Le rive della Bormida nel 1794 - 06

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dolorosa, e stesa la destra lo segnò leggermente dalla fronte al
petto, come usava fargli da bambino, appena adagiatolo nella culla
prima di coprirlo. Così facendo non osava neanche fiatare dalla tema
che destandosi se ne avesse a male; poi in punta di piedi uscì di
quella camera, e discese nella sua, dove stette un'altra mezz'ora a
pregare per sè e per lui.
Marta vegliava a terreno, menando i ferruzzi a fare la calza, e stava
tutta orecchi. Ma per tutta la notte non udì nulla mai, salvo che la
gatta, la quale aggomitolata sul seggiolone della signora, faceva le
sue perpetue fusa. La vecchia bestia si destava di quando in quando, e
porgeva orecchio anch'essa, non se udisse birri a venire, ma allo
sgrigliolio dei ferruzzi di Marta, scambiandolo forse pel rosicchiare
d'un sorcio. Vedendo la fantesca, chinava la testa, e subito si
rimetteva a ronfare.
Come si fu messo un po' d'albore, e s'udì Rocco parlare colle due
bestie arnesando; Marta aperse la finestra della cucina e s'affacciò.
O l'aria del mattino le spianasse le rughe, o la lunga veglia avesse
potuto nulla sopra di lei, essa era come si fosse levata allora allora
da letto. Chiamò la signora Maddalena, e poco dopo Giuliano discendeva
anch'egli vestito e stivalato, pronto a partire. Egli si trattenne con
sua madre, a parlar con grande passione; disse, ascoltò, promise tutto
quel ch'essa volle; bevve una tazza di latte, mangiò un pane; poi
baciata la mano a lei, e strettala a Marta, uscì sul piazzale e fu in
sella d'un balzo. Rocco montò un po' meno agile sul bardotto, avendo
in groppa il fardello del giovane; e questi innanzi, ed egli dopo,
pigliarono la stradicciuola, che menava a varcare i monti, pei quali
le due valli della Bormida sono divise.
Le donne stettero a guardargli dietro, e v'era poco discosto Tecla,
venuta quella mattina più sollecita dell'altre volte, a recar latte
per la famiglia. Tenutasi in disparte, finchè essi furono partiti,
aveva gli occhi lagrimosi, e pareva accorata. Marta fattalesi
all'orecchio, le bisbigliò: «che piangi, sciocca? Va altrove, che la
padrona ha bisogno di tutt'altro che di vedere le tue lagrime. Va, va,
che tuo padre tornerà, e di qui a stassera non c'è molto».
Tecla se n'andò, lasciando la vecchia punto dubbiosa di avere
indovinata la cagione del suo pianto; e questa rientrò in casa colla
signora. La quale sfatta per quel che aveva patito dal giorno innanzi,
sedette come persona inferma; e voltasi alla fantesca le disse:
«Marta; e tutta la paura che ebbimo del pievano? Fummo pur pronti a
pensar male....
«Che vuole!--rispose Marta--ieri mattina egli se n'è andato così
furioso; il signorino glie ne aveva dette di così grosse! Ho fatto i
giudizi temerari.... povera me, chi si salverà farà la gran bella
giornata....!»
In verità, sebbene i fatti dessero ragione ai pentimenti di Marta, il
pievano s'era partito il dì innanzi da quella casa, proprio col
proposito di pigliar vendetta a suo modo del giovane giacobino.
Risalendo in castello v'aveva meditato sopra, e non vedeva l'ora
d'averlo tra le mani senonchè, rientrando nel presbiterio, s'era
abbattuto in donna Placidia che gli porgeva una lettera, suggellata
grossamente con cera di Spagna, e il Minore Osservante che gli si
faceva incontro, dicendo in tuon di celia:
«Non ha gli occhi cavati, non il naso tagliato, non gli orecchi mozzi,
dunque gli infedeli si sono convertiti....?»
