La vita militare: bozzetti - 05

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figliuolo, partito da un paesello del settentrione d'Italia, era
stato condotto, col suo reggimento, in Sicilia e vi s'era trattenuto
due anni (in Sicilia, povera mamma, con quel mare così lungo fra
mezzo); dalla Sicilia era passato nelle Calabrie e v'era stato un
anno, un altr'anno nell'Italia centrale. Finalmente, un bel giorno,
si sparse nel reggimento una voce di partenza.--Dove si va?--domandò
il nostro soldato al suo sergente di squadra, e stette ad aspettar la
risposta col respiro sospeso e colla mano sul cuore che gli batteva
da rompersi.--Nell'Italia settentrionale--gli fu risposto. Gli si
rimescolò il sangue.--Dove?--domandò un'altra volta mutandosi in volto
dalla gioia; il sergente gli disse la città; era la più prossima al suo
paese; pianse. La sera stessa, appena potè, scrisse a casa.
Ecco la ragione della sua allegrezza di quella sera; quella città era a
poche miglia dal suo villaggio.
Ora, con quel ch'io seppi dappoi e quel ch'io vidi e quel ch'io non
potei che immaginare o supporre, ma che può e dev'essere accaduto tal
quale, voglio farvi un racconto che forse vi farà venir la voglia di
dare un bacio un po' più forte del solito a vostra madre.
Eran trascorsi due giorni da quel dell'arrivo. Il nostro soldato stava
ancora ventilando il disegno di chiedere un congedo di pochi giorni
per volare a casa, quand'ecco, una bella sera, nel dormentorio della
compagnia, il furiere cerca di lui, e, trovatolo:--To'--gli dice
porgendogli una lettera--vien di vicino.--Glie l'avea porta appena,
ch'era già dissigillata e spiegata al chiarore d'una lucerna, in
un cantuccio del camerone fra due mani malferme e sotto due occhi
dilatati e luccicanti di due belle goccie di pianto. Lesse la lettera
rapidissimamente seguendo col moto della testa il serpeggiamento
dell'occhio e borbottando affollatamente le parole; lettala, la strinse
fra i pugni e lasciò cadere ambe le braccia alzando i grandi occhi al
cielo, e quelle due grosse goccie, dopo aver tremolato incerte sulla
palpebra, caddero, gli corsero le guancie senza disfarsi, e gli si
vennero a sciogliere calde calde sulle mani. La lettera era di sua
madre e diceva: «Domani verrò in città, a piedi; sono quattro anni che
non ti vedo! Oh, figliuolo, io non posso più stare; ho tanto bisogno di
gettarti le braccia al collo!»
Quella notte non potè chiuder occhio. Si cacciò sotto le coltri
irrequieto, e non trovò posa, e non fece che scontorcersi e voltarsi
ora sull'uno, ora sull'altro fianco, ora supino, ora bocconi; sempre
invano, chè la coperta gli parea grave grave, e si sentiva addosso
una gran caldura, un gran peso sul petto, una irrequietezza, una
smania di moto, un'avidità tormentosa d'aria aperta. Afferrava ogni
momento la rimboccatura della coperta e la spingeva in giù fino al
ginocchio, sospirando, soffiando, chè gli pareva di giacere accanto
ad una fornace. Di tratto in tratto si metteva a sedere sul letto e
guardava intorno i compagni: dormivano tutti un sonno quieto e pieno,
quale si suol dormire in primavera. Guardava quel po' di cielo stellato
che appariva per un'angusta finestra della parete opposta, e pensava:
