Le rive della Bormida nel 1794 - 10

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l'ora di levarsi da mensa, e il frate si ricordò di aver da tornare al
convento. Il signor Fedele volle accompagnarlo, e Bianca chiese di
seguirli. Allora preso commiato da damigella Maria e da Margherita, il
padre Anacleto uscì con essi; e s'avviarono passo passo, al dolce
calore del sol di maggio, che tramontando alle loro spalle, stendeva
le loro ombre lunghe lunghe, ora sulla via, ora sulle prode dei campi.
Come furono in parte, dove l'andare si faceva disagevole, si
congedarono a vicenda con inviti e promesse per l'indomani; e il frate
volte le spalle, si mise a camminare spedito per un sentiero traverso
che menava al convento. Bianca gli guardò dietro mentre egli
s'allontanava, e le pareva sentirsi venir meno un grande aiuto;
timorosa di rimanere sola col babbo, che forse le avrebbe chiesto del
colloquio avuto da essa col padre Anacleto. Ma egli fu contento di
sbirciarla sorridendo, e nel tornare a casa, le parlò di tutt'altro da
quel che essa temeva; non volendo rischiarsi a guastare l'opera, a
quel che pareva, bene intrapresa dal frate.
Intanto, Margherita dalla finestra stava a vedere, e diceva alla zia i
loro passi. Quando il padre Anacleto fu per uscirle di vista, in capo
a quel sentiero grigio, che si perdeva nel bosco, essa si volse alla
cieca dicendo:
«Ecco; il padre Anacleto non si vede quasi più; entra nel bosco... è
scomparso.
«Santo uomo! che Dio lo benedica:--disse la cieca--proprio possiamo
dire, che se la pace e la concordia ci tornano in casa, è merito suo.
«E babbo e Bianca, sono costaggiù che tornano; e discorrono
amorevolmente fra loro.
«È un miracolo, Margherita, un miracolo! E se dura vogliamo andare di
notte, bell'e in mezzo al bosco dei frati, a far la novena intorno
alla cappelletta di San Francesco. Tu e Bianca mi condurrete...
«Di notte nel bosco? Vi sono l'anime dei morti che singhiozzano sulle
querce?
«Sono assiuoli e non anime di morti! Chi ti mette codeste ubbíe in
capo? Eppoi pregando non s'ha a avere paura di nulla, perchè l'angelo
custode ci sta sempre allato...»
In quel momento rientrarono Bianca e suo padre. La fanciulla era
malinconica; ma come persona uscita di malattia che cominci a riavere
la salute, mostrava a tratti qualche movenza allegra. Egli parlava a
tutte e tre riguardoso, sempre temendo di rompere quella sorta
d'incantesimo fatto dal frate; e quel giorno principiato nei trambusti
e nel pianto, finiva per le loro quattro anime come per l'erbe dei
campi e per gli augelli dell'aria, ai quali un tramonto dorato,
prometteva per l'indomani un mattino di luce e d'amore.
Il padre Anacleto poi, giunto al convento che era l'ora d'andare in
refettorio a cenare; per non farsi scorgere, s'andò a sedere al suo
posto: ma com'è da pensarsi non prese nulla. Per ingannare quei
momenti, si pose a guardare un affresco, che era in fondo alla sala,
sopra la sedia del guardiano; e doveva rappresentare una cena, fatta
tra San Rocco e non so quali altri santi. Dico così perchè di
quell'affresco, sopravanzano pochi bocconi, essendo caduto l'intonaco
del muro su cui era dipinto: ma una testa pennelleggiata assai bene;
una spalla coperta di un sarrocchino sul quale spicca una conchiglia
che par vera; un boccale e un piatto di verde sulla mensa danno a
capire che in quella pittura si stava mangiando.
