Le rive della Bormida nel 1794 - 14

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Maddalena.
Tra l'andare e lo stare a ripigliar fiato, ora a quella, ora a
quest'ombra, aveva fatte quasi le ventidue; ed egli sapeva come fosse
l'ora, in cui la signora soleva uscire per le sue passeggiate
solitarie. Guardò pei prati e pei campi vicini, ma non la vide; perchè
s'erano mutate in quella casa di molte usanze, massime in quei due
mesi, ch'essa non usciva quasi più. Amava la solitudine; un cerchio
plumbeo le si era venuto formando intorno agli occhi; dal tanto
patire, le carni le si erano fatte scure; talvolta, si lagnava colla
fantesca, d'avere le labbra arse, e nel cuore un caldo come d'acqua
bollente; tal'altra rabbrividiva, e poi parlava di mostri che le era
parso di vedere. Marta s'ingegnava di farle animo, diceva che di
quelle scosse di nervi n'aveva provato anch'essa; e parecchie volte
pigliava la via della montagna, e tornava carica d'erbe che conosceva
per buone a quei mali; ma l'indomani le buttava via senza averle
adoperate.
A guarire la signora sarebbe occorso altro aiuto. Suo figlio in casa,
Bianca per nuora, e la dolce quiete; questi sì che sarebbero stati
farmachi da giovarle! Ma di lui non si pregava che le notizie; di
Bianca non aveva più risaputo nulla; nè s'era mai rischiata di
chiederne a Don Marco per lettera o per altra via. Di quello che aveva
inteso e veduto a C... le era rimasto qualcosa che la consigliava a
non si fidar nel futuro; e sebbene la fanciulla avesse promesso di non
essere d'altri mai; si mescolava a quella memoria l'immagine del
signor Fedele, come quella d'un drago delle tante favole, che alla
fine l'avrebbe costretta.
Per togliersi un poco a quelle idee lugubri, aveva trovato un
passatempo che per quell'età, non era cosa da poco. Raccoglieva ogni
giorno tre o quattro fanciulle del vicinato, e loro insegnava a
leggere con molto amore. In questa impresa, essa e le alunne s'erano
così dilettate, che queste sino dalle prime lezioni avevano imparato
il _gesummaria_. Io non saprei con quale giudizio i pochi che allora
sapevano di lettere in quella valle, avessero dato all'_abicì_ quel
nome, che sempre è sulle labbra alla gente che sclama per dolore, per
uggia o per paura: ma so che lo si chiamava ancora a quel modo, sarà
poco più di vent'anni.
La novità spiaceva a Marta, la quale ne mormorava tra sè ogni giorno;
molestata dal monotono sillabicare di quelle donne: spiaceva a Rocco,
perchè tra queste ci aveva la sua Tecla: e sopra tutti spiaceva al
pievano, il quale non s'era potuto tenere dal dire di sul pulpito, che
qualcuno della sua pieve, lavorava a far roba pel diavolo. Ma la
signora Maddalena, pur avendolo risaputo non ci badava, e tirava
innanzi da brava maestra.
Quel giorno, all'ora in cui don Marco si avvicinava, essa aveva seco,
delle alunne, la sola Tecla... Questa, chi non l'avesse più riveduta,
dal dì della partenza di Giuliano, a prima giunta non la ravvisava.
Faceva allora i suoi sedici anni; e prima, niuno s'era accorto che
fosse bella; perchè la sua faccia aveva patito il sole; e forse la
gran sanità, che fa parere le campagnuole sin troppo virili, teneva
nascosti i pregi delle sue forme. Ma da quando Giuliano le aveva
dette, sul prato, le afflitte parole che rammentiamo; i contorni del
viso e la persona le si erano risolti in molta bellezza: e a misura
che immagriva, si avrebbe potuto somigliarla ad una statua, sbozzata
alla grossa nella furia del creare, e poi condotta a fine con lungo
affetto. Di certo le era entrato qualche dolore, che assiduo ma pacato
aveva fatto migliore l'opera della natura; e parlava in essa dagli
occhi neri e languenti, maestro d'un'anima nata con ali da volar alta,
e tenuta in cambio, tutta l'adolescenza, nascosta e costretta come
gemma in seno alla roccia.