oh, se fossi in campagna a respirare quell'aria! Guardava una lucerna
posta in un angolo lontano, la quale mandava intorno una luce tremola
che appariva e spariva a vicenda, e gli pareva che quella luce gli
crescesse l'affanno e facesse il tempo più lungo. Poi si stendeva di
nuovo nel letto e si metteva a pensare al dimani, chiudendo gli occhi
e stando immobile per vedere d'addormentarsi in quel dolce pensiero; ma
sempre invano. Quel dolce pensiero non gli dava pace; la persona era
immobile, gli occhi erano chiusi; ma il cuore batteva batteva come gli
dicesse: non dormirai, non dormirai; e dopo un po' di tempo gli era
forza riaprire gli occhi, e guardare intorno da capo. E molte e lunghe
ore passarono così. Finalmente la stanchezza lo vinse, il cuore tacque,
la fantasia ardente si quetò. Egli dormì; sognò il dimani; sognò sua
madre. Gli pareva di vedersela là, ritta accanto al suo capezzale,
sorridente; gli pareva di sentirsi passare sulla fronte la sua mano, e
sognava di afferrarla e posarvi le labbra su. Poi d'un tratto gli parve
di essere tornato fanciullo, in casa, e gli rivennero in mente, una ad
una, cento piccole scene della vita domestica dei suoi primi anni, e
in quelle scene sempre sua madre in atto di confortarlo, piangente; o
di difenderlo, minacciato dal padre; o di curarlo, ferito per caduta;
o di assisterlo, malato; e sempre ansante di pietà e di sollecitudine,
sempre amorosa, sempre madre! Poi si sognò adulto; si risovvenne del dì
della partenza, il pianto materno, i lunghi e rinnovati abbracciamenti,
le date e ricevute parole di addio e di conforto, e si sentì stringere
il cuore proprio come quel giorno; si sentì attorno alla vita le
braccia di sua madre che non voleva lasciarlo partire; tentò di
sciogliersi, non potè; mise un gemito.... Era desto. Guardò attorno,
pensò, si ravvide, e quello fu un momento di gioia che si può forse
immaginare; ma non si potrà esprimere mai.
Giù nel cortile della caserma scoppiò un fragoroso rullo di tamburi.
Tutti balzarono dal letto. Egli si vestì in fretta e fece cogli altri
le solite cose della mattina, ilare e sereno in volto; ma colla febbre
addosso e col cuore violentemente agitato. Andava soffregando coi
piedi il pavimento, si morsicava or l'uno or l'altro labbro, si passava
e ripassava la mano sulla fronte calda calda, e chiedeva tratto tratto
ai vicini che ora fosse, e si guardava ogni momento dal petto ai piedi
s'era pulito e se aveva ogni cosa al suo punto. Finalmente giunse quel
sospirato mezzogiorno. Sospirato, però che sua madre, partendo da casa,
come era detto nella lettera, intorno alle nove del mattino, avrebbe
dovuto giungere in città fra il mezzogiorno e il tocco, tenuto conto
della via ch'ella aveva a percorrere e della lentezza con cui, povera
vecchia, l'avrebbe percorsa. Appunto in quell'ora i soldati doveano
uscir di quartiere per attendere alla scuola del bastone. Il nostro
buon figliuolo, facendo valere la lettera di sua madre, ottenne la
dispensa da quella scuola. I soldati uscirono; i cameroni rimasero
deserti; egli salì di corsa le scale, volò al suo letto, vi si appoggiò
colla mano, e stette un istante fermo, chè gli pareva non potersi
reggere sulle gambe, e il petto gli ansava forte forte.