Pieno di pensieri, per la famiglia, dal cui desco s'era levato
poc'anzi, il frate lasciò correre la mente ai parchi desinari fatti
dagli Apostoli in casa d'amici, dove capitavano a consolare qualche
afflitto od a soccorrerlo di loro consigli. Quasi quasi osava
somigliare sè stesso ad uno di quelli; e di certo si tenne d'aver
fatto in quel giorno molto bene il debito suo. E si ringalluzzava
tutto, pensando che il pievano di D..., avrebbe potuto dire di
Giuliano, che la pena per lui, teneva dietro alla colpa assai da
vicino: e non vedeva l'ora di potergli scrivere che aveva scampata
dalle insidie del demonio una giovane innamorata di quel suo
parrocchiano senza legge e senza fede.


CAPITOLO VIII.

In iscambio don Apollinare si trovava a certi passi, che non era il
caso di poter pensare nè al padre Anacleto, nè a Giuliano.
I monti sui quali lo abbiamo lasciato colle turbe di Val di Bormida,
in capo a quattro o cinque giorni, formicavano, come vi si fosse
raccolto un esercito di barbari; pronti a calare dove loro fosse
venuta bene la preda, per portarsela a quelle sedi alpestri e selvose.
Aveva durato a venirvi gente dalle più remote parti delle Langhe; nè a
ricordo d'uomini nè di libri, s'era visto nulla di simigliante. Lassù
tutto era andato sossopra, rocce, zolle, alberi per far terrati e
ripari: e come a star all'aperto, dì e notte, si diventa industriosi;
con certi graticci che sapevano intrecciare assai bene, i boscaiuoli
avevano fatto baracche pei capi, i quali dando pochi quattrini
cansavano le infreddature. E questi capi erano tanti, che le baracche
crebbero di numero, quasi da togliere a quelle montagne l'antico
aspetto foresto.
Gli abitanti della marina là sotto, avevano paura di quelle plebi più
che dei Francesi già vicinissimi; e ogni mattina guardavano se vi
fossero ancora, e mandavano sui monti messaggi d'amicizia, e saluti, e
notizie grosse; per tenerle all'erta, che ad esse non venisse il
grillo di calare nei loro borghi, a farvi chi sa che tragedie. Le
turbe ricambiavano i saluti, e invece di pensare a discendere laggiù,
compiangevano chi vi stava.
Talvolta vedevano navi passare in vista facendo segni con bandiere; ma
in quel pararsi di tanti colori non ci capivano nulla. I capi si
strappavano fra loro i cannocchiali, e per non essere scortesi
rispondevano a quei saluti, bruciando cataste di legna, da mandarne le
fiamme alte come d'incendi.
Un di quei giorni erano capitati lassù alcuni uffiziali, dai campi
alemanni e piemontesi, posti lontano poche miglia giù verso il mare.
Veduto in qual conto s'avessero a tenere quelle strane milizie, e
fatta correre la voce che fra breve tempo si sarebbero viste alla
prova; se n'erano ripartiti, a quel che si sapeva, ben edificati del
loro contegno. E in verità quella lode soldatesca era meritata; perchè
durava l'ardore col quale s'erano messe all'impresa di difendere il
trono e la religione: e la meglio parte di quella moltitudine,
allevata alla vita travagliosa dei solchi e delle selve, non badava ai
disagi. Mangiavano i neri pani che s'aveano recati nelle bolge; le
quali portate, come usa da quelle parti, che una ne pende sul petto
un'altra sul dorso, e bianche di colore, avevano l'aria d'assise
bizzarre. Bevevano l'acqua pura delle fonti, per quelle montagne
copiose e frequenti; e se alcuni serbavano qualche goccia di vino nei
barletti, era per berlo e confortarsi, dove per mala sorte avessero
toccata qualche ferita.
