Le rive della Bormida nel 1794 - 11

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«Ed io--giurava uno altamente--se non avrò falciate le gambe a mezza
dozzina di quei basilischi, non tornerò più a casa...!
«Animo!--dicevano da tutte le parti molti che forse da giovani erano
stati soldati;--mettiamoci in ordine; vogliamo darci dentro come a
falciare il fieno! Sangue ha da essere! sangue da vedersi scorrere a
rigagni!
«Ohè! e i signori...? Signori capi, che cosa fanno...? Si va innanzi?
Si va innanzi? Si sta? Che staremo qui a grattarsi le ginocchia sino
al dì del giudizio...? All'armi, da bravi!»
Quelle povere genti, avvezzate da quattro anni a pensare dei Francesi
come di tanti malfattori; aizzate dal pulpito e dal confessionale,
avevano salutato l'avvenimento che s'appressava, come il giorno d'un
gran voto da sciogliere. Il vecchio sangue ligure, sebbene
assottigliato di molto traverso i secoli del feudalismo, tornava a
ribollire nelle loro vene; e le braccia poderose e i petti irsuti,
erano pronti a dare e a ricevere la morte con animo grande. Ma,
vergogna a dirsi! i preti i primi, poi i vecchi gentiluomini, da
ultimo i più giovani, cominciarono a parlar basso, tra loro, a
buccinare freddure, a dar sulla voce ai più volenterosi fra i
popolani: e quando sulle vette di Montecalvo, e nella gola di Melogno,
apparvero i primi fuggiaschi Alemanni, i quali s'affannavano nella
fuga, confusamente; allora quei preti, quei gentiluomini, si
chiarirono donnicciolucce da rocca e da presepio.
«O che i soldati fuggono a quel modo?--sclamava uno che in C..., aveva
carica di seniore.
«E se fuggono i soldati, dovremmo tener testa noi, senz'armi ed
inesperti?--Cosi un altro che in D..., era tenuto in gran conto; e un
terzo a fargli eco:
«Soldati rape, che sanno guerreggiare com'io fare orologi...!
«Ci faremo ammazzar noi, perchè i loro generali non sanno altro che
mostrare i tacchi ai Francesi?
«I Francesi! I Francesi! Eccoli! Eccoli!....»
E qui uno, due, quattro, a pigliarsi la via tra le gambe, chi a
cavallo, chi a piè, senza dare nè udire consigli: e tra i primi Don
Apollinare, il quale, chiesto di Mattia a mezzo mondo, chiamatolo
invano cento volte con quanta voce aveva in gola; aiutato da qualcuno
della sua pieve montò sulla giumenta; e gridando: «vado a far gente,
vado a far gente!» diè giù a rompicollo, pel primo sentiero che gli si
offerse alla fuga.
Dato il mal esempio, le turbe stettero poco a diradarsi. Rimasero i
migliori per animo e per forza; ma anco tra questi, alcuni presero a
dire verità, chiare come il sole che avevano in faccia.
«Gli avete veduti i nostri padroni? Se ne vanno; e noi che utile
abbiamo a star qui?
«A farsi scannare! Forse che non troveremo più posto nelle sepolture
dei nostri vecchi?
«Respingere i Francesi!--sclamava un villano, forte a vederlo come un
leone:--bella parola! Ma, che i Francesi vengono per far male a noi
soli?
«Sì...! quell'ultimo pochino di male, che non ebbero tempo a farci gli
amiconi Alemanni!
«E le donne?--diceva un giovinotto, che aveva viso di essere
ammogliato di fresco:--i Francesi le oltraggieranno!
«O allora--rispondeva un vicino--perchè non si diede addosso agli
Alemanni, che non le hanno rispettate?
«Incendieranno le chiese! uccideranno i preti....!
«Bravi i preti! Gli avete visti? Hanno spulezzato i primi...!
«To, to! guarda da quella parte là di Montecalvo! E laggiù a quella
forra! Sono essi... i Francesi..., gli Alemanni... i Piemontesi...,
tutti! È finita, è finita... scampi chi può... scampi chi può!...»
