Niccolò Machiavelli e i suoi tempi, vol. I - 43

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generalmente accettata. Si potrebbe qui aggiungere come il RICCI, nel
suo _Priorista_, ricordi che il Machiavelli compose un ragionamento, in
forma di commedia, il quale andò poi perduto, ed era intitolato: _Le
Maschere_. In esso l'autore imitava, ad istigazione di M. Virgilio,
le _Nuvole_ ed altre commedie di Aristofane, facendo amara satira
di molti suoi contemporanei. Questo fatto però non potrebbe dare un
argomento in favore della tèsi sostenuta dal prof. Triantafillis,
perchè si tratta solo di una generica imitazione, per la quale bastava
una qualsiasi illustrazione o comento, fatto in iscritto o a voce dallo
stesso M. Virgilio o da altro professore dello Studio fiorentino. Diamo
in _Appendice_ (doc. V) una lettera che ci ha indirizzata a questo
proposito il nostro amico prof. E. Piccolomini. — Il signor G. ELLINGER
ha poi pubblicato un suo lavoro: _Die antiken Quellen der Staatslehere
Machiavelli's_: Tübingen, 1888. In esso si discorre dei molti autori
antichi dei quali il Machiavelli si valse nelle sue opere politiche. Ne
riparleremo.
[374] Questo si cava dall'esame dei Registri della Repubblica
nell'Archivio fiorentino. Le legazioni ed istruzioni ad ambasciatori
dal 1499 al 1512 sono talora in nome dei Signori, tal'altra dei Dieci,
o anche degli uni e degli altri. (Archivio fiorentino, Cl. X, dist. I,
num. 105). Alle lettere dirette alla Signoria, spesso per delegazione
rispondevano i Dieci. Secondo lo Statuto del 1415 (stampato nel 1781,
colla data di Friburgo, vol. II, pag. 25 e seg.) essi potevano nominare
sindaci, procuratori, ambasciatori, cursori, ecc.; non però destinare
ambasciatori al Papa, Imperatore o ad un re o regina, senza il consenso
dei Priori e Collegi, ai quali più specialmente tali nomine spettavano.
Generalmente si richiedeva anche l'approvazione del Consiglio.
[375] _Bartolomei Scalae Collensis, Vita_, auctore DOMINICO MARIA
MANNIO: Florentiae, 1768.
Il PASSERINI nel suo _Discorso_ a pag. XII, _Opere_ (P. M.), vol.
I, afferma che il Machiavelli, «desideroso di avviarsi al servizio
del suo paese, si pose, intorno al 1494, sotto la direzione di
Marcello Virgilio Adriani, nella seconda cancelleria del Comune.»
Ma non sappiamo dove mai abbia potuto trovare che prima del 1498 il
Machiavelli e Marcello Virgilio fossero già regolarmente in ufficio:
non certo nei documenti. È ben vero che, con deliberazione del 28
dicembre 1494 (_Deliberazione dei Signori_, reg. 86, a c. 120^t),
formandosi allora il nuovo governo, vennero cassati Bartolommeo Scala
ed altri ufficiali delle cancellerie. Ma il 31 dicembre seguente
i Priori «attenta capsatione facta per dictos Dominos de domino
Bart. Sch., et attenta necessitate Palatii et negotiis eiusdem,» lo
rielessero. E così restò in ufficio fino al 1497, come risulta dai
documenti, e come ricorda anche il MANNI nella _Vita_ di lui. Nella
riforma della cancelleria, deliberata poi nel Consiglio Maggiore il 13
febbraio 1498 (stile nuovo), è detto che il «primo cancelliere, cioè
dove serviva Bartholomeo Schala,» abbia un salario di fiorini 330. E
poco più oltre, parlando dei Segretari della Signoria, si accenna a
quello «dove ha servito Alessandro Braccesi,» che infatti era stato
allora appunto dimesso, e venne poi sostituito dal Machiavelli.
