Le rive della Bormida nel 1794 - 07

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a pigliarle. Chiuse per bene le porte di casa, uscirono fuori del
borgo, per quel vicolo dov'era passata la signora Maddalena, nel suo
ritorno doloroso. Coperte di lunghe guarnacche nere, le due fanciulle
reggevano il passo della zia, tenendosi strette a lei, come usavano
menandola a messa; e il padre dietro, per un sentiero fuori mano, le
fece scendere nel greto del torrente. La povera cieca, inciampava ne'
ciottoli o si pungeva tra le spine, ma non fiatava; dolendosi solo di
non aver potuto parlare a don Marco prima di partire, chè di certo da
lui avrebbe avuto qualche sano consiglio. A un certo segno, il
sentiero entrava sott'uno degli archi del ponte, che rimaneva a secco
per la povertà del torrente; e mentre esse passavano i pipistrelli
spiccandosi dalla volta, venivano spauriti a sbattere l'ala nelle loro
persone; di che tremavano poverette, quanto il signor Fedele
d'incontrarsi coll'Alemanno, o in chi potesse dar voce nel borgo di
quell'andata notturna e misteriosa. E però s'era messo per quel passo
mal destro, come avesse gente insieme che andasse a mal fare.
Ebbero a tribolare oltre il ponte anche un poco, poi risalendo a
mancina su per la ripa erbosa, furono sulla via, grande, ma scura
scura per i pioppi fitti che non vi lasciavano raggiare la luna,
levatasi pur allora. Di là per campi e per vigneti, giunsero alla
villa, dove la famiglia del colono era già a riposo. Solo vegliava il
capo di essa, uomo di buona età e vigoroso, il quale sedeva sulla
soglia della casa, e faceva guardia alla roba, per tema dei soldati
Alemanni, che uscendo la notte dai loro campi, andavano rubando, e
ogni mattina s'udiva a parlare di pollai vuotati, e sin di vitelli
rapiti.
«Chi va di notte!--chiese costui levandosi ritto, con un grosso
bastone fra le mani, e venendo oltre al rumore delle pedate.
«Siam noi, Lorenzo,--rispose il signor Fedele.
«Come? il padrone a quest'ora? che fatto è? perdoni, chiamo i
figliuoli....
«No no..., sta cheto, vogliamo far domani un po' d'allegria, e veniamo
sin d'ora...; non abbiamo mestieri di nulla, salvo d'un po' di lume,
che tu m'aiuterai ad accendere, e poi tornerai alla tua guardia....
Avanti figliuolo, che la guazza fa male...»
Entrati nella palazzina, e acceso il lume, il colono se ne tornò a'
fatti suoi, un po' maravigliato dell'aspetto delle signore che
parevano venute a un mortorio: e il signor Fedele senza far ad esse
parola, le mandò a dormire, Poi s'appartò taciturno, s'allungò in sul
letto, s'affagottò tra le lenzuola; e là si mise a pensare come
avrebbe trovato modo di indur Bianca alle buone, a quel matrimonio.
Interrogava per sè, e rispondeva per lei, da principio esortando, poi
minacciando. Essa sempre ferma; egli allora a fingersi ammalato dal
dolore. Invano. Bisognava rivolgersi ai castighi, e si pose a
cercarne: e fu buona cosa che presto s'addormentasse, perchè pensando,
chi sa che inferno avrebbe immaginato ai danni di quella infelice.
Non andò guari, che mentre egli giaceva russando forte, e le tre donne
vegliavano parlando basso tra loro; un suono mestissimo di campana,
venne per la solitudine dell'aria, come voce che dicesse al cielo, o
ai morti, o a non so che altro misterioso che esiste: «qualcuno veglia
a quest'ora sopra la terra!»
Era la campana del convento dei Minori di San Francesco, che sorgeva
poco discosto. A quei tocchi Bianca alzò il capo, e porse ascolto con
tanto desiderio, che più non avrebbe fatto, se fossero state voci
della madre sua, morta. E poi volgendosi alla zia, nel buio della
stanza: «Oh!--disse--e noi non ci avevamo pensato! Zia, se mi facessi
monaca?