Fu l'ultimo grido! Quel popolo, così pronto, sofferente ai disagi ed
audace, abbandonato dai suoi capi, non accostumato ad amare la patria,
pensando che la libertà di mangiare pan nero, di bere al pozzo, di
coricarsi sulla paglia, e d'assaettarsi dì e notte a lavorare,
Francesi, Piemontesi, o Alemanni che fossero i dominatori l'avrebbe
sempre avuta; era diventato come un'onda vituperevole di codardi.
Ruppero in fuga disordinata, recandosi tra loro ferite, che peggio non
potevano toccarne dai nemici; non uno ne rimase neanco a vedere se i
Francesi fossero davvero mescolati cogli Alemanni vinti; e quelle vie
fatte nell'andata gridando il finimondo, le affollarono nel ritorno,
portando le novelle più orribili che le loro fantasie potessero
creare.
Il pievano di D..., cavalcando come se avesse inforcato un prunaio,
galoppò, galoppò, galoppò senza dar tregua alla giumenta meschina;
tanto era il battisoffio e l'agonia di giungere al suo presbiterio.
Traversò i villaggi della vallata, non badando a che si parasse
innanzi; e le selci delle vie gettavano faville al suo passaggio, le
donne imprecazioni per i bimbi che rischiavano d'andare schiacciati.
Imprecazioni, inconscie d'essere scagliate a tant'uomo; perchè tale
era la foga di lui, tali gli strappi de' suoi panni; tanto aveva
arruffata la testa per essergli caduto (e non se n'era accorto) il
cappello, che niuno poteva discernere s'ei fosse un prete.
Non s'aspettava di rivederlo così sciamannato donna Placidia, alla
quale i quattro o cinque giorni passati dalla partenza di lui, s'erano
fatti anni, sebbene a vederla paresse tranquilla. E della sua
solitudine, s'avevano preso pensiero la meglio parte delle donne del
borgo, e la signora Maddalena anch'essa, afflitta come era di suo,
aveva deciso quel giorno d'andarla a trovare. Dopo il desinare, non
pensando manco per ombra al ritorno del pievano, messasi in capo la
cuffia, e indosso una guarnacca cenerognola, s'era avviata passo
passo, con molta contentezza di Marta, seccata d'udirsi chiedere da
tutti, se la padrona, non uscendo quasi più di casa, fosse ammalata.
«Gesù--diceva tra sè la signora, soffermandosi per l'erta del
castello, ogni tantino, a ricogliere il fiato,--Gesù come mi batte il
cuore, e come gli occhi mi si fanno torbidi!»
Quetato l'affanno, ripigliava la via. E così stentando giunta in
castello, s'accostò per riposare al muricciolo, che coronava la volta
del colle e guardò l'orizzonte.
La vista dell'alpi le parve bella come non l'aveva vista mai. Oh! quel
Monviso, che sembra il faro del Piemonte, e pare sempre vicinissimo da
qualunque parte lo si scopra; quel Monviso come torreggiava sublime
nella luce del sole, che andava sotto! Come appariva più cupo il
solco, che ha nel fianco, e da lungi somiglia a una crepa, ed è invece
una fondura ampia, selvosa e sonante di molte acque! La donna mesta,
pensava a suo figlio, che forse guardava in quell'istesso momento e
più da vicino il gran monte; e mandò a questo uno sguardo d'amore: poi
come si sentì le lagrime negli occhi, se n'andò diffilata nel
presbiterio.
«O signora Maddalena!»--sclamò donna Placidia venendole incontro, a
passi leggeri come d'un lepre, e tendendole le braccia che apparivano
in tutta la loro esilità, nelle maniche della veste strettissime
secondo l'usanza d'allora:--ha fatto pur bene a venire quassù un poco,
sono così sola che dalla gran noia mi butterei ai pesci....»