Di lì a un poco, sedette sul letto; appuntellò i gomiti sulle
ginocchia, appoggiò la faccia sulle palme, fissò gli occhi sul
pavimento, e pensò:--Essa verrà. Verrà qui; proprio qui; in questa
caserma. Oh Dio!--E ridendo in suoni tronchi e repressi si grattava
con le mani la fronte.--Quattro anni che non la vedo! Quattro anni!--E
faceva cenno colle quattro dita della mano.--Come sono stati lunghi!--E
riandava colla mente le malinconie, gli scoraggiamenti e le ambasce
patite.--Oh!--esclamava poi con un accento soave e tremante di amorosa
pietà, giungendo le mani e scuotendo lievemente la testa cogli occhi
fissi sur un punto del muro, come in atto di dire: povera mamma! e
diceva infatti:--Povera mamma! E tu parti di così lontano per venirmi
a vedere, e vieni sola sola, e a piedi, e fai tante ore di cammino
sotto il sole, e arriverai qui in questa città così grande, in mezzo
a tanta gente, senza saper dov'io mi sia, e dovrai domandare qua e là
dov'è la mia caserma, e stare ancora in piedi per tanto tempo, tu,
sola, vecchia, malaticcia, spossata, e forse ti perderai per le vie
della città e vagherai senza saper dove e ti piangerà il cuore di non
trovarmi.... Oh povera vecchia!--E seguitava a tener le mani giunte e
gli occhi fissi sul muro, e andava serrando con rapida vicenda fra i
denti ora un labbro ora l'altro e battendo celere celere le palpebre
come per ricacciar giù il pianto ch'era in procinto di uscire. E
ripeteva di tratto in tratto:--Povera vecchia!--
Poi si passava tutt'e due le mani sul viso, scuoteva la testa,
mandava un sospiro, si rizzava in piedi impetuosamente e passeggiava
per la stanza col passo d'un viaggiatore frettoloso. Dopo un po'
s'arrestava tutt'ad un tratto:--Sarà ora?--Correva alla finestra che
dava sulla strada, si sporgeva fuori del parapetto, guardava a destra
e a sinistra, una, due, tre volte:--nessuno. Gli saliva il sangue
alla testa.--Pensiamo ad altro!--diceva a sè stesso; e si metteva di
proposito a scacciar dalla mente l'immagine di sua madre per ingannare
così il tempo dell'aspettazione penosa. Scacciar quell'immagine!
Poveretto! Era impossibile; vi rinunziò.
--Guarda, mamma,--diceva poi a viva voce scuotendo dinanzi al viso
le due mani aperte, io ti voglio un bene, sai, un bene....--Guardò
attorno; non c'era alcuno; proseguì:--Un bene che a questo mondo
non si può volerne di più!--E lasciando cader le mani giunte sul
letto, seguitava a scrollar dolcemente la testa come per significare
più chiaramente coll'atto il senso delle sue ultime parole:--Non
si può volerne di più.--Poi, all'improvviso, si scuoteva e:--Sarà
ora?--domandavasi un'altra volta, e un'altra volta si lanciava verso
la finestra, e, giuntovi presso, si fermava ad un tratto e le volgeva
le spalle:--no--dicendo a sè stesso--non devi guardare. E batteva
col piede il pavimento come per ripetere:--no.--Ma sorrideva, e quel
sorriso voleva dire: Eh, non ci riesco! E difatti, dopo un istante, si
riaffacciava alla finestra e guardava:--nessuno.
Ritornava accanto al letto e studiava un modo di ingannare il tempo.
Piegava un braccio coll'indice teso contro il mento, sorreggeva il
gomito di quel braccio colla palma dell'altro, e, figgendo gli occhi
sul letto e appoggiando sulla sponda un ginocchio, correva colla mente
a casa, vedeva sua madre fare un involto di camicie e di fazzoletti
per portarlo a lui, la vedeva pigliar comiato dai suoi, mettersi in
strada; l'accompagnava cogli occhi della mente lungo la via, quella via
così lunga! sotto la sferza del sole, in mezzo ai nuvoli di polvere
sollevati dai carri e dalle carrozze trascorrenti rapidamente. Quei
carri, ei li vedeva rasentare le gonnelle della povera donna, toccarle,
scoterle; ella, vecchia e stanca e mal ferma sulle gambe, non faceva in
tempo a scansarli, quei carri; ecco, uno ne sopraggiunge di gran corsa,
le è vicino, sta per urtarla.--Ah! scansati--esclamava a fior di labbra
il figliuolo, facendo, senza addarsene, un cenno della mano come per
afferrarla pel braccio e trarla da un lato. E le indicava col dito i
paracarri da evitare, e i punti della via ingombri di pietre e i tratti
sdrucciolevoli delle sponde; e, dopo molto andare e andare, gli pareva
di vedere la povera vecchia camminar vacillando, curva sotto il peso
dell'involto, stremata di forze, assetata, ed ei se ne struggeva in
cuore e ne gemeva e andava dicendo fra sè:--Oh, povera donna, dammelo
a me quell'involto; lascia che io te lo porti; dammi il braccio.--E
scostava il gomito destro e gli pareva di sentirsi entrare fra il
braccio e la vita un braccio tremante, e colla mano manca, sempre
tenendo gli occhi attonitamente immoti, andava tastando l'aria verso
destra, all'altezza del fianco, in cerca della mano di sua madre.
