La vita militare: bozzetti - 24

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in casa, di strada in strada, vola la voce per mezza la città, e si
propaga l'allarme fra le mamme.
Corro a casa, salgo le scale a tre scalini alla volta, picchio,
m'aprono, è mia madre.
--Dio mio! cos'hai? cosa c'è?--
Ansavo come un cavallo.
--Bisogna partire.
--Oh!
--Già.... e non c'è tempo da perdere.
--Quando?
--Alle otto.
--Alle otto;--ripetè collo stesso accento mia madre, come per eco, e
restò li senza far motto nè gesto, guardandomi con aria di stupore.
--Presto, presto; bisogna fare il baule; alle sette bisogna che sia
in quartiere; a momenti verrà l'ordinanza; intanto bisogna cominciare;
animo....--
E dopo un istante, vedendo che mia madre non si moveva:--Dunque?
--Ah!--diss'ella, come riavendosi da uno stordimento.--Eccomi pronta.
Erminia!--
Mia sorella comparve subito.
--Parte--le disse in fretta mia madre;--bisogna mettergli al posto la
roba; è tutta pronta, non è vero? Oh bene. Adesso.... aspetta. Dov'è il
baule? Ma no; è meglio prima.... guarda.... o piuttosto....--
E guardava di qua e di là come smemorata.--In queste occasioni, è fatta
apposta per perder la testa quella povera donna.--Dunque? domandò poi,
per levarsi d'impiccio, a mia sorella che stava lì anch'essa immobile e
come trasognata.
Ah!--rispose scuotendosi ella pure tutt'ad un tratto;--Presto, sì,
bisogna sbrigarsi.--
E corsero tutt'e due nell'altra camera.
Una scampanellata; apro: è l'ordinanza.--Eccomi!--esclama trafelando.
--Maria!--grida mia madre tornando in fretta. La donna di servizio
accorre.
--Andate a chiamar subito mia figlia. Passando, dite al portinaio che
venga a pigliare il baule. Fate chiamar Ettore qui al caffè vicino. Che
vengan subito tutti. Presto.--
L'ordinanza porta il baule sul terrazzino; il rumor del baule chiama
alla finestra la ninfa languida; la ninfa languida chiama alla finestra
la cuoca purpurea; l'atto impetuoso con cui la cuoca purpurea spalanca
la finestra chiama sul terrazzino gli altri vicini.
Intanto mia madre andava e veniva senza concluder nulla.
--Amico!--grido io battendo le mani.
--Italia!--egli risponde nello stesso punto apparendo sul terrazzino in
maniche di camicia e in atteggiamento ispirato.
--Parto alle otto.--
Scompare, torna vestito, leva in alto il bastone:--Ti aspetto alla
stazione!--esclama, e precipita giù per le scale urlando:--Viva la
guerra!--e facendo scorrere il bastone sui ferri della ringhiera che
faceva un fracasso di casa del diavolo.
L'ordinanza mette nel baule la tunica e i calzoni. Atto di languida
sorpresa della ninfa. Grande spalancamento d'occhi della cuoca.
--Alberto,--esclama mia madre sostando dal suo affannoso andirivieni.
--Eccomi.--
Mi tira in disparte.
--Dimmi.... dove andate, lo sai?
--A Piacenza.
--A Piacenza. E.... dimmi un po': è una città fortificata Piacenza, non
è vero?
--Si, è fortificata.
--Resterete là.
--Non credo.
--Ma.... non le difendono le città fortificate?
--Quella là no, perchè noi andremo avanti, ed essa resterà indietro.
--Già....--ella disse coll'aria di chi perde una speranza. E ritornò di
là.
Altra scampanellata; apro: è mia sorella maggiore. Mi stringe forte la
mano e va di là.
Terza scampanellata. È mio fratello Ettore. Stretta di mano, e via.