All'alba si levavano in piedi, liete come se nulla fosse stato della
guazza, e delle brine che talvolta anco in quella stagione, il vento
frizzante dell'Alpi porta nella contrada; dicevano ad alta voce le
orazioni del mattino; poi facevano d'ogni sorta d'esercizi, visti a
fare ai soldati. Due volte il giorno, i preti predicavano da qualche
poggio ognuno alla sua compagnia; e parlando di Dio e del Re, tenevano
deste le ire, e il desiderio di dar dentro a menar le mani in guisa,
che dopo ogni predica le montagne suonavano di grida altissime, di
strage e di vendetta. Non sapevano bene, ma tutti accozzavano nelle
menti torbidi pensieri di religione, d'empietà, di re e di patiboli; i
più ardenti aizzavano coi discorsi i compagni; chetarli era gran
fatica; e ad ogni tratto si tornava da capo. Presi così alla grossa,
s'accostumavano a quella vita assai bene.
Ma a don Apollinare, e a molti altri che avevano viso di condottieri,
l'ore cominciavano a parer lunghe. Quattro giorni di disagi, erano
stati d'avanzo a fare dar giù il bollore ai loro spiriti; e la
prontezza d'animo con cui s'erano mossi, cedeva un po' ogni giorno,
alla stanchezza in tutti, in molti alla noia, in taluni alla paura.
Perchè agli altri guai s'era aggiunta la vista di soldati regi ed
imperiali; i quali passavano per quelli alpestri sentieri, tornando
feriti o malconci dalle scaramuccie, che seguivano giù giù, tra quel
d'Oneglia e quel di Loano. I poveretti camminavano da sè a fatica, o
portati da certi muli, spasimando, ogni poco, per i squassi crudeli:
ed erano quali mesti, quali baldanzosi, alcuni bestemmiavano, altri
mostrando le ferite toccate, dicevano a quelle genti affollate a
vedere, come laggiù laggiù, di palle e di baionettate i Francesi ne
avessero in serbo anche per esse. Quelle parole non erano atte a
sgomentare la moltitudine; ma i capi ponendo gli occhi stupiti in
quelle piaghe mal fasciate, si sentivano frizzare le carni; e
pensavano alle famiglie, ai quieti piaceri, ai loro villaggi, nei
quali avevano vissuto sino a quel punto, cullati da quel buon popolo
che gli adorava e temeva, e lassù si sarebbe fatto in pezzi per essi.
Volgendosi addietro, potevano vedere i loro campanili biancheggiare
lontani a poche miglia, e si lasciavano cogliere dalla nostalgia; la
malavoglia cresceva; ma non v'era chi osasse primo abbandonare la
spedizione, per non parere da meno del vicino o del rivale in amori o
in averi. Pregavano, ognuno in suo cuore, che la ventura cui s'erano
messi, un po' per forza un po' per genio, volgesse in qualche guisa al
suo compimento; pur di cavarsela colle ossa e colla riputazione
inoffese, quasi quasi avrebbero fatta la pace colla repubblica di
Francia.
Mattia mostrava in quei giorni d'aver animo più alto del suo padrone;
e se ne stava lassù colla testa su due guanciali, come il maggior
pericolo fosse stato quello di vedere il mare levarsi a quell'altezza,
e d'affogarvi dentro. Stato uomo da sbarragli tutta la giovinezza,
stimava cose da beffe le brighe presenti; e il suo più gran da fare,
era di reggere il cuore al pievano. Il quale per tenerselo amico, gli
dava a mangiare i polli arrostiti, che il Rettore di Montefreddo
faceva portare dalla sua cura poco discosta; e il sagrestano ben
pasciuto, sempre lieto, sempre ritto, pareva l'anima dello stormo di
D.... Lassù nessuna molestia per lui, nè di famiglia nè di mestiere;
non campane da suonare, non ceri da accendere, non morti da
seppellire: e se pure di questi un qualche giorno ve n'aveva a essere;
tra l'averli nudi, avvolti in un lenzuolo, e vederseli ai piedi
vestiti e non frugati, ci correva la moneta che avrebbe trovata nelle
loro saccoccie. Eppoi lassù non aveva quella noia della moglie, e
quell'altra di gente cui dovesse roba o danaro; mentre a D...., eh! a
D.... erano litanie che non finivano mai.