E così dicendo, e ascoltando le scuse della signora, la condusse nel
salotto; dove s'era seduta pochissime volte con tanta libertà, e da
padrona come quel giorno.
«Ho pensato--diceva la signora mettendosi a sedere di faccia a donna
Placidia:--ho pensato anch'io, che ella si doveva annoiare, e dissi
tra me: lasciami andare a vedere come sta.... intanto potrò avere
notizie dei nostri paesani, che chi sa in quali acque si troveranno...
«Non ne so nulla io,--rispondeva l'altra:--ma pensiamo un po'; sono
alla guerra e basta! Oh! chi l'avrebbe detto che anche al signor
pievano sarebbe toccato pigliare uno schioppo.... Per me quasi pensavo
sin qui che le fossero cose da celia.... e invece....! E sapesse
quanti ammalati, hanno fatto chiamare mio fratello, di questi giorni!
Pare proprio che si sian data l'ora.... e già ne son morti due lassù
nei boschi, senza prete; e ad uno che era più vicino, sono andata a
raccomandare l'anima io stessa.... l'ho benedetto coll'acqua santa....
gli ho messa la stola sul letto.... mi sono ingegnata....!»
Proprio in questo punto, arrivava don Apollinare grondante sudore, e
colla giumenta ridotta che se avesse avuto a fare un altro quarto di
miglio gli sarebbe cascata sotto. Smontò a fatica, tanto aveva
indolenzite le gambe; e lasciata la bestia che andò da sè nella
stalla, si mise dentro la porta di quel presbiterio, che non gli era
paruto mai così bello, così agiato, così casa sua.
Donna Placidia, fattasi incontro a lui sulla soglia del salotto,
rimase a mirarlo trasecolata, come se egli tornasse dall'altro mondo;
e la signora Maddalena, vedendolo così trafelato, in quell'arnese
gramo; sclamò spaurita: «che abbiamo?
«Guai! guai! guai!--gridò egli lasciandosi cadere sul suo
seggiolone;--guai più grossi di quelli del libro delle sette trombe!
Ma io non so nulla...! Io non sono uomo di sangue.... io sono venuto
via...; perchè..., perchè.... da sacerdote non era al mio posto....
«Dunque i nostri saranno mezzi morti!» chiesero le due donne ad un
tempo.
«Morti?--rispose il pievano--altro che morti! Scriva, scriva al suo
Giuliano, gli scriva che venga a benedire la rivoluzione di Francia!
Sciocchi! sciocchi! sciocchi!...... Basta! sia che Dio vuole, io non
me ne immischio; Placidia, io me ne vado a letto, che non mi reggo
più...!»
A quella tirata di Don Apollinare, la signora Maddalena, rimase
coll'anima come rannicchiata e timorosa. E stava per chiedere licenza
d'andarsene; quando s'udì fuori sul piazzale un gridar forte di donne,
e un piagnisteo di fanciulli, che parevano in grande desolazione.
«Che son già qui i Francesi?» sclamò don Apollinare balzando in piedi;
e Placidia:
«No..., sono donne che vengono a chiedere dei loro uomini....
«Non so nulla.... non so nulla io!.... aspettino e vedranno... vado a
dormire..., non so nulla..., sono ammalato!...»
E senza dire nè ai nè bai, alla signora Maddalena; s'andò a chiudere
in camera, si mise a letto, si coperse di quante coltri e panni potè
trovare; e colla testa tra due guanciali, stette come fosse mezzo
dicembre, non addandosi del calore, della fame, della sete, di nulla.
La signora Maddalena prese commiato da donna Placidia, e lasciolla a
far spallucce colle mani e cogli occhi alzati al soffitto, come a
dire: «rimettiamoci nel Signore». Fuori del presbiterio fu affollata
dalle donne piangenti, alle quali diede speranze e parole cortesi; e
tornò a casa sua pensando sempre a Giuliano; il quale, se un certo
guizzo visto negli occhi di don Apollinare, non mentiva, o prima o poi
avrebbe avuto a fare col prete implacabile. Di che fu persuasa ognora
più, che le bisognava stare tutt'occhi, perchè costui non l'avesse a
cogliere in qualche maniera.