Do un'occhiata alla ninfa: oh Dio, che sfinimento! La mia ordinanza
osserva colla coda dell'occhio se le guancie purpuree danno segno di
voler impallidire:--no. Io suppongo di avere un cerotto sul collo, e
tento di piegare il capo in atto melanconico: invano; la patria è più
forte.
Intanto ritorna mia madre, colle braccia cariche di biancheria,
seria, impassibile, che mi fa stordire; dietro a lei tutti gli altri,
silenziosi, colla testa bassa.
Mia madre si china sul baule; l'ordinanza fa un atto rispettoso per
pigliarle la roba; ella si scansa e risponde:--No; lasciate fare a
me.--Le mie sorelle stendon le mani per far lo stesso.--Lasciate fare
a me--risponde un'altra volta mia madre; e si china per mettersi in
ginocchio.--Mamma!--io le dico con accento di affettuoso rimprovero
trattenendola pel braccio. Essa mi guarda.--Non voglio--io soggiungo.
Ed essa con accento più affettuoso del mio:--Te lo domando per
piacere.--
S'inginocchia e ripone la roba. Il soldato mi guarda tra intenerito
e sorpreso come per dirmi:--Quanto siete fortunato, tenente!--Io lo
guardo come per rispondergli:--Lo so; mi rincresce che non ci sia la
tua.--
Mia madre s'alza e va via. Sento un respiro affannoso; mi volto; è mia
sorella minore che piange.
Mia madre ritorna con un non so che tra le mani, lo pone nel baule e va
di nuovo di là; guardo: è il suo ritratto.
Ritorna con tre libri e li mette sopra il ritratto.
--Che cosa sono, mamma?
--Sono _I Promessi Sposi_.
--Oh grazie!--e le baciai la mano; essa la ritirò in fretta; sempre
impassibile; la guardavamo tutti stupiti, ci metteva inquietudine.
--Lèvati la sciarpa.
--Perchè?--domandai.
Essa senza dir nulla me la toglie e la mette nel baule.
--Mamma.... me la debbo mettere.--Non risponde: va nell'altra camera.
Altro respiro affannoso: piange mia sorella maggiore.
Mia madre torna con una magnifica sciarpa di seta, me la mette al collo
e mi dice:--L'ho fatta nell'ore che tu eri in piazza d'armi.
--Mamma!--e giunsi le mani in atto supplichevole come per dire:--È
troppo!--Ella voltò la testa dall'altra parte.
L'ordinanza guarda mia madre cogli occhi lucidi.
--C'è tutto--essa dice guardandosi intorno. Breve pausa, e poi.
--Si può chiudere.--
Abbassa il coperchio, preme colla mano, non riesce a chiudere; preme
col ginocchio respingendo coi gomiti chi la vuole aiutare, le scivola
un piede, vacilla....--Ma, mamma! ma cosa fai!--esclamiamo tutti noi
sorreggendola.
Picchiano: è il portinaio che viene a prendere il baule.
--Già qui?--esclama mia madre volgendosi in tronco, con un accento di
spiacevole sorpresa....--Prendete.
Il portinaio si mette il baule in spalla.
--Alla Caserma di Porta Susa--dico io.
--So dov'è--egli risponde avviandosi.
--Fermatevi!--esclama improvvisamente mia madre; quegli si volta.
--Badate....--e cerca qualcosa da dire; badate di non lasciarlo cadere.
--Non dubiti.--
Esce; mia madre lo accompagna fino alla porta; lo guarda scender le
scale;--è scomparso;--stringe le labbra, batte le palpebre, ha vinto;
il nodo di pianto è andato giù; impassibile come prima; comincio a
turbarmi.--Come finirà!--
Ecco il burbero benefico.--Buona sera.--Nessuno risponde; ha già
capito; mi guarda in viso; io alzo la fronte.--Via non c'è male--par
che dica. E passiamo tutti nella stanza accanto.
Un'ultima occhiata alle finestre; languore mortale. Nuovo sforzo di
collo: invano; vince la patria; addio per sempre!
