Le rive della Bormida nel 1794 - 18

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con cui ve gli avevano assettati. Arazzerie e festoni d'edera,
appiccati ai travicelli del soppalco ed alle pareti, formavano sopra
la tavola una sorta di padiglione, che accordandosi coi trofei
composti dall'organista del borgo, parevano insieme simboli delle
nozze tra il guerriero e la montanina.
La povera Margherita provava di tutto quello sfoggio uno sgomento che
non le lasciava aprir bocca; e dopo d'aver aiutato il babbo in quelle
opere, non le era parso vero che questi le comandasse di andarsene in
camera alla zia; perchè essendo zitella, gli usi del paese non le
concedevano di stare alla festa. Essa non se lo fece ridire, e passò
da damigella Maria; la quale s'era posta a letto per ammalata, tanto
da non essere costretta a sedere a mensa, quel giorno ch'essa stimava
più tristo d'un funerale. Raccolta là dentro con essa, Margherita le
raccontava le cose vedute in casa; e di quei racconti la cieca sentiva
una molestia, come fa la malaria a chi cammina per luoghi palustri.
«Vengono, vengono!» sclamò a un tratto la fanciulla rimescolata.
«Allora tu non ti muovere più di qui; e mentre andranno in chiesa, noi
ce ne staremo coll'anima di tua madre, che certo a quest'ora è con
noi. Pregheremo che campi almeno te da queste cose; inginocchiati e
metti la tua faccia qui sul guanciale, vicina alla mia.»
Così dicendo, damigella Maria, da seduta com'era, si distese, e
coll'imboccatura delle lenzuola si coperse il capo per non udire.
Su per le scale, venivano con allegri clamori, ufficiali alemanni,
signorelli e dame; e passavano con belle cerimonie nella stanza, dove
il signor Fedele soleva dare il suo ballonzolo in carnevale. Ivi i
parlari gai, le piacevolezze gentili, si mutarono in un bisbiglio
d'ammirazione all'aprirsi d'un uscio; d'onde tra le portiere verdi, fu
vista apparire candida e sfavillante come un fiocco di neve, di faccia
al sole; franca di passo, accompagnata dalle signore che l'avevano
vestita; quella Bianca felice, alla quale, pochi mesi prima, un
pittore avrebbe messa in mano una palma, e in capo una corona per
ritrarre una martire. Adesso un pèttine di gala raccoglieva quelle sue
treccie, altra volta annodate così modestamente; e da esse,
impolverate e acconciate, come se Lucifero vi avesse posta la mano, si
spiccava un velo bianco trinato, che le scendeva giù pel collo, ornato
d'una doppia filza di perle; e lambiva le spalle ignude e belle come
d'un torso di quelle statue, che si scoprono scavando le terre del
genio e del sole.
Per poco non fu uno scoppio d'applausi. Quei soldati stranieri, usi
alle corti, potevano aver veduto qualcosa di uguale; ma i convitati
del borgo non avevano visto nulla mai che somigliasse a quella
bellezza, la quale si spandeva da tutta la persona di Bianca; e
pareva, come una gran luce, ornare di qualche parte di sè fin la più
vecchia delle donne, che la circondavano silenziosa e sorridente.
Allora l'Alemanno si fece innanzi, tenuto per la mano dal suo
generale; che vecchio ed arzillo, somigliava ad uno sparviero un po'
spennacchiato, che si volesse divorare la colombella che aveva in
faccia. Il fidanzato, ricuperata intera la sanità, aveva ripigliata
quell'aria altezzosa e fiera, di cui la signora Maddalena s'era
sentita turbata, quel giorno che l'aveva incontrato per le scale del
signor Fedele. Ma la gioia donde era impresso ogni suo sguardo, ogni
suo moto, lo faceva parere men duro; e per Bianca, all'ora che
correva, non v'era uomo sulla terra più bello di lui.