«Ah! padre,--sclamò il pievano, cui il sangue rimescolato dalla
procella di poco prima, flottava tuttavia assai forte,--ella parla
d'infedeli per celia, ma qui nella mia pieve ho di peggio! Qui vi sono
i rinnegati....
«Rinnegati!--urlò il frate battendo insieme le palme:--Che mi dice mai
rinnegati? O le mie prediche? Ne parlerò domenica dando la benedizione
papale.
«Eh! il rinnegato non ha visto nè lei nè la chiesa! Altro che
prediche...! Adesso vado a C.... mi presento al generale Alemanno, gli
dico le cose; e quel Giuliano laggiù, cui non fanno paura nè Dio nè
Santi, quel Giuliano laggiù che vuol fare scuola di religione e di
morale a me..., lo colgo e l'aggiusto io! Placidia, dite a Mattia che
ponga la bardella sulla giumenta...»
Parlando alla sorella, si rammentò della lettera che essa gli aveva
data; e mentre il Minore Osservante rispondeva alla sfuriata di lui,
con un'altra sfuriata, come dicessero i salmi un verso per ciascuno;
egli alzò il suggello, aperse il foglio, vi piantò gli occhi sopra, e
lesse colla mente:
«Molto reverendissimo signor pievano. Vengo con questo piccolo foglio
a farle sapere, che questa volta i regicidi, scomunicati, scellerati
Francesi, hanno il diavolo dalla loro; perchè i nostri vengono
perdendo, dalla marina verso in qua ogni giorno. Sui monti di Nizza,
fu ieri grosso parapiglia, e per quel che so se il Dio di Sabaot non
ci aiuta, finirà male. Le dico che non dormo nè dì nè notte, e se mai
avessi a fuggire, faccio conto di venire da lei, per scampare da quei
briganti, e con questo mi sottoscrivo.
«Sì sì! sottoscrivi e vieni!--sclamò don Apollinare diventato
tutt'altr'uomo nella voce, nel gesto, nel viso;--vieni e mi troverai
qui colle braccia aperte!....
«Che è? che è?--dissero ad un tempo il frate e donna Placidia, mossi
dal turbamento di lui, che aveva parlato ansando come chi patisse
d'asma.
«C'è che i Francesi ci coglieranno colle calze bracaloni! Legga padre,
legga quel che scrive il Rettore di Montefreddo!»
Il frate prese la lettera e lesse ad alta voce; donna Placidia si
cacciò la mano nella saccoccia del grembiale, si recò tra le dita i
pippori del suo rosario, e per poco non recitò la preghiera che soleva
allo scoppiare dei temporali: «Santa Barbara, San Simone, liberatemi
dal lampo e dal tuono.» Il pievano poi, mentre l'altro leggeva,
cercato un suo vecchio cannocchiale, pose la mira sulle gole dei monti
verso la marina, là dove sapeva di scoprire Montefreddo; terricciuola
sulle creste dell'Appennino dalla quale la lettera veniva. Non durò
fatica a vederne il campanile biancheggiante nel verde degli abeti,
come vela solitaria in golfo lontano; e solo si tolse dall'occhio
quell'arnese, quando il frate, letta la lettera una e due volte, gli
disse:
«Signor pievano, mi pare che sarebbe da uomo prudente aver pazienza,
circa a quel giovinotto di cui parlavamo or ora...
«Ben detto! sclamò il pievano--non è tempo da cercarsi nemici. Ma!
Eravamo così tranquilli! Si faceva il dover nostro e stavamo come il
pesce in mare! Bisognava che i Francesi diventassero pazzi, per darci
queste noie...!»
Qui entrarono in ragionamenti che a noi non fanno gioco, e finirono
mettendo in disparte ogni pensiero di conciar Giuliano alla loro
maniera. L'indomani poi quando lo seppero partito, l'uno e l'altro
rallegrandosi assai di quella partenza, la chiamarono fuga, e se ne
lodarono molto.
In questa guisa Giuliano potè andarsene libero, ma la signora
Maddalena e Marta, ignorando le intenzioni avute dal pievano, rimasero
con una sorta di rimorso pei giudizi temerari fatti sopra di lui.