Siamo tutti seduti in circolo nell'altra camera; nessuno parla. S'ode
il fruscìo d'una veste, s'apre la porta, ecco la signora forte; tutti
s'alzano in piedi.
--Mia buona amica--ella dice porgendo tutt'e due le mani a mia madre
con quel suo garbo, con quel suo brio così vivo e sereno.--Ho saputo
ora soltanto che vostro figlio doveva partire. Sono momenti dolorosi,
certo; ma tutti bisogna che soffrano la loro parte per il paese. Gran
giorni son questi per l'Italia! Gran guerra! Credete; è impossibile
che il nemico regga lungamente a quest'onda di fuoco che lo investirà
d'ogni parte. L'esercito ha alle spalle tutto un popolo pronto a
scendere in campo. Gran giorni questi! Così si fanno le nazioni!--
Mia madre la guardava attonita.
--Poterla vedere un momento, da lontano, la gran battaglia! Vederla nel
punto più bello, quando i nostri reggimenti avranno cacciato i nemici
da tutte le colline della linea di battaglia, e giù per le chine,
dall'altra parte, cavalli, soldati, carri, cannoni, tutto a precipizio
e a rifascio!.... Coraggio, cara signora; questa è una vera crociata;
anche le donne e i bambini anderebbero a combattere; se l'esercito si
dissolvesse, in quindici giorni ne sorgerebbe un altro.
--Sì! sì!--proruppe mia madre con uno slancio che volea parere
entusiasmo, ma non era altro che amor materno velato di amor di
patria:--Sì! È una crociata! Dovrebbero andarci tutti alla guerra,
tutti, da esserci a milioni a milioni, che i nemici avessero paura,
e smettessero persino l'idea di resistere e aprissero le porte delle
fortezze....
--Dov'è il mio figliuolo?--domanda una voce tremola dalla camera
vicina; s'apre nello stesso punto la porta e compare il vecchio cieco,
colle braccia tese in atto di chiamarmi a sè. Io lo abbraccio; egli
mi tocca la sciabola, la sciarpa, le spalline e domanda con voce
commossa:--Già pronto?--Poi mi mette le mani sulle spalle, mi appoggia
la guancia sul petto e resta fermo così. Silenzio generale. Il burbero,
ritto in fondo alla stanza, contempla il quadro colle sopracciglia
aggrottate e le braccia incrociate sul petto. Mia madre mi guarda fiso.
Trascorsero alcuni minuti, ed io, guardato in fretta l'orologio, dissi
con grande sforzo:--È ora.--
Tutti balzarono in piedi e fecero un passo verso di me. Il burbero mi
si accostò e mi susurrò all'orecchio:--Sii uomo.--Pausa.
--....Dunque--io mormorai, mettendomi il cheppì.
--Dunque--disse risolutamente la signora stringendomi e scotendomi la
mano ad ogni parola;--coraggio, fatevi onore, ricordatevi di noi, e
scrivete.--Detto questo, si ritirò.
--Addio, Alberto!--esclamò mio fratello gettandomi le braccia al collo
e baciandomi.
Le mie sorelle mi abbracciarono singhiozzando e fuggirono.
--Qua!--esclamò il vecchio aprendo le braccia;--qua figliuolo! E
stringendosi la mia testa contro la spalla, mormorò colla voce
tremante: Se questa fosse l'ultima volta che t'abbraccio.... voglia il
cielo.... che questo segua per causa mia.--
Il burbero mi strinse la mano, mi guardò fiso, e si ritrasse.