(_Provvisioni_, reg. 189, a carte 56^t-58). — Tuttavia recentemente
il Dr. DEMETRIO MARZI, (_La Cancelleria fiorentina_, pag. 287, Rocca
S. Casciano, Cappelli, 1910) osservò che non solo il Passerini, ma
anche altri scrittori dicono che nel 1494 o 1495 il Machiavelli fu
adoperato nella Cancelleria. Ed aggiunse ancora che Agostino Vespucci
suo collega, in una lettera che gli scrisse il 20 ottobre 1500,
ricordava, che essi erano già stati in ufficio un quinquennio. Ne
concluse perciò che possa indursi, che tra il 1494 e 1495, quando, dopo
il mutamento del governo, molti della Cancelleria furono dimessi o si
dimisero, il Machiavelli potè essere stato chiamato a servire in essa
provvisoriamente quale straordinario. Questo, egli dice, spiegherebbe
ancora come mai nel 1498 potesse, in età di soli 29 anni, senza altri
titoli, essere eletto segretario.
[376] L'atto di nomina del Machiavelli fu più volte pubblicato, sempre
però con qualche omissione. Recentemente lo ripubblicava il PASSERINI,
nel volume citato, a pag. LIX; ma di due documenti ne fece uno solo,
avendo, al principio del secondo paragrafo, omesso la data: _Die XVIIII
mensis iunii_, dalla quale apparisce che la deliberazione del Consiglio
Maggiore fu presa quattro giorni dopo quella del Consiglio degli
Ottanta. (Archivio fiorentino, Cl. II, n. 154, a carte 104). I due
decreti sono scritti in margine del foglio indicato. Questa filza porta
anche l'indicazione più moderna: _Signori e Collegi, Deliberazioni_,
reg. duplicato 169.
[377] Tutto ciò spiega perchè lo chiamarono il Segretario fiorentino,
e perchè nei documenti è detto ora segretario dei Dieci, ora della
Signoria, ora della seconda cancelleria.
[378] A questa conclusione siamo venuti esaminando la riforma del 28
dicembre 1494, quella del 13 febbraio 1497 (98), più sopra citata,
e gli ordini di pagamento, uno dei quali può vedersi nell'Archivio
fiorentino, Cl. XIII, dist. 2, n. 69, a c. 142.
[379] ANGELO MARIA BANDINI, _Collectio veterum aliquot monumentorum_:
Aretii, 1752. Nella prefazione parla di Marcello Virgilio, di cui
si può vedere l'elogio anche nel vol. III degli _Elogi storici degli
uomini illustri toscani_: Firenze, 1766-73.
Il BANDINI, nella citata prefazione, dice: «Id vero in Marcello mirum
fuit, quod etsi publice florentinam iuventutem humanioribus literis
erudiret, nomine tamen Reipublicae literas scribendi munus numquam
intermiserit.» Dopo la prefazione, si trovano in questo volume lettere
indirizzate a Marcello dal Calcondila (1496), da Roberto Acciaioli, da
Aldo Manuzio (1499) e dal card. Soderini (1508), nelle quali si parla
sempre di ricerche d'antichi classici, scoperte d'antichi monumenti,
ecc. Vedi anche PREZZINER, _Storia del pubblico Studio_, ecc., vol.
I, pag. 181, 187 e 190; FABRONI, _Historia Academiae Pisanae_, vol.
I, pag. 95, 375 e 377. Da una lettera inedita di Marcello Virgilio
al Machiavelli, che citeremo più oltre, si vede chiaro che anche nel
1502, quando questi era presso il Valentino, Marcello Virgilio dirigeva
la prima segreteria, e continuava le sue lezioni. Di ciò parlano il
VALERIANI, _De literatorum infelicitate_: Venetiis, 1630, pag. 71,
e il BANDINI, a pag. XIX della citata prefazione. — Molte notizie
su Marcello Virgilio Adriani e i suoi scritti si trovano in WILHELM
RÜDIGER, _Marcellus Virgilius Adrianus aus Florenz_. Halle a. S., Max
Niemeyer, 1898.
Fu sepolto nella tomba di famiglia, nella chiesa di S. Francesco a S.