CAPITOLO V.

Vada Giuliano in buona ventura senza che mi pigli vaghezza di
cavalcargli in groppa. Allora non mi potrei tenere dal descrivere i
monti e le valli per cui aveva a passare, e sarebbe troppa tela. Dirò
soltanto come quel giorno a notte chiusa, Rocco rivenisse menando a
mano la giumenta del giovane, e smontasse alla porta della signora; la
quale volle dargli cena con sè, e gli fece raccontare dell'andata, e
dei discorsi, che, egli disse, erano stati corti e mesti. Tra via non
avevano avuto altra molestia che di sentirsi, ad ogni tratto, chiedere
novelle dei Francesi; e il colono s'era scompagnato dal padrone in sul
mezzodì, lasciandolo in Alba all'osteria chiamata un tempo dello Scudo
di Francia; donde faceva conto di riporsi in via l'indimani al proprio
destino.
Così i nuvoloni addensatisi sul tetto della signora Maddalena, erano
dissipati dal vento che soffiava dall'Apennino, portando innanzi al
suo furore, altri nuvoloni gravidi di maggior tempesta. E già si
sentiva quanto sarebbe stata furiosa nello scoppiare; soltanto a
vedere come a C.... corressero giorni di gran travaglio, per la
soldatesca, che vi aveva le stanze da parecchi mesi. Il generale
Alemanno pareva sulle brage, attendendo di Lombardia aiuti che non
capitavano mai; ed in cambio gli giungevano ogni tantino cavalieri in
gran diligenza, i quali venivano dalle montagne verso la marina, per
quello che si poteva argomentare, portatori di novelle non liete. A
poco a poco, il popolo indovinava le verità tenute nascoste; e già si
sapeva che i Francesi, in sul cominciar dell'aprile, ripigliate le
offese, si ricattavano assai bene dei danni patiti l'anno innanzi, per
forza dei Piemontesi, i quali gli avevano fugati a Raus, e afflitti di
molte morti. Adesso tornavano grossi e minacciosi, e sebbene per
quell'anno non fossero ancora venuti a battaglia di campo, tuttavia
l'aspetto delle cose era da far presagire che sarebbero usciti
vincitori.
In casa al signor Fedele, qualcuno aveva aperto il cuore alle voci di
prossimi eventi, e Bianca sentiva una dolce promessa, da quell'aria
procellosa che ho detto. Dopo che s'era confidata colla zia dell'amor
suo per Giuliano, dicendo che tra l'Alemanno e la morte avrebbe scelta
quest'ultima; la povera cieca, consigliatasi con Don Marco, la
confortava a persistere nel rifiuto, ma con dolcezza. Il buon prete,
ogni volta che lo poteva, dava ad esse novelle di quelle parti, donde
rivenivano soldati piemontesi o alemanni feriti, narrando cose
dell'altro mondo; e sgomentando i compagni che vi s'avviavano
melanconici, come persone che sapessero d'andare a certa morte. Egli e
le donne, ne provavano pietà; ma facevano voti per i loro nemici; il
prete sperando da questi miglior vita pel popolo; esse pensando che a
vincere il signor Fedele, nulla avrebbe giovato se non la calata di
quei Francesi, i quali per quanto male si udisse di loro, alla fine
delle fini dovevano essere uomini anch'essi. Era vero che si potevano
credere cose terribili, a vedere le centinaia di famiglie liguri, che
capitavano ogni giorno, coi loro preti, in lunghissime processioni:
gli uomini carichi di masserizie; le donne coi bambini in sulle
spalle; i vecchi menati dai nipoti, scalzi, piangolosi, affamati; ma
che valeva? Interrogati come avessero abbandonati i loro villaggi, non
sapevano che si dire; e coll'aspetto di chi va, nè sa perchè mova, nè
dove riesca, narravano di danni patiti di casi atroci avvenuti nei
borghi vicini. A conti fatti venivano cacciati a quel modo dalla
paura. Maria poneva mente a una cosa, ed era che non s'udiva
raccontare da quella gente, che i Francesi avessero fatto onta alle
donne. E da questo traeva conforto a sperare, che il diavolo fosse men
brutto di quello si credeva; perchè se i Francesi rispettavano le
donne, di certo erano in tutto migliori degli Alemanni; questi avendo
dato a parlare di violenze fatte qua e là a donne del contado, che per
quello se ne diceva non erano state poche. E non si tenevano dal
menarne vanto i loro uffiziali, chè anzi vi facevano sopra le grosse
risate; e la cieca che sapeva queste cose da don Marco, pensava come
la pensarono indi a poco i popoli delle Langhe, i quali lasciarono per
ricordo un proverbio che diceva di quei Francesi d'allora «meglio essi
nemici, che gli Alemanni amici.»