Il generale, poichè ebbe detto alla donzella, che facesse stima di
vedere in lui il padre dello sposo; pose le loro mani, l'una in quella
dell'altro, e pronunziò queste parole, studiate parecchie ore, e
mandate a memoria:
«Questa è la prima volta che m'accade una ventura di questa sorta.
Signor Barone, se io avessi quarant'anni di meno, e fossimo ai tempi
dei tornei, vorrei chiedervi di rompere meco una lancia; adesso non
posso che applaudire, e narrare poi quando saremo tornati nel nostro
paese, che quassù delle ferite ne toccaste due; una nel braccio,
l'altra nel cuore. Che siano state toccate bellamente, diranno i
vostri commilitoni per quella del braccio; per quella del cuore, chi
vedrà la vostra Bianca, non avrà bisogno di testimoni. Ora, se vi pare
tempo, andiamo in chiesa.
«Prego, un momento!--sclamò il signor Fedele, fra il giocondo
bisbiglio, suscitato dalle parole del generale;--liberemo alla salute
degli sposi, ai quali siano propizi i destini, e le loro Maestà
l'imperatore d'Austria e il re di Sardegna nostri sovrani!»
Allora andò attorno un vassoio coverto di bicchieri colmi d'un liquore
sì limpido, che pareva fosse rimasto imprigionato in ognuno di essi un
raggio di sole. Tutti ne presero, salvo che Bianca e lo sposo, i quali
dovevano ancora comunicarsi; e fu un tintinnio che venne inteso dalla
via, e fece accapricciare il cuore di Margherita, che assettò meglio
il lenzuolo sul capo della cieca affinchè non sentisse.
Poi le dame si presero Bianca in mezzo; e gli uomini dietro di loro
discesero con esse le scale.
V'era alla porta una lettiga sontuosa, che l'Alemanno aveva fatto
pigliare a nolo nella vicina Savona; e quattro lettighieri in abito di
gala e a capo scoperto, attendevano ognuno al suo posto. Bianca che
non sapeva di quella pompa, ne provò a vederla tanta maraviglia, che
non s'avvide neanche delle centinaia d'occhi, dalle finestre, dalle
porte, dalla via affollata; intenti, come dardi incoccati, sopra di
lei. Un drappello di soldati Alemanni, faceva siepe alla lettiga,
perchè il popolo non la investisse; la sposa fu messa dentro di quella
con una delle dame, e subito si sentì levata da terra e portata. Un
suono di strumenti scoppiò improvviso ed allegro; le campane di tutti
i campanili del borgo, s'accoppiarono a quel suono martellate a festa;
e lo sposo e il corteo mossero in bell'ordine, dietro i lettighieri.
Quante fanciulle affacciate alle loro finestre, si saranno ritratte, a
quella vista, stizzite; prorompendo in accuse contro sè stesse, e
contro i parenti, che non avevano saputo procacciare anche ad esse sì
bella sorte! Quanti garzoni si saranno sentiti umiliati, pensando alle
loro fidanzate, cui non avrebbero potuto recare tanto fasto; e che
forse in quell'ora facevano nel secreto dell'animo, indiscreti
raffronti!
Dietro al corteo incalzava la folla popolare e quando la lettiga
s'arrestò a piè della scalinata della chiesa, questa fu stipata come
fosse la domenica dell'ulivo. L'organo riempiva le volte delle sue
armonie; ma per quanto la mano del suonatore si studiasse di trovarle
festose, non veniva a capo di cavarne una, che non fosse impressa di
malinconia. Perchè sebbene fosse un povero organista, le sue segrete
fantasie le aveva anch'egli: e forse non gli pareva giusto, che quella
giovinetta si sposasse, per andarsene chi sa in qual terra così
lontana, che non sarebbe più mai tornata a udirlo suonare, neanco
nella sagra del Santo patrono del borgo.