La signora Maddalena, cui quel mutarsi della fanciulla, dava gran
piacimento; stava, come ho detto, con essa in sala: e avendo terminata
la sua lezione di lettura, diceva amorosa:
«Non ti puoi immaginare la dolcezza che provo! Prima che l'anno
finisca, voglio che tu sappia leggere a modo, e scrivere. Così, se un
giorno ti sposerai a qualche buon giovane, ti vorrà più bene. E allora
ti ricorderai di me, nevvero?... Adesso provati a imitare questi segni
che t'ho fatto in cima al foglio.»
A Tecla, quelle parole suonavano piene di mesti presagi, e insieme di
dolci promesse. Si appoggiò al tavolino, e cominciò a menare la penna
di pollo d'India, sgorbiando certe lettere che un po' le riescivano
somiglianti a scorpioni, un po' a girini; e a tratti la penna
impuntando come bestia restia, schizzava inchiostro fin sulle dita
della signora.
In quella don Marco, giunto sul piazzale, si spolverava un tantino; e
attraversato il corto andito, che dall'atrio metteva nella sala
terrena, battè all'uscio pianamente, quasi gli fosse piaciuto di non
essere inteso. Tecla corse ad aprire spedita.
«O Dio!--sclamò la signora, facendosi bianca come la baverina, che dal
collo le si rovesciava sulla veste turchina carica; e movendo incontro
al prete, rimasto a quel grido sulla soglia impacciato, gli prese la
mano lo guardò fisso, gli lesse negli occhi. A lui la lingua gli andò
in fondo alla gola; essa non trovò la forza a dir altro.
Con questa sorta d'accoglienza s'andarono a sedere vicino al tavolo,
sul quale si vedeva il calamajo, la penna, il foglio sgorbiato da
Tecla, e allora soltanto, così per aspettare che alla signora si
quetasse quel rimescolo di sangue: «qui,--disse don Marco--qui abbiamo
una scuola?» E pigliò in mano il foglio, ma non disse altro
all'alunna, nè lodò la bella impresa, come sarebbe stato da lui. Tecla
intanto accorta d'esservi di troppo, chiesta timidamente licenza, si
tirò in cucina, sotto colore d'ajutarvi Marta in qualche faccenda.
«Dunque, tutte quelle promesse son divenute nulla!--disse la signora,
certa d'avere indovinato quel che il prete portava.
«Le hanno fatto vedere che il mondo è vasto, bello, ricco di piaceri;
Bianca ha dimenticato il suo paradiso. S'è fidanzata, bisogna
rassegnarsi.
«Rassegnarsi! noi rassegnarci, ma Giuliano? Ah quel giorno, glie
l'aveva pur detto che queste cose avrebbero trista fine...! O che sono
le fanciulle dei nostri tempi? Come mai si può mutarsi tanto,
com'essa, in sì breve tempo? E a udirla era pronta ad ogni martirio..!
«Sono cose che chi non le ha viste, manco saprebbe
immaginarle:--rispose don Marco; e qui cominciò a narrare l'andata
improvvisa in villa del signor Fedele; poi dell'Alemanno capitato a
C.... ferito, e di nuovo di colui che se l'era venuto a pigliare per
portarselo laggiù. Disse di quel tempo in cui non aveva avuto cuore
d'andare a quella villa, e quanto gli rimordeva; raccontò quel che gli
era incontrato poche ore prima; e ripetè le parole di Bianca, che gli
era parsa fresca e rossa, e aveva detto di voler fare in tutto la
volontà del padre suo, con tai modi, da non lasciare speranza di
vederla tornata all'antico proposito.