Stava egli adunque in barba di miccio; ma la quinta notte, dacchè
campeggiava lassù colle turbe, gli avvenne caso da fargli dire, che
proprio gente contenta sulla terra non ve ne può durare.
Sedeva col dorso appoggiato alla capanna che aveva formata pel
pievano; e faceva la guardia, come l'altre notti, perchè questi
potesse dormire tranquillo. Tenendosi desto a fatica, guardava i suoi
compatriotti addormentati là intorno; e colla mente che gli pareva
avere avvolta di nebbia, pensava: «Eh! Mattia, chi direbbe, che dei
parenti di costoro ne hai messi nelle buche le centinaia! Centinaia?
Altro che centinaia! di certo non durerai da seppellirsene
altrettanti...»--E provandosi a contare, rammentandoli, i morti che
aveva sepolti in sua vita; non riesciva alle due dozzine che la testa
cominciava a cascargli, or su l'una, ora sull'altra spalla, or sul
petto; e allora si scuoteva, tossicchiava, e badava alle stelle se
indovinasse l'ora.
Una di queste volte, alzando il capo, si vide là ritto dinanzi un
uomo, che appoggiate le mani su d'un lungo e grosso bastone, sulle
mani reggeva il mento, anzi si poteva dire la persona, a vedere come
vi pesava sopra curvo ed intento.
«Fatti in là che così desterai il pievano!--sclamò Mattia,
rabbioso--chi t'ha creanzato?
«Mattia, a qual giuoco abbiamo fatto sino ad ora?
«A qual giuoco? Ognuno secondo le carte, io per esempio faccio la
guardia al signor pievano....
«Ed io la faccio a voi; perchè i desinari, le cene, le paia di
capponi, ed anco le doppie che aveste da me, stanotte ve le farò
costar care, se non mi menerete a cavare il tesoro, che m'avete
promesso mille volte....!
«Oh! siete voi Zirione?»--disse Mattia fingendo le meraviglie; e
levatosi in piedi fece segno di voler tirare in disparte il villano,
che don Apollinare non avesse a udire quei suoi imbrogli. Ma l'altro,
piantato come era là innanzi, mosse al tirar di Mattia come a un
soffio di vento, e soggiunse tentennando il capo:
«Sì....! fate le viste di ravvisarmi adesso...! Io invece penso a voi
da tre giorni; e non ho fatto che misurare cogli occhi le distanze dai
nostri monti a questi; mi sono messo in tutte le posture, e ho capito
alla fine, che noi siamo appunto su quelle cime che voi mi additavate
dicendo che erano la nostra Spagna, che vi era un tesoro, e che un
giorno o l'altro ci saremmo venuti.... Eccoci.... ci siamo, e il can
per l'aia non lo meno più.... Poche parole! se il tesoro l'avete
cavato voi, datemi la parte mia....
«Ah!--sclamò Mattia mostrandosi offeso:--se non mi stimate più per un
galantuomo, allora....!
«Galantuomo? Ebbene se lo siete...., il tesoro l'andremo a cavare
insieme e adesso....
«Ma non pensate, che bisogna avere un palo di ferro, una marra, un
diavolo che ci porti voi e me?
«L'ho qua io l'arnese....; ci aveva pensato....»
Mattia guardò il bastone su cui il villano si reggeva, e vide che era
un badile. Si pentì allora della magra scusa trovata, e con aria di
voler capacitare l'altro, diceva: «ma.... vedete, amico....
«Che amico!»--interruppe costui, facendo mazzo delle dita e
picchiandosi sulla saccoccia del panciotto, dove aveva un gruzzolo di
monete che suonavano assai chiaramente:--i miei amici sono questi! e
voi li conoscete, perchè a furia di merende e di presti, mi costate
più d'un paio di bovi....!»
