La vita militare: bozzetti - 16

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ondeggianti al più tenue alito di auretta, e tanto da costringere di
tratto in tratto una manina dispettosa a posarvisi su, e a star là
ferma un po' di tempo per tenerle a dovere. Quelle signorine hanno il
capo scoperto, e quel po' d'aura che spira agita e scompone i lucidi
ricciolini, e costringe a volta a volta un bracciotto bianco a levarsi
e un ditino paziente a rimetter l'ordine ne' bei capelli riottosi. E là
presso, nel campo, v'è un crocchio di uffiziali che tirano certe saette
d'occhiate rasente il suolo!--Oh venisse un soffio di vento.--Eccolo,
comincia, cresce, passa, investe una gonnellina bianca, la solita
mano non giunge in tempo a frenarla..... Oh il bel piedino! E quegli
uffiziali sanno d'esser guardati, e ne profittano e come! E infatti,
vedete, quello là, per dirne uno, il primo, il più vicino al fosso, non
terrebbe la sciarpa con quella sprezzata eleganza e non n'avrebbe fatto
scorrere l'anello per modo che l'un fiocco gli riuscisse sul fianco e
l'altro gli scendesse al ginocchio; quell'altro là non caccierebbe in
aria i nuvoli di fumo levando così fieramente in alto la testa e non
terrebbe le gambe e le braccia così napoleonicamente atteggiate, e
codest'altro non porterebbe così di frequente le mani sulla nuca per
accertarsi che quel po' di divisa che il colonnello concede non s'è
ancora disfatta.
Intanto s'avanza giù per la strada e s'arresta dinanzi all'entrata
del campo una famigliola del villaggio: un papà vecchiotto, arzillo,
tarchiatello, grassoccio, una di quelle faccie di una volta, con due
vele da bastimento fuor della cravatta e due ciuffoni di capelli
bigi sulle tempia e un par di zampe elefantine dentro due scarpe di
tela greggia e un randello nodoso sotto un'ascella; un quissimile di
segretario comunale che vive in buona pace con tutti, e arcicontento
di sè e dello spiccato genio aritmetico che cominciano a spiegare i
bimbi alla scuola;--una buona cera di mamma sotto un cappello a forma
d'elmo romano;--e tre ragazzi vestiti dei panni migliori, pettinati,
unti, lisciati e lustrati, e ancor pieni il capo d'una lezioncella
di galateo recitata in fretta dalla mamma nell'atto d'uscir dalla
porta di casa. Sono vecchi amici del colonnello. Vedete che fortunato
accidente ch'ei sia venuto a piantare il campo là, proprio là, accanto
a casa loro! Il papà con un faccione tutto piacevole e con un tentativo
di voce soave:--Signor soldato, domanda a una sentinella toccandosi
la grande ala del grande cappello,--si potrebbe riverire il signor
cavaliere--colonnello--comandante il reggimento?--La sentinella gli fa
segno che passi e gli accenna colla mano la tenda del colonnello. Un
barbone di zappatore corre ad annunziargli la visita. La famigliuola
si fa innanzi a passo lento, rispettosa, circospetta; il colonnello
esce, guarda, si ferma, aggrotta le ciglia come per distinguer meglio,
guarda un momento al cielo come per riannodare le sparse reminiscenze
di que' volti, li ricorda, li riguarda, li riconosce, e spianando d'un
tratto la fronte, e mandando fuori un oh! prolungato di sorpresa e di