Poi ritornava in sè; il pensiero che indi a pochi minuti avrebbe
abbracciato sua madre gli ritornava limpido nella mente, e ne sentiva,
come per la prima volta, tutta la dolcezza; gli occhi gli si animavano,
le labbra gli fremevano, tutti i tratti del viso gli si tramutavano
dalla gioja. Un lieve sorriso, poi un sorriso aperto, poi gli veniva su
un singhiozzo di riso convulso, il petto e le spalle gli si andavano
alzando e abbassando come per l'affanno di una corsa; un altro
singhiozzo, un altro più forte, un altro ancora, uno scoppio di pianto,
e si lasciava cadere sul letto colla faccia nelle mani e soffocava
contro le coltri quel misto violento di pianto e di riso, scrollando
ancora la testa come se dicesse:--Povera mamma!--
--Diventi imbecille?--urlò un caporale attraversando il camerone e
soffermandosi sulla soglia della porta per cui doveva uscire.
Il soldato si scosse, si rizzò in piedi, si voltò e lo guardò cogli
occhi molli di lagrime e la bocca aperta a un sorriso; non aveva
capito. Il caporale sparì mormorando:--Che stupido!--
Rimasto solo, stette un minuto sopra pensiero; quindi, come spinto dal
sorgere improvviso d'un'idea, afferrò lo zaino appoggiato sull'asse del
pane, lo trasse giù sul letto, lo aperse dopo aver gingillato un pezzo
colle dita tremanti intorno alle fibbie delle cigne, vi frugò dentro in
furia con ambe le mani e ne trasse frettolosamente spazzole, pettini,
scatolette, cencerelli; ordinò tutte queste cose sulla coperta; afferrò
una spazzola, appoggiò il piede sull'estremità d'un'asse del letto,
si chinò e cominciò a lustrare a tutta forza le scarpe fermandosi
tratto tratto a guardare se luccicassero per bene.--Voglio farmi
pulito--diceva a se stesso facendo un viso serio serio e seguitando a
dar di spazzola.--Sicuro; lustro come uno specchio voglio farmi. Voglio
farmi un bel soldato, voglio piacerle.--Lustrate le scarpe, afferrò
la spazzola da panni, poi il pettine, poi frugò un'altra volta nello
zaino, ne trasse uno specchietto rotondo, l'aperse, si guardò....
Quando l'anima è profondamente agitata da un affetto forte e gentile,
e la mente è tutta piena di pensieri e d'immagini ridenti, gli occhi
e il sorriso s'improntano così della gentilezza di quell'affetto e
della serenità di quei pensieri, che anche il viso men bello, in quei
momenti, s'illumina d'un raggio di bellezza; ond'è che quel buon
soldato, guardandosi nello specchio e vedendosi brillar l'anima sul
viso, sorrise d'ingenuo compiacimento....