«Preghiamo--rispose la cieca--i frati s'alzano a quest'ora per
discendere in chiesa a pregare....»
Margherita piangeva. Tacquero, rimasero deste un altro momento; poi
come l'ora e la stanchezza poterono più del travaglio del cuore,
s'addormentarono; e Bianca sognò tutta notte, monache, chiese e canti
devoti.
L'indomani il signor Fedele, s'alzò prima dell'alba, e fattosi sulla
soglia della loro camera, gettò dentro queste parole: «nessuna di voi
vada fuori, sino a che non sia tornato». E disceso alla casa colonica,
che era muro a muro colla palazzina, comandò al cascinaio ed alla
moglie di lui, che non parlassero ad anima viva nè della sua venuta in
villa, nè dell'ora, nè d'altro; e badassero bene a non farsi vedere
con damigella Maria e con Margherita, per non dar ombra a Bianca: alla
quale, gli fossero segreti, pareva stesse per dar volta il cervello,
dalla gran paura dei Francesi; e in tutto e tutti vedeva nemici e
spie.
«Povera signorina!--sclamava la cascinaia impietosita e sciugandosi
gli occhi col grembiale, stette a udire gli ordini che le dava il
padrone, per la colazione delle signore; uova, cacio, latte. Poi fece
vedere una focaccia cavata allora di sotto la cenere, avvolta in un
mantile bianco come la neve, e cotta proprio per esse; che venendo
alla villa solevano chiederle sempre di quella sorta di pane. Il
signor Fedele contento della donnicciuola partì.
La curiosità è femmina e sirocchia della ignoranza; onde non è a dire
come pungesse l'animo della cascinaia. Costei non attese d'essere
chiamata, ma tolta quella roba che le aveva detto il padrone, se la
recò in un cesto, entrò nella palazzina, salì le scale; e facendo a
fidanza colla bontà delle signore, disse fra sè: «se mi colgono dirò
che veniva con questa grazia di Dio; se no voglio un po' vedere che
cosa è questo mistero....» Cattellon catelloni, s'appressò all'uscio
della camera ove esse erano, le vide attraverso la toppa; e si mise a
origliare.
Altro che parere in punto d'andarsi in volta col cervello! Bianca
parlava di suo padre, che voleva sacrificarla, calma, affettuosa, e
diceva di volersi far monaca per togliersi da questo mondo, che non le
era parso mai bello. Le altre due le rispondevano, ingegnandosi di
consolarla; ma il discorso era così avanti, che la contadina non ci si
poteva raccapezzare. Quanto avrebbe dato, pur di sapere tutto quello
che avevano detto! Ad un tratto le parve che Margherita volesse
muoversi; ed essa togliendosi di là come un folletto, e chiamate di
sulla scala le signore, fece le viste d'essere venuta allora allora,
portando la colazione.
Intanto il signor Fedele era in via alla volta di C...., e vi giungeva
che il sole non era peranche levato. Molto stupì vedendo gli Alemanni
sotto i filari d'olmi, e la squadra di cavalli schierati e pronti; non
come gli altri giorni per andare agli esercizi, ma con quell'aspetto
diverso, affaccendato, quasi zingaresco, che hanno le milizie in punto
di levare il campo. I signorelli del borgo si tenevano in mezzo gli
ufficiali, dando e pigliando fede d'amicizia, con grandi strette di
mano, con quella ciera tra sciocca e sbigottita dell'uomo che,
rimanendo a casa, conforta a starsi di buona voglia chi va agli
sbaragli della guerra. I preti v'erano tutti, salvo don Marco; ed
avevano i volti compunti, e parlavano del Dio di Sabaot, che guardava
dal cielo le invitte spade dei loro amici. Gli uffiziali ridevano e
s'accarezzavano i mustacchi.