Al primo passo che mosse dentro la chiesa, Bianca rimase tocca da quei
suoni e impallidì per modo, che una delle dame a lei più vicine, le
chiese se per avventura la veste le stringesse troppo la vita, e se si
sentisse male. La giovane sorrise, senza rispondere; ma quando si vide
giunta al banco parato di damaschi rossi, dove s'aveva a
inginocchiare, le parve d'aver fatto un grandissimo acquisto, perchè
si sentiva venir meno. Si pose ginocchioni coll'Alemanno, che le venne
allato; appoggiò i gomiti sui cuscini gallonati, raccolse nelle mani
la fronte, e stette ad ascoltare quel suono d'organo, che sembrava
avesse a dirle qualcosa. Oh! le ne aveva a dir tante, che nè Giuliano,
nè la signora Maddalena, nè don Marco, avrebbero potuto di più. Quelle
armonie erano un linguaggio noto ed inatteso, che trovava le vie del
suo cuore, meglio d'ogni più dolce, o più acerba parola. Pareva che
gli angeli del cielo, ai quali nei primi tempi dell'amor suo per
Giuliano, aveva parlato colla fantasia tante volte, si librassero
tutti sotto le arcate della chiesa, e ognuno le ridicesse ad alta
voce, i pensieri mesti o lieti, che essa usava confidar loro che li
portassero allo scuolare di don Marco. Cadde a poco a poco, in
siffatto accoramento, che se l'Alemanno l'avesse potuta vedere in
viso, da quell'uomo leale che egli era, le avrebbe chiesto se fosse
pentita. Ma in quella il tintinnio di un campanello annunciò che
entrava la messa; e dall'uscio della sagrestia fu visto il sacerdote,
parato con gran fasto, andare all'altare con passi gravi, e cogli
occhi bassi: maestoso, che pareva portare in mano le sorti
dell'universo. Egli diede uno sguardo verso il banco degli sposi,
inchinò il crocifisso inalberato sopra l'altare, salì i gradini, e
incominciò il suo ufficio; mentre la moltitudine s'inginocchiava con
un rumore sommesso e diffuso.
Quel sacerdote era il padre Anacleto. Il quale, avendo condotto Bianca
a quel passo, si poteva dire, per le dande; per compiere l'opera s'era
procacciato l'onore di dire la messa dello sposalizio. E sebbene i
preti del borgo glie lo avessero conteso, riputato com'era ed esperto
ad uscir d'ogni passo, egli aveva ridotto il parroco a farlo pago di
quel suo desiderio.
Bianca sapeva come il celebrante avesse ad essere lui; ma assorta in
quelle voci misteriose della fantasia, non lo vide entrare. Però
quando la parola sonora e profonda del frate, si mescolò a quell'altre
che udiva essa sola; le parve un aiuto che capitasse valido ed
opportuno, si segnò e levò la fronte. Che valevano quelle note
dell'organo, e quegli angeli della sua immaginazione? Non era vicino a
lei il padre Anacleto, la cui voce, nell'orare si levava ora ai tuoni
più alti, ora scendeva ai più gravi; quasi di persona che parli un po'
al cielo un altro poco alla terra? Così man mano che s'appressava il
momento d'andare alla balaustrata, sentiva qualcosa che la staccava
per sempre dal passato; qualcosa come a dire la mano che tronca la
gomena, e scioglie la nave affinchè pigli l'alto a golfo lanciato.
Costumava anche su quei monti, che una zitella andando a farsi
chiedere dal prete se fosse contenta di sposarsi al suo fidanzato; vi
si facesse accompagnare da un cugino o da altro congiunto, il quale
era quasi un testimone del parentado, contento di dare una delle
proprie donne, ad un uomo d'altra gente, che la facesse sua. Bianca
aveva dietro di sè questa sorta di ministro del sacrificio; il quale
quando vide essere venuto il tempo della cerimonia, la prese per una
mano e la condusse alla balaustrata, mentre l'Alemanno vi si fece
condurre dal generale. Là s'inginocchiarono di bel nuovo, e tutto il
corteo fece corona intorno ad essi. Il frate spiccatosi dall'altare,
accompagnato da una moltitudine di preti che recavano torce accese,
venne verso di loro. E per la chiesa era un silenzio solenne; la
moltitudine si premeva e ondeggiava; si vedevano le teste degli uni
sporgere sulle spalle degli altri, e molti salire ritti sui banchi, e
i monelli arrampicarsi alle colonne; intenti tutti a raccogliere le
parole del frate e il sì che doveva uscire dalle labbra di quegli
sposi beati.