Ma sino a quel punto, i più non vedevano altro Dio che costoro; e come
dèi gli adorava Marocco, vecchio volpone, che conduceva in C.... un
caffeuccio, proprio in sulla piazzetta del borgo. Egli se gli era
tenuti sempre bene edificati, e si dava attorno a servirli colla
moglie che aveva bella: nè faceva segno di recarsene, dove questa
sorridesse ad alcuno di essi, o rispondesse piacevolmente ai loro
motti arditi. Pur di brancicar monete, sarebbe stato ad occhi chiusi
tutta la vita; e già dacchè gli Alemanni erano nel borgo, aveva messo
in serbo di belle doppie. La sua era una botteguccia a modo, e antica
al mestiere che ei vi faceva dentro; come si vedeva all'insegna sopra
la porta, dalla quale si sarebbe potuto cavare la più bella vignetta,
che abbia mai ornato frontispizio di poema eroicomico. Era una tavola,
dipinta di molte figure, che volevano essere la meglio parte soldati,
assorti in enormi stivaloni, e stranamente ingoffitti da immani
cappellacci. Effigiati com'erano a sedere, guai se quei soldati si
fossero levati in piedi; e peggio se in atto di scaraventare i
bicchieri e le bottiglie che avevano innanzi; i cocci ne sarebbero
andati sin chi sa dove, tanto erano tremendi in vista, pei mostacchi
non più veduti, e per occhi che mostravano il bianco, come di cani
ringhiosi. A ciascuna di quelle figuracce, Marocco sapeva dare un
nome; e a udirlo, erano ritratti d'antichi Uffiziali del Re di
Sardegna, stati a presidio nel borgo, per far la guardia alla
repubblica di Genova, che non entrasse in corpo al loro Sovrano.
Questo era un gran giocator di pallone; quest'altro amoreggiava la
madre d'una signora del borgo, che viveva ancora; quello faceva tremar
la gente solo che s'affacciasse alla finestra... Marocco conosceva di
tutti vita e miracoli, sapeva dov'erano nati, dove morti, e fino dove
sepolti. «La mia bottega, diceva egli mescendo agli Alemanni, fu
sempre il convegno dei valorosi! Il conte tale, il cavalier tale,
tutti nobiloni dei primi casati del regno, venivano qui, ed erano
soldati allegri e spenditori; ma come loro signori, in coscienza non
ve n'ho avuti mai!» E pigliava un gusto matto, a farsene far fede dai
signorelli del borgo, i quali venivano a giuocare un tantino in sul
desinare; cari una volta ora gabbati da Marocco, che si faceva udire a
chiamargli scaldapanche. Buscava da essi qualche scapellotto, ma pur
di far ridere i suoi signori Alemanni, non vi badava.