Diceva di sentimento, ma badando a dar meno dolore che potesse alla
signora; la quale a mano a mano che gli parlava, si abbandonava di
nuovo nella sua stanca malinconia. Ma come se per quel giorno, non ne
avesse abbastanza, doveva capitarle in casa don Apollinare con
un'altra consolazione.
Chi fosse stato a vedere costui, scendere di castello, infilare il
ponte, passarlo, piegare a manca verso la casa della signora
Maddalena; avrebbe creduto che visto andarvi un prete forastiero,
corresse a lagnarsi dell'ospitalità chiesta altrove, piuttosto che nel
presbiterio. Ma egli veniva per tutt'altro, rosso in viso, e per quel
che si capiva dal passo spigliato, con qualcosa nell'animo che lo
agitava di molto. Alla fine delle fini il suo giorno era giunto per
quel discolo di Giuliano; egli lo sapeva, e s'affrettava a dirlo alla
povera madre, a farle dinanzi le grosse esclamazioni; proprio come un
uomo tenuto sobrio gran tempo, che appena lo può corre all'odor del
forno, con la voglia spasimata d'una buona satolla. Passando sotto
quell'arco, vedendo quell'orto, si rammentò di quella tal mattina che
Giuliano glie ne aveva dette di così scolpite; attraversò in fretta il
piazzale, l'atrio, l'andito; ma all'uscio della sala non istette a
picchiare, ed entrò da sè addirittura.
La signora Maddalena manco s'accorgeva di lui, se don Marco andandogli
incontro, così per dire qualcosa, non gli chiedeva della sua salute.
«Io sto bene!--rispose il pievano:--ma non così tutti coloro che mi
stanno a cuore. Suo figlio, signora, a Torino si finisce di rovinare.
«Che non l'è ancora abbastanza?--proruppe essa levandosi ritta:--ci
pigli una volta me e lui! ci mandi schiavi ai Turchi; peggio di qui
non istaremo!»
Queste parole, il modo in cui furono dette, la guardatura di don
Marco, posero il pievano in gran confusione. Di che ripiegandosi un
tratto in sè stesso: «io--disse--io che le ho fatto a lei...? Me ne
vado e ognuno s'ingegni...!»
E fece atto d'andarsene; ma don Marco si pose tra l'uscio e lui per
rattenerlo; e stava per consigliarli maggior carità, per la signora;
senonchè questa aveva già presa la mano di don Apollinare, e tenendola
umilmente e lagrimando diceva:
«No...! signor pievano, abbia compassione d'una povera madre, che non
finirà di penare, sinchè non sia morta o impazzita! Mi dica tutto...,
mi dica, e che io muoia se è tempo!
«Ecco!--sclamò egli spiegandosi di nuovo:--ecco che cosa le fruttò
l'aver taciuto, quando egli mostrava di perdere il timor di Dio!
Questa è una lettera, che ho calda calda da un soldato, spacciatomi a
bella posta dal generale piemontese, che accampa dalle parti di Ceva,
il quale l'ebbe da Torino, per la via di Mondovì: e in essa mi si
chiede notizie di un Giuliano da D..., che studia laggiù, che è mio
parrocchiano;... insomma si vuol sapere che soggetto è...! e se ne
immischia la polizia, la Curia... tutti!»
Così dicendo faceva vedere la lettera, battendola sul dorso della mano
sinistra, e aspettando che l'un dei due parlasse. La signora teneva il
capo chino, colla mente negli abissi in cui il figliuol suo
precipitava; don Marco, guardando il pievano, pareva studiare, come un
sacerdote potesse aver cuore, di tormentare così fuor di maniera una
donna già troppo infelice.
«Che ne dice, ella che fu suo maestro?--gli chiese alfine don
Apollinare, vedendo che non gli si rispondeva nè dall'una nè
dall'altro.