Miniato al Monte, fuori delle mura. Ivi è il monumento di famiglia con
una iscrizione. Più tardi vi fu messo il busto di Marcello Virgilio,
con quest'altra iscrizione:
_Suprema nomen hoc solo_
_Tantum voluntas iusserat_
_Poni, sed hanc statuam prius_
_Erexit haeres, nescius_
_Famae futurum et gloriae_
_Aut nomen aut nihil satis._
Da queste ultime parole potè forse essere suggerita la bella iscrizione
che fu messa più tardi sulla tomba del Machiavelli in Santa Croce. Il
figlio di Marcello Virgilio, G. B. Adriani, lo storico, ed il nipote
sedettero sulla stessa cattedra del padre e dell'avo.
[380] Molti sono i ritratti che, senza ragioni sufficienti, si dicono
del Machiavelli. Ricordiamo prima di tutti il busto in marmo, con la
data del 1495, che fu messo nella Galleria degli Uffizi l'anno 1824,
e passò poi al Museo Nazionale, nel Palazzo del Bargello. Esso porta
sempre il nome del Machiavelli, sebbene adesso ne sia generalmente
negata l'autenticità. Negli Uffizi si trova ancora una maschera
in gesso, che si dice formata sul cadavere del Machiavelli. Ma dai
documenti che ivi si conservano, apparisce che la maschera fu rinvenuta
fra il 1840 e 48, nell'armadio d'una cantina della casa abitata già dal
Machiavelli (Via Guicciardini, n. 16); e che solo perciò fu supposta
di lui, sebbene il gesso non abbia neppur ora l'apparenza di molta
antichità, nè, che si sappia, vi sia nessuna antica tradizione, che ne
ricordi l'esistenza.
Presso la Società Colombaria si trova un antico ritratto in terra
cotta colorata, che da qualcuno si volle attribuire al Machiavelli.
Ma la Società cominciò solamente nel secolo passato; ebbe in dono
questo ritratto, senza però che nessun documento accerti che sia di
lui. Il signor Seymour Kirkup, dotto Inglese, che fu anche pittore,
e lungamente dimorò in Firenze, possedeva un busto in terra cotta,
che egli acquistò da un rivendugliolo, e lo credeva fermamente del
Machiavelli, anzi lo supponeva formato sul cadavere. Questo busto,
andato in Inghilterra, dopo che il proprietario morì a Livorno, ha una
qualche lontana somiglianza con quello della Colombaria, specialmente
pel naso aquilino, che non hanno gli altri ritratti. Io ricordo d'aver
più volte sentito dire dallo stesso signor Kirkup, non so però con
quale fondamento, che quel busto era uscito dalla Colombaria, in uno
sgombero che essa fece. Sembra un lavoro non finito; i capelli infatti
sono messi solamente al lato destro della maschera. Forse una certa
somiglianza può trovarsi fra questi due busti e la testa assai piccola,
assai brutta, assai male incisa sul frontespizio della edizione delle
_Opere_ del MACHIAVELLI, che fu fatta nel 1550, ed è chiamata la
_Testina_.
V'è però un'altra serie di ritratti, che sono di un tipo assai
diverso, e con maggiore fondamento si possono dire del Machiavelli.
E prima di tutti poniamo il busto che pare in terra cotta, ma è di
stucco colorito, e trovavasi nella casa dei Ricci, parenti come si
sa del Machiavelli, di cui conservarono lungamente le carte. Con
la morte della marchesa Ricci-Piccolellis, esso venne in eredità al
conte Bentivoglio d'Aragona, e fu allora inciso ed illustrato nella
_Revue Archéologique_ (gennaio-giugno, Parigi, 1887). Io lo esaminai
in compagnia d'alcuni artisti, che lo giudicarono lavoro certamente
antico, ma di merito assai secondario come opera d'arte. Dalle
_Memorie_ di SCIPIONE DE' RICCI (vol. II, pag. 13, ediz. Le Monnier),
risulta chiaro che questo busto, conservato religiosamente nella sua
famiglia, ritenevasi formato sul cadavere del Machiavelli, e che se ne
era fatta una copia in gesso, la quale fu data ad amici che volevano
riprodurla. Probabilmente di essa si valse il pittore Santi di Tito (n.
1536, m. 1603), nel fare quel suo ritratto del Machiavelli, che venne
più volte inciso, e che ora non si sa più dove si trovi.