Quella notte poi, e l'indomani, e il giorno appresso, giunsero alla
sfilata quei della pieve, tornati dall'impresa infelice. Ne spuntavano
da tutte le parti; e chi avendo gettate le armi, chi camminando carico
di falci, di forcoli o d'altri arnesi in capo a quei due giorni, tutti
erano rivenuti, salvo che Mattia. Del quale non si riseppe nulla:
perchè il villano che l'aveva visto cadere in mano degli Alemanni, o
paura o vergogna tacque di quella ventura. Pochi si dolsero per lui,
perchè ognuno aveva a rallegrarsi di sè stesso; nè lo pianse la
moglie. Costei, l'aspettò una settimana giusta; e quando le parve
d'avere aspettato invano, sedendo al telaio e pigiando le calcole,
cantò una sua frottola con questo ritornello strano:
E se non torna il cuculo in aprile,
È morto è morto, il povero animale.
Non v'era rima; ma essa pigliava diletto a cantare, perchè le pareva
di dire al mondo, che nulla le spiaceva d'essere al buio sulle sorti
di suo marito: dal quale aveva sempre buscato più ceffate che carezze.
A poco a poco il terrore della calata dei Francesi si quetò; e si
rimase nella vallata con questa notizia, che gli Alemanni s'erano
tenuti in forza sui monti di San Giacomo, del Settapani e degli altri,
i quali a foggia di cortina stanno tra le valli della Bormida e il
mare. A quel che si diceva, i Francesi sebbene vincitori, non osavano
avventurarsi di qua dell'Apennino: i popoli respirarono; ognuno attese
a mettere in salvo le cose di pregio; non si vedeva l'ora d'aver
tirato in casa i ricolti; i preti tornavano a predicare la crociata
contro gli invasori ma non erano creduti; e intanto si avanzavano i
grandi giorni d'estate.


CAPITOLO IX.

Sul pensiero che Don Apollinare non aveva peranco smesso il rancore
rimastogli contro Giuliano; nacque nella mente della signora Maddalena
quest'altro, che Don Marco, non essendosi più fatto vivo, avesse
dimenticato lei, il suo figliuolo e il caso doloroso d'un amore, in
cui la sventura pareva aver posta la mano. Fosse stata a vedere come
il povero prete s'annuvolava ogni volta che pensava a queste cose; e
all'animo suo delicato sarebbe parso d'offenderlo, e di aggiungere un
dolore ai tanti che gli contristavano la vita. Egli s'era messo in via
almeno dieci volte, per andare alla villa del signor Fedele, e vedervi
da sè quello di cui non avrebbe osato chiedere a chicchessia: ma non
era mai giunto sino a quella, non potendo vincere una ripugnanza
confusa, che gli nasceva appena arrivato a scoprire la palazzina. Si
soffermava a guardarla, ondeggiava un tantino tra il tirare innanzi e
lo starsi; poi dava di volta e tornava a casa accorato. E in verità,
se il signor Fedele gli avesse chiesto in nome di chi veniva a
mescolarsi nelle cose sue; quale risposta, avrebbe potuto fargli,
sebbene fossero amici dell'infanzia? Forse che istruito di certe
istorie, andava a lui per consigliarlo? Ma questi consigli chi glieli
aveva chiesti? O non v'andando da amico, doveva dire che da prete, gli
recava la parola del Signore? Don Marco non aveva osato mai chiamarsi
ministro di Dio, di cui sapeva tenersi da nominare invano insino al
nome. E così, aggiungendosi che forse la sua visita avrebbe nuociuto a
Bianca; finiva sempre lasciando al tempo che facesse lui.
Quell'Alemanno, coll'essere lontano, si sarebbe fors'anco scordato
della fanciulla; e a conti fatti le gite intraprese verso la
palazzina, s'erano tutte mutate in passeggiate meste e solitarie.