Come il signor Fedele fu in parte da essere veduto, il barone che non
aveva perso d'occhio un istante quella via per cui veniva, gli corse
incontro, chiedendo che fosse stato di lui e della famiglia.
«Nulla!--rispondeva quegli--non fu nulla; ma qui che è questo che
veggo?
«Mi dica di Bianca, Bianca....?
«Eh non mi faccia piangere! Ieri sera venne il colono a dirmi che le
aveva preso male, e ho dovuto andare alla villa....
«Malata!--proruppe l'Alemanno--ed ora....?
«Ora s'è messa al meglio, e all'alba l'ho lasciata che dormiva
chetamente. Ma qui, ripeto, che c'è di nuovo?
«Andiamo alla volta d'Oneglia--rispose l'Alemanno mestamente.
«Maledetti i Francesi!--sclamò il signor Fedele; ma l'altro
interrompendolo:
«No.... maledetti, no....: il generale ricevette l'ordine d'andar là,
stanotte....; torneremo.... ma...., Bianca.... se mai, le dica che io
parto, lasciandomi il cuore addietro, ma che appena potrò.... Chi
sa....? su quei monti....» E si volse a guardare dalla banda della
marina.
Il sole illuminava le vette di San Giacomo e del Settepani, i quali
giganteggiavano lasciando che per l'aria limpida del mattino, l'occhio
penetrasse nelle loro selve, e scoprisse le vie alpestri, che gli
Alemanni avevano a salire.
Le parole del barone erano state dette con tanta mestizia che facevano
contrasto meraviglioso colla sicurtà dell'ardire che gli si vedeva in
tutta la persona. Ma il signor Fedele volle confortarlo, e chi sa che
sciocchezze stesse per dirgli; quando s'udì venire una cavalleria, e
le trombe suonarono, e gli uffiziali corsero ciascuno alla sua
schiera: sicchè il barone affrettatosi a dare l'ultima stretta di mano
al suocero futuro; fu al suo cavallo, raccolse le briglie, e montò in
sella leggiadro in vista, ma col lutto nel cuore.
Alla voci dei capitani, rispose un moto e un rumore d'armi, poscia
silenzio. Il generale veniva in mezzo a parecchi cavalieri, e il
popolo faceva largo dinanzi a lui. Fu cosa di pochi momenti; un
andare, un tornare, un parlarsi sommesso da questi a quello, un gridar
alto alla moltitudine d'armati; tutto con quell'aria di mistero che
usano le gerarchie sacerdotali e militari, quando parate fanno mostra
di sè. Indi a poco a poco si spiccò la squadra d'ulani condotta dal
barone, e presero la via verso mezzogiorno a mò di scorgitori; e
dietro i fanti, e dopo questi le artiglierie, portate a dorso di muli;
da ultimo salmerie, monelli e cani, tutti misurando l'andatura al
suono guerriero di pifferi e di tamburi.
Di là a qualche ora tutto nel borgo era quiete; e la sera s'incominciò
in chiesa un triduo, per invocare la vittoria dell'armi alemanne. Si
pregava di cuore, ma gli animi aspettavano paurosi le novelle del
campo. Marocco era stato colto da uno struggimento ch'egli solo sapeva
quanto fosse grande, vedendosi ridotto a quella compagnia d'avventori
paesani, che l'avrebbero tenuto sobrio. Il signor Fedele si fregava le
mani, parendogli che la partenza dell'alemanno, gli fosse tant'oro,
avendo mestieri di tempo per adoperare con Bianca il braccio della
ragione. Tuttavia pensava che il barone avrebbe potuto morire; e
allora si grattava la nuca plebeamente, stiracchiandosi la coda e
meditando chi sa.....; cosa che io non sono vago di cercare in quel
suo cervellaccio.


CAPITOLO VI.