Quando lo scultore Bartolini lavorava la sua bella statua, che è sotto
gli Uffizi, cercò ed esaminò tutti i ritratti allora conosciuti del
Machiavelli. Nel suo studio si conserva ancora un busto in gesso, che
somiglia molto a quello in stucco di casa Ricci; ma è migliore assai
come opera d'arte, ed io ne possiedo un calco, che feci eseguire dal
formatore Nelli. Sembra un lavoro antico, che il Bartolini prescelse
per eseguire la sua statua, la quale par da esso veramente ispirata.
Non so come nè dove il Bartolini lo trovasse; probabilmente è il gesso
di cui parla Scipione de' Ricci. Sia comunque, il busto in stucco,
questo dello studio Bartolini, il ritratto dipinto da Santi di Tito e
la statua dello stesso Bartolini riproducono tutti un medesimo tipo,
diverso assai dal busto della Colombaria, da quello del Kirkup e dalla
così detta maschera degli Uffizi. Il naso non è aquilino, ma diritto
e piccolo; v'è una espressione di sottigliezza, di accortezza, quasi
di furberia, tanto che, se non fosse la certezza di un'antichità più
o meno remota, si direbbe un concepimento moderno del Machiavelli
tradizionale.
[381] NARDI, _Storia di Firenze_, vol. I, pag. 174.
[382] Il NARDI dice che la condotta di Paolo e Vitellozzo, consigliata
dal Moro, fu fatta d'accordo col re di Francia «ed a soldo comune del
detto Re e del popolo fiorentino.» _Storia di Firenze_, vol. I, pag.
173.
[383] Questa Orazione trovasi nella Biblioteca Laurenziana, Plut.
LXXXX, cod. 29: _Oratio pro eligendo imperatore exercitus Paullo
Vitellio, et dandis illi militaribus imperatoriis signis_. In essa
l'oratore accenna a pericoli che aveva corsi recentemente, forse nei
casi del Savonarola: _Scitis enim omnes quantis vitae periculi his
diebus iactatus sim, quantoque metu coactus sim fugere presentem ubique
mortem, quam nescius ipse mecum forte trahebam_.
[384] NARDI, _Storia di Firenze_, vol. I, pag. 176.
[385] Di questo don Basilio abate di San Felice in Piazza, e poi
vicario generale dei Camaldolesi, il MACHIAVELLI dice nei suoi
_Frammenti storici: Cuius fuit summa manus in bello, et amor et fides
in patriam. Opere_, vol. II, pag. 366.
[386] Vedi le _Storie di Firenze_ del NARDI e del GUICCIARDINI. Quanto
alla somma che dovevano pagare i Fiorentini ai Veneziani, il Nardi
dice 100,000 ducati in 12 anni, il Guicciardini 150,000 in 15 anni. Il
_Diario_ del BUONACCORSI ha qui una lacuna, e l'autografo, che è nella
Riccardiana, ha una nota, la quale dice, che l'autore sospese il lavoro
per essere stato sei mesi assente da Firenze. Osserviamo che questo
basterebbe a smentire, se pur ve ne fosse bisogno, l'opinione di chi
volle attribuire il _Diario_ del BUONACCORSI al Machiavelli, che allora
certo non fu sei mesi assente. Ma di ciò più oltre.
[387] La lettera dei Dieci, che dà la commissione al Machiavelli, in
data 24 marzo 1498 (stile fiorentino), e trovasi fra le _Legazioni_,
nelle _Opere_ a stampa, è generalmente preceduta, per errore, da
un'altra del novembre 1498, la quale, come si osserva giustamente nella
edizione (P. M.), inviava colà Niccolò Mannelli, non il Machiavelli.
[388] Secondo la riforma del 2 dicembre 1494, i Dieci duravano in
ufficio sei mesi. (Archivio fiorentino, _Provvisioni_, reg. 186, a c.