Tornava appunto da una di queste, quando intese che le genti di val di
Bormida rivenivano scompigliate dalla spedizione; e per non vedere lo
spettacolo che doveva essere nelle vie del borgo, si ridusse a casa
per il senteruolo a piè delle mura, fatto altra volta in compagnia
della signora Maddalena. Si chiuse con diligenza, e udendo i briachi
cantare in brigata scempiatamente, accostò gli scurini; poi essendo
l'ora dell'imbrunire, si mise a letto e s'addormentò, con un cuore che
gli diceva cose poco liete di sè, ma anche meno del mondo. Sognò sin
verso il mattino mille mestizie; ma quando fu vicina l'ora in cui
soleva destarsi, vedeva i cieli nuovi e la terra nuova, promessi
nell'Apocalisse. Al rompere dell'alba gli si ruppe il sonno, e aperti
gli occhi sorrise e disse: alle volte si sognano cose sì belle, che
peccato non dormire per sempre.
Si vestì alla lesta, e fattosi sul terrazzino, stette ad ascoltare se
s'udissero ancora i rumori della sera innanzi. Suonava nei boschi un
ultimo corno, se pur non era il muggito di qualche giovenca, discesa
ad abbeverarsi al torrente. Ne fu quasi lieto; e guardò a lungo il
cielo, che in quei mattini di maggio pare tutto un primo amore, anco
le nuvole, se ve ne sono a veleggiarlo.
Ma abbassando gli occhi sulla casa del signor Fedele lì in faccia, si
rifece pensoso, gli parve di vedere Giuliano tendere a lui le mani da
lungi supplicando, e di udirlo dire: «o maestro, e perchè mi ha fatto
dire da mia madre che si sarebbe adoperato per me col signor Fedele?
Io non mi sarei mai allontanato dai luoghi dove mi si toglie la donna
mia; maestro, se la sposeranno ad un altro, udirà parlare della mia
morte. Perchè m'ha tradito?»
«Sicuro!--sclamò Don Marco--se un guaio avvenisse, io ne sarei in
parte cagione... Questa volta anderò ad ogni costo!»
Così dicendo uscì, stupito di non trovare alla porta il passeraio di
fanciulli che vi si raccoglievano ogni mattina, per andargli a servire
la messa: ma tosto conobbe il perchè di quella assenza strana.
Dopo i fuggiaschi paesani, arrivavano i piemontesi e gli alemanni,
feriti due giorni innanzi dalle parti di Loano; e il popolo traeva
fuori le mura del borgo ad incontrarli, recando pannolini, ristori,
con quel pronto animo che in esso non muore mai.
Ai lamenti che venivano dal prato, dove quei miseri venivano deposti
di sui muli, e di sulle barelle, il buon prete si sentì schiantar
dentro dalla passione. Ne vide di tutti i gradi e di tutti gli
aspetti: visi robusti da star bene nei quadri di Salvator Rosa; faccie
pallide, ed occhi come ne dipinse Schaeffer nelle sue meste tele: qua
una voce di subalpino chiedeva aiuto; là un tedesco invocava il suo
Got; e non era da ridere se qualche donnicciola rispondesse alla
invocazione, porgendo un gotto d'acqua, che il poveretto beveva,
inconsci dell'equivoco esso e l'altra.