I quali furono comunicati dal frate, in quella cerchia d'amici, che li
nascondeva agli occhi del popolo; poi a un cenno di chi sa chi,
l'organo tornò a suonare a gloria; fu vista la mano del padre
Anacleto, alta sulle teste dell'Alemanno e di Bianca, in atto di
benedire; questi si levarono, baciarono quella mano, diedero di volta,
e scendendo da quei gradini, la sposa ebbe cuore di guardare la
moltitudine sino in fondo alla chiesa. Oh! se l'Alemanno non
prometteva invano, essa si sarebbe vista ammirata tutta la vita, come
in quel momento. Le scintillava in dito una gemma di tanto prezzo,
mèssale pur allora dallo sposo, che le pareva d'essere stata
inannellata con una stella; un'altra gemma le brillava in fronte a mo'
di diadema; ora la sua fantasia poteva spiegare i voli sicura; essa si
riputava davvero la castellana del suo borgo natale! Che più? Un coro
di fanciulle tutte di men che dieci anni, vestite di bianco, si fece
dinanzi agli sposi cantando un inno cavato dalla Cantica di Salomone;
e celebrando la beltà e l'amore di Bianca con quelle ardenti parole,
facevano far largo alla folla sino alla porta del tempio, perchè il
corteo potesse uscire. Quando questo fu sulla soglia, i suoni, le
grida, gli applausi proruppero altissimi: e l'Alemanno che si menava
al braccio Bianca ormai sua, aveva l'aspetto d'un eroe, che traesse
seco, dalla vittoria, il premio invidiato d'una regina prigioniera
volonterosa.
La lettiga non era più alla porta della chiesa, perchè gli amici e i
convitati del signor Fedele, volendo mostrare l'allegrezza che quel
matrimonio spandeva nel borgo, l'avevano fatta portar via;
costringendo in questa guisa gli sposi a lasciarsi ammirare. E durante
la messa, spacciati fanciulli nei prati e negli orti, e garzoni nei
boschi vicini a sfrondar alberi; avevano fatta la fiorita per la via,
e parati di fronde i muri delle case, come usava nella festa del
Signore. Di che l'aspetto del borgo, pigliava dalla chiesa alla casa
del signor Fedele, una sì bella e nuova allegrezza, che l'Alemanno ne
fu lietissimo, e all'anima sua parve di inoltrarsi in una primavera,
promettitrice di dolcezze infinite. Procedeva a piedi con Bianca
allato, calpestando quei fiori, che a lui potevano sembrare emblemi di
piaceri passati, a lei di affetti posti in oblio; ed ambedue
bisbigliavano parole d'amore, verecondi in vista, fra gli evviva del
popolo, e la grave andatura dell'accresciuto corteo: che lasciatosi
alle spalle il clamore festoso della turba, rifece alfine le scale del
signor Fedele. Ultimi tra i convitati capitarono i preti del borgo,
col padre Anacleto, inchinato, lodato, atteso a dare il cenno, pel
quale tutti pigliarono il loro posto alla solennità della gola; e se
il signor Fedele avesse avuto in mano un turibolo, avrebbe incensato
tre volte e quattro lui, che sedutosi in mezzo agli sposi, governò coi
cenni e coll'esempio l'olimpico pasto.