Al suono di quelle monete, Mattia aveva veduto i milioni di scintille,
come se gli avessero dato le ditate negli occhi; e da uomo esperto a
trovar modo di scroccare il prossimo, nella mente le aveva già fatte
sue. Nè sarebbe rimasto dal suo proposito, se lo stesso pievano fosse
uscito dalla capanna, a pronosticargli che sarebbe morto nell'impresa.
«Date retta,--disse al villano--quando si fanno le cose, ci si deve
aver pensato prima e bene. A trovare il tesoro, gli è come a trovare
giù nella terra le sorgenti d'acqua... A questo son buoni i nati a
sette mesi....; a trovare il tesoro ci vuole qualche altra virtù....;
per esempio, la pietra del fulmine dà soventi nei campanili
nevvero?..... ecco..... così oro fa oro..... e a scoprir il punto
della terra dove si sa che dev'essere un tesoro nascosto, bisogna
avere oro in mano, perchè tra questo e quello corrono misteri che ora
non vi posso dire...; basta! verremo un'altra volta.... porteremo con
noi qualche collana, qualche anello, vostra moglie ne avrà...»
Il pover'uomo infinocchiato a questo discorso, pose la mano sulla mano
di Mattia quasi per rattenerlo, e disse pieno di speranza:
«E se fosse oro di moneta?
«È sempre oro!--rispose grave Mattia.
«Eccone qua!--soggiunse l'altro affrettandosi a picchiar di nuovo
sulla saccoccia.
«E quanto avete?--chiese il sagrestano, cui cresceva in bocca la
saliva e la lingua.
«Dieci doppie!
«Possono bastare:»--degnò di dire lo scaltro--ci proveremo...: un
momento e sono con voi....»
E messa la testa nella capanna, udito che il pievano dormiva della
migliore, tolse l'aspersorio, e il breviario, se li cacciò sotto il
giubbone, poi data un'occhiata alla giumenta se fosse legata per bene,
arzillo e gaio, disse al villano: «andiamo.»
Si misero in cammino che era l'ora di mezzanotte, cauti, e cansando le
sentinelle che vegliavano ai varchi, all'usanza dei soldati. Mattia
aveva gran pratica dei luoghi, essendovi passato assai volte da
giovinotto, per servizio di quel tal marchese; il quale soleva
spacciarlo ai suoi nobili amici della riviera e massime d'Albenga, con
presenti di selvaggina o di primizie dei suoi poderi. Di che non durò
fatica a uscir dal campo inosservato, col suo compagno; e discesa la
costa meridionale del Settepani, andando ruzzoloni parecchie volte,
giunsero alle ruine d'una torre che guerniva una gola ai tempi degli
Spagnuoli, e si chiamava la torre di Melogno.
«Segnatevi--disse basso Mattia--qui v'ha sempre qualche spirito...»
Il villano si serrò a lui segnandosi tre volte; ed egli strizzando
l'occhio, come a qualcuno che fosse d'accordo con lui nelle tenebre,
disse tra sè: «l'uomo è nostro!»
Di là a pochi passi furono alle falde di Montecalvo; la vetta del
quale essendo deserta, Mattia l'aveva scelta per compiervi il
maleficio. Il monte a guardarlo da certi punti ha l'aspetto d'un
cranio smisurato; e forse aveva questa immagine in capo, chi prima gli
diede il nome. Squallido, ignudo, con due cavità che formano le
occhiaie, sembra contemplare il golfo di Genova che gli stà dinanzi.
Nell'ora in cui Mattia e il suo compagno camminavano; essendo la notte
senza luna, non appariva altrimenti che una mole oscura, la quale a
chi avesse voluto salire in cima riusciva difficile e faticosa.
Cominciarono a inerpicarsi per un sentiero ronchioso, angusto, a ogni
tratto ingombro di rovi; e si valevano quasi ad un modo dei piedi e
delle mani. Mattia raccomandava all'amico di star zitto e di tenere il
fiato: il poveraccio, quanto al parlare aveva tutt'altra voglia e
obbediva; ma quanto al fiato gli si veniva facendo sì grosso, che più
non sarebbe stato se avesse patito d'asma.