Don Marco fattosi in mezzo a quel dolore, cominciò a darsi attorno a
spacciar uno di qua, a chiamar l'altro di là; e quale in questa, quale
in quella casa, faceva ricoverare quei dolenti, che gli volgevano
occhiate piene di gratitudine e d'amore; perchè giunto lui pareva, che
fosse capitato ad ognuno la madre od una sorella. Si diceva che dei
feriti, ve n'erano ancora molti tra via, sebbene paressero già troppi
quelli arrivati: e nella furia di torsi dai piedi alcuni che morivano
lì di stento; parecchi se ne portavano a seppellire, che non erano per
anco spirati. In un campicello a ridosso del borgo, cinque o sei
marrani lavoravano a scavar fosse: venivano i soldati coi morti e coi
morenti sulle spalle, e li buttavano nelle buche, che poveretti
s'aggrappavano ancora alle prode per tornar fuori; ma una zappata sul
cranio e una palata di terra sulla bocca, troncavano il grido
disperato e il pensiero della famiglia lontana. Se ne racconta
tuttavia ai nostri giorni, e si sanno le ultime parole di quei miseri,
sin dai fanciulli; i quali, dopo scuola, vanno a ruzzare in quel
campicello; e la sera ne fuggono, spauriti dai fuochi fatui, che
scambiano per l'anime di quei sepolti vivi.
Nell'opera di misericordia, don Marco ebbe compagni alcuni preti del
borgo, e cinque o sei frati del convento venuti, all'annunzio,
volonterosi. Ma non era tra questi il padre Anacleto, il quale per
nulla al mondo si sarebbe staccato da Bianca; bisognosa di lui,
sanatore dell'anima sua. In quei pochi giorni, aveva fatto con essa
molto cammino sulla via della salute; e mi duole non poterlo mostrare
che in fretta e quasi di scorcio, nei suoi portamenti. Si ricorda il
lettore, che l'avevamo lasciato in refettorio, a fantasticare sopra un
dipinto? Ebbene; egli non aveva voluto por tempo in mezzo, e sin
dall'indomani era tornato alla palazzina. Trovata Bianca che scerpava
erbe sotto il pergolato, e ne dava ad un agnellino nato di fresco;
s'era fermato a guardare la fanciulla e l'animaletto vezzoso, che ora
le saltellava attorno; ora spiccava corse, sprigionando un'allegrezza
tenuta dentro a fatica; ora ruzzolava in un fossato: e Bianca
sorrideva.
Appena vide il frate, la giovinetta si fece ad incontrarlo; e rifatta
la storia del baciamano, gli diede notizie della famiglia, di che egli
si rallegrò e disse:
«Bianca, tu mi sembri più contenta, o almeno quella tua tetraggine, si
è risolta in una malinconia dolce, che se ti fiderai di me diventerà
allegrezza.
«E di chi dovrei fidarmi più?--rispose la fanciulla:--ho pensato tutta
la notte a quelle cose che mi disse ieri; e l'idea del monastero, me
l'ho quasi levata dal cuore.
«Ah!... quello era il mal passo! E dire che una volta messo il piede
innanzi non lo si può più ritrarre! Gli è come a sposarsi; cari o no,
son nodi che stretti una volta, la sola morte può sciorli...
«Oh sì...!--sclamò Bianca ponendo sè colla mente in ben altro campo,
che non era quello in cui il frate la voleva tenere; ma egli accorto
le troncò la parola, e riprese:
«Sì! sì! sì! tu dici, ma non sai nulla. Voi giovinette, a udirvi,
conoscete il mondo più d'ogni vecchio...! E poi...; che sai tu? neanco
la storia di quel nome, che ieri non mi volesti dire, e che adesso io
so assai bene...; e ti debbo dire che, l'ira nobilissima da cui fosti
presa udendomi chiamar indegno colui..., era mal consigliata da un
affetto malissimo posto...!»
Questo dire sicuro e solenne, prostrò l'animo di Bianca, la quale a
prima giunta pareva volersi levare a nuova difese.
«Padre--rispose essa chinando il capo, e poco dopo alzando gli occhi a
lui, nell'atto in cui vediamo dipinte le sante sofferenti estasi
dolorose:--io non so chi le abbia detto quel nome; io sono una povera
creatura che diventerà scema; e non so che una cosa. Da un mese in qua
mi si è oscurato il cuore; mi par d'essere in fondo a un abisso; a
momenti m'agguanterei, per uscirne, a ferri infuocati; a momenti
vorrei starvi per sempre, nè rivedere più il mondo, nè me stessa...!