«Eh!--rispose don Marco--io dico, che questo miscuglio di monsignori,
di polizie e di generali, mi pare una torbida cosa: e mi duole di
vedere che noi preti, a quest'ora abbiamo lacerate mezze le pagine del
Vangelo! Dia retta a me, faccia in pezzi cotesto foglio, li metta per
segnacoli nel suo breviario; e ogni volta che li rivede, rammenti quel
dettato che abbiamo sempre in bocca; non muove foglia che Dio non
voglia.
«Altro che foglie!--proruppe il pievano--va in aria la intera foresta,
e il vento della rivoluzione l'amulinella!
«O allora, qual riparo vi possono fare la Curia, la polizia, il
generale di Ceva...? E Giuliano, un giovane che manco si vede sulla
terra, che cosa può aggiungere alla grande bufera? Non gli faranno
nulla... vedrà...
«No... nulla!--saltò su a dire la signora Maddalena, pigliando dalla
sicurtà di don Marco, un subito ardimento:--non gli faranno nulla,
perchè noi scriveremo, andremo, mi presenterò al Re!
«Il Re è stanco di perdonare--disse il pievano--e Dio non può più
vedere la religione calpestata, i suoi ministri oltraggiati! Io ho qui
la lettera; farò il debito mio, da cristiano e da pastore; ella
scriva, mandi, vada, faccia quel che pare! l'ho avvisata!»
Ciò detto diè di volta, infilò l'uscio e scomparve, stizzito di non
avere potuto sfogarsi, per quell'importuno don Marco. Il quale,
rattenendo la signora, che voleva correr dietro al pievano per
supplicarlo:
«Stia,--diceva:--e non si sgomenti...! E la marchesa di G..., non farà
nulla per Giuliano? non l'avrà tenuto d'occhio?»
A questo ricordo, la signora Maddalena si fece in faccia, come sarebbe
a dire un fiore, su cui discenda un raggio di sole dopo un ribocco di
pioggia. E da quel nome pigliando lena, si mise col prete a pensar
modo di chiedere alla gentildonna, che aiutasse Giuliano a scampare
dai pericoli ignoti, de' quali il pievano era venuto a parlare.
Ora la marchesa di G..., cui don Marco aveva raccomandato Giuliano,
sin dal primo anno della sua andata a Torino; era di quei tempi, dama
d'altissimo conto, in corte ai reali di Sardegna. Nelle due valli
della Bormida, la si stimava onnipotente: e perchè vi veniva ogni anno
a villeggiare, ora in quello ora in questo de' suoi molti poderi,
conosceva per quei borghi i primi casati. Rimase nelle Langhe memoria
di lei onoratissima: e si parla tuttavia di giovani, scampati per
opera sua, nei due o tre giudizii di quegli anni, in cui per tutto si
vedevano Giacobini e nemici di Dio e del Re, da torre di mezzo. Tra
l'altre si narra la storia d'uno scuolare, che carcerato con altri
molti, la marchesa gli fece dire non pigliasse altro cibo, salvo
quello che gli avrebbe mandato lei. Ogni giorno capitava in carcere
una dozzina d'aranci pel prigioniero, e in capo a una settimana, egli
potè uscire, e tornarsi libero alle montagne native.
La signora Maddalena e Don Marco, stettero un pezzo a fare e disfare
disegni, discorrendo di Giuliano e della gentildonna: e appunto
concludevano con quello di scriverle, quando Marta venne a dire che
era l'ora di cena. La signora aveva più volontà di piangere che di
muoversi; il prete era uomo di poco cibo, che se aveva in cuore
qualche tristezza, di questa si nudriva come di vivanda succosa; ma
ambedue per usanza di cenare sull'imbrunire, passarono in quella
stanzetta oltre la sala, dove era la mensa apparecchiata.