Tornato alla villa, il signor Fedele cominciò dall'assalire Bianca coi
ragionamenti, e trovandola sempre uguale, la condannò a starsi tutto
il giorno in una stanza appartata. Guai alla zia e alla sorella, se
avessero tentato parlarle. Per maggior umiliazione la faceva venire a
mensa all'ora dei pasti; ma la poneva a sedere in un angolo del desco
senza tovaglia, e le stoviglie in cui le dava a mangiare, non erano
quelle lucenti di stagno che usava per sè e per la famiglia, bensì
certo piatto di terra scura, da mangiarvi dentro l'elemosina, tolto a
prestito dalla cascinaia. E anche in quel tempo le avea vietato di
aprir bocca. Sui volti delle altre due, si fecero in breve profondi i
segni dell'animo afflitto; ma temendo di procacciare a Bianca maggiori
mali, tacevano; ed essa per certo raggio degli occhi nuovo e soave,
mostrava di crescere in forza a sopportare quei trattamenti, e si
consolava pensando che per amor di Giuliano avrebbe patito anche più,
se più fosse bisognato.
Così entrava il maggio, senza che la festevolezza della stagione,
valesse a ricondurre in quella casa la pace e la gioia. Damigella
Maria e Margherita, libere di starsi o di uscire a diporto, non
movevano guari, per non godere quel che a Bianca era vietato;
avrebbero volentieri mutata sorte colle donne più tapine che fossero
nella valle: e udendo i campagnuoli cantare strambotti pei colli, in
quelle notti piene di misteriose melodie; i loro pensieri
s'incontravano mestamente con quelli dell'infelice.
«Oh!--diceva la cieca--han bello dire, ma le contadine sono più felici
di noi! Vengono su pascendo le pecore e sarchiando il campo, durano
stenti grandi, è vero; ma almeno quel po' di pane che Dio manda lo
mangiano in pace, senza tante ambizioni....! Noi.... noi....
invece....»
Margherita assorta nei canti che s'udivano lontani, chiedeva che
volessero significare a quell'ore insolite, e pareva passionarsene: la
zia sospirando rispondeva: «cantano la primavera tornata; la tua bella
età, che Dio protegga, sicchè tu sia più fortunata di tua sorella!
«E Bianca?--ripigliava la giovinetta--che farà di là? le piaceranno
questi canti, a lei così afflitta?»
Non era da dubitarne. Bianca porgeva orecchio dalla sua finestra, e
pensava ai mài, che i contadini piantavano cantando dinanzi le porte
delle foresi cui volevano bene. E anch'essa cadeva in quell'idea, che
nata villanella, sarebbe stata più lieta; e che pur di potersi sposare
all'uomo amato, la sferza del sole non la si doveva sentire, e
lavorare sul solco da un'avemaria all'altra, doveva parere un
trastullo. Ma per sè non poteva sperare che lo sterile rifugio d'un
monastero; e in quei giorni di silenzio e di solitudine, ne parlava
seco stessa, menzionando la pace, il sepolcro, mille malinconie; in
guisa che se la zia l'avesse intesa, si sarebbe alfine levata contro
il cognato; e delle due l'una, o egli smetteva dal tormentare Bianca,
o essa se ne sarebbe andata a vivere da sè.
«Ma!--diceva la povera giovane, in certe ore che l'aspetto della vita
le si faceva più lugubre:--quando sarò nel monastero, e mi avranno
tagliati i capegli, e la mia faccia si sarà fatta smorta; se egli
venisse a vedermi una volta, e mi ravvisasse, e mi dicesse: «tale
divenisti per amor mio!» oh! come sarei lieta di morire in quel
momento! Ho udito dire che le monache pregano nelle loro chiese dietro
le grate, non viste.... E se egli venisse in chiesa per vedermi....,
se cantasse per farsi conoscere da me...! Già, non intesi mai la sua
voce, non ci siamo mai parlati....! Eppure quanti discorsi abbiam
fatti, egli dal terrazzino di don Marco, io dalla nostra altana! Mai
una parola.... mai un cenno....; ma fa bisogno di dirsele certe cose?