4). Per deliberazione del Consiglio degli Ottanta (11 maggio 1495),
l'elezione doveva esser fatta nel Consiglio Maggiore. Secondo la
riforma del 27 aprile 1496 (_Provvisioni_, reg. 188, a c. 16 e segg.),
fu stabilito che i «Commissarî, così generali come particolari nel
dominio, si eleggano nel Consiglio degli Ottanta, sulla proposta dei
Dieci, che presenteranno 10 nomi da porre a partito.» In caso urgente
potevano anche di propria autorità mandare in campo un Commissario
per quindici giorni, e procedere poi alla regolare elezione, la quale,
come è naturale, assai spesso confermava in ufficio quello già mandato
dai Dieci. Questi potevano inoltre prorogare il tempo dell'elezione
fino a sei mesi, mantenendo intanto nell'ufficio il Commissario da
essi inviato. E qui nascevano molti abusi, giacchè, per favorire gli
amici, si mandavano d'urgenza commissarî, quando l'urgenza non v'era;
si confermavano poi di quindici in quindici giorni, e finalmente
si cercava di farli eleggere dal Consiglio. Oltre le nomine dei
«commissarî e rettori dei luoghi,» i Dieci deliberavano le condotte per
le milizie, e le spese della guerra, cose tutte che potevano aprir la
porta ad altri abusi.
[389] Vedi GUICCIARDINI, _Storia fiorentina_, pag. 202 e segg., e
NARDI, op. cit., vol. I, pag. 189-91. Questo secondo scrittore, a
pag. 184, nel parlare delle strettezze della Repubblica, racconta
d'un Lorenzo Catucci, il quale offerì ad essa in dono mille fiorini, e
cinquemila in prestito, per cinque anni, purchè «gli fosse conceduto
il beneficio dello Stato per le Arti minori.» La sua domanda fu
respinta, ma, venuto il giorno in cui il beneficio si poteva legalmente
concedere, il Catucci fu messo a partito per le Arti maggiori, ed
ottenne così gratuitamente più di quello che aveva chiesto per danaro.
Ciò prova che allora esistevano ancora virtù repubblicane a Firenze.
Una provvisione del 31 maggio 1499 (Archivio fiorentino, _Consigli
Maggiori, Provvisioni_, reg. 191, a c. 10^t) stabilisce nuove norme per
l'elezione dei magistrati, giacchè occorrendo allora, per ottenere la
maggioranza legale dei voti, radunare più volte il Consiglio Maggiore,
molti si stancavano e non andavano alle adunanze. Si deliberò quindi
che tutti coloro i quali ottenevano il voto della metà più uno dei
presenti, venissero imborsati, e fra di loro decidesse poi la sorte.
Quanto ai Dieci, venne sospesa ogni deliberazione, fino a che gli
Ottanta non avessero, con due terzi dei voti, dichiarato se volevano
che un tale ufficio continuasse o no.
[390] È singolare che il NARDI, contemporaneo e fedele storico, la dica
(op. cit., vol. I, pag. 34) sorella del Moro, quando ella stessa, nelle
sue lettere ai Fiorentini, lo chiama il _nostro barba_, cioè zio.
[391] Pier Francesco de' Medici padre di Giovanni (1467-98) era figlio
di quel Lorenzo, che fu fratello minore di Cosimo _padre della patria_.
Il padre di questi due fratelli fu, come è noto, Giovanni de' Medici
vero fondatore della casa. Il ramo primogenito, cioè la discendenza di
Cosimo, si estinse l'anno 1537 in Alessandro, ucciso da Lorenzino de'
Medici. Dal ramo secondogenito vennero i granduchi di Toscana.
[392] Abate ANTONIO BURRIEL, _Vita di Caterina Sforza_, 3 vol. in-4:
Bologna, 1795; T. A. TROLLOPE, _A Decade of Italian Women_: London,
1859, due volumi. — Il senatore conte P. D. PASOLINI ha recentemente
pubblicato un'opera in tre volumi, che tratta il soggetto ampiamente e
compiutamente, con moltissimi nuovi documenti (_Caterina Sforza_: Roma,
Loescher, 1893).
[393] Vedi la _Istruzione al Machiavelli_, deliberata il 12 luglio
1499, nelle _Opere_, vol. VI, pag. 7.
[394] Lettera del 17 luglio, nella _Legazione a Caterina Sforza_.