Un giorno, (che non monta sapere qual fosse, o decimo o ventesimo dalla
partenza di Giuliano da D....); nella bottega di Marocco, si faceva un
gran dire della guerra ricominciata. Era voce che il generale Alemanno
avesse ricevuto ordine di recarsi con tutta l'oste verso Nizza; perchè
i Francesi venivano, cacciando di là i Piemontesi, vinti a Dolceaqua,
al colle delle Forche, a Raus, e si parlava della rocca di Saorgio
investita. I discorsi s'incrociavano come spade, e tutti parevano là
dentro sulle brage, pel gran desiderio di menar le mani. Un solo non si
mescolava in quei fervori; ed era quell'uffiziale, che si sentiva
morire di Bianca, e non vedeva l'ora di poterla sposare. Stava raccolto
in un angolo, gomitoni su d'un deschetto, che sebbene fosse sodo,
pareva lì per isfasciarsi sotto quel peso. Di tanto in tanto beveva un
sorso d'acquavite ad un grosso bicchiere che aveva innanzi; e chi
avesse potuto vedere i sussulti del suo cuore, di certo diceva che
bevesse per darsi coraggio, a udire i compagni parlare in quei modi di
guerra e di morte. E sì che egli era prode e cimentoso; nè si conosceva
chi fosse più esperto di lui, a condurre partite notturne, a farla da
scorgitore, a caricare il nemico menandogli addosso una ruina di
cavalli: ma tant'è non poteva farsi vivo, e stava mesto in quella
guisa; quando capitò alla bottega un giovano trombetto, il quale, data
un'occhiata intorno, gli fu dinanzi, e fatto quella sorta di
scambietto, che gli ussari costumano nel salutare, recossi la mano alla
visiera e gli disse: «signor uffiziale, il generale la vuole.»
L'uffiziale accennò d'aver capito, il trombetto ripartì ed egli gli
tenne dietro, lontano pochi passi.
Il generale era un vecchio prode della guerra dei sette anni, ed abitava
di faccia alla chiesa, una delle migliori case del borgo. I signori che
l'albergavano, s'erano ridotti stretti da averne disagio; ma pur di
piacere a quell'uomo rigido e sornione, pur d'averne un sorriso benevolo,
si sarebbero acconciati a star sui solai: e nelle molte stanze occupate
da lui, avevano accozzati quanti arredi e quadri tenevano in casa, che
pareva una dogana. Le volte che egli gli degnava, si sbracciavano a
mostrarsi più alemanni di lui: e rammentavano d'aver visti i proprii
padri e tutto il borgo, piangere nell'anno 1737, ch'essi chiamavano
sottovoce funesto, perchè le novanta terre delle Langhe erano state
cedute in quello, dall'Imperatore al Re di Sardegna. Narravano, con
sazievole loquacità, a tutta la canatteria di soldati scribi, ond'era
ingombro il quartiere, come avessero avuto uno zio, morto a Belgrado,
capitano ai servigi dell'Impero; e ne ponevano in mostra il ritratto,
meravigliando che quei soldati non s'inginocchiassero a salutarlo.
Quel giorno, in quella casa, tutti s'erano accorti del tempo ch'era
cattivo: e quando videro l'uffiziale entrar dal generale, lo
salutarono, gli fecero dietro gli occhi grossi; e osarono
compiangerlo, perchè certo andava a farsi scaricare addosso qualche
sfuriata.
Com'egli fu dentro; e vide il generale imbroncito, fece come quei
soldati, che, dovendo starsi colle armi al piede, bersaglio d'un
nemico cui non possono assalire, chinano il capo rassegnati a qual
sorta di grandine stia per cadere. Recò la destra alla visiera, e
rimase poco oltre la soglia, stecchito, gli occhi negli occhi del
generale: il petto sporto, e l'altra mano giù dall'anca, che pareva di
legno posticcia.
«Cinque passi in qua!--disse asciutto asciutto il generale.., e
l'altro avendo fatti i cinque passi contati, senza scomporsi:--Signor
uffiziale--continuò--ho qui per lei un plico, che mi si raccomanda
molto da Vienna; vi deve essere dentro la licenza datale, di sposare
una zitella di questa bicocca, e su questo non ho a ridire. Ma ella mi
ha taciuta la dimanda fatta di qua a sua Maestà; (qui salutò come se
l'Imperatore fosse stato là a udire) ella non s'è governata da quel
soldato che crede d'essere ed è. Sia grata, non a me, ma al rispetto
che ho per la sua promessa sposa, a me ignota, se mi accontento di
consigliarla a non dimenticare fra le gioie del matrimonio, che noi
siamo qui per menar colpi di spada in servizio dell'imperatore.»