Chi sa dove sarà? A D...? Chi sa se mi incontrerà mai più....? Oh!
viva o morta lo sentirò venire e tremerò tutta!»
Di questo andare, s'era accostumata a considerarsi già fatta monaca; e
mai che le fosse venuto in pensiero di ribellarsi del tutto, fuggire,
e andar in cerca di Giuliano, o di fargli sapere di sè per qualcuno di
mezzo. Scrivergli non avrebbe osato; solo il filo di speranza che
attraversava le sue miserie, faceva capo a don Marco; e qualche
momento osava sperare ch'egli avrebbe rimediato a ogni cosa; ma quel
pensiero di lui su' Francesi che sarebbero venuti a liberarla,
cominciava a parerle una promessa mancata. Non venivano mai quei
Francesi!
Non venivano? Avesse potuto leggere nell'animo del proprio padre,
l'avesse udito maledire tra sè i repubblicani e la Francia; e avrebbe
capito come i Francesi erano vicini! Egli non andava neanche più al
borgo, per non udirne parlare; perchè là si dicevano cose da farlo
basire. Oggi la rotta dei Piemontesi e degli Alemanni al ponte di
Nava; domani la presa d'Ormea, di Garessio, di Bagnasco, tutti luoghi
che egli sapeva alla grossa come fossero poco discosti; un'altra
settimana, due forse, e la guerra alpina sarebbe stata perduta pei
regi e per gli imperiali; e i repubblicani, eccoteli padroni di
scendere a lor agio a divorarsi le Langhe.
S'aggiungeva a queste cose, che sua Maestà Vittorio Amedeo, aveva di
quei giorni mandato ai magistrati, e ai parrochi di tutti i villaggi e
borghi e città un bando, col quale comandava a tutti d'ogni grado e
stato, purchè atti alla guerra, si provvedessero d'armi e di
munizioni, quante bastassero per giorni quattro, e si tenessero pronti
a movere contro i Francesi al primo cenno. Il Re parlava di premi e di
pene; e il signor Fedele per parer di quelli non atti alla guerra,
oltre a non recarsi più al borgo, quasi non usciva più dalla
palazzina.
«O Madonna!--gli era venuto di sclamare una sera spogliandosi per
andare a letto--se voi terrete i Francesi lontani dalle mie campagne;
se mi renderete sano e salvo il barone e mi aiuterete a condur Bianca
sulla buona via; vi edificherò una cappella proprio nel mezzo dei miei
vigneti, e vi farò celebrare ogni domenica una messa da questi frati,
santi servi vostri e del serafico San Francesco!»
Nei fondacci della sua coscienza, non credeva nè alla Madonna nè a San
Francesco, nè agli altri Santi del Calendario: ma allevato a parlar ad
essi colle mani giunte da bambino; a metterli in disparte da
giovinetto; e da uomo maturo, ad averli sempre in bocca, e a
giovarsene come di zucche legate ai fianchi per tenersi a galla sul
pelago della bassa gente, che in essi avea fede e in Dio: adesso, di
faccia al pericolo, si rivolgeva alla Madonna colla dimestichezza
d'una femminetta, avvezza a parlarle a tu per tu, tutta la vita.
Quella notte s'addormentò con addosso l'indigestione delle brutte
nuove avute dal cascinaio; il quale le aveva raccolte un po' dai
frati, un po' dai campagnuoli; e qualche ora prima che fosse l'alba,
si svegliò come persona cui venga fatta forza, molle di sudore e tutto
scompannato il letto, pel grande agitarsi fatto nel sonno. Aveva
sognato d'essere soldato del re, caduto in mano ai Francesi con grossa
compagnia. I barbari, trucidato e sparato il più grasso tra i
prigionieri, se lo mangiavano, e ne davano a mangiare anche a lui, che
provandosi con ogni sua forza a schermirsi, si trovava agguantato
nella coda e nel mento, e costretto a spalancare le fauci; mentre uno
di quei ribaldi lo imboccava di quelle carni spietatamente,
spingendogliene in gola con una baionetta lunga lunga, che ad ogni
tratto si mutava in un serpente.