«E di Giuliano... di questo giovane cui pare abbiano dato il nome
dell'apostata sin dal sacro fonte, presaghi di quello che sarebbe
diventato...; di questo Giuliano che legge libri proibiti, che non va
in chiesa, non fa la pasqua, oltraggia i ministri dell'altare; e deve
essere scritto a qualcuna di quelle Società, in cui si beve sangue
facendo il patto; e s'impara il segreto infernale di mutarsi in
qualunque bestia per far malefici; e si giura morte ai sacerdoti e a
Dio: di questo Giuliano, tu non le sapevi le belle cose che io ti
dico, coll'anima che mi trema dentro, e colle labbra scottate dalle
parole che mi paiono carboni accesi?»
A questo segno e senza quasi addarsene, il frate si trovava colle
braccia aperte, la persona curva, l'occhio intento su Bianca; la quale
vinta a poco a poco, s'era lasciata cadere ginocchioni atterrita; e
teneva il viso alto, sicchè la barba di lui le ondeggiava sul collo e
sul seno. L'agnellino li guardava coll'occhio stupefatto
dell'innocenza; e pareva un simbolo, in un quadro dove fosse dipinto
un esorcismo.
Oh! che pallidezza! che cuore era quello di Bianca! D'amare Giuliano,
non s'era confidata mai, salvo che a Don Marco, alla signora
Maddalena, e alla zia Maria: ora il frate, come aveva saputo quel
nome, e come i segreti del giovane, gli orribili segreti, che erano
per essa più che la scoperta d'un cadavere di lebbroso, nel sito ove
credeva nascosto un tesoro?
«Alzati, va e piangi! le disse il padre Anacleto;--piangi che il
Signore lo vuole; ed io pregherò che ti perdoni d'aver amato un empio;
e pregalo tu pure per lui come faresti per un'anima del purgatorio.
Domani tornerò.»
E con passo spedito s'allontanò e disparve.
«Dio della misericordia!--sclamò la fanciulla--pigliatemi, pigliatemi
che al mondo non ci faccio più nulla! O Giuliano, e che ci venivate a
fare in chiesa, se avete giurato morte a Dio e ai sacerdoti...?
L'avessi saputo, e mi sarei nascosta fin nei sepolcri, piuttosto che
guardarvi...! Eppure..., egli mi pareva più buono di quel bell'angelo
dipinto sopra l'altare, col fanciullo per mano che fugge al pesce
mostruoso.... Somigliare a quell'angelo, e sprezzar Dio...!»--Qui
sentendosi lambire la mano dall'agnellino, gli prese la testa, e
parlando all'animale innocente;--mi uccidono, mi uccidono--diceva--come
faranno a te, e nessuno dirà, povera Bianca!»
Non potè piangere, ma lentamente si rimise a vagare su e giù; mentre
il signor Fedele che aveva visto ogni cosa dal buco d'una impannata,
la guardava e gioiva.
Il padre Anacleto tornò l'indimani, e il giorno appresso, e l'altro e
l'altro; coll'accorgimento d'un medico di villaggio, che sappia farsi
vedere in tempo acconcio dall'ammalato. Gli bastava una parola,
un'occhiata a sapere l'animo di Bianca; ed era lieto di sè, perchè gli
pareva d'averla, in meno che non credeva, tirata alla riva, donde
rivolta addietro, avrebbe poi veduto l'acque pericolose, in cui senza
lui sarebbe affogata.
Al quinto giorno, proprio quello in cui, se non avvenivano in C... le
cose narrate qui sopra, si incontrava con Don Marco nella palazzina
del signor Fedele; egli ed il leguleio stavano a consigliarsi l'un
l'altro; ancora sotto quel pergolato di cui il lettore può essere
sazio, ma che per essi era una delizia.