Erano più che a mezza costa, quando udirono uno scoccar d'ore
dall'orologio della parrocchia di B...., piccolo villaggio che siede
sul fianco delle montagne dalla parte di mezzogiorno. Quel suono
improvviso fece dare un gran giro al sangue del contadino; il quale
osò chiedere a Mattia, da qual campanile venisse.
«Da B....--rispose questi--Come vi sentite? Riposiamo un tantino, date
qua le monete, e non abbiate paura....»
Il villano porse il borsellino, senza dire parola, poi ripresero a
salire: ed egli non udiva altro che la pedata di Mattia; il gran
battere del proprio cuore; e dietro, in lontananza, il grido misurato
e lamentoso delle sentinelle paesane, che gli tornava dolce come di
voci amiche. Mattia, tenendo in pugno il gruzzolo, coll'unghia del
pollice contava le monete.
Alfine toccarono la vetta del monte; dove bisognando risolvere in
qualche maniera l'impresa, il sagrestano si fermò, e guardò l'amico
per capire di che animo stesse.
«Eccoci sul posto!--bisbigliò--ancora pochi passi e saremo sopra il
tesoro: ma vogliono essere fatti in punta di piedi..., animo, non
abbiate paura, venite....»
Fatti que' pochi passi ch'ei volle, con gran rispetto come camminasse
su l'ossa dei morti; si volse a un tratto al compagno, e con voce
commossa, gli disse: «animo, animo! che tutto questo è nulla!» Poi lo
prese per un braccio, lo fece girare tre volte sopra sè stesso, e
colla mano tesa gli segnò intorno l'infinito tenebroso, soggiungendo
cupo:
«Siamo in mezzo a tre vescovadi: Mondovì.... Albenga... e Savona.»
Sagrestano da più che quarant'anni e seppellitore di morti, Mattia
sapeva, occorrendogli, pigliare un'aria mistica o paurosa. Aveva udito
cento volte, alla spiegazione del Vangelo, come un giorno il diavolo,
condotto Gesù sulla cima d'un monte, gli avesse mostrati i regni della
terra; ed egli vecchio profanatore di tombe ed altari, prese
l'atteggiamento di Satana, quale se l'era sempre immaginato. L'amico,
che aveva lasciato cadere il badile, lo guardava senza muovere costa;
e sentiva farsi alla fronte e giù per la schiena un senso, come stesse
per pigliargli male. Mattia cavato di sotto i panni il breviario, che
nell'oscurità pareva un mattone, glielo pose aperto tra le mani
tremanti, e cominciò un brontolio di salmi, che guai a lui se l'avesse
udito don Apollinare, tanto era scellerata la sconciatura delle parole
latine. Il villano, credendo che Mattia leggesse davvero nel libro che
ei gli teneva aperto dinanzi a mala pena; non osò neanco chiedergli
come potesse vedere in quel buio: la sua fantasia s'accese via più; le
orecchie gli fischiarono quasi ci avesse dentro due serpi; a tratti
avrebbe giurato di vedere bagliori grandi, e di udire qualcosa che
s'appressasse: e tremava a verga a verga.
Mattia s'avvide come il tapino stesse per isvenire; e levato in alto
l'aspersorio, per dargli il tuffo, segnava a destra ed a manca croci e
crocioni, mormorando certe parole da incantesimi; quando un grido come
d'uomo irato, gli ruppe l'atto e la voce. Quel grido, un rumore d'armi
e di passi frettolosi, gli parvero la cosa più terribile che avesse
intesa in sua vita; e di subito, pensando d'essere cascato in mano ai
Francesi, si buttò per disperato a fuggire, verso la parte per cui era
venuto alla ribalderia.
Il compagno correva più di lui; ma erano inseguiti, e assai da vicino.