contentezza, s'avanza colle braccia tese e le palme aperte.... E lì,
figuratevi, accoglienze ed inchini e domande e risposte affollate, e
passar di palme sotto il mento ai bimbi, che son venuti su a occhiate,
proprio, e si son fatti così bellini, e poi:--Eh, signora, esclama
il colonnello per avviare un discorso qualunque, l'effettivo delle
compagnie è forte, sa! Cento cinquant'uomini l'una, nientemeno; è un
piacere. E che bel campo, eh? Lo vogliono vedere? Vogliono fare un
giretto?--La famigliuola acconsente e ringrazia; il colonnello, dopo
un po' di riflessione, si pone al lato sinistro della signora, il
marito al lato destro, i ragazzi avanti; la brigatella si muove. Tutti
le fanno largo. Gli uffiziali la salutano. Un bisbiglio sommesso la
precede; un bisbiglio sommesso la segue. E il colonnello, da quel rozzo
e buon soldatone ch'egli è, costretto all'ingrato ufficio di cavaliere
servente, dice alla signora:--Ecco, le vede là? Quelle son le marmitte
della terza compagnia; quell'altre della quarta; codest'altre della
quinta. Ella mi dirà che sono in cattivo stato, ed è vero; ma che vuole
perchè....--E le spiega il perchè. E la signora, in mezzo a quelle
due ali di soldati, non sa dissimulare un po' d'imbarazzo, un po' di
vergognetta; ma il papà, che sa di aver a fianco un colonnello, si
sente maggior di se stesso, pover'uomo, e gira intorno sui soldati uno
sguardo lungo, benigno, ridente, e ripete tratto tratto in accento di
compiacenza e di ammirazione: Oh che bella gioventù!--Uno dei ragazzi
si accosta alla mamma, e appuntando il ditino verso il colonnello le
chiede:--Ma chi è quel soldato là?--Taci, ella risponde sommessamente,
è quello che comanda a tutti i soldati che son qui.--E se volesse,
ripete il bimbo, potrebbe far tagliare la testa a tutti?
La musica! la musica! si grida all'improvviso in ogni parte del campo.
Di fatti i musicanti sono usciti ad uno ad uno fuor delle tende, si
son radunati, si son mossi verso il mezzo del campo, si sono schierati
in circolo e stanno aspettando un cenno del capo-banda tenendo fra le
dita gli strumenti in atto di recarli alla bocca. In meno che non si
dice, s'è affollata attorno a loro una moltitudine immensa, mezzo il
reggimento; s'è levato uno strepito assordante, alte grida di gioia, e
scoppi di battimani e canti e fischi; i ballerini più furiosi fendono
la calca a pugni e a spintoni, si cercano, si chiamano ad alte grida,
si slanciano l'un contro l'altro e, puntando le palme nei petti, dando
dei fianchi nelle pancie, e dei piedi sulle punte dei piedi, riescono
ad aprire un circolo; le coppie si preparano, i ballerini afferrano
colla destra una manata di camicia nella schiena alle danzatrici
(magari che le fossero), incrocicchiano le dita della mano manca colle
dita della loro destra, mettono innanzi il piè sinistro, piegan le
ginocchia, volgono la faccia al capo-musica:--Sicchè, soniamo sì o
no?--Le coppie s'impazientano, pestano i piedi, stringono i pugni, si
scontorcono, sbuffano, strillano; il capo-musica fa un cenno col dito,
gli strumenti si attaccano alle bocche, le lingue si protendono e danno
una leccatina alle labbra, di sotto e di sopra;--un altro cenno--e, si
suona.