[395] I Fiorentini ne avevano bisogno senza indugio, «perchè il
capitano sollecita, stringe e infesta ogni ora.» Così dice la lettera
del 18 luglio, firmata Marcello Virgilio. Questa ed altre dello stesso,
che sono però di poca o nessuna importanza, trovansi nella Biblioteca
Nazionale di Firenze (_Carte del Machiavelli_, cassetta II), e furono
pubblicate dal PASSERINI, insieme con la _Legazione a Caterina Sforza
di Forlì_, nel terzo volume delle _Opere_ (P. M.).
[396] Vedi la _Legazione a Caterina Sforza_, che è la prima in tutte le
edizioni. Contiene sette lettere del Machiavelli, dal 16 al 24 luglio.
_Opere_, vol. VI, pag. 11-31.
[397] Per questa legazione furono dati al Machiavelli, con
deliberazione del 31 agosto 1499, fiorini diciannove larghi in oro,
«per rifacimento di spese fatte in andare, stare e tornare in giorni
diciannove, incominciati addì 13 di luglio, e finiti per tutto il primo
del presente.» Il documento fu pubblicato nelle _Opere_ (P. M.) vol.
III, pag. 32, nota 2.
[398] «Il spettabile Ioanni mio auditore.» Vedi la lettera della
Contessa in data del 3 agosto 1499, nelle _Opere_, vol. VI, pag. 31.
[399] Di queste lettere, scritte dal Buonaccorsi nel luglio se ne
trovano nella Biblioteca Nazionale di Firenze tre, di cui due in data
del 19, una del 27. _Carte del Machiavelli_, cassetta II, numeri 1, 77,
78. Le diamo in _Appendice_, documento VI.
Biagio Buonaccorsi, fedele al Machiavelli anche quando questi cadde più
tardi nella sventura, e molti lo assalivano per la pubblicazione del
Principe, nacque nel 1472, e sposò una nipote di Marsilio Ficino, la
quale fu poi amica della moglie del Machiavelli. Le sue poesie restano
inedite nelle biblioteche di Firenze. Scrisse la _Impresa fatta dai
Signori fiorentini l'anno 1500 con le genti francesi, per espugnare
la città di Pisa, capitano monsignor di Belmonte_. Questo breve
lavoro, utile per la esattezza delle notizie che dà, venne pubblicato
da F. L. POLIDORI nell'_Arch. Stor. It._, vol. IV, parte II. Sono 19
pagine, precedute da una prefazione del Polidori, che in essa raccolse
varie notizie intorno all'autore. Questi pubblicò, ai suoi tempi, una
lettera dedicata a Girolamo Benivieni, la quale discorre del comento
di Pico della Mirandola alla _Canzone dell'amor divino_, scritta dallo
stesso Benivieni. Vedi _Opere_ di GIROLAMO BENIVIENI: Firenze, Giunti,
1519. Ma il lavoro principale del Buonaccorsi è il _Diario_ dei fatti
seguiti in Italia, massime in Firenze, dal 1498 al 1512, durante il
qual periodo di tempo, esso ed il Machiavelli stettero insieme nella
seconda cancelleria della Repubblica, per uscirne insieme, quando mutò
il governo. Il _Diario_ fu pubblicato a Firenze l'anno 1568 dal Giunti,
ed ha certo importanza storica, perchè composto, quantunque con assai
poca arte, sulle lettere della cancelleria. Il suo stile non si può
in nessun modo paragonare con quello del Machiavelli, sebbene qualcuno
abbia avuto la strana idea di attribuire a lui il _Diario_.
L'AMMIRATO, nelle _Famiglie nobili fiorentine_, a pag. 103, accennò ad
un _piccolissimo quadernuccio_, scritto di mano del Machiavelli, «per
metterlo forse nell'historia, che di poi non seguì.» In conseguenza
di ciò, negli _Elogi di Uomini illustri toscani_ (Firenze, 1766-73,
vol. I, pag. 37), fu scritto che un letterato aveva scoperto come il
_Diario_ non fosse del Buonaccorsi, ma del Machiavelli, e si osservava
ancora che il _Diario_ comincia quasi là dove i _Frammenti storici_,
che fanno seguito alle _Storie_ del MACHIAVELLI, finiscono. Il MORENI,
nella _Bibliografia della Toscana_, ripetè la stessa osservazione senza
combatterla. Pure sarebbe stato assai facile notare che l'Ammirato
citava un brano del _quadernuccio_, e che questo brano era il ritratto
di Niccolò Valori, scritto dal MACHIAVELLI, e pubblicato fra le
_Nature di Uomini illustri fiorentini_. Queste potevano formare un
quadernuccio, ma il _Diario_ è invece un volume di mole discreta. Così
si sarebbe evitata una ipotesi in nessun modo sostenibile.