Io e mia madre ci fissammo un istante; essa mi si slanciò tra le
braccia, mi avvinse il collo con una forza virile, mi coprì di baci
disperati, poi afferrandomi con una mano un braccio e premendomi
l'altra sulla spalla, stretta, attaccata al mio fianco, si fece
trascinare, più che condurre, sino alla porta. Là mi sciolsi a
forza e mi slanciai giù per le scale. Nel punto istesso, come se
m'avesse visto piombare in un precipizio, ella gettò un grido lungo,
straziante:--Alberto! Alberto!--
Sentii, continuando a scendere, che erano accorsi tutti gli altri;
udii un rumore confuso di voci; il mio soldato fra gli altri che
diceva:--Coraggio, signora; io gli starò sempre vicino; glielo
prometto!...--i singhiozzi disperati di mia madre; un ultimo e stanco
grido di:--Alberto!--e poi più nulla.
Traversando frettolosamente il cortile incontrai i quattro nipotini del
vecchio che tornavano dalla scuola; li fermai, li copersi di baci:--Oh!
me li soffoca!--gridò la bambinaia spaventata.
--Signor tenente, se vedesse!--esclamò l'ordinanza raggiungendomi col
fazzoletto agli occhi.
--Taci.--
E via di gran passo.

II.
Arrivai alla caserma ch'era quasi buio. Le compagnie eran già armate
e schierate nel cortile. Fuori, una confusione indicibile; la strada
stipata di gente e illuminata colle fiaccole da un gran numero di
studenti dell'Università; la porta del quartiere ingombra di ufficiali;
intorno a loro una moltitudine di mamme, di sorelle e di fratelli
piccini che vogliono entrare e piangono e pregano a mani giunte:--Ce lo
lascino vedere ancora una volta, un momento solo, appena una parola!--E
l'ufficiale di picchetto a spingerli indietro e a gridare e a pregare
anche lui:--Mi facciano questo favore, si tirino in là, lascino libero
il passo; non possiamo lasciarli entrare; è proibito; noi facciamo il
nostro dovere; li vedranno quando andranno via.--Un accorrere di mogli
d'ufficiali coi bambini per mano venute a porgere gli ultimi consigli
e l'ultime preghiere; più in là un va e vieni d'altre donne e d'altre
ragazze, che non sono nè madri nè mogli nè sorelle, altre piangendo,
altre fingendo di piangere per destare qualche utile simpatia in que'
che restano, altre in disparte malinconicamente atteggiate; drappelli
d'operai che passano cantando e sventolando bandiere; grida, applausi,
e un ondeggiamento e un mormorio confuso come di mare agitato.
Scoppia un rullo di tamburi; gli ufficiali spariscono, nella folla si
fa un improvviso silenzio. Di lì a un minuto vengon fuori gli zappatori
del reggimento a sgombrare la strada.
Mi colse un pensiero:--Si va alla stazione.... Dio mio! Bisogna passare
sotto le sue finestre!--
Echeggia la musica, il reggimento è fuori, fiancheggiato da due
lunghe file di fiaccole; le famigliuole danno l'assalto alle file;
gli ufficiali e i sergenti le respingono; respinte di qua, tornano di
là; la gente s'affaccia alle finestre sventolando le bandiere; qua
e là piovon sigari e aranci; una moltitudine precede il reggimento
cantando; una moltitudine lo segue.--Viva la brigata Piemonte! Viva il
vecchio reggimento del 637!--gridò un signore da una finestra.--E un
altro:--Viva i valorosi di Calmasino!--
Siamo in via Santa Teresa, siamo in Piazza San Carlo, siamo in Piazza
Carlo Felice; a misura che vado innanzi il cuore mi si stringe più
forte; mi tremano le gambe.--Sentirà la musica, sentirà queste grida
quella povera donna!--
Alzo gli occhi; ecco la casa, ecco la finestra illuminata; c'è una
persona, non è lei, chi sarà? Non si può distinguere; saluta colle
mani; guarda giù; Dio mio, chi sarà?
Tutt'ad un tratto spunta un lume sulla finestra di sotto.--Ah! l'ho
visto; è il cieco. Dio ti benedica, papà!--
Ecco il mio amico; m'abbraccia, mi bacia, mi grida:--Buona fortuna,
fratello! viva la guerra!--e scompare.