Avevano almeno dieci volte preso a parlare di Bianca; ma il discorso
uscendo di carreggiata, li portava sull'argomento della guerra, e
della spedizione, vista da essi moversi e tornare in quella guisa
vergognosa. Parlavano e sentenziavano ora da uomini di grand'animo,
ora facendo lor conti da femminette paurose; e mentre il signor Fedele
diceva che quello di cui più si sentiva afflitto, era il non saper
nulla del barone; gli seguì un caso maraviglioso. Davano appunto di
volta in capo al pergolato, col nome dell'Alemanno in sulle labbra; e
videro venire di buona gamba il procaccio di C..., il quale teneva in
una mano una lettera, nell'altra il cappello che si era tolto di sul
capo, appena giunto in vista ad essi due. Costui baciò il cordone al
frate, inchinò tre volte il signor Fedele; poi mostrandosi affannato
più che non fosse davvero, disse a quest'ultimo:
«Signoria, don Marco mi manda con questa lettera; ho fatto come il
vento, ed eccomi, fui qui in uno sbadiglio di gallo...
«Don Marco! pensò tra sè il frate, mentre l'altro leggeva la
lettera;--o che vuole don Marco...?
Glielo chiarì il signor Fedele ponendogli sotto gli occhi il foglio; e
gridando al procaccio: «Corri, va, e dì a don Marco che volo; corri,
sei qui ancora, lumacone?...» Il pover'uomo spinto da lui ripartì;
forse pensando da chi avrebbe toccata la mercede di quella sua fatica;
chè quanto al signor Fedele non buscarla subito, voleva dire non
buscarla mai più; piacendo al leguleio d'essere stimato, in queste
cose, uomo di corta memoria. La mancia l'avrà avuta da don Marco; il
biglietto del quale, diceva alla lesta, com'egli avesse in casa il
barone, ferito malamente; corresse a vederlo, che il poveretto non
voleva altri che lui!
«Sono segni del cielo! Corri tu pure,--disse il frate al signor
Fedele--e trova modo di portar qua il barone... Chi sa? La compassione
può dare l'ultimo ajuto a movere l'animo di Bianca... va.»
In quattro passi il signor Fedele fu in casa; in altri quattro tornò
sul prato con panni da gentiluomo indosso: e stretta la mano al frate
e dettogli che alle donne aveva nascosto il perchè della sua andata al
borgo; rimasero che questi sarebbe stato attorno alla fanciulla, per
disporla a quelle accoglienze ch'essa doveva usare al barone; dove per
buona sorte lo si fosse potuto trasportare alla palazzina. Con questo
l'uno partì, e l'altro salì dalle signore.
Bianca e Margherita lavoravano di cucito, vicine alla zia Maria; cui
la gioia di riaverle, come essa diceva, sotto gli occhi, dava nel viso
una bella rallegratura. La minorella era gaia, e Bianca silenziosa:
dire che non fosse mesta sarebbe troppa bugia, ma un po' più serena la
pareva davvero; e se n'era accorta sin la cieca, la quale diceva di
conoscerla al colore del viso, ma in verità l'argomentava dai sospiri
di lei meno frequenti.
Il frate si mescolò alla buona nei loro discorsi; e studiando di farsi
posto in questi, per la faccenda che voleva dare a capire; guardava
traverso la finestra, le belle ruine del castello di C... le quali si
vedevano dalla sala assai bene.
«Che guarda, signor padre? uscì a dire Margherita, che vispa com'era
aveva gli occhi su tutto, e usava colle persone un ultimo avanzo di
dimestichezza infantile.
«Io guardo,--rispondeva egli, trovando da maestro quel che gli
bisognava, senza togliere l'occhio dalla bella vista in cui pareva
assorto--io guardo quei comignoli laggiù del castello, e penso che
darei un anno della mia vita, per poter vedere, non fosse che un'ora,
il castello, i baroni, il popolo del borgo e tutte le cose, com'erano,
per esempio, seicent'anni or sono...; quando le castellane vivevano da
sante, e i cavalieri andavano e tornavano di Palestina, pieni di fede,
carichi d'armi, a conquistare il Santo Sepolcro e il regno dei
cieli...
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