Inoltre, tutti i Mss. antichi del _Diario_ portano il nome del
Buonaccorsi, e quello che si conserva nella Riccardiana di Firenze
(Codice 1920), ed è l'autografo, ha, come abbiamo già osservato, la
postilla che ricorda l'assenza dell'autore da Firenze, in un tempo
nel quale il Machiavelli non era certo assente. Si volle da qualcuno
sostenere ancora che la scrittura del _Diario_ autografo si potesse
confondere con quella del Machiavelli; ma basta paragonarle fra loro,
per accertarsi del contrario. Del resto, è superfluo fermarsi troppo su
di ciò, e notiamo invece che il _Diario_ si trova quasi tutto di sana
pianta riportato nella _Storia di Firenze_ di IACOPO NARDI, il quale ne
corresse solo alquanto la forma.
[400] Archivio fiorentino, _Lettere de' Dieci di Balìa_, 1499, Cl. X,
dist. 3, n. 91. Secondo il nuovo ordinamento dell'Archivio, la stessa
filza ha anche l'indicazione: _Signori, Missive_, n. 21. La lettera qui
sopra citata è del 5 agosto, e trovasi a carte 64.
Da questo momento noi cominciamo a valerci delle lettere d'ufficio,
scritte dal Machiavelli, che si trovano in grandissimo numero ancora
inedite nell'Archivio fiorentino. Più di 4100 sono le schede delle sole
lettere autografe, nelle quali vanno però comprese alcune legazioni
e circa 264 lettere pubblicate dal CANESTRINI negli _Scritti inediti
di N. Machiavelli_. Queste lettere erano scritte di mano propria del
Machiavelli nei minutarî o protocolli, e poi copiate nei registri da
ufficiali della cancelleria. Naturalmente non tutte quelle dei minutarî
sono di mano del Machiavelli, sebbene da lui ispirate; ma il suo
autografo si riconosce in modo da non lasciar dubbio. Delle lettere
scritte nell'agosto 1499 non abbiamo trovato il minutario, ma solo il
registro, e però quelle pochissime che citiamo come scritte da lui
in questo mese, le abbiamo supposte tali solamente dallo stile. Dal
1º settembre in poi (lo noti bene il lettore), tutte le lettere che
citiamo senz'altra osservazione, sono del Machiavelli, e se ne trova
l'autografo.
[401] Lettera del 7 agosto, a carte 68 del Registro sopra citato.
[402] NARDI, _Storia di Firenze_, vol. I, pag. 196 e seg.
[403] GUICCIARDINI, _Storia fiorentina_, pag. 204.
[404] Lettera del 14 agosto, a carte 74 del Registro citato.
[405] A questo punto, una mano contemporanea ha scritto in margine del
Registro: _Quantus moeror_.
[406] Diamo in _Appendice_ questa lettera del 20 agosto, insieme con
un'altra del 15 nei documenti VII e VIII.
[407] Anche questa lettera del 25 agosto diamo in _Appendice_,
documento IX.
[408] Vedi negli _Scritti inediti di Niccolò Machiavelli_, illustrati
da G. CANESTRINI (Firenze, Barbèra, Bianchi e C., 1857), le lettere
dell'8, 10 e 13 settembre, e quella del 27 ottobre 1499, a pag. 81, 82,
85 e 118.