Siamo nel convoglio; sporgo fuori la testa; sempre la finestra
illuminata, sempre il cieco solo che agita le mani in atto di
saluto.--E questa musica che non si quieta mai! Oh povera madre!--
S'ode il fischio; il convoglio si muove; il cuore mi dà una scossa
tremenda: chi altri è venuto alla finestra? Vedo due braccia
prostendersi verso di me.... Dio mio! Ho sentito un grido?
La casa è scomparsa.
--Addio, mio buon angelo! addio, madre santa e adorata! Il cielo mi
consenta di rivederti, o di morire così nobilmente, che l'orgoglio
d'essermi madre t'alleggerisca il dolore d'avermi perduto.
--Adesso a noi!--dissi volgendomi vivamente al mio vicino e battendogli
una mano sul ginocchio.
Il vicino immerso sino allora nella malinconia d'un abbandono amoroso,
si scosse tutt'ad un tratto, e gridò forte anche lui:--Viva la guerra!--
E tutti gli altri:--Fuoco ai sigari!--
In un momento la carrozza fu piena di fumo, di strepito e d'allegria.


IN CAMPAGNA.

A questo punto trovo nel libro una lunga serie di lettere d'Alberto,
e accanto a ciascuna la risposta della madre attaccata al foglio.
Dall'esame dei caratteri della madre si potrebbe cavar la storia della
guerra; il tremito della sua mano è certo il più sicuro indizio degli
avvenimenti. Su per giù, le sue lettere dicon sempre lo stesso, è
naturale; ma in quelle del figliuolo c'è qua e là qualcosa da notarsi.
E io noterò questo qualcosa, che riuscirà come una cronaca slegata,
incompleta, ma schietta e viva delle varie vicende, o, meglio delle
varie impressioni che alcune tra le vicende della guerra lasciaron
nell'animo del mio amico.
Do la mia parola ai lettori che copio letteralmente.
Piacenza, 8 maggio.
....Piacenza sembra una caserma; c'è più soldati che cittadini, e
più medaglie che soldati; a ogni passo incontro qualcuno che n'ha il
petto coperto; a ogni svoltata vedo un generale; i colonnelli non
mi paion più niente. Come sento la mia piccolezza in mezzo a tutti
questi galloni! Le grandi riunioni militari hanno questo di male,
che noi poveri tenentucci nessuno ci guarda più; si scomparisce
affatto. Scherzo, sai; io ho te, ho i miei soldati, ho i miei amici,
ho il sangue pieno di fuoco, il cuore pieno d'Italia, l'anima piena
d'avvenire; io son contento, io non desidero nulla, io non invidio
nessuno.--Siamo alloggiati in un convento, e dormiamo sulla paglia.--È
una disperazione con questi coscritti che non sanno nè vestirsi, nè
camminare, nè mangiare. Si son fatte le cose troppo in furia. Se
domani si aprisse la guerra ti dico io che ci troveremmo a cattivo
partito; mezzo il reggimento non sa ancora caricare le armi; c'è
un gran bisogno dei soldati provinciali; si aspettano.--In tutto
il quartiere non s'è potuto trovare una camera per l'ufficiale di
picchetto. L'altra notte mi son ricoverato nell'ufficio di Maggiorità
e ho dormito sui registri....
