La guerra del Vespro Siciliano vol. 1 - 25

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potendole scegliere, le abbia saltate rimettendosene al papa. Io
non ho voluto supplire con l'analogia alla mancanza del fatto; ed
ho lasciato in dubbio i termini della sostituzione di Carlo
Martello, come restarono negli atti de' governanti di Napoli fino
alla liberazione di Carlo II.
La età di Carlo I erroneamente rapportata dalla Cronaca d'Asti, in
Muratori, R. I. S., tom. XI, pag. 164, si ricava dal P. Anselme,
Hist. généalogique et chronologique de la Maison royale de France,
tom. I, cap. 14, pag. 191.
La elezione del conte di Squillaci si conferma dal diploma 1º del
tom. II dell'Elenco delle pergamene del r. archivio di Napoli,
notato qui appresso; la condizione della scelta d'Artois leggesi
in Raynald, Ann. ecc., 1285, §. 5.
[59] Gio. Villani, lib. 7, cap, 95.
[60] Nic. Speciale, lib. 1, cap. 29.
[61] Geste de' conti di Barcellona, cap. 26, nella Marca Hispanica
del Baluzio.
[62] Raynald, Ann. ecc., 1285, §§. 5, 6, 7, 8, bolla del 14 febbraio.
[63] Elenco delle pergamene del r. archivio di Napoli, tom. II,
diplomi dalla pag. 1 a 43, e annotazione 1 alla pag. 2.
[64] Raynald, Ann. ecc. 1285, §. 3, bolla del 9 febbraio.
[65] Chron. Mon. S. Bertini, in Martene e Durand, Thes. Nov. Anecd.,
tom. III, pag. 765.
Nangis, Vita di Filippo l'Ardito, in Duchesne, Hist. franc.
script., tom. V, pag. 543.
Vita di Martino IV, in Muratori, R. I. S., tom. III, pag. 611.
Francesco Pipino, lib. 4, cap. 21, in Muratori, R. I. S., tom, IX,
pag. 726.
[66] Nangis, loc. cit.; Francesco Pipino, loc. cit.
[67] Raynald, Ann. ecc., 1285, §. 9.
[68] Bart. de Neocastro, cap. 90.
[69] È attribuita a un abate Gioacchino. Francesco Pipino, loc. cit.,
lib. 4, cap. 20.
[70] Dal Torso fu, e purga per digiuno
Le anguille di Bolsena e la vernaccia.
DANTE, _Purgat._, c. 24.
e ciò che nota in questo luogo Benvenuto da Imola.
Francesco Pipino, lib. 4, cap. 21, in Muratori, R. I. S., tom. IX,
pag. 726, il quale rapporta i due versacci:
_Gaudeant anguille quod mortuus est homo ille.
Qui quasi morte reas excoriabat eas._
Della morte di questo pontefice e non della cagione, dicono ancora
Giovanni Villani, lib. 7, cap. 106. Ricobaldo, loc. cit., ec.
[71] Raynald, Ann. ecc., 1285, §. 12.
[72] Raynald, Ann. ecc., 1285, §. 14.
Tolomeo da Lucca, Hist. Ecc., lib. 24, cap. 13, in Muratori, R. I.
S., tom. XI.
[73] Nangis, loc. cit., pag. 544.
Raynald, Ann. ecc., 1285, §. 16.
[74] Raynald, ibid.
[75] Raynald, ibid., §. 23, breve del 1º agosto 1285.
[76] Raynald, Ann. ecc., 1285, §. 43, e seg.
[77] Raynald, Ann. ecc., 1285, §§. 29 a 51.
[78] Ibid., §. 53.
[79] Giannone, Istoria civile del regno di Napoli, lib. XI, cap. 1.
[80] Bart. de Neocastro, cap. 98.


CAPITOLO XII.
Opere della corte di Roma contro Pietro d'Aragona. Concessione di quel
reame a Carlo di Valois. Protestazioni e pratiche di Pietro. Contese
di lui con le Corti di Aragona. Lega di que' baroni; grande esercito e
armata che apparecchiansi in Francia. Invasione del Rossiglione, poi
della Catalogna. Straordinaria fortezza e perseveranza di re Pietro;
assedio di Girona. Morìa nel campo francese. Pietro ripiglia le
offese. Fazioni di mare. Loria con l'armata siciliana riporta
segnalata vittoria su i Francesi. Ritirata di re Filippo, e sua morte.
Carlo lo Zoppo mandato prigione in Catalogna. Morte di Pietro.
1282-1285.