Le coppie sono in moto, girano, rigirano, si rasentano, s'incontrano,
si urtano, si sbalzano a destra, a sinistra, avanti, indietro, le
schiene contro le schiene, i fianchi contro i fianchi, le calcagna
sui calli, via, alla cieca, alla pazza, ove si va si va, ove si cade
si cade, ci ha da esser posto per tutti, se non c'è si fa, a urtoni,
a pedate, e spingi, e pigia, e barcolla, e strilla, e sghignazza;
in un minuto l'erba del suolo è sparita sotto i passi pesanti, il
terreno si è smosso, le coppie si sono scambiate, confuse, o rotte, o
aggruppate; altre caddero bocconi a terra, e i danzatori vi passarono
su, o v'inciamparono e precipitarono anch'essi; altre furono sbalzate
in mezzo alla folla circostante; ma, in mezzo a quel guazzabuglio, il
lombardo continua a danzare imperturbato con quel suo molleggiamento
di fianchi, con quei suoi contorcimenti di capo e di spalle e quelli
incrociamenti di gambe e quel piegar improvviso di ginocchia come
fosse in punto di cadere e improvviso rizzarsi come per iscatto di
molla; e il piemontese tira innanzi impassibile, rigido, grave, e
piglia la cosa sul serio, e ci si scalda, e ci si mette d'impegno, e
fa pompa anch'esso delle sue grazie robuste; e i calabresi, due a due,
l'uno di faccia all'altro, col collo torto, le braccia aperte, e la
faccia atteggiata a certe smorfie grottesche, ringalluzziti, ricurvi,
seguitano a raspar la terra rapidamente, rapidamente.....
Che è? Che avvenne?
Nel campo s'è fatto un silenzio improvviso, profondo; tutte le faccie
si son volte da una parte; chi giaceva a terra s'è alzato; chi era ai
limiti estremi del campo è accorso verso il mezzo; sotto la baracca
del vivandiere, gli avventori si son rizzati in piedi sulle tavole
e sui banchi; altri sono saliti sui carri; tutti sono usciti dalla
tenda.--Che è? Che avvenne?
Guardate sulla via. Avvolto in un nuvolo di polvere s'avanza, al
galoppo, un cavaliere. È presso all'entrata; entra; si dirige verso
la tenda del colonnello; s'arresta. Il colonnello esce; il cavaliere
saluta, porge un foglio, volge la groppa e via di carriera.
Tutti stanno cogli occhi rivolti là, attoniti, muti; si direbbe che i
respiri sono sospesi; il campo rende l'immagine d'una di quelle piazze
gremite di popolo intorno a un foco d'artificio quando un bagliore
improvviso di bengala illumina una superficie immensa di facce cogli
occhi spalancati e le bocche aperte.
Il colonnello chiude il foglio, si volge al trombettiere, fa un
cenno....
Prima ancora che eccheggi lo squillo, un prolungato, universale,
altissimo grido, come uno scoppio fragoroso di tuono, si eleva al cielo
da ogni parte del campo; tutta quella moltitudine sparsa si rimescola
in tutti i sensi con una rapidità vertiginosa; le panche e le tavole
del vivandiere, in un attimo, son deserte; il pover uomo si caccia
le mani nei capelli; presto, giù la tenda, fuori le casse, dentro a
furia piatti, cavoli salami, bottiglie, panni, polli, sigari, alla
rinfusa, non monta; ma presto, il tempo incalza, un altro squillo di
tromba è imminente; gli uffiziali girano pel campo di corsa chiamando
ad alta voce le ordinanze che giungono affannate e trafelanti. Svelti,
mano alle cassette; giù dentro la roba; gli stivali sulle camicie, i
pettini nella tunica, non importa, pur di far presto. La cassetta non
si può chiudere; giù il ginocchio sul coperchio,--forza--forza--ancora,
auf! è chiusa. Presto ad arrotolare il pastrano; qua la tunica, la
sciabola, la borsa; presto; siamo in ordine, meno male.--E i soldati
attorno alle tende, a scioglier coll'ugne i nodi delle cordicelle,
ad arrotolar le coperte e le tele, a riempir gli zaini a furia, ad
abbottonar le ghette con quelle maledette dita convulse che non trovano
gli occhielli, a tastar bocconi la paglia in cerca della catenella,
della nappina, della baionetta, col viso rosso, colla fronte stillante
di sudore, col respiro affannoso, colla febbre addosso dalla paura
del secondo squillo di tromba, colla voce del sergente alle spalle
che minaccia la prigione a chi tarda, con dinanzi lo spauracchio del
capitano che pesta i piedi, che strilla, che strepita: presto, presto,
presto! Un altro squillo di tromba. In rango! urlano cento voci
concitate da tutte le parti. Tutti accorrono così come si trovano, col
cheppì sul cocuzzolo, col cappotto sbottonato, col cinturino in mano,
collo zaino penzoloni sur una spalla; a posto, presto, in ordine,
allineati a destra; le compagnie si schierano tumultuariamente, si
rompono e si allargano ad ogni nuovo sopraggiunger di soldati, poi si
ristringono, fanno pancia avanti e indietro, serpeggiano dall'un capo
all'altro, si scompigliano, si riordinano con rapida vicenda... Un
altro squillo di tromba. Il reggimento parte. La prima compagnia è fuor
del campo,--la seconda--la terza.... il campo è vuoto.