«Ahimè!--sclamò tastando il letto, e guardando nel buio cogli occhi pieni
di quelle immagini, e colla gola arsa d'amarezza disgustosa:--ahimè! che
spavento, Gesù Maria! Se durava un altro poco io moriva!»
E diè volta sull'altro fianco, studiandosi di non più addormentarsi,
pauroso che il brutto sogno ricominciasse. Stette così un tantino
rannicchiato, poi riprese a parlare.
«O che è questo picchio nell'orecchio? Che sia effetto del sangue?»
In quel dire alzava la testa dal guanciale. Il picchio non pareva più
un picchio, ma sì un martellare di campane; al quale s'aggiunse un
altro suono, noto, terribile, quello del corno, sorta di nicchio
marino onde di quei tempi, coma usa in Corsica, andava ne' monti
liguri provveduto ogni casale; sicchè di ladri, d'incendi, di lupi
calati l'inverno, si mandava di valle in valle, rapida e lontana la
voce.
«Ohe!--gridò allora sorgendo a mezzo,--la campana di C.... stormeggia,
e questo è il corno! Signore aiutatemi!»
E balzando dal letto, senza stare a cercar co' piedi le pianelle,
corse a spalancar la finestra; ma di subito preso da più stretta
paura, riaccostò le imposte e le tenne socchiuse, quanto potesse
guardar fuori con un solo occhio. In quella il cascinaio, i figli, chi
dalla porta, chi dai finestrelli, porgendo il capo, si mostravano
anch'essi.
«Dunque che cosa accade?--chiese ansando il signor Fedele--ne sapete
qualcosa voi?»
Per tutta risposta, uno di quei villani, che s'era insino allora
rattenuto per non destare il padrone, e scoppiava dalla voglia,
precipitò sull'aja si recò alla bocca il corno, e ne trasse un muggito
così pieno ed acuto, che al signor Fedele parve sentirsi passato fuor
fuori da una cannonata.
«Ti pigliasse il canchero, te e il tuo toro! birbante! Tu mi vuoi far
morire le donne? Butta al diavolo codesto tuo arnese d'inferno!»
A queste parole il giovanotto stette come allibito. Non aveva mai
inteso il padrone porsi in bocca quelle parolacce. Gettare all'inferno
quell'arnese, che s'adoperava a chiamare in chiesa i fedeli, gli
ultimi giorni della settimana Santa, quando le campane sono legate, e
le tabelle suonano le ore! Non osò soffiarvi dentro una seconda volta,
ma l'avesse anche spezzato veniva a dir nulla, perchè per tutta la
valle qua e colà fu un muggire d'altri nicchi, un apparire di lumi
sulle coste, un chiamarsi da luogo a luogo, un interrogarsi, un
rispondere di guerra, di Francesi, di finimondo, tutto nel buio. La
campana del convento vicino, cominciò anch'essa a suonare a stormo; e
quella d'un villaggio sulla montagna, che chiudeva la vallicella,
rispondeva a questa, o forse ad altre della vallata sinistra della
Bormida, mentre l'alba spuntava e pareva quella del _Dies irae_.
Damigella Maria e Margherita, non è mestieri dirlo, s'erano levate sin
dai primi rumori, e Bianca dimenticato il divieto di venir fuori della
sua stanza, correva ad esse spaventata. Tutte e tre si facevano
intorno al signor Fedele che s'era messo in gamba le brache e in dosso
un giubbarello; e appena mezze vestite, scarmigliate, piangenti, lo
supplicavano, lo rattenevano che non uscisse di casa. Egli, standosi
fra Bianca che colle mani giunte sulle spalle a lui, si abbandonava in
atto di grande dolore, e Margherita che l'abbracciava alle ginocchia;
non avendo forse avuto neanco in mente d'uscire, sclamava:
«Come? La terra del mio re, sarà coperta di nemici, e si potrà dire
che io non sono corso a far testa? Via da me che non voglio perdere la
grazia di Sua Maestà, per le vostre lagrimette! Via da me, voi,
ingrata figlia! che importa di me a voi, se in dieci giorni mi avete
fatto invecchiare di dieci anni?