In fondo alla risposta della madre trovo queste parole:--Bada di non
guastare i registri; possono essere importanti. Hai almeno pensato a
metterti qualche cosa sotto la testa? Erminia s'è ammalata dal dolore
della tua partenza. L'altro giorno, spolverando la tua roba, piangeva;
la vidi, glielo dissi, negò; ma piangeva proprio; tu non lo conosci
ancor tutto quel suo bel cuore.--La lettera finisce:--Dove sono gli
Austriaci?--
In un'altra lettera sua è posto questo quesito:--Di' un po', Alberto;
mi hanno detto che i battaglioni degli Austriaci son più grossi dei
vostri. Come va questo? Come farete?--
Il figlio risponde:--Ne manderemo due de' nostri contro uno dei loro.--
E la madre di rimando:--Allora va bene.--
Tutte queste lettere e quelle che vengono appresso son piene di saluti
affettuosi del vecchio e della signora napoletana che aspetta «grandi
descrizioni di grandi cose;»--e v'è a quando a quando un poscritto
della mamma che domanda:--Cosa fa l'ordinanza?--
* * * * *
Rilevo dal libro che il colonnello, il burbero benefico, era al
quartier generale dell'Esercito, e che da quella «superba altezza»
vegliava amorosamente sull'oscuro cugino, per via di lettere e
d'informazioni indirette; ma il cugino non ne sapeva niente. Il
«burbero» nascondeva il protettore, per non coprire il colonnello; e ne
lo lodo.
* * * * *
Il reggimento d'Alberto era da quattro giorni accampato presso S.
Giorgio a poche miglia da Piacenza, ed egli non aveva scritto a sua
madre che il giorno della partenza per annunziarle «che andava a
dormire sotto la tenda.»
--Quattro giorni che non scrive! Povero Alberto, dorme per terra;
soffrirà, si sarà ammalato; chi sa cosa gli sarà seguito! Oh Dio mio!
Un telegramma al colonnello, subito.
E mandò il telegramma:--Datemi notizie di Alberto. Vi supplico. Non
ricevo lettere. Tremo per la sua salute.--
Il colonnello le rispose subito:--Sta benone. Ma è tanto delicato!--
Mia madre capì l'ironia, e si stizzì un pochino, e prese la penna e
cominciò:--Carissimo amico. Non dico che Alberto sia delicato; ma credo
di poter....--Smise.
La divisione Cugia è partita per Cremona; da Cremona andrà verso
Goito. Una lettera della madre dice così:
--....Dirai che sono una sciocca, che parlo di cose che non capisco;
ma tant'è, io questa gran necessità di passar subito il Mincio non la
vedo. Se fossi il generale La Marmora, mi pare che aspetterei ancora;
non si sa mai cosa possa accadere; ad ogni modo farei prima andare
avanti i soldati del generale Cialdini, che hanno la flotta vicina e
che in ogni caso...--Ci si potrebbero rifugiar dentro?--domanda Alberto
ripigliando la frase nella sua risposta. E la madre ribatte:--Non sono
momenti da scherzare.--
* * * * *
La divisione Cugia è sul Mincio. La lettera della madre è scritta
a precipizio, tutta puntini e punti di esclamazione e parole che
s'accavallano e righe che si confondono e aste che serpeggiano per la
lunghezza d'un dito.
--....Per carità, figlio mio; fa il tuo dovere, sono io la prima
a dirtelo; ma non far troppo.... Gli eserciti hanno bisogno degli
ufficiali, e se gli ufficiali si espongono più del bisogno, che
cosa ne seguirà? Ne seguirà che i soldati resteranno senza guida e
senza disciplina, e allora.... che cosa doventerà l'esercito? Per
carità, pensa anche un poco ai soldati..., (o amor materno, come
argomenti sottile!).... e pensa anche a me; fa il tuo dovere, sì, ma
pensa....--Qui c'è qualche parola che non si capisce. E poi:--....La
tua vita è la mia. Oh figlio mio! che giorni! che tremendi momenti! Non
ti dico che cosa segue in casa tua per non contristarti, io prego per
te....--Il resto non si capisce. C'è un poscritto incominciato:--Oh
Alberto!--e poi non c'è più niente. Veggo certe curve tracciate dal
figliuolo, che a prima vista si possono prendere per isole; ma credo
ch'egli abbia inteso di passare la penna intorno ai segni delle lagrime
di sua madre, e che ne sian riuscite così quelle figure.