Ecco la vita del campo; dura talvolta e disagiosa; ma sempre bella,
sempre cara. Chi v'ha che l'abbia fatta e non l'ami, e non la ricordi
con diletto, e non la desideri con entusiasmo?


IL MUTILATO.

Di sera, a una cert'ora, l'aspetto della campagna mette nell'anima una
malinconia vaga, che somiglia un po' a quello stringimento di cuore da
cui son presi i fanciulli, quando, scappati da casa a girovagar pei
campi, di sentiero in sentiero, di podere in podere, vanno avanti,
avanti, avanti, fin che s'accorgono tutt'ad un tratto di essere soli;
guardano intorno, è un luogo oscuro e sinistro; guardano indietro,
hanno perduta la traccia del cammino; alzano gli occhi al cielo, il
sole è scomparso; la mamma, povera donna, aspetta: oh Dio, che cosa
ho fatto! esclamano, e restan lì come trasognati, con un groppo di
pianto nella gola e il cuore tutto in sussulto. Di questa natura è la
malinconia che ci entra a poco a poco nell'anima, in campagna, quando
il sole è già caduto da un po' di tempo, e le cose si vanno facendo
tutte d'un colore, e lungo le creste dei monti non appar più che una
sottile striscia di cielo color d'oro pallido, al di sopra della quale
cominciano a spesseggiare le stelle. È un'ora trista. E più la fan
trista quel monotono gracidar dei ranocchi e quel lontano abbaiar di
cani che rompe tratto tratto il silenzio alto e solenne della campagna.
Chi, in quell'ora, cammini per una viuzza solitaria alla volta della
città, e ne sia lontano ancora, e non iscorga intorno a sè anima viva,
e non oda altro rumore che quel dei suoi passi, quell'abbaiar di cani
gli comincia a dar noia, gli comincia a riuscire increscioso; non è già
ch'ei n'abbia paura; ma, che so io? ne farebbe di meno, via. Passando
dinanzi alle porte degli orti e dei giardini egli va in punta di piedi
per non destare il cagnaccio accovacciato là dietro, tien sospeso il
respiro, l'orecchio teso; è già quasi oltre la porta, è già quasi al
sicuro, quando gli scoppia alle spalle un maledetto latrato che lo
rimescola tutto; ed ei tira via senza volgersi indietro; ma gli par di
vederlo il rabbioso bestione col muso allo spiraglio delle imposte e
gli occhi arrovellati: ih! poterlo sventrare! E va oltre; ma nel mezzo
della strada, chè non gli cale del polverio, pur di non passare troppo
accosto alle siepi; non ci si vede dentro; potrebb'esservi qualcuno
appiattato; non sarebbe la prima volta. S'ei si sente alle spalle un
rumor di passi o la voce di due viandanti che discorrono tra loro, non
si volta mica indietro a guardar chi sono come se n'avesse sospetto o
paura, chè sarebbe parere un dappoco; ma tira innanzi cogli orecchi
all'erta e, fingendo di guardar nei campi da un lato della via, te li
esplora colla coda dell'occhio. E se spingendo lo sguardo dinanzi a
sè vede apparir lontano e venir lentamente verso di lui due uomini a
cavallo, avviluppati in un ampio mantello nero e coperti il capo d'un
cappello a due punte, il cuore gli si riconforta, affretta il passo,
e giunto di fronte a quei due inattesi amici, cede loro tutta la via
ritraendosi sur una delle prode, e guardandoli con un'espressione di
ossequio amorevole e accogliendo con un cotal sentimento di compiacenza
il lungo e severo sguardo indagatore che ne riceve. Quando finalmente
arriva a quelle benedette porte della città e scorge i primi lampioni
della prima via:--Sia lodato il cielo!--esclama spolverandosi le scarpe
col fazzoletto;--ci siamo.