Mangino e bevano i bicchieri arrubinati; ma almeno le loro allegrezze,
non giungano nella stanza di damigella Maria. Essa e Margherita se ne
stavano come due meschine, senza parenti nè amici al mondo, relegate
dalla sventura in luogo solitario. Le voci e le risa dalla sala del
banchetto, le percotevano come ventate furiose; e a misura che
cessavano o tornavano a suonare, esse ripigliavano le loro querele.
«Ma tu, Margherita, non farai come Bianca no, nevvero?--diceva la
cieca cercando colla sua mano attenuata e scolorita il capo della
fanciulla. E questa non ebbe tempo di rispondere, perchè appunto uno
scoppio di applausi fragorosi, le fece morire la parola sulle labbra.
La cieca levò un istante il capo dal guanciale, porse orecchio quasi
spaurita, poi rimettendosi a giacere, parlò basso a Margherita.
«Mi pare che si debba essere vicini al tramonto...?
«Sì--disse la fanciulla--il sole batte appena nel comignolo della casa
di don Marco.
«Tua madre è morta a quest'ora.»
E i convitati a quell'ora erano ai brindisi del padre Anacleto; il
quale aveva provocato quegli applausi con un primo discorso; e tutti
avevano bevuto con lui alla salute degli sposi, cui pregò tante gioie
e tanti figli, quante erano stelle in cielo e arene nel mare, stile da
frate.
«Ora un secondo brindisi!--tuonava egli colla sua voce, fatta più
poderosa dal vino e dall'umore allegro:--un secondo brindisi, e sia
alla Francia immattita!
«Oh!--sclamarono i commensali interrompendo il frate con grandi risa:
ma egli guardato un poco in viso ai più arditi; con occhi
scintillanti, e reggendosi alla spalliera della sua scranna, proseguì
sullo stesso tono:
«Sissignori! un brindisi alla Francia matta e ai suoi giacobini! Mi
spiego. Se non fossero state le pazzie dei Francesi, questi gran
gentiluomini sarebbero venuti quassù? No? E allora la coppia felice,
in mezzo a cui seggo indegnamente, sarebbe? Giacobini alla vostra
salute; non in questo, ma nell'altro mondo, se Dio vi perdonerà...!»
E fra un nuovo urtarsi di bicchieri, e un nuovo erompere di voci,
bevve l'ultimo sorso che gli colmò la misura. Allora sentendosi la
testa lì per andare in volta; prese commiato da Bianca, dallo sposo, e
dalla comitiva, dando la mano a baciare a tutti, salvo che ai preti.
Lui partito, durarono i ricreamenti e gli allegri parlari, finchè
alcuni cominciarono a provar noia, altri desiderosi d'una boccata
d'aria s'affacciavano alle finestre, andando e tornando con uno
scarpiccio irrequieto. Gli ufficiali tastavano le loro pipe, bramosi
di farle fumare; Bianca aveva negli occhi l'agonia d'andar fuori; di
che non si stette guari a far parola d'uscire a diporto.
Lasciamo che si apparecchino, che si liscino, che partano a due, a
quattro, come loro verrà bene; e vadano a godersi il fresco della
bassa ora, o lungo i prati oltre il torrente, o sotto i filari d'olmi,
sui quali cantano più felici di loro, i passeri a migliaia. Salgano a
loro talento in castello, a rifare colla mente il vasto edificio; e
Bianca si pasca di sogni, e colla fantasia vegga sè stessa seduta al
balcone marmoreo, come le aveva insegnato a figurarsi il padre
Anacleto. Noi raggiungeremo questo, chè alla maniera in cui si è
veduto partire, qualcuno non se lo avesse a immaginare barcollante,
sulla via del suo convento.