Si sente giù per le scale il rumore d'un passo accelerato; il soldato
tende l'orecchio; il rumore s'appressa; si sente il passo nella stanza
vicina; è il caporale di guardia; entra, guarda intorno, scorge il
nostro buon giovane.--Di'--esclama chiamandolo a nome--c'è una donna
alla porta che ti cerca.--
--Mia madre!--gridò con subito slancio il figliuolo, e prese la corsa;
traversò, volando, i cameroni; si precipitò giù per le scale, divorò
il cortile, si gettò nell'androne, intravvide una figura di donna, si
slanciò verso di lei, essa gli aperse le braccia, egli le cadde sul
seno, e tutti e due gettarono un grido. Il figliuolo posò le palme
aperte sulle tempie alla mamma, gliele fe' scorrere dentro i capelli
grigi, le piegò indietro la testa, la guardò, guardato, negli occhi;
poi si serrò quel caro capo contro la spalla, lo coprì colle braccia
e le inchiodò la bocca sui capelli, rimasti scoperti per la pezzuola
caduta. La buona donna soffocava i singhiozzi contro la spalla
del figlio e, strettolo attorno alla vita, gli faceva scorrere le
scarne mani sul ruvido cappotto, che per lei, in quei momenti, valeva
cento volte il più bel manto di re. I soldati di guardia, trattisi
rispettosamente in disparte, guardavano, immobili e silenziosi, quel
santo amplesso, col volto atteggiato a una commozione profonda. Io, che
quel giorno era di picchetto al quartiere, stavo là presso ritto sulla
porta della mia stanza, e guardavo.
--Via, rimettiti, mamma; fatti coraggio; non pianger così. Oh, Dio
buono, o che c'è ragione di piangere?--andava dicendo con voce
carezzevole il figliuolo, e con ambe le mani le rimetteva dietro gli
orecchi i capelli che le s'erano scarmigliati e sparsi sulla fronte
nell'impeto di quel primo abbraccio. La vecchia seguitava a singhiozzar
forte, senza pianto e senza parola; finchè, alzati gli occhi in volto
al figliuolo, sorrise, mise un respiro aperto come le fosse tolto un
peso dal cuore, e mormorando:--mio figlio!--lo abbracciò un'altra
volta.--Sei stanca?--domandò premurosamente il soldato svincolandosi
delle sue braccia.--Un po'--rispose sorridendo la donna. E girò gli
occhi attorno in cerca d'un luogo ove posare il grosso involto che avea
recato con sè.--Entrate qua--diss'io spalancando la porta della mia
stanza.--Oh! l'ufficiale--diss'ella volgendosi verso di me e facendomi
un inchino.--Grazie, signor ufficiale.--Suo figlio restò un po'
confuso.--Entrate,--io ripetei--entrate pure.--Entrarono timidamente
e s'avvicinarono al tavolino; la vecchia vi posò su l'involto; io mi
ritrassi in disparte.
--Fatti vedere, figliuolo; voltati indietro; lasciati guardare.--Il
soldato, sorridendo, si rigirava per essere osservato da ogni parte. E
la madre traendosi indietro, squadrandolo da capo a piedi, e giungendo
le palme esclamava affettuosamente:--Come sei bello così!--E si
sentiva ringiovanire, la poveretta; e le veniva quasi voglia di
mettersegli a saltellare intorno. Gli si accostava, si riallontanava,
ritornava a farsegli presso, e se lo divorava cogli occhi; gli posava
le mani sulle spalle e gliele faceva scorrer giù lungo le braccia fino
a prendergli le mani; gli appressava il volto al petto per guardargli
i bottoni; poi, accortasi di avergli appannato coll'alito la croce del
cinturino, gliela soffregava colla cocca del grembiale; finalmente,
dopo averlo guardato e riguardato un pezzo, gli gettò ancora una volta
le braccia al collo chiamandolo amorosamente per nome. Poi si staccò
ad un tratto da lui e gli domandò sollecitamente: E la guerra?--Il
figliuolo sorrise; essa ripetè:--E la guerra, dimmelo figliuolo,