In quell'ora, chi passa dinanzi alla porta d'un cimitero non vi si
arresta, comunque non gli attraversino la mente le fantastiche paure
del volgo e dei fanciulli; tira diritto, non getta nemmeno uno sguardo
al cancello, volta la faccia dalla parte opposta. Passando dinanzi alle
cappelle solitarie della campagna, i fanciulli son quasi impauriti
dal rumore del proprio passo che, entrando per le aperte finestre,
echeggia sotto la volta oscura. In quell'ora, e fin che in occidente
si vede un barlume di luce, le famiglie dei villeggianti stanno sulle
terrazze, appoggiate al parapetto, a contemplare tacitamente quel
mesto spettacolo che è il calar della notte sulla campagna; i ragazzi
si accennano l'un l'altro col dito i lumicini che spuntano man mano
nei casolari campestri, o chieggono al babbo i nomi delle stelle, e se
ci sia dentro della gente come noi; le fanciulle, sedute in disparte,
con un braccio sulla spalliera della seggiola e la testa reclinata sul
braccio, figgono l'occhio senza sguardo sui monti lontani, e pensano.
Ma non pensano a quei monti; in quei momenti il loro pensiero si
ritrae infastidito da quella solitudine e da quel silenzio severo; in
quei momenti, sebbene elle siano in mezzo alla famiglia, si senton
sole, abbandonate; sentono che un qualche gran bene lor manca,
sentono che nel loro cuore v'ha un grande vuoto, che la vita esse non
la vivono intera; e la loro fantasia corre irresistibilmente alla
città, s'interna nel tumulto amabile dei balli, cerca e ritrova dei
cari aspetti già da lungo tempo dimenticati, gode nel ravvivarne la
immagine, nel farsela presente là, al proprio fianco, a partecipare con
loro di quella melanconia soave; e contano il tempo che dovranno ancor
passare alla villa, e precorrono colla mente quel tempo, e pregustano
la gioia del ritorno e del primo rivedere quei vaghi aspetti, e si
destano poi da quelle gentili e meste fantasie come da un sogno.
Oh! quell'ora della sera, in campagna, è un'ora mesta. Anche se vi
trovaste al fianco della donna che amate, nel colmo della vostra
felicità, non vi passerebbero per la mente che delle meste immagini,
non vi sonerebbero sul labbro che delle meste parole.
Appunto in quell'ora, la sera di uno dei primi giorni di maggio
del milleottocento sessantasei, in una viuzza deserta che correva
a traverso la china d'un colle, accanto a uno di que' tabernacoli
campestri dov'è dipinta l'immagine della madonna sullo sfondo d'una
nicchia, stavano parlando sommessamente fra loro una giovinetta e un
soldato; quella seduta sur una grossa pietra addossata a uno spigolo
del tabernacolo, coi gomiti appuntellati sulle ginocchia e il mento
sulle palme; questi ritto accanto a lei, appoggiato con una spalla al
muro e le braccia incrocicchiate sul petto. Aveva in capo il berretto,
come usano chiamarlo i militari, da fatica; aveva indosso il cappotto,
e ai piedi lo zaino, e su questo un involto. La giovinetta aveva
nell'atteggiamento un non so che di abbandonato e di stanco, e tenea
gli occhi immobili a terra; un lumicino che ardeva dinanzi all'immagine
di Maria le gettava un chiarore velato sul volto mezzo nascoso fra le
mani, e lasciava scorgere intorno ai suoi occhi l'impronta d'un lungo
pianto. Il soldato, senza cinturino e senz'armi, aveva l'aspetto di un
soldato in congedo, ed era tale difatti, e apparteneva ad una delle
classi che erano state richiamate alle armi il giorno ventottesimo di
aprile, e il settimo giorno dopo la pubblicazione dell'ordine regio si
dovevano presentare ai comandanti militari dei circondari. Quel soldato
si doveva trovare l'indomani nella vicina città, la quale distava una
diecina di miglia, o giù di lì, da quel luogo.