Egli aveva veduto il fondo a molti bicchieri; ma la sua natura, era da
non lasciarlo correre oltre un'ebrezza discreta. E se dava il primo
alla sete, il secondo al piacere, il terzo all'allegria; avrebbe da
poi potuto dare altri venti bicchieri allo stomaco, senza che gli
accadesse di perdere la tramontana. Ma fosse anche stato a questo
segno, non gli sarebbe seguito alcun male. Perchè s'aveva procacciata
la compagnia di quattro giovani di buon casato, suoi penitenti; i
quali, sul vespro, andando a zonzo fuori del borgo, s'acconciarono di
buon grado a fargli servigio.
Tra la via da C.... al convento, non rifiniva di lodarsi della
maestria, con cui aveva condotto a termine quel parentado; del quale
si sarebbe parlato lunghissimi anni in tutta la vallata; e dicendo era
così lieto, che i quattro credevano ogni tratto, di vederlo buttarsi
in terra, a far capriole. I foresi che tornavano dai vespri, colle
bisacce ricolme di carni e di spezierie, pei desinari che solevano
imbandire l'indomani, (essendo quel giorno la vigilia della Madonna
degli Angeli, festa dei Minori Osservanti e di tutta la vallicella
dove sorgeva il convento); vedevano la brigata giuliva e ridevano,
allentando il passo o affrettandolo, per rispetto a quei personaggi,
nella gioia dei quali parevano avere anch'essi una particina. Padre
Anacleto salutava alla buona; e via così accompagnato e riverito
giunse al convento, se non sano, salvo.
Il cielo, a ponente, era colorato di quelle tinte, che i pittori
chiamano calde; e parlano all'anima di tante cose dolci; e fanno
parere che il sole, tramontato a malincuore, sia lì sempre per
riapparire. Al po' di luce riverberata dai tufi grigi dei colli che
sorgevano di faccia al convento, il campanile spiccava nella selva
scura che aveva a ridosso, e l'intiero edificio biancheggiando, faceva
così placido invito, da invogliare della sua quiete il più felice uomo
del mondo.
«Ed ora che mi avete accompagnato, ve ne vo' dare un bicchiere, che mi
direte come lasci l'ugola.»
Così disse il padre Anacleto, facendo atto di mettere i quattro
giovani nel chiostro. E come questi si schermivano e mostravano di non
voler entrare:
«No, no.... nessune cerimonie!--soggiungeva--qui comando io: e giacchè
i padri stanno cenando, ed io per questa sera non ho nulla a vedere
coi loro radicchi; così vogliamo fare tra noi un brindisi a questi
colli, che danno i vini deliziosi; e ai contadini che mi portano
quanto basta, per fare un po' d'onore ad amici quali siete voi....
«Ma padre,--usciva a dire uno della comitiva:--non per rifiutare no,
non vede? fa notte, e a C.... siamo aspettati....
«Al ballo degli sposi, nevvero?--sclamò ridendo il padre
Anacleto:--eh! via, peccatori, farete sempre a tempo a mescolarvi coi
diavoli; sì coi diavoli! Chi sta a vedere le danze n'ha in corpo
almeno un paio, chi danza, sette od otto. Pensate figliuoli a quel che
dei balli, dice San Giovanni Grisostomo; pensate che passare per
scortesi, selvatici, poco amanti della compagnia, non vuol dire: e
anche quando sarete violentati ad andare ai balli, pensate che San
Francesco di Sales consiglia di metterci sassolini nelle scarpe, acciò
quel dolore, che essi danno ci faccia ricordare dei tormenti
dell'inferno! Entrate, figliuoli, che se mi spazientizzo, vi tengo
prigionieri, e predico tutta la notte!»
Con questa piacevolezza, pigiati attraverso la porta, i quattro
giovani furono nel chiostro; e per una scala angusta, in un corridoio
di sopra, in capo al quale era la cella del padre Anacleto, dove
entrarono uno dopo l'altro. Ultimo, il frate chiuse l'uscio a due
mandate, e levata la chiave dalla toppa, se la cacciò sotto la tonica,
forse nella saccoccia delle brache, sclamando:
«Animo! Ora, tirate in mezzo quel tavolino, a modo... senza far
rumore. Un momento, badate a non mandarmi in confusione queste carte;
v'è scritto il panegirico che dirò domani...., v'aspetto ad udirlo.