Tecla, che s'era tenuta fino a quel punto in cucina, donde aveva
inteso i discorsi di Don Marco colla padrona, e quella notizia portata
dal pievano, appena ebbe veduto libero il passo per la sala; uscì di
là in punta di piedi, turbata che non pareva il caso di trovar la
porta, per cui andar fuori. Poichè fu sul piazzale diede intorno
un'occhiata, come una fuggitiva che cercasse la via più destra. Il
sole era andato sotto allora allora, ma se un ultimo raggio l'avesse
percossa negli occhi, si sarebbe franto in due lagrime, che non
potendo sgorgare, davano alla sua guardatura non so che addolorato e
selvaggio. A un tratto parve aver afferrato un pensiero, una memoria:
e correndo difilata a casa di suo padre, salì per la scala di legno
sul pianerottolo che metteva nelle stanze, dov'erano i lettucci della
famigliuola. Entrò guardinga; non vide nessuno: e fattasi vicino ad
una vecchia ed ampia cassa, in cui suo padre teneva il frumento;
disteso sul coperchio un fazzoletto, tirò giù dalla stanga una gonna
d'indiana rossa, un giubboncello di panno azzurro, un grembiale
d'ugual colore, che cinto la copriva fin dietro le anche; poi aggiunto
un fazzoletto da capo stampato d'alberi e d'uccelli, e gli scarponcini
da festa; di tutto fece un fagottino, aggruppò in croce le becche del
fazzoletto, e buttò giù dalla finestra dietro la casuccia, in un
orticello. Discese, scantonò non vista, raccolse il fardelletto,
attraversò un vicolo, e fu sulla via che lungo la ripa del torrente,
menava a seconda dell'acque. Era quella presa da suo padre due mesi
innanzi, quando aveva accompagnato il signorino; e una volta in
viaggio essa aveva inteso dire assai volte, che per chi ha la lingua
in bocca ogni via va a Roma. Molti che tornavano dai campi, o che già
cenavano sulle soglie delle loro casette, la videro passare; ma come
erano usi a non le abbadare, così non fu chiesta da nessuno, che
cercasse o dove corresse.
In casa sua l'attendevano a cena; e sulla madia finiva di fumare
raffreddandosi la sua scodella di minestra; quando Rocco levando il
capo, e stando per imboccare l'ultima cucchiaiata, pose gli occhi in
quegli della sua donna, e le chiese: «e Tecla?»
«Chi lo sa dov'è?--rispose la moglie--ora che impara a leggere, non la
si può più comandare....!
«Vai a vedere dalla signora padrona!--gridò Rocco irato ad uno dei
figliuoli: e questi andato, tornò subito portando che di là Tecla era
uscita da un pezzo. Allora la donna, si fece sulla porta, e colla voce
più acuta che potè chiamò; «Tecla! Tecla!» tre o quatto volte. I più
discoli della ragazzaglia che ruzzava nel vicolo, risposero per beffa
imitando la voce della fanciulla; e la donna ingiuriandoli in cuor suo
proseguiva a chiamare. Ma Tecla di qua, Tecla di là, questa non si
faceva viva; ond'essa salì a veder nelle camere, e trovato che di
sulla stanga era stata tolta la veste cogli altri panni della
figliuola; tornò giù così in furia, che manco non vide la scala, e
piantatasi di faccia al suo uomo, gli disse sgomenta «Tecla è
fuggita!»
Rocco balzò ritto, e ruppe a quella nuova in certe parolacce, che le
donnicciole del vicinato, affacciate a chiedere che fosse, si turarono
le orecchie gridando: «Gesummaria!» Marta stessa, venuta alla voce, ne
lo rimproverava! e intanto sull'aia, dinanzi la casa, si faceva folla
come a vedere l'infortunio. Allora si cominciò a bisbigliare; e chi
aveva vista Tecla, con un fagottino, passare dinanzi la sua porta; chi
s'era abbattuto in essa e gli era parsa stravolta; uno le aveva tenuto
dietro coll'occhio sino al tale punto, un altro sino alla tale svolta
della via; sarà andata di qua, avrà tirato per di là, l'avranno
maltrattata in casa; chi l'accusava, chi la compativa; e i più
caritatevoli dissero che bisognava andare cercarla, trovarla dovunque
fosse, perchè dei soldati Alemanni se ne incontravano da per tutto,
e.... non osavano dire di più. Così gli uni correvano a pigliar
lanterne, gli altri a munirsi di bastoni; la moglie di Rocco non
faceva più che pianti: ed egli affaccendato a rispondere, a
interrogare, ad allestirsi un lume; venne più volte a segno, che se
avesse avuto lì uno schioppo, se lo sarebbe scaricato nel capo.