«Pietà, pietà, babbo,--dicevano le fanciulle--non vada, non vada o ci
conduca....
«Voi.... io.... pietà....--rispondeva il signor Fedele dibattendosi
fra le donne:--ne avete voi per me, quante siete? Pietà di me
l'avranno i Francesi che toglieranno dal mondo il più infelice dei
padri...!»
Dicea così sperando di dar a Bianca un gran colpo; ma vedendola niente
disposta a dirgli, «padre farò quel che vorrà...!» diede un squasso sì
forte, che mandò questa a cadere, e togliendosi Margherita di tra
piedi, stette un momento che aveva l'aspetto d'un vecchio re, forse di
Priamo che si sgombra il passo tra le sue donne, per andarsi a gettare
coll'imbelle dardo, in mezzo ai nemici a morire.
Discese sull'aia, al colono che gridava «i Francesi! i Francesi!» diè
sulla bocca una gran palmata, sclamando «bugiardo! Te n'andrai dal mio
servizio!» Poi si rifece sopra sè stesso, e crescendogli il cuore sino
alla gola; comandò ad uno dei figli del contadino, si mettesse la via
tra piedi e corresse a C...., a vedervi un poco a qual segno fossero
le cose.
Ma non fu mestiere che questi partisse, perchè essendosi messo un po'
d'albore, si vide da ogni parte gente discendere dai monti, gente
uscir dai seni della vallata; drappelli di qua, drappelli di là,
venivano a farsi grossi sulla via maestra, traendo verso il convento
dei Minori Osservanti. L'affrettarsi, il tumulto, l'aspetto terribile
di quelle turbe, armate di roncole, di bidenti, di falci, e financo di
vecchi schioppi colti nelle guerre spagnuole di mezzo secolo prima; si
accordavano in guisa tempestosa alla furia di parecchie donne che
aizzavano gli uomini; e agli atti dei frati usciti dalle loro celle,
agitando in aria i crocifissi, gridando guerra e morte, da parer
forsennati.
Man mano che la gente arrivava, faceva sosta attorno ad uno rialto; e
chi mandava baci alla campana del convento, che dindonava rabbiosa
anch'essa; chi spiegava al vicino la faccenda com'era, chi più
voglioso di andare cominciava a spazientarsi; quando venne oltre sul
rialto il guardiano, uomo venerabile per lunga barba, e per la bella
salute, che ad onta dei molti anni vissuti gli splendeva sulle guance.
Egli fece far silenzio alla moltitudine, la quale fu così pronta a
star zitta, che si sarebbe inteso una mosca a volare. Allora trasse
dalla manica un foglio, e vi lesse ad alta voce come predicando. Era
il bando del Re, quel bando che ho menzionato più su, e che comandava
ai sudditi di tenersi pronti al primo squillo di campana.
«Lo squillo di campana è dato,--sclamò il guardiano quand'ebbe
letto--è dato qui, a C...., a D...., per tutto in questa valle e
nell'altre! Armiamoci e andate, o popoli, che Dio v'accompagni a
sterminare quei giacobini maledetti, i quali vogliono discendere fra
voi, a vuotarsi i granai, a contaminarvi le donne, a porre le mani nel
sangue dei vostri sacerdoti! Volgetevi da quella banda: (tutti si
volsero a guardare i monti di San Giacomo e del Settapani, che si
vedevano assai bene, ammantati dal verde primaverile) vedete lassù?
Ciò che ora è verde diverrà rosso come sangue; e dove oggi nascono i
fiori passeranno i demoni, e ne verrà un odore d'inferno da rimanerne
affogati....! popoli all'armi....! ecco lassù il Signore che ci fa
segno d'essere con noi!»