* * * * *
Qui trovo una pagina intitolata:--Ciò che seguì il 28 giugno.--E dice:
--Mia madre era seduta alla tavola da pranzo, e aveva davanti un
giovinetto, il figlio della nostra amica napoletana, e al fianco il mio
vecchio papà. In mezzo alla tavola c'era una carta topografica.
--Se ne persuada, cara signora;--diceva il giovane;--la divisione Cugia
non ha nè può aver preso parte alla battaglia; è evidente.
--Oh sì.... evidente!--esclamava mia madre scrollando la testa e
passandosi la mano sugli occhi umidi di pianto.
--Ma sì; ma lo creda; e poi già... che serve ch'io lo dica? Lo dice
la carta; guardi, senta. O la divisione Cugia è passata per ec. (e
stringeva e scoteva l'uno dopo l'altro i diti della mano sinistra fra
l'indice e il pollice della destra), e allora è impossibile che si sia
trovata là nel momento in cui.... O è passata per quest'altra strada,
e in questo caso non è ammissibile che possa esser giunta in tempo....
O finalmente, e questa è l'ultima, è passata dietro alla divisione che
le stava a sinistra, e se questo è vero, è anche fuor di ogni dubbio, è
chiaro, è indiscutibile, ch'essa si è spinta affatto fuori del campo di
battaglia. Non le pare, ingegnere?--
Il vecchio senz'aver nulla capito nè veduto rispondeva:--Sicuro.
Mia madre continuava a guardare attentamente la carta topografica,
rigirandola da tutti i lati, scorrendo col dito tutte le strade,
levando gli occhi in su come per raccogliere i pensieri, e poi tutt'ad
un tratto prorompeva con voce di pianto:--Oh sì, sì, non è arrivata in
tempo! Chi lo dice? Chi lo può sapere? La carta? Cosa prova la carta?
Non basta la carta. Intanto son passati tre giorni e non m'ha ancora
scritto, e se non fosse seguìto nulla io saprei qualche cosa, e questo
vuol dire che la divisione è arrivata in tempo, e che lui ci è stato, e
che.... Oh figliuolo mio! Oh mio Alberto! mio povero Alberto!--
E battendosi le mani sulla fronte rompeva in pianto dirotto.
--Signora! Signora!--esclamavano ad una voce gli altri due--si calmi,
per carità, si calmi; non sarà seguìto nulla, non può esser seguìto
nulla!... Ce lo creda; il suo amore materno...
--Dio mio!--gridava mia madre, con un accento d'angoscia quasi
disperata;--Dio mio! il mio amore materno! Ma se non ha scritto! Ma se
due mie amiche che hanno un figliuolo ufficiale ne han già ricevuto
notizia! Ed io no! io niente! Oh Erminia!--Mia sorella accorreva:--Che
c'è?
--Signora!...
--Alberto! Alberto!
--Dio mio! Che è seguìto?
--Una disgrazia! Io la sento! Io morirò! Presto, un telegramma al
colonnello, che dimandi, che cerchi, che sappia dire qualcosa, che mi
tolga questa disperazione dall'anima, che....
Una sonata di campanello.--Silenzio.--Ecco la donna di servizio.
--Signora, una lettera.
Mia madre si slancia sulla donna, le strappa la lettera, la guarda,
manda un grido, la riguarda, se la preme sul cuore con un gesto
convulso, ansa, sorride, leva gli occhi al cielo ed esclama:--Grazie!
Grazie!--e bacia e ribacia il foglio, e si stringe sul seno la testa
della figlia, e mormora con voce fioca:--Alberto!--e si abbandona sulla
seggiola. I due amici le sorreggono la testa e tentano di levarle la
lettera di fra le mani;--indarno;--sono tanaglie.
* * * * *
Ecco alcuni squarci della lettera.
Cerlungo, 25 giugno.