E salutando una seconda volta il nome dell'Imperatore, porse la carta
all'uffiziale, che togliendola colla sinistra, e udendosi dire:
«vada», fece il suo scambietto, quasi barcollando, poi diè di volta
sui tacchi tutto d'un pezzo, lasciandone il segno profondo e polveroso
sull'ammattonato.
Sebbene le parole del generale, gli fossero parute troppo acerbe, egli
discese le scale speditamente, come uomo lieto; corse difilato al suo
quartiere, e dalla voglia spasimata di leggere quelle carte, ogni
passo gli si faceva un miglio. Appena potè alzare i sigilli e aprire i
fogli, brillò tutto nel volto e nella persona. Era proprio la licenza,
che i suoi, gente d'alto stato, gli avevano ottenuta dall'Imperatore.
Essi n'erano in collera; ma come lo sapevano uomo di forti propositi,
s'erano acconciati a quel fatto maldicendo la maliarda italiana, e
pregando per lettera il generale a vedere almeno che la sposa fosse
zitella dabbene.
Come ebbe letto, l'uffiziale si fregò le mani, si rassettò addosso i
panni, diè una scossa del capo; e via di buona gamba a casa il signor
Fedele.
Costui pareva fosse all'uscio ad aspettarlo; perchè egli non aveva per
anco stesa la mano al cordoncino del campanello, e già l'imposta
s'apriva, lasciando vedere la persona dell'arzillo leguleio; il quale
presolo per mano, lo trasse dentro con paterna dimestichezza.
Messisi a sedere, là proprio dove, giorni innanzi, la signora
Maddalena e il signor Fedele avevano avuto il colloquio che noi
sappiamo; l'uffiziale fu primo a parlare della faccenda, e dopo lungo
discorso, porse le carte allo suocero, che gli pareva un Dio....
Questi presele come roba che aveva in pratica, si pose a guardarle
ammirando l'aquile, le corone, i suggelli; tutte cose significanti la
razza gentilesca e il gran luogo ove il barone era nato. Non vi lesse
dentro, perchè non ci si sarebbe raccappezzato; ma assicurando
l'uffiziale che non era mestieri di tanto, ripose i fogli, gli strinse
le mani, vezzeggiandogliele e guardandolo in guisa, che il poveretto,
a vederlo come si lasciava fare, aveva l'aspetto d'un leone in balia
d'una volpe spelacchiata.
«Ed ora se le par tempo--disse alfine il barone dolcemente--vorrei
vedere Bianca...»
Il signor Fedele balzò ritto, come per rispondere al desiderio più
ratto del desiderio stesso; e corse per la fanciulla nell'altre
stanze, lasciando lui colla mano sul cuore pieno di un senso, che gli
rammentava gli strani ribollimenti di sangue provati sul cominciare
delle battaglie. Il pover'uomo aveva più di trent'anni, e amava come
un giovinotto di qua dai venti.
Il padre di Bianca aveva mandato innanzi il fatto sino a quel punto,
che non bisognava altro che far gli sponsali e andare in chiesa a dir
sì; nè aveva chiesto mai alla fanciulla di qual animo stesse verso
l'Alemanno, e se fosse per acconciarsi a sposarlo. Perchè non ne
dubitava nemmen per ombra, e per lui la potestà paterna non aveva
confini o rispetti. La trovò soletta a cucire nella sua camera,
dov'essa soleva stare raccolta, come le aveva consigliato don Marco.
«Animo! Bianca,--le disse--poni indosso il tuo più bell'abito, e vieni
in sala a vedere lo sposo.