I poveracci non videro il Signore, ma credettero nel frate che l'aveva
visto per essi. E «andiamo, andiamo!--cominciarono a urlare--Dio è con
noi! Viva Dio! Morte ai Francesi! Viva noi! Viva il Re! Il primo
giacobino che mi dà tra' piedi lo strozzo, fosse mio fratello! Lo
mangio, fosse mio padre! Morte ai giacobini!....»
Fra questo tempestare di viva e di morte, si fece udire una voce su
tutte gridar chiaramente. «E chi ci condurrà alla battaglia?»
E un'altra voce rispose: «i nobili, i signori! Passeremo per C.... v'è
il signor Francesco, il signor Crispino il conte, don Luca, verranno
con noi, anzi li troveremo belli e pronti....
«E chi ricusa, a morte!»
In quella il signor Fedele, voglioso di sapere e fidandosi troppo,
giungeva ad una svolta della via, vicino di là a un trar di pietra.
Udire quelle grida, ed arrestarsi come avesse dato del petto in una
rupe, fu tutt'una cosa: porse orecchio un tantino, e: «come?--disse
tra sè--i signori v'hanno a condurre alla battaglia? Acchiappami se
puoi, chè io vengo.» E pensando di non essere stato veduto, diè di
volta correndo verso la palazzina; badando a dar nei fossati, curvo e
spedito a menar le gambe che meglio non avrebbe potuto fare uno
scolaretto, colto a scioperarsi dal pedagogo. E si teneva certo del
fatto suo; ma il guaio fu che qualcheduno, o donna, o uomo, l'aveva
scoperto, e s'era messo a gridare:
«Si! sì! i signori, eccone laggiù uno dei signori....
«Il signor Fedele, l'avvocato! e' fugge.... dàgli dàgli... lo vogliamo
con noi!
«È vecchio!--diceva un frate.
«Ed io son giovane?--rimbeccava un contadino.
«Ed io son più vecchio di lui!--gridava un altro di quei furibondi--ho
moglie e figli, e terre al sole per me il Signore non ce n'ha
messe....»
In mezzo a questo vociare, una dozzina di villici, accesi in viso come
al tempo delle svinature; si lanciarono alla volta della palazzina,
agitando le falci, i forcoli, il diavolo che brandivano, e chiamando a
nome il signor Fedele.
Questi toccata la soglia, s'era volto addietro alle grida; e al
luccicare di quelle armi, credette di sentirsele cascare sul capo,
entrare nelle reni fredde diaccie, si vide fatto in pezzi a dirittura,
e peggio che nel sogno della notte innanzi.
«Son morto!» sclamò, e chiuso l'uscio a due mandate, tirò il catorcio,
mise la stanga, non istette a rispondere alle figlie, venute a lui
piene di terrore: ma per un andito scuro si cacciò in cantina, si
buttò carponi; e squarciandosi i vestiti, e insozzandosi le mani e il
viso, spingi, ponza, e rispingi, potè rannicchiarsi sotto un tino,
donde mandò fuori rangoloso queste parole, alle figlie:
«Se non mi volete morto, andate via di qua...! Via...!»
Subito un gran rumore di colpi, menati contro la porta, fece
ammutolire le poverette che lo pregavano a uscir di là sotto, e più
terribili dei colpi s'udirono queste grida furiose:
«Fuori il signor Fedele! Aprite! Vogliamo lui! Siamo della valle!
Veniamo a pigliarlo per capitano! Vogliamo che ci meni ad ammazzar
tutti i Francesi! daremo loro come ai cani arrabbiati.... al lupo....
al diavolo in carne!»
Le voci diverse suonavano d'ogni parte intorno alla palazzina, nè
valeva il cascinaio a far che quei bifolchi smettessero dal gridare
selvaggio. Chè anzi alle due fanciulle da dentro, pareva girassero
cercando modo di salire sulle finestre, E stavano strette l'una
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