--....T'ho detto tutto quello che ho visto, che è poco; non so però
darmi ragione di certe lacune rimaste nella mia memoria; le quali, se
non ricordassi molte altre cose, mi farebbero dubitare di aver perduto
la ritentiva, tanto son strane e incredibili. Ho dimenticato affatto
dove e quando si sia fermato il mio battaglione per la prima volta,
e mi ricordo lucidissimamente d'un soldato d'un altro reggimento
ch'io fermai mentre correva, e gli chiesi:--Donde vieni?--ed egli mi
accennò una piccola casa sulla china del monte, esclamando:--_N'avimmo
fatta na 'nzalata_,--per dire che in quella casa s'era fatto strage
d'Austriaci, ed era vero. Me ne ricordo un altro ch'ebbe una palla
nelle dita nell'atto che si chinava per toccare un morto; mise un
grido, e si guardò intorno stupefatto ritraendo la mano dietro le
reni, e mormorando lamentevolmente:--_A'm fa mal!_--Ricordo l'arringa
fatta dal mio maggiore al battaglione, pochi minuti prima che ci
movessimo, la quale fu d'una semplicità e d'un laconismo veramente
singolare.--Soldati!--disse freddamente senza neanco voltare il
cavallo verso di noi:--temo che oggi non avremo da far nulla; ma caso
mai.... voglio credere che.... siamo italiani, diavolo!--E qui finì;
precise parole. Poco prima, porgendo la sua fiaschetta piena di rhum a
un piccolo crocchio di ufficiali che non gli parevano allegri, aveva
detto sorridendo:--Prendano; si rinfranchino gli spiriti infermi.--
Mi sono profondamente convinto che il vero coraggio deriva dal
cuore e dalla coltura dello spirito; e il vero coraggio consiste
meno nel non aver paura che nel mostrarsi e nell'operare, avendola,
come se in realtà non s'avesse; il che è effetto di ragionamento,
o piuttosto d'un'infinità di ragioni, di ricordi, d'immagini, di
esempi, che in quei momenti ti passano con fulminea rapidità per la
mente e ti dicono:--Fermo.--E passano anche delle intiere strofe di
poesie patriottiche; e mi passò e ripassò la tua immagine col braccio
tremante, ma teso, e l'indice appuntato verso il nemico, e gli occhi
lacrimosi fissi nei miei, e le labbra contratte dai singulti; ma
che dicean con voce franca e vibrata:--Fa il tuo dovere.--O madre,
quant'ero vicino a te in quei momenti!
....Non lo credere; i morti non fanno quell'orrenda impressione che
si suol dire, almeno fin che il pericolo dura. Il mio battaglione era
in ordine di colonna, e andava avanti, e i pelottoni si soffermavano
man mano sull'orlo d'un fosso a guardare il cadavere d'un soldato a
cui la mitraglia avea deformata la testa; io vi feci stendere una
tenda sopra, e nessuno guardò più. È penoso il vedere quei soldati
feriti, che a furia di avvoltolarsi per terra e di toccarsi qua e
là, si riducono la camicia e i calzoni di tela a non vederci più un
palmo di bianco, tutto sangue; e il più delle volte non hanno che una
ferita leggera. Da principio si è così profondamente assorti nello
spettacolo del campo, che non si bada, e non si pensa nemmeno che ci
abbiano ad essere dei feriti. Ed è quasi una sorpresa il vederli poi
venir giù a gruppi, colle teste fasciate, colle braccia al collo,
sorretti sotto le ascelle, portati a quattro mani, bianchi come
morti, chi premendosi una mano sur un fianco, chi sul petto, chi
traendo alte grida, chi gemendo fioco; e i medici correre affannati di
qua e di là, senza sapere dove cominciare, o da chi; e poi esaminare,
lavare, tagliare, fasciare, alla lesta, dopo l'uno l'altro, dopo
l'uno l'altro, e poi via tutti all'ambulanza, e poi altri gruppi,
altre grida, altri lamenti; Dio, che scene! Ho visto un gruppo
di soldati intorno a un medico che curava un ferito e ho sentito
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