A giudicare dall'atteggiamento suo e della giovinetta, e dai lunghi
silenzi che frapponevano alle poche e sommesse parole, pareva ch'essi
da lungo tempo fossero là. Sulla via, nè presso a loro nè lontano, non
c'era anima viva, e vi regnava un silenzio profondo. Solamente, di
minuto in minuto, s'udiva un suono confuso di voci lontane, che veniva
da una casa posta ai piè della china, dove appariva e spariva a vicenda
qualche lumicino; erano contadini di ritorno dai campi, che, riponendo
gli arnesi e spingendo i buoi nelle stalle, parlavano forte fra loro
da una parte all'altra dell'aia. Ad un tratto il soldato si staccò dal
muro, e, presa per ambe le mani la giovinetta che si levò subito in
piedi, le disse con quell'accento di timida pietà che si suol dare alle
parole annunziando a una persona cara alcun che di doloroso:--È tardi,
sai, Gigia. È ora ch'io vada. Domattina bisogna ch'io mi trovi in città
per tempo, e la via è lunga.
Ciò detto, si tacque e guardò nel volto la poveretta. Ella, senza
far motto, gli si fece vicina, gli posò tutt'e due le mani sopra una
spalla, e vi lasciò cader sopra la fronte, e singhiozzò.--Coraggio,
Gigia. Fatti coraggio. Due schioppettate e si torna.
--Si torna!--diss'ella sollevando lentamente la testa e lasciandola
tosto ricadere.--Chi lo sa!--soggiunse poi con voce di pianto soffocata
fra le mani.
Seguì un minuto di silenzio, dopo di che il soldato
ripigliò:--Dunque.... a rivederci, Gigia.--Le posò le mani sulle
tempie, le sollevò la testa, la baciò sulla fronte, si chinò, prese
lo zaino, se lo mise sulla schiena passando un braccio al di sopra
del capo, affibbiò le cigne, si chinò un'altra volta per prendere
l'involto e, porgendo la mano alla fanciulla, fece atto di partire.
Essa che in quel frattempo s'era coperto il viso colla cocca del
grembiale e stava immobile in quell'atto come stordita dal dolore, si
scosse improvvisamente e afferrando con tutt'e due le mani quella del
soldato:--Scriverai!--gli disse con voce ferma e risoluta, volendo così
indugiare di qualche momento la sua partenza.--Scriverai tutti i giorni!
--Proprio tutti i giorni, no, mia cara,--rispose con accento soave il
soldato.
--E perchè no?--essa domandò sollecitamente in suono di rimprovero.
--E quando si marcia tutto il giorno?
--Già!....--rispose la fanciulla a mezza voce chinando la testa. Ma
almeno,--ripigliò poi rianimandosi all'improvviso,--almeno tutti i
giorni che farete una battaglia mi scriverai che stai bene?....