Il Canestrini ha in questo volume ristampate le lettere scritte dal
Machiavelli, quando ordinò la milizia in Firenze, che già erano state
da lui pubblicate nell'_Arch. Stor. It._ Vi ha poi aggiunto molte
altre lettere inedite. In tutto sono 264, e trattano sempre affari
della Repubblica. Salvo quelle che risguardano la milizia, la scelta
può dirsi fatta a caso, senza un concetto, senza un vero ordine
cronologico, e senza una vera distribuzione per materie. Salta da
una lettera all'altra, tralascia brani più o meno lunghi di quelle
che pubblica, senza dirne la ragione, e senza neppure avvertirne il
lettore. Evidentemente poi egli non conobbe o non esaminò la massima
parte delle lettere d'ufficio scritte dal Machiavelli, avendone
pubblicate molte che non hanno valore, e tralasciato un grandissimo
numero di assai importanti.
[409] NARDI, _Storia di Firenze_, vol. I, pag. 199-200.
[410] _Scritti inediti_, a pag. 95. Vedi anche la lettera del 29
settembre a pag. 96, e le altre che seguono sullo stesso argomento.
[411] NARDI, _Storia di Firenze_, vol. I, pag. 201 e 202. Quello stesso
giorno 28 settembre, Paolo Vitelli scrisse da Cascina, dopo essere
stato fatto prigione, una lettera ad un tal Cerbone da Castello, la
quale si trova fra le _Carte del Machiavelli_, cassetta II, n. 75. Il
NARDI ci dice infatti (op. cit., vol. I, pag. 204) che questo Cerbone
fu preso ed esaminato, e che gli si trovarono addosso lettere e carte
che si riferivano al Vitelli. Vedi la lettera in _Appendice_, documento
X.
[412] _Opere_, vol. V, pag. 364.
[413] Archivio dei Frari, Consiglio dei Dieci, Misti, vol. 275, anno
1495-98, carte 213^t. Il primo a richiamare l'attenzione su questi
documenti e sulla loro importanza fu il BROSCH, nell'_Historische
Zeitschrift_ del SYBEL (XXXVIII, 165). Risulta da essi, che i Veneziani
trattarono a lungo con Piero dei Medici per rimetterlo in Firenze
con l'aiuto del Vitelli, discorrendo i modi e le condizioni. Vedi
_Appendice_, documento XI.
[414] Dalle notizie che il Machiavelli mandava, nell'aprile e luglio
1499, a Francesco Tosinghi, commissario nel campo di Pisa, risulta
manifesto che i Fiorentini, stretti dalla Francia e dal Moro, non
si dichiaravano, «temporeggiando coll'uno e coll'altro, usando il
benefizio del tempo.» Vedi nelle _Opere_, vol. VIII, la lettera V, in
data 6 luglio 1499, e le due precedenti.
La lettera del 27 settembre, da noi più sopra citata, nella quale i
Fiorentini, raccomandando che si pigliasse subito il Vitelli, dicevano
di esser decisi a far capire, «massime alla Cristianissima Maestà,» che
volevano essere rispettati, conferma che sospettavano davvero, che il
Vitelli, amico di Francia, menasse in lungo le cose, per vedere prima
l'esito della guerra in Lombardia.
[415] NARDI, _Storia di Firenze_, vol. I, pag. 210.
[416] Il signor NITTI (op. cit., vol. I, pag. 67 e segg.) pubblica,
a questo proposito, una lettera che si trova fra le _Carte del
Machiavelli_ (cassetta I, n. 49) senza indirizzo, senza data e senza
firma. Egli, pur notandovi «il disordine delle idee e la eccezionale
verbosità,» la crede del Machiavelli perchè autografa. Io, per
le ragioni che dirò in _Appendice_, doc. XII, dove la ripubblico
riscontrata sull'originale, non la credo di lui. Osservo intanto che
fra le carte del Machiavelli sono più lettere o scritti non suoi, di
sua mano copiati, per obbligo d'ufficio o per altre ragioni. Un esempio
ce ne ha già dato il nostro documento IV.
Nel giugno 1501 fu preso ed esaminato un tale Piero Gambacorti,
che aveva servito i Pisani. Anche il suo processo, che trovasi
nell'Archivio fiorentino, è scritto in parte di mano del Machiavelli.
Interrogato come andò la cosa di Stampace, disse che i Pisani credevano
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