Animo dunque, con garbo, così! Tra tutti si fa tutto...; dà una mano a
questa panca, tu; e tu, accendi la candela; tò acciarino, esca,
zolfino.... oh! ora sta bene!»
Con questa sorta di discorso, il frate alzò un lembo della coltre del
suo lettuccio, e disse: «vedete?»
Là sotto, in quella mezza oscurità, rotta da un po' di luce che vi
scendeva dalla candela, alcuni fiaschi brillavano, come occhi di belve
in una caverna.
«Oh! benedetti,--urlarono i giovani a quella vista, correndo a fare
intorno al letto una genuflessione: ma il frate lasciando ricadere la
coltre, zittì, rattenne il fiato, e fece segno ad essi di rattenerlo.
I padri venivano appunto allora fuori dal refettorio, e v'era pericolo
che udendo quell'urlare nascesse qualche gran chiasso.
La campana del convento suonava in quella l'avemaria a distesa;
annunciando la festività dell'indomani. Quella della parrocchia di
C...., entrava anch'essa a mandare il suo saluto alla notte: e a quei
suoni s'aggiunsero subito quelli delle campane dei borghi, poco
lontani dal convento. Fra l'altre si discerneva assai bene quella di
D... a certo squillo, che imprimeva nell'aria una malinconia da far
pensare all'eternità. Quella sera gli squilli parevano lamentosi più
dell'usato, al padre Anacleto; il quale, se fosse stato uomo d'altro
cuore, lasciati i fiaschi dov'erano, e accommiatati gli amici; avrebbe
piegate le ginocchia e giunte le mani, chiedendo perdono al cielo,
d'essersi immischiato in un matrimonio, che ad un giovane allevato al
suono di quella campana, aveva tolta la gioia forse per sempre.


CAPITOLO XV.

Difatti a D..., in casa alla signora Maddalena, la giornata era corsa
mesta, come quello squillo di campana che la chiudeva; udito così da
lungi.
Giuliano, avendo le membra tronche dal gran cavalcare, non s'era
potuto togliere il sonno di dosso, sino a mezzodì; e poi destatosi,
aveva covato il letto a guisa di persona che medita e si riposa. Fatti
e rifatti i conti, aveva veduto più chiaramente i casi suoi, dolorosi
per ogni verso. Oramai non vi cadeva più dubbio: la marchesa di G...
l'aveva ingannato, pietosamente ingannato, ma per farlo fuggire da
Torino. E forse a quell'ora, i suoi amici erano tutti in carcere,
d'onde non sarebbero usciti che per essere appiccati alle forche; e
chi sa? qualcuno morendo in quella guisa, avrebbe lanciato a lui
lontano, l'accusa di codardo e di traditore. Che gli rimaneva a fare?
Deluso dalla donna amata, non provò senso d'odio o desiderio di
vendetta; ma una sete di sventure, una voluttà di patimenti grandi,
lunghi, gli allagò il cuore; e colla fantasia vedendo sè stesso sui
gradini del patibolo, gli parve d'intuonare un inno, un inno che
avrebbe fatto piangere un mondo. Si levò col proposito di ripartire
per Torino prima di notte; e impresso di calma severa nel viso, negli
atti, in tutto il portamento, discese in sala.
Sua madre, vedendolo venire, s'affrettò a far viso allegro; e Marta
uscita di cucina gli passò dinanzi colla tazza di latte, e colla
focaccia, che odorava lungi a venti passi, cotta per lui.
«Sì--disse Giuliano--un sorso di latte, e il petto del montanaro è
ristorato!»
E andatosi a sedere a mensa mangiò, quasi non si avvedendo di sua
madre, la quale gli spezzava il pane, e gliene poneva nella tazza
timidamente; paurosa di rompere quella quiete dell'animo, che gli
vedeva nell'aspetto sereno.