La signora Maddalena e Don Marco, saputo da Marta la cagione di quel
tramestio, erano venuti fuori anch'essi; e quella tremava, e il prete
accorreva pensando alle sciagure che in quel giorno facevano mazzo. Là
si diede attorno a porre un pò d'ordine fra quella gente; e
spacciandone per ogni banda, finì col mettersi insieme a Rocco ed a
parecchi altri, proprio per la via presa da Tecla.
Questa a loro sentire non poteva essersi allontanata di molto; e in
verità non era lungi più d'un miglio, sebbene avesse avuto tempo di
far più cammino. Ma ad un bivio s'era fermata, incerta di qual parte
doveva pigliare, e un pò spaurita dalla notte che s'era fatta alta. In
quel sito, su d'uno rialto, coperto di cespugli maluriosi, sorgeva una
croce, e Tecla a piè di quello la guardava di sotto in su, pregando
con gran batticuore, «Madonna Santa! mandatemi un'ispirazione! da qual
parte si va a Torino? non vado mica a dirgli nulla no...., vado a
raccontargli che sua madre muore di dolore, s'egli non se ne viene via
di là; che lo metteranno in carcere, che quella giovane...., ah...
Madonna Santa, non mi lasciate qui smarrita!» Così stando le si era
accesa la fantasia per modo, che le parve d'essere guardata da un paio
d'occhi balenanti di dietro la croce; e raccapricciò, come avesse
avuto lo spasimo di tutto quel roveto nelle carni. E subito rammentò
che là un viaggiatore era stato morto dagli assassini; credè di vedere
i tristi acquattati, e i loro ferri luccicanti nei cespugli, e il
morto ruzzolare dalla ripa sanguinante a' suoi piedi. Si abbandonò, si
rannicchiò, si fece piccina, e non osando fiatare: «eccoli, pensava
porgendo orecchio affannosa--vengono, mi uccidono; ma.... se dicessi
loro quel che vado a fare a Torino? Chi sa che non mi ci menassero
essi stessi? Ne ho intese tante di masnadieri, che alle volte fanno di
belle cose! oh, mio Dio, sono qui..!» E si strinse vie più; quasi
volesse farsi una buca nella terra; e un sudore freddo le correva per
la persona.
Qualcuno veniva davvero, perchè lungo la via che essa aveva fatto,
s'udivano pedate e parole; e fra i tronchi scuri degli alberi si
vedevano due o tre lumi apparire e celarsi. Alla lentezza
dell'avanzare, si discerneva che coloro cercavano con diligenza la
riva del torrente; ma Tecla non potè badare a questo, perchè provatasi
a fuggire, ricadde senza forza, e ravvolgendo la faccia nel grembiale,
ruppe nel pianto più disperato che creatura umana possa versare.
Come la brigata fu al bivio, uno che precedeva di pochi passi vide
quella cosa scura a piè del rialto; e correndovi accostò la lanterna.
Non ebbe tempo di vedere che fosse, e Tecla facendo uno sforzo, con
voce rotta dall'affanno gli gridava: «signore, sono una povera
creatura, non mi faccia alcun male; vado a Torino a salvare il signor
Giuliano...
«È qui, è qui,--urlava colui scoprendo il viso alla giovane mezza
morta dalla paura. «Te lo do io il signor Giuliano!» gridava Rocco,
smesso il rammarichio con cui si era venuto lagnando come un uomo che
morisse svenato; e d'uno slancio fu sopra la figliuola sbuffando
feroce, e colle pugna levate. Ma un'altra mano incontrò le sue sul
capo della infelice; ed egli guardando chi osasse toglierli quello
sfogo di padre, vide don Marco in atto così dolce, che gli fece cadere
quel primo furore. E «orsù confessati--disse risoluto alla
figlia--confessati qui a don Marco, che qualche gran peccato ce l'hai
di certo. Suvvia... a chi dico? Comando io, o chi comanda?» e così
dicendo, e ridestandosi in lui l'ira, torceva alla fanciulla le
braccia.