quando la fate la guerra?--Oh, Dio benedetto! Ma chi ha mai parlato
di guerra, buona donna che sei?--Dunque non c'è la guerra?--domandò
tutta contenta;--non la farete mai più, non è vero?--Mai più? Mai più
non si può dire, mia cara....--Ah! dunque la fate! Dimmi la verità,
figliuolo.--Oh buona donna, e che cosa vuoi che se ne sappia, noi
soldati?--Ma se non lo sapete voi altri che la fate,--rispose con un
accento di convinzione profonda la madre--se non lo sapete voi altri,
poveri ragazzi, e chi l'ha da sapere?--
E dette queste parole, rimase immobile ad aspettare la risposta in un
atteggiamento di volto e di persona così caramente curioso, con un
sorriso così affettuosamente piacevole sulla bocca, e con un certo
lume ineffabile negli occhi, che suo figlio, sorridendo anch'esso,
rimase quasi estatico a mirarla, e gli piacque tanto in quel momento,
si sentì nel cuore un nuovo e così veemente impulso verso di lei, che
le fu sopra d'un salto, le strinse la testa fra le mani, gliela baciò,
gliela scosse scherzevolmente come si fa ai bambini, e, posatale
un'altra volta la bocca sulla fronte, mormorò sorridendo:--Povera la
mia vecchierella!--
Ed io, sempre là fermo, colle spalle appoggiate al muro e le braccia
incrociate sul petto, pensava:
--Ecco, quello là è un uomo che adora sua madre! Non può non essere un
buon soldato, rispettoso, docile, pieno di amor proprio, e di coraggio.
Sì, anche di coraggio, perchè le anime che sentono profondamente e
fortemente l'amore non possono essere anime codarde. Quel soldato
là, condotto sul campo, si farà ammazzare senza paura e morirà col
nome di sua madre sul labbro. Insegnategli che cosa è patria, fategli
capire che la patria son centomila madri e centomila famiglie come
la sua, ed egli amerà la patria con entusiasmo. Ma bisogna cominciar
dalla madre. Oh! se di tutti gli affetti gentili e di tutte le azioni
oneste e generose di cui andiamo superbi si potesse scoprire il primo
e vero germe, noi lo scopriremmo quasi sempre nel cuore di nostra
madre. Quante medaglie al valor militare dovrebbero splendere sul
petto, invece che ai figli, alle madri, e quante corone d'alloro
invece che su una testa giovane e chiomata si dovrebbero posare sopra
una vecchia testa calva! Ah madri, voi non dovreste mai morire! O
dovreste almeno star al fianco de' vostri figliuoli e accompagnarli
fino al termine del cammino della vita. Davanti a voi, anche vecchi,
noi saremmo sempre fanciulli, e v'ameremmo sempre dello stesso amore.
Voi, invece, ci lasciate soli.... Oh no, no! non soli; la vostra soave
memoria ci resta, la vostra diletta immagine sempre viva dinanzi agli
occhi, i vostri amorosi consigli sempre presenti allo spirito. E
questo ci basta. Ogni volta che ci assalga l'anima un tedio sconsolato
della vita e qualche duro disinganno ci faccia nascere nel cuore un
sentimento d'odio o di avversione per gli uomini fra questi uomini e
noi sorgeranno le vostre immagini sante, benigne, pacificatrici; ne
parrà di sentirci chiamare per nome da quella vostra cara voce con cui
ci ammonivate quando eravamo bambini, e piegheremo irresistibilmente
i ginocchi e giungeremo le palme dinanzi alle vostre immagini, e vi
chiederemo perdono!--
In quel punto capitò in quartiere brontolando il capitano
d'ispezione.--Dov'è l'ufficiale di picchetto?--domandò a qualcuno fuori
della porta. Intesi, mi scossi, uscii, me gli piantai davanti ritto,
impalato, colla mano alla visiera:--Presente!--
Egli mi guardò fiso e fece una certa faccia come per domandarmi:--Che
diavolo ha?--


IL FIGLIO DEL REGGIMENTO.

I.