Quand'ebbe finito egli si levò in piedi; e tesa la mano a lei
rispettosa, le disse che andava a dar due passi pei campi.
«Ben pensato;--sclamò la signora, credendo che a un tratto egli si
fosse messo il passato dietro le spalle, disposto a non più
pensarvi:--mi vuoi? vengo anch'io...»
«Il caldo è troppo:--rispose Giuliano--ed io sento una smania di
camminare, una smania di correre tutte le montagne che abbiamo
intorno!»
Queste parole dette con accento diverso da quel di prima, fecero dar
giù l'animo della signora; la quale quasi per iscoprir marina,
soggiunse interrogando sommessamente:
«E intanto non potrei far trovare qualcuno, da ricondurre in Alba il
cavallo che hai menato?
«Lo ricondurrò da me, perchè stasera sul fresco ripartirò per Torino.»
La signora chinò il capo un istante, e quando lo rialzò tendendo le
braccia verso di lui, egli era già fuori. Ma essa non vedeva più lume,
e:
«Tu non partirai!--proruppe--non partirai, o verrò anch'io a vedere
qual misera fine tu vorrai fare! Che tu credi che io non abbia capito;
e che per me non sia tutt'uno, mi scoppi il cuore in questa casa tua,
o in mezzo alla via come una mendica?»
Così esclamando si metteva una mano sul cuore, e a sentirne lo
scompiglio dei moti la ritraeva, recandosela alla fronte lavata di
sudore. E allora Marta che dal dolore di veder la padrona in quello
stato, si sentiva la lingua in fondo alla gola, le veniva accosto:
«E glielo chiegga una volta;--diceva--gli chiegga se vuole vederla
morta; chè già da pasqua in qua, mi pare che non cerchi altro!
«Egli... egli vuol morire! vuol tornare a Torino; e di là, me lo dice
il cuore, non uscirà più...!»
«Torino! Quanto a questo, noi faremo menare altrove il cavallo da
nolo, e la giumenta di casa. Se sarà viso da pigliarsela a piedi da
qui a là..., lo vedremo!»
E così com'era, colle maniche rimboccate, uscì, fu nella stalla, tolse
a cavezza le due bestie; e spigliata come un palafreniere, le condusse
a Rocco, tornato un'ora prima da Santa G..., comandandogli di menarle
alla cascina dei padroni, la più discosta dal borgo, di segreto quanto
potesse. Il colono obbedì, strologando su questi fatti alla sua
maniera.
Marta, si rifece in casa a reggere l'animo della signora, la quale da
quel partito della fantesca, pareva aver pigliato un poco di sicurtà.
E quando Giuliano, dato un lunghissimo giro, tornò; la trovò quieta,
intenta a mettere in tavola le tovaglie di bucato, il vasellame della
festa, le boccie, che a vederle appannate al di fuori, si sentiva la
freschezza dell'acqua cavata allora. Su per giù era l'ora del
desinare.
«Qui non si fa che sedersi a mensa!» diss'egli, che, tornategli le
forze, se non di voglia, si sentiva disposto a mangiare per bisogno. E
parlando delle biche, dell'aia, e dell'uve che aveva viste
copiosissime sui vigneti; faceva cuore a sua madre, che non si
lasciasse cogliere dalla malinconia e mangiasse.
Ma a un certo segno, il suo viso parve rannuvolarsi. Appoggiato un
gomito sulla mensa, e reggendosi colla mano la guancia, rimase fisso a
guardare la tovaglia dinanzi a sè, e moveva le labbra come chi parla
con qualche sua immaginazione. La povera madre non osava dirgli nulla;
ma alfine, vedendo come quel pensare durasse di troppo; lo toccò
lievemente nel braccio, chiamandolo a nome, come persona che volesse
destare.
«Ah!--sclamò egli riscosso--perdoni, mamma; pensava che il mondo è
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