Egli che, altre volte, avrebbe sorriso della cara ingenuità di quella
domanda, in quel momento se ne sentì venire al cuore una compassione,
una tenerezza, uno struggimento così forte e repentino, che ne fu
come sopraffatto, e capì ch'era necessario d'andarsene, senz'altre
parole, senz'altri indugi, al momento. L'abbracciò, la baciò, e via
di corsa.--Oh! senti,--gridò con voce disperatamente supplichevole
la poveretta correndogli dietro per alcuni passi colle braccia
tese:--ancora una parola!--Egli non si volse; essa si fermò, si coperse
la faccia colle mani, stette un momento immobile in mezzo alla via, poi
tornò indietro e si lasciò cader ginocchioni davanti al tabernacolo
lagrimando dirotto e singhiozzando lamentosamente come i bambini.
Il soldato seguitava a camminar frettoloso senza rivolgersi indietro.
Giunto ad un punto dove la via si partiva in due, si arrestò; dopo un
istante di trepida esitazione si volse, guardò al tabernacolo, la vide;
essa in quel punto sollevò la testa, guardò verso di lui, le parve di
scorgerlo, si alzò in piedi: egli disparve. Aveva imboccato quel ramo
della strada che, scendendo rapidamente nella valle, menava alla città.
Raggiunse il suo reggimento sul cominciare di maggio, e d'allora in
poi scrisse quasi ogni giorno una lettera a casa, e ne ricevette una
quasi ogni giorno, o di sua madre, o di suo padre, o della sua sposa
promessa; tutte scritte però dalla mano di quest'ultima, chè nessuno
della sua famiglia era in caso di scrivere da farsi capire; solamente
il babbo sapeva un po' d'abbaco pel suo consumo.
Fu alla battaglia del ventiquattro giugno. Dopo quel giorno trascorsero
due settimane senza che i suoi ricevessero nemmeno un rigo da lui.
Figuratevi le ansietà, i batticuori, il non sapersi dar pace di quella
povera gente. Ma un bel giorno, come Dio volle, una lettera venne. Fu
una festa. L'apersero colle mani tremanti.... Ah! non era scritta di
suo pugno: impallidirono. Ma lettala, si rifecero un po' dal primo
spavento, poichè egli scriveva d'una lieve ferita toccata in una mano
il giorno della battaglia, una ferita lievissima, di cui tra pochi
giorni sarebbe sparita ogni traccia; e che si sarebbe già levato da
letto se non era la febbre venutagli addosso a cagione di quel po' di
sangue perduto; stessero di buon animo che la era cosa da non darsene
pensiero; solamente lo scusassero del non iscriver egli le lettere di
suo pugno, la mano ferita essendo la destra, e dolendogliene le dita
tuttavia; poco però, pochissimo, quasi niente. La famiglia a poco a
poco si tranquillò. Dopo una settimana da quel giorno ricevettero una
prima lettera coi suoi caratteri, seppero ch'egli era ritornato al
suo reggimento, e di quella piccola sventura non fecero più parola se
non per dire che a quel poveretto gliene potrebbe ancora incogliere
di assai peggiori, e che si doveva ringraziare il cielo che la fosse
andata a quel modo.
Povera gente! Se la fosse andata a quel modo, avrebbero proprio dovuto
ringraziarne il cielo; ma non sapevano la verità. Il povero soldato era
stato colpito da una palla di fucile nella gamba, presso il ginocchio,
a un cento di passi dal nemico; la palla gli aveva spezzato le due
ossa, la tibia e la fibola; trasportato all'ospedale, gli era stata
recisa la coscia a quattro dita dal ginocchio.
Dopo una quarantina di giorni, gli diedero una gamba di legno, un
par di stampelle, un foglio di via, e, apertegli le porte dello
spedale:--Va, gli dissero, torna a casa, povero giovane, che la tua
parte l'hai fatta.