«Ferma! ferma!» gridavano alle loro spalle, molte voci straniere; e
alle voci s'aggiunse una schioppettata, e una palla fischiò tra i due
malcapitati, che entrambi credettero d'averla nella nuca, nelle
spalle, nelle reni ad un tempo. Mattia aperse le braccia, cadde sulle
ginocchia, chiuse gli occhi, e sclamò: m'arrendo! signori Francesi,
m'arrendo! Sono cristiano anch'io!»
Egli s'era sentito afferrare, come da mano poderosa, per la lunga
coda, e udendo le pedate del compagno che fuggiva libero senza darsi
pensiero di lui, lo maledisse. Poi alzò gli occhi adagio adagio..., e
non vide nessuno: fece atto di levarsi in piedi, nessuno lo teneva...;
s'accorse che la coda gli era rimasta intricata in un roveto, la
districò; e raccogliendo nel petto tutta la forza e tutta la baldanza
che potè:
«M'arrendo un fico!--proruppe--neanco se fosse qui tutta la Francia,
no!»
E via, di quella gamba che è facile a immaginarsi ripigliò la fuga. Ma
una bocca di schioppo gli chiuse la via; un'altra se ne vide alle
tempia; in un fiato si trovò affollato, agguantato nel petto,
squassato da averne schiantati i visceri fosse stato un elefante;
dieci voci gli suonarono intorno, e di quelle non capì altro che
d'essere caduto in mano agli Alemanni, e che era preso per uno
ispione.
«Io spione?--gridava arrangolato--io spione? Io sono il sagrestano di
D.... e ho servito a mensa le loro signorie in casa al mio padrone.
Signori generali, badino per carità, io sono un amico..., sono qui per
loro servizio.»
Aveva un bel dire, ma quei feroci non capivano; e per farla finita col
suo molesto vociare, uno d'essi che pareva il capo, dandogli una gran
palmata sulla bocca lo fece star zitto. Egli tacque; e per non buscar
la seconda, si lasciò trarre verso la banda opposta a quella, che
aveva pigliato fuggendo.
Erano davvero Alemanni, andati in pattuglia fuori del campo, che
(indietreggiando sempre coll'esercito Sardo) avevano posto, sul far di
quella notte, vicino al Finale. Costoro smarrita la via per le alture,
non sapevano neanch'essi in che modo erano capitati lassù, a cogliere
Mattia nel meglio dell'opera sua. Camminando un po' a spintoni, un po'
trascinato, il pover'uomo apprese come il meglio a farsi, fosse porre
il cuore in pace; e pensò che alla fin fine l'avrebbero condotto a
qualcuno dei capitani, dal quale si sarebbe fatto riconoscere per quel
che era. Allora, alla peggio, stato un par di giorni fra gli Alemanni,
potrebbe tornarsi libero a rivedere i suoi compaesani; e già pensava
le spacconate e i modi di ricattarsi dei disagi sofferti, colle doppie
del compare scampato. Qui tremando non venisse in mente ai soldati di
frugarlo, si faceva docile, bonino, pronto in tutto ai loro voleri. Ma
poichè, fu nel campo Alemanno, il guardare oltraggioso dei soldati che
erano ai posti staccati, fece vacillare le sue speranze. Sebbene non
facesse peranco l'alba, fu tratto al cospetto d'un generale, raccolto
a consiglio coi capi, in una capanna da boscaiuolo. E questo generale
era lo stesso che aveva svernato a C..., e desinato a D..., in casa al
pievano. Mattia ravvisò lui e parecchi degli ufficiali che stavano là
dentro; ma o la sua cera non piacesse al generale, o questi trovasse
buono scaricare sopra un poveraccio le molte ire, che gli si andavano
raccogliendo nell'animo, pei rovesci patiti nell'infelice difesa della
riviera; lo strapazzò nelle guise più aspre; e volle che lo si
giudicasse lì per lì, coi modi di guerra.