«No Rocco--entrava a dire don Marco--questo non è fare da cristiano;
date mano a Tecla, essa è vostra figlia, e si confesserà a voi, meglio
che a me, meglio che a chichessia.»
E fatto raccattare il fagotto ad uno di quei villani, ai quali la sua
parola tornava sì nuova e sì dolce; parlando di pietà, d'amore, di
perdono, don Marco s'avviò con essi per tornare al borgo.
Vi giunsero che il ponte riboccava di gente, e chi una e chi un'altra,
tutti in quella faccenda dicevano la loro. Don Apollinare anch'esso,
disceso di castello, dopo aver ben chiarito, che non era affare di
Francesi; alle congetture che ardiva fare, aggiungeva la sua, e
tenendosi in mezzo ad un capannello di maggiorenti, diceva.
«Tutte baie! Quella ragazza va a male da due o tre mesi in qua; ed io
ne sono certo, e dico che ha pigliato il maleficio. Chi in una mela
chi in un garofano, ne ho viste molte che l'avevano preso; e tutte
finirono col fuggire improvvisamente di casa, come, salvo l'anima, i
cani che vanno in rabbia....
«Dice bene il signor pievano; salva l'anima, come i
cani!--rispondevano coloro:--eccola, eccola, l'hanno trovata, è
qui....» E tutta quella gente si affollava, in capo alla via.
«Vieni qua... menala qua che la vegga...--diceva il pievano a
Rocco--fategli largo..... Eh? di queste ne ho a sentire nella mia
pieve?--E levando il bastone sopra la fanciulla, che veniva innanzi
trascinata dal padre;--ma se l'ho detto, continuava, è malefiziata!
non la vedete com'è stravolta? Va, tienila chiusa, mettile in bocca
una foglia d'olivo benedetto, falle bere un sorso d'acqua santa;
domani la condurrai in chiesa, faremo l'esorcismo; e se il diavolo non
le uscirà di corpo, bisognerà condurla a Savona, a farla esorcizzare
nella miracolosa cappella del Cristo risorto.
«Ma signor pievano! interrompeva don Marco, che stanco com'era,
arrivava un po' dopo degli altri:--che parla di malefici, di
esorcismi... di diavolo...? Ho visto questa fanciulla a piè d'una
croce costaggiù, e lei insegna che il diavolo fugge dalla croce....!
«È vero.... l'abbiamo sin per proverbio.... fuggire come il diavolo
dalla croce....! dicevano gli astanti.
«Oh! si persuada?--proseguiva don Marco pigliando a braccetto il
pievano, cui l'assentire dei suoi parrocchiani toglieva l'ardire: e
tirandolo via verso la salita del castello gli andava dicendo: «ai
demoni e ai malefici, si crede meno di quel che pare; per carità,
badiamo a non nuocere a nessuno, e tanto meno a fanciulle povere e
senza difesa....»
Rocco, colto il destro, s'allontanava con Tecla; i signori e i
popolani, chi lieto, chi mal sazio, si dispersero ognuno verso casa
sua; i due preti si fermarono a piè della salita del castello; e chi
fosse stato dietro a un oratorio che ivi sorge antichissimo, avrebbe
inteso don Marco continuare il suo discorso col pievano; il quale lo
lasciava dire, come quegli fosse stato un vescovo, ed egli un
chierichetto novizio.
«Le sarò grato--diceva don Marco--le sarò grato d'essersi persuaso;
d'avere smessa l'idea d'esorcizzare quella povera giovane, perchè
sarebbe morta di vergogna.... Ma ora ho un'altra cosa, per cui sarei
venuto domani mattina a pregarla: e giacchè siamo qui..., mi dica....
a quella lettera d'oggi risponderà....?