Prima di partire alla volta di casa sua, scrisse alla madre per
avvertirla della partenza, e del giorno e dell'ora in cui sarebbe
arrivato a casa; scritte le quali cose, si risolvè, si sforzò, ma non
gli bastò l'animo a svelarle la sua sventura; dieci e dieci volte
gettò sulla carta la prima parola e vi die' di frego subitamente,
quasi atterrito ch'essa gli fosse caduta dalla penna. Ma non era per
anco partita la lettera, che gli si affacciarono per la prima volta
alla mente tutte le conseguenze possibili, certe anzi, inevitabili e
tremendamente dolorose di quel suo inganno troppo pietoso; si dolse
amaramente d'aver sempre taciuto quella sua sventura; si meravigliò di
non aver pensato mai per l'addietro a quanto dal suo tacere sarebbe
seguìto di più tristo e di più desolante nella sua famiglia che non
dal dire coraggiosamente tutta la verità; e internandosi, come non
l'aveva mai fatto, nell'immaginazione di ciò che sarebbe accaduto in
casa sua al suo primo apparire in quello stato, e presentendo il cuore
e raffigurandosi la disperazione dei genitori a quella vista così
inaspettata e terribile, e pensando alla fidanzata e agli amici, si
cacciò le mani nei capelli in atto di desolazione disperata, e pianse.
Ma era tardi.
Giunse nella città vicina a casa sua la sera prima del giorno in cui,
giusta la lettera, sarebbe arrivato tra i suoi. Dormì in un'osteria.
L'indomani per tempo, aiutato dall'oste, salì sul baroccio di un
mugnaio che aveva da passare per quella tal via della collina; posò le
gruccie da un lato, si adagiò sopra due sacca di farina, il mugnaio
die' una voce al cavallo, il carro partì.
Correndo la via per parecchie miglia in fondo alla valle, il carro non
cominciò a salire su per la collina che alcune ore dopo ch'era partito.
In quell'ore, il nostro poveretto che non aveva potuto chiuder occhio
la notte, oppresso com'era stato da una rapida e torbida seguenza di
pensieri, d'immaginazioni e di presentimenti dolorosi, in quell'ore era
caduto in una specie d'assopimento, conciliato dalla monotonia della
strada e dalla lentezza dell'andare, e non interrotto che a quando
a quando dai sobbalzi del carro sulle ineguaglianze del terreno. Ma
quando, sentendosi tutt'ad un tratto ferir gli occhi da una luce più
viva e alitare nel volto un'aria più acuta, s'accorse che il carro era
uscito di mezzo agli alberi e cominciava a salire, allora si destò
di soprassalto, intravide quella collina, quella via, quelle case,
richiuse gli occhi all'istante, torse la testa all'indietro come preso
da un subito spavento e si gettò bocconi sulle sacca colla faccia
tra le mani. Il cuore gli faceva un gran battere; il sangue gli si
rimescolava violentissimamente; il cervello gli si era ad un tratto
stordito come per un gran colpo sul capo. E restò lungamente in quella
positura.
Se ne tolse poi a poco a poco, alzando prima la testa, appuntellando
le mani sulle sacca per rizzarsi a sedere, rizzandosi poi, sempre
colle spalle volte alla collina, e storcendo finalmente il capo verso
quella parte, senza sollevare lo sguardo. Di lì a un poco cominciò a
guardare il cavallo, poi a spinger gli occhi un po' più oltre, sulla
via, a destra, a sinistra, innanzi: ah! eccole quelle benedette case.
E il cuore gli die' un balzo improvviso come s'ei fosse capitato là
per accidente e quelle case gli fossero apparse davanti all'impensata.
Esse erano ancora molto lontane, non apparivano ancora distintamente,
rendevano appena l'immagine d'una macchia biancastra mezzo nascosta
fra gli alberi; eppure gli pareva che fossero vicine, molto vicine;
gli pareva che indi a pochi minuti ei vi sarebbe arrivato, e i
genitori e i congiunti e gli amici sarebbero accorsi attorno al
carro, ed egli avrebbe dovuto discendere, e come! come discendere,
Dio mio! E se le immaginava, e gli sembrava di vederle tutte quelle
care persone che a quell'ora dovevano certamente essere radunate in
crocchio sulla via, dinanzi alla porta di casa, o sparse per l'aia,
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