Povero Mattia! A vederlo pregare, piangere, proclamarsi più Alemanno
degli Alemanni, chiamando in testimonio i Santi e Dio; qualcuno degli
astanti si sarà sentito annodarsi il cuore; ma niuno osò parlare, par
salvarlo. E buon per lui che d'improvviso s'udirono cavalieri per
l'erta a spron battuto, venir annunziando, che laggiù oltre il Finale,
i Francesi giungevano grossi all'assalto; e che le ordinanze Sarde,
impotenti a reggere, già balenavano. Egli benedisse i repubblicani,
pose in essi le sue combattute speranze, e quasi non credette a quella
novella.
Ma era la verità: e l'alba che soleva vedere quel mare, coperto di
burchielli, governati da pescatori mattinieri; quella spiaggia viva
per frotte di donne intente a tirare le reti; quei colli popolati di
gente affaccendata all'opere degli olivi; per tutto pace, canti e
lavoro, a dar gloria a Dio padre! l'alba spuntava sopra quel lembo di
terra, aspettata dagli uomini pronti a sgozzarsi.
Infatti giù giù, verso il mare, era cominciato il trarre delle
artiglierie, cui rispondeva in guisa formidabile l'eco delle montagne,
come si fossero accozzati là sopra tutti i tuoni del cielo. Il suono
dei tamburi pareva un brontolio monotono; le trombe squillavano con
certa rabbia guerriera; i Piemontesi davano dentro nella mischia per
disperati. Gli Alemanni si schieravano, si serravano, guardavano i
viluppi di fumo che parevano segnare l'avanzarsi dei Francesi; in
breve ora furono anch'essi tirati nella battaglia; e tutto divenne
offese, strage, a ferro, a fuoco, a pietrate, di che quelle rupi
andarono sanguinose.
Mattia, sbalestrato di qua e di là, di su di giù, ora in mano degli
Alemanni, ora dei Piemontesi; sempre chiedendo giustizia e sempre
beffato e percosso: tentato a più riprese, e invano, di sgattaiolare;
pesto, lacero, senza voce pel lungo sclamare, finì per cadere in man
dei Francesi, con altri prigionieri parecchi. Pensando alle tante lame
che s'era visto balenare sul capo; alle tante palle uditesi fischiare
rasente gli orecchi; e vedendo che la battaglia durava accanita; tenne
per un beneficio del cielo l'essere prigioniero dei repubblicani: ai
quali, per dire il vero, avrebbe un'ora prima avvelenato il cibo,
l'acqua, e sino l'aria se avesse potuto. Menato lontano parecchie
miglia, al primo campanile che gli venne veduto torreggiare sopra una
terricciuola della spiaggia, ricolse il fiato; diede un'occhiata alle
campane e pianse, ma una lagrima sola; perchè i Francesi vincevano, e
parevano risoluti quel giorno, a farla finita coi Sardi, cogli
Alemanni, col diavolo se loro si fosse parato innanzi; e da
prigioniero, sentiva di pericolare meno assai, che da libero colle
turbe, pronte a far testa sul Settepani.
Sul qual monte, sebbene confuso, lo strepito delle artiglierie era
giunto sino dal rompere dell'alba; e aveva riscossa la gente degli
stormi, che rimase in ascolto stupefatta, come di cosa mai più
sentita. Io mi figuro quelle turbe quali fossero, rammentando l'atto
di tale che vidi curvo al cratere del Vesuvio, porgere l'orecchio ai
boati, che s'odono prorompere da quelle profondità tenebrose.
Come furono certe che, essendo il mare tranquillo, quel mugghiamento
non poteva essere che cannonate, s'accesero gli animi; e chi aveva
schioppo si diede a rivedere la pietra, a rinfrescare la polvere nello
scodellino, a contare le palle che teneva in serbo; e gli armati di
falci, ch'erano i più, cominciarono a menare le coti, facendo uno
stridore, che aveva qualcosa di barbarico insieme e di grande.
«Dove sono? gridavano--dove sono gli scomunicati? Vengano, vengano! A
noi toccherà finirli!
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