«Che sposo?--sclamò la fanciulla colta all'improvviso, alzando i dolci
occhi nel padre.
«Eh via! non farmi la bambina! O che credevi che il barone venisse qua
innamorato di me?
«Se avessi viva mia madre,--rispose Bianca mestamente--mi
consiglierebbe e risponderebbe per me: ora, babbo, la prego di dire a
quel gentiluomo ch'io lo ringrazio, e che se mi lascerà stare pregherò
sempre per lui.
Come! come! come!--tempestò il signor Fedele, incrociando le braccia
sul petto, e rimanendo a fissarla un tantino;--moviti e non farmi
rage, che qui non è caso di ringraziamenti nè di preghiere! Ho fatto
tutti i passi per amor tuo, e lo sposo è là che muore dalla voglia di
parlarti.
«Ebbene, gli chiegga perdono in mio nome, ma io di là non vengo.»
A questa risposta calma e risoluta, il Signor Fedele dirugginì i
denti, come un beccaio arrota i suoi coltellacci, ma si rattenne. E
posta la mano sul capo della fanciulla, che s'era di nuovo curvata al
lavoro, diceva colla voce più dolce che gli riuscisse fare:
«Tu.... tu.... vorresti negare a tuo padre la gioia di vederti ricca;
ossequiata da tutti questi gentiluomini; invidiata da tutte le signore
del borgo; sposa d'un uomo, il quale, nonchè barone, deve essere un
principe? Tu vuoi vederci morire lui e me?
«Fosse il figlio del Re, piuttosto che sposarlo, morirei anch'io!»
Non aveva finito di dire, che il Signor Fedele era lì per darle le
mani nel viso: ma pensando a quel che ne poteva seguire, si trasse
indietro un passo, e guardandola con occhio, che se fosse stato al
buio, avrebbe mandato lampi, tese la mano verso di lei, quella mano
che le aveva posta sul capo amorevole; e uscì di quella stanza. Fuori,
stette un istante a ricomporre il volto, poi, colla maggior calma che
potè, cominciò a parlare come interrogasse e rispondesse a qualcuno.
«Torneranno? Stassera? Oh la testa vuota! Vecchi vecchi...!» E
rivenuto dov'era il barone:
«Vecchi! Vecchi!--continuava--badi, badi a non invecchiare, perchè si
perde il meglio, la testa e la memoria.... Vede che mi accade? Stamane
ho mandato le mie figliuole a ricrearsi un tantino alla nostra villa
vicina a quel convento, là, che si vede stando sul ponte...., ebbene,
vegga memoria! Andava a cercar di Bianca par la casa. Rida, rida, ma
perdoni; trovo qualcuno, e mando a dire che tornino subito...»
Così dicendo faceva segno di voler andare; ma il barone rattenendolo:
«No no... per quanto mi spiaccia non poterla vedere, non voglio torre
alle sue figliuole un'ora di spasso.... A domani, a domani....»
Il loro colloquio durò un'altra mezz'ora; durante la quale, il signor
Fedele, pur avendo il capo ai rifiuti di Bianca, seppe così bene non
farsi scorgere, che parve tutto occupato del suo interlocutore. Questi
poi, prese commiato; rimanendo tra loro che l'indomani si sarebbero
riveduti per condurre a termine ogni cosa; ed essendo già l'ora
dell'abbassare del giorno, se n'andò tutto solo a passeggiare sotto
gli olmi, e a guardare la via, se vedesse Bianca tornare.
Aveva bell'aspettare; e in verità, sarebbe stato meglio per la
fanciulla essere su quella via, perchè in casa aveva a passare un
triste momento. Suo padre, vistosi solo, fece come colui che giunge a
strapparsi il bavaglio che l'affogava. Uscì in un largo respiro, e a
passi lenti, accigliato, con una mano tormentandosi la coda tirata sul
petto, coll'altra agitando la catenella d'uno dei due orologi che
aveva nelle saccoccie della sottoveste, fu dinanzi a Bianca; la quale
non era più sola, la zia e Margherita essendole venute in camera poco
prima. Le fu dinanzi:
«E se--disse, quasi continuando il discorso--se voi non lo sposerete,
neanche se fosse il figlio del Re; in coscienza il barone sposerà voi,
dovessi strapparvi la lingua, per farvi dir sì!»--E volto alle due con
grand'ira: «E voi che fate? Levatevi di tra piedi!