Tra i fanciulli dell'uno e dell'altro sesso, fin che non v'è differenza
apparente nelle forme, v'è comunanza di giocattoli e di sollazzi; ma
quando, rimanendo alle bambine la soavità e la mollezza dei contorni
infantili, cominciano nei fanciulli a pronunciarsi le forme dell'uomo,
allora quella comunanza a poco a poco si rompe; l'un sesso si volge e
si attiene definitivamente alle bambole; l'altro agli schioppi, alle
trombette e ai tamburi. Insieme alla passione delle armi suol nascere
nei fanciulli la passione dei soldati; in alcuni temperata e fugace; in
altri violenta, irresistibile e duratura. Ed è in ciò appunto che prima
e più notabilmente si manifestano diverse le due nature, chè, mentre la
donna cerca ed ama tutto ciò che significa pace, debolezza ed amore,
l'uomo si slancia con trasporto verso tutto ciò che rappresenta la
forza, la potenza e la gloria.
Dopo le persone della famiglia e della casa, il nostro primo affetto,
il nostro primo palpito d'entusiasmo è il soldato. Soldati sono i primi
fantocci che rabeschiamo sulle pareti della scuola e sulla coperta dei
libri; soldati le prime persone che ci voltiamo indietro a guardar per
la via, fermandoci ed obbligando a fermarsi chi ci conduce per mano;
il primo soldo che ci si regala lo spendiamo da un libraio per una
stampa di soldatini coloriti; e tutto ciò che ai soldati appartiene,
armi, assise, galloni, pennacchi, ciondoli, ciarpe, tutto diventa
oggetto dei nostri desiderii più ardenti, dei nostri sogni, delle
nostre speranze più care; a tal segno da farci fermar nell'animo che a
prezzo di qualunque sacrificio e malgrado qualunque contrarietà, appena
giunti all'età voluta, ci arroleremo soldati; sì, sì, soldati, soldati,
assolutamente, a qualunque costo; la mamma piangerà, il babbo manderà
fuori quel certo vocione che tiene in serbo per le scappatelle più
ardite: non importa; la è decisa, soldati.
E qui comincia la manìa delle armi; e cerca, e fruga, e rimugina, non
vi sarà in casa tua una canna, un bastone, o una gamba di tavola rotta,
che, risparmiata dalla lama del tuo temperino, non t'abbia a fare per
molto o per poco il suo servizio di stocco o di daga o di fucile. Chi
di noi non passò lunghe ore a cavalcioni d'una seggiola, col petto
contro la spalliera, dimenando le gambe come per ispronare un cavallo,
agitando in alto il manico d'una granata, e mandando fuori certe voci
lente, profonde, solenni come d'un generale che comandi una divisione?
Chi non si ricorda della prima sciabola che ci regalò lo zio o il
compare o qualche ufficiale in riposo, vecchio amico di casa, il giorno
del nostro nome, o in premio dell'esserci fatti onore alla scuola? E
intendiamoci, veh! non mica di quelle solite sciabole di legno, che
si fasciano di carta argentata, roba da ragazzi piccini che non serve
neppure a uccidere una mosca; chè! proprio una sciabola vera, una vera
lama, di quelle che si adoperano alla guerra.... Oh! la prima sciabola
è una grande felicità.
E quelle belle mattinate di primavera, (che fanno uscir la voglia dei
libri, come dice il Giusti, e mettono la smania nelle gambe) quando,
seduti a tavolino, sbadigliando e sonnecchiando sopra una favola di
Fedro da voltare in italiano, sentivamo prorompere all'improvviso giù
nella via un gran frastuono di tamburi o di trombe, e noi subito al
diavolo quaderni e libri, e via a rompicollo giù per le scale, dietro
ai soldati, fino alla piazza d'armi, a contemplare estatici quel
vivo sfolgorìo delle baionette che appare e dispare come un lampo al
di sopra delle teste dei battaglioni, e a sentire quel clamoroso e
prolungato urrà degli attacchi, che già fin d'allora ci rimescolava il
sangue e facea sì che stringendo involontariamente i nostri piccoli
pugni ci sentissimo raddoppiate le forze; chi non le ricorda quelle
belle mattinate? È vero che, tornati a casa, c'era da subire gli
occhiacci del babbo o anche di peggio; ma quel poter dire:--sono stato
in piazza d'armi--ah! gli era pure un grande sgravio di coscienza, e
una ragione che si poteva addurre e s'adduceva in fatti senza umiltà e
senza paura.