«E come no?--sussurrava il pievano.
«Risponderei anch'io; ma mi dimenticherei di qualunque corruccio.
Pensi, signor pievano, che là in quell'angolo della sua pieve, vive
una povera madre, che non sa più a qual santo volgersi per un po' di
pace. Io credo che la troverà nella tomba, perchè non durerà più a
lungo. Ma un giorno quando gliela porteranno morta, a farla benedire,
sotto le vôlte della sua chiesa: e il popolo che le vuol bene, la
piangerà come una madre perduta; qual consolazione per lei, poter
dire: io le ho fatto un beneficio, e questa donna lo deve a me se non
è morta da tempo....?
«La signora..... povera donna, è degna di rispetto....--rispondeva don
Apollinare:--ma lui, quel suo figliuolo, quell'insolente che farebbe
ingiuria al paradiso...! Qui il pievano s'accendeva, ma don Marco
sempre con dolcezza:
«Senza macchia non v'è manco il sole! Eppoi, sia pure Giuliano quel
che le pare, ma sta bene a un prete giocar di vendette? Sta bene a noi
essere i primi, a portar la lanterna al bargello? E se domani, se fra
venti giorni la guerra ci portasse in casa i Francesi; e qualcuno si
pigliasse la briga di dir loro che ella ha perseguitato un giovane,
che la pensava un po' alla loro maniera? La vendetta rifiglia, ella lo
sa; e se i Francesi ponessero le mani addosso a lei?
«Io....--disse il pievano sentendosi arricciare la pelle più assai di
quella volta, in cui il padre Anacleto gli aveva dette a un dipresso
uguali parole:--io scriverò a Torino che Giuliano è un giovane.... sì,
un giovane.....
«Via.... un giovane dabbene, dica! Mi porto via la sua promessa,
signor pievano; e se non ci vedessimo più, le sia dolce quanto a me,
pensare che l'ultima volta abbiamo fatto insieme un po' di bene....»
Ciò detto, e strettagli la mano con gran sentimento, lo lasciò a piè
della salita; e s'affrettò a casa di Rocco, dove non sapeva come
avrebbe trovata la povera Tecla. Sull'uscio della casetta s'imbattè in
lui e nella moglie, che si bisticciavano, circondati dai figliuoli; ma
la fanciulla non v'era, perchè la signora l'avea scampata a fatica
dalle furie della madre, e se l'era tirata in casa per tenervela
quella notte. Don Marco si fermò un tratto da Rocco per consigliare a
lui e alla moglie pazienza e pace; poi fece quei pochi passi che
correvano di là alla casa dalla padrona. Marta lo aspettava
nell'atrio, struggendosi dalla voglia di parlargli: e appena lo vide
gli si piantò in faccia, e gli disse:
«Mi perdoni; ci ha capito nulla lei nel fattaccio di questa sera? No?
Ebbene, io invece ci ho capito che la ragazzona è innamorata del
signorino! Già me ne era accorta quest'oggi, mentre ella parlava colla
padrona, e quando il signor pievano venne a dare quelle brutte nuove;
Tecla pareva sul fuoco, e piangeva. Ora questa scappata.... quel
fagotto.... vorrei parlarne alla signora....
«Date retta, Marta, la signora lasciatela in pace.
«Ma se venisse il signorino a casa...? Questa ragazza....
«Lasciamo questi discorsi, Marta, e domani sarete più contenta d'avere
parlato poco.»
La fantesca tacque, gli aperse l'uscio, ed entrò dietro di lui. La
signora Maddalena scendeva da una camera, vicina alla sua, dove aveva
posta Tecla a dormire; e fattosi incontro al prete gli chiese:
«Ebbene, che diceva il pievano?
«Il pievano? Parlò di malìe, di malefici, di diavoli...; voleva che
Tecla gli fosse menata domattina per esorcizzarla....
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