«O babbo, o cognato!--sclamarono la cieca e Margherita: e questa gli
abbracciava le ginocchia, quella tendeva le mani come per cercare le
sue. Ma egli respingendole e gridando che non aveva nè cognata nè
figlie, le mise fuori della camera, chiuse le finestre, andando e
tornando come forsennato; e fu di nuovo sopra Bianca, pallida,
silenziosa, seduta, colle mani abbandonate sulle ginocchia, come
un'antica vergine cristiana, che ne' sotteranei del circo stesse
aspettando d'essere data alle fiere.
«Orsù--ripigliò--a qual giuoco si fa tra noi? Parliamoci corto: lo
sposerete?»
E Bianca umile e mansueta: «non posso.
«Non posso!--urlò il padre--non voglio, dovete dire! Ed è una trista
parola, per risponderla ad un padre della mia sorta! Chi mi vi ha
fuorviata a questo modo? Ho inteso dire che le fanciulle osano
talvolta innamorarsi!... impallidite? Ditemi la parola, che vi veggo
lì sulle labbra; ditela che me la possa appiccicare bene qui,
all'orecchio...! Dunque voi volete bene a qualcuno? Forse io so a
chi...., ma non voglio saperne il nome da voi...., no...., sarei viso
da farlo ammazzare...!»
Bianca diede un grido, il padre incalzava ghignando.
«Se domani, udiste dire da qualche feminetta di quelle che passano per
la via: «hanno ammazzato il tale.... Oh! no no..., non temete, per ora
non lo farei....; ho bisogno di tranquillità.... E la troveremo la
tranquillità; stassera partiremo...., andiamo alla villa; voi non ve
ne accorgete, ma siete ammalata....; se foste sana dovreste domani
essere qui a parlare col barone, e sareste tale da guastarmi ogni
cosa....; alcuni giorni di malattia, e do' sesto al vostro cervello, e
all'altre faccende; e fra tre o quattro settimane si faranno le nozze.
Vedete? il sole va sotto...., fra un'ora s'andrà....»
Spinse l'uscio, e vedendo damigella Maria e Margherita, che non
s'erano potuto staccare di là dalla tema che egli percotesse Bianca;
«anche voi,--proseguì--anche voi cognata, e tu pure pupattola mia,
tutti alla villa, a godersi la primavera! Oh le buone donne, che io ho
in casa...! Vedete, Bianca? Pregano Dio che vi tocchi il cuore, e vi
renda il senno. Pregate, preghiamo....» E se n'andò.
La cieca e Margherita, tremavano strette l'una all'altra come due
pellegrine, colte tra via da temporale furioso; nè osarono dirgli,
parola. Ma come furono sole con Bianca, la abbracciarono ambedue con
gran passione; poi Maria con voce tremebonda come chiedesse la carità
le disse: «ed ora, che faremo?
«Anderemo alla villa» rispose Bianca.
«Ma tu.... tu.... come ti salverai? come faremo noi ad aiutarti? oh
colui, quell'Alemanno chi l'ha mandato per nostra sciagura?
«Oh!--sclamò la fanciulla, con volto impresso di mestizia e di
fede:--la Provvidenza--ha salvato fanciulle smarrite in mezzo alle
selve, e in mano ai masnadieri, e abbandonerebbe me....?»
In pochi momenti, il dolore le aveva fatto pigliare tanto vantaggio
sugli animi di quelle due dolci creature, che nel dire parve ad esse
una santa. E l'ora passò sì presto, che non avevano raccolto il po' di
fardello che loro sarebbe bisognato in villa, e il signor Fedele venne
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