ufficiale se la fece sedere dinanzi e con una pazienza da
santo incominciò a ripetere tutte le prove, tutti i tentativi de'
giorni andati, e ne immaginò dei nuovi, e li esperimentò più e più
volte, sempre con più attenta sollecitudine e con ardore più vivo,
simulando amore, odio, ira, dolore, disperazione; ma sempre invano.
Essa lo guardava e l'ascoltava attentamente e poi che aveva finito gli
domandava ridendo forte:--Che hai?--oppure gli diceva:--Poveretto, mi
fai pena!--E gli prendeva e gli baciava le mani coll'apparenza della
più intensa pietà.
--Carmela!--esclamò finalmente l'ufficiale per tentare ancora una prova.
--Che cosa vuoi?--
Egli le fe' cenno che s'accostasse. Essa si avvicinò lenta lenta
guardandolo amorosamente negli occhi e poi d'un sol tratto gli si
abbandonò sul petto e gli avviticchiò il collo colle braccia e vi
premette sopra la bocca dicendo con voce soffocata:--Caro! caro!
caro!... Il povero giovane, che oramai non sapeva più dove avesse la
testa, le passò un braccio attorno alla vita e così sorreggendola si
chinò a poco a poco, ed ella con lui, fin che la stese, senza che quasi
se ne avvedesse, sul canapè accanto al tavolino.... Carmela si levò
subitamente in piedi, fece il viso serio, parve che pensasse a qualche
cosa e poi mormorò con una leggera espressione di disgusto:
--Che cosa fai?--
L'ufficiale intravvide un lampo di speranza e stette muto e ansioso a
guardarla.
Carmela rimase pensosa, o lo parve, ancora un istante, e poi,
sorridendo in un modo singolare come non aveva mai riso per
l'addietro:--....Siamo già sposi, noi due?--
L'ufficiale die' un mezzo grido, e cogli occhi rivolti al cielo e la
punta dell'indice fra le labbra, pallido, convulso, pensò un momento
la risposta. In quel momento Carmela alzò gli occhi alla parete, vide
un cappello cilindrico appeso a un chiodo, die' in un gran scoppio di
risa, lo prese, se lo pose in capo e sghignazzando e vociando si mise a
saltare per la camera.
--Carmela!--gridò dolorosamente l'ufficiale.
E quella peggio.
--Carmela!--gridò un'altra volta e si slanciò verso di lei. Essa,
spaventata, si cacciò giù per le scale, e dopo un momento fu in mezzo
alla piazza sempre saltando, strillando e smascellandosi dalle risa.
L'ufficiale si fece alla finestra.--Carmela!--gridò ancora una volta
con voce spenta, e poi si coprì la faccia colle mani e si lasciò cadere
sopra una seggiola.

VIII.
L'indomani mattina, appena levato, andò a casa del dottore. Questi,
come prima lo vide con quegli occhi rossi e quella faccia stravolta,
capì che veniva a cercar conforti e consigli, e, fattoselo sedere
davanti, cominciò a filargli un sermone in tutte le forme. Ma
l'ufficiale non l'ascoltava e pareva preoccupato da un altro pensiero.
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