E il primo soldato con cui, a forza di ronzargli attorno, riuscimmo a
stringere un po' d'amicizia, chi non se lo ricorda? E chi non ricorda
la prima volta che, in piazza d'armi o al tiro al bersaglio, abbiamo
avuto l'onore di andargli ad attingere un po' d'acqua alla fonte vicina
colla sua stessa gamella? Noi gliela portavamo piena, ricolma, lì lì
per traboccare al menomo moto; eppure non se ne versava una goccia,
così attentamente cogli occhi, colle braccia, con tutta la persona,
con tutta l'anima ci sforzavamo di riuscire degnamente nell'onorevole
incarico! E poi, farsi vedere al passeggio con un caporale, per
esempio, dei bersaglieri! Ma è una di quelle felicità, vedete, che
quando io mi metto a pensarci su, vorrei ritornare fanciullo per
poterla riprovare, o provarla, pur rimanendo un uomo, anche a costo
di parer rimbambito. E noi, la sera, all'ora della ritirata, si
accompagnava il nostro caporalotto sino alla porta del quartiere, e
gli si dava e se ne riceveva la buona notte o la promessa d'un convegno
pel domani, ad alta voce, perchè sentissero gli altri ragazzi ch'erano
là attorno; e il domani si faceva assieme una bella passeggiata fuori
di città, e giunti in un luogo solitario, pregavamo il nostro amico
che ci facesse veder la daga, ed egli rispondeva che è proibito, e noi
continuavamo a pregare ed egli:--no,--e noi:--sì, mi faccia il piacere,
bravo, un momento solo, appena un momento;--e il povero caporale,
data un'occhiata intorno se nessuno venisse, tirava fuori la daga dal
fodero con una cert'aria di mistero, e la vista di quella bella lama
nuda e luccicante ci metteva un fremito nelle vene, e ne toccavamo
leggermente la punta col dito, e domandavamo se fosse affilata e se con
un colpo avrebbe ammazzato un uomo.... Oh poi, l'amicizia d'un caporale
vi porta di gran bei frutti! Quello, fra gli altri, di aver sempre in
tasca qualche capsula bella e nuova, qualche volta anche della polvere,
e fors'anco una bella croce d'una piastra vecchia, o dei bottoni di
stagno ammaccati, e persino,--ma son fortune che capitan di rado,--è
possibile persino che diventiate possessore d'un paio di galloni, un
po' logori forse, ma sempre tali da fare una stupenda figura sulle
maniche della vostra giacchetta da casa. E tutta la ragazzaglia del
vicinato vi porterà rispetto.
Il concetto che s'ha da fanciulli dell'autorità e della prevalenza
fisica e morale dei soldati sugli altri cittadini è un concetto
smisurato. Soldati che non siano prodigi di coraggio non ce ne
può essere; soldati meno forti d'uno qualunque dei cittadini più
forti, assolutamente non ve n'è; nessuno al mondo può correre quanto
un bersagliere; le più belle barbe della città son quelle degli
zappatori; nulla v'ha di più terribile in terra che un ufficiale
colla sciabola sguainata, tanto più se la sia uscita poco prima
dalle mani dell'arrotino. E di fatti, quando si facevano ballar le
marionette e s'improvvisavano le commedie, ci poteva ben essere sul
palco scenico una lotta accanita di dieci individui armati, potevano
ben esserci anco dei principi e dei re a fare il chiasso colla spada in
pugno; ma al solo apparire di due soldati collo schioppo a tracolla,
tutte le altre teste di legno mettevan giudizio ad un tratto, e si
quetavano, e qualche volta anche i re, sì signori, anche le corone
s'inchinavano dinanzi ai cheppì. E quando la sera, a ora tarda,
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