La guerra sopra Aragona, pensata al primo fallir dell'impresa di
Sicilia, per avviluppar Pietro in tal briga nel suo antico reame, che
lasciasse la difesa del nuovo, si macchinò poco men che tre anni, tra
Carlo, papa Martino e Filippo l'Ardito. Di leggieri crederò a Martino,
che parecchi baroni francesi stigavano a quella il re, dicendo
insopportabili ormai le offese di Pier d'Aragona, e vergogna al sangue
reale e a tutta la nazion francese, se non ne pigliasse vendetta[1];
perchè par che il risentimento della strage del vespro tutto si fosse
volto contro il re d'Aragona, quando si vide ch'ei ne raccoglieva i
frutti, e incalzava e sfregiava sempre più la casa d'Angiò, e facea
scorrer nuovo sangue francese ne' combattimenti di Calabria. Le arti
de' grandi infiammaron certo il sentimento pubblico; menando tanto
romore del duello; gridando Pietro codardo perchè lo schivava, e
traditore perchè avea assalito Carlo in Sicilia senza disfida.
D'altronde la corte di Francia, sollecitata e piaggiata assiduamente
da casa d'Angiò[2], e allettata dall'onore di ristorarla in Italia,
ben potea desiderare una impresa, che insieme promettea larghi {309}
acquisti oltre i Pirenei. La nazione, pronta per indole alla guerra,
v'era anco sospinta dalle condizioni sociali, e dall'uso alle
crociate: chè perfetta crociata fu questa, sì alle bandiere, e sì
all'intento de' crocesegnati, divenuto sì basso e profano nel secolo
decimoterzo. È notevole che nel trattare tal impresa detta sacra e
suscitata dalla corte di Roma, si manifestò ne' consigli di Filippo
una insolita gelosia e diffidenza contro lei, un desiderio a spillare
i danari ecclesiastici, un accorgimento e contegno di cui Martino si
maravigliò, si adontò, ma gli fu forza sopportarlo. I principî
d'ordine monarchico, prevalsi nel regno di san Luigi e messi già in
opera contro la feudalità, si sollevavan contro la potenza papale; e
preparavano la lotta di Bonifazio con Filippo il Bello.
Il primo divisamento in Francia fu di muover la guerra senza frasi:
volean le decime delle rendite ecclesiastiche, ed eran pronti a
pigliare le armi: il vescovo di Dol e Raoul d'Estrées, maresciallo di
Francia, portarono al papa questa ambasceria di Filippo sul fin
dell'anno ottantadue. Ma quegli rispose che volea meglio colorire la
cosa; aspettar che Pietro persistesse nella occupazione della Sicilia
fino a un termine dato; e poi con forme di giustizia e gravi sentenze
compilar l'atto della disposizione del regno d'Aragona: e così fece,
scrive egli, con molta prestezza, fidando in Dio e nella Francia, che
fosse pronta sempre ad eseguir con le armi il giudizio della corte di
Roma[3]. Ad accrescere il premio, mise fuori un'altra bolla che
spogliava Pietro del reame di Valenza[4]. Volle impedire
l'ingrandimento della Francia nella guerra che si dovea sostener col
suo sangue, dichiarando contro il voto di parecchi {310} cardinali[5]
che concederebbe que' reami a un de' figliuoli di Filippo l'Ardito, a
scelta del re o della santa sede s'ei tardasse, eccetto il primogenito
sempre. Nè lasciò occasione d'allungar la mano nei patti fondamentali
della nuova dinastia; pretendendo immunità ecclesiastiche larghissime,
omaggio e censo a Roma[6]. A trattar queste e le altre condizioni
dell'impresa, avea già inviato legato pontificio Giovanni Chollet,
cardinal di Santa Cecilia; che venne a corte di Francia con Carlo
d'Angiò innanti il dì del duello[7]; e con quell'autorità, scrive
Montaner[8] che dalla terra annoda e scioglie ne' cieli, annullò i
giuramenti della lega di Filippo con Pier d'Aragona. Durò assai più
fatica a vincer le opinioni de' consiglieri del re, dette di sopra e
accettate da' prelati e baroni, che componeano il parlamento, non
scaduto per anco a mera corte di giustizia, e rappresentante, com'or
direbbesi, gl'interessi della nazione, o delle classi privilegiate che
se ne arrogavano il nome.
Nè credo confondere i nomi e le idee d'oggidì con quei del secol
decimoterzo, se dico che non solo la corte di Francia volle far patti
accorti con Roma, ma che anco il parlamento non amava gittar su la
nazione tutto il peso d'una guerra che a lei nulla giovava, ma a Carlo
d'Angiò, alla {311} corte di Roma e ad alcun de' figli di Filippo
l'Ardito. Perchè nel primo disegno detto dinanzi si chieser le sole
decime per tre anni in quel ch'era allora il reame di Francia; ma
trattandosi l'investitura come voleala il papa, si domandarono le decime
per tutta cristianità, o almeno per quattro anni nella più parte del
territorio francese d'oggidì; e le prime annate dei beneficî
ecclesiastici nuovamente provveduti; i legati pii, e altri sussidi;
oltre le indulgenze, l'autorità della commutazione de' voti; e alcune
condizioni che mantenessero la dignità del re verso la corte di Roma; e
si sostennero le libertà ecclesiastiche de' popoli d'Aragona: ma
soprattutto si pretesero tai favori del papa sia che il parlamento
consigliasse il re, sia che lo sconsigliasse, che è a dire se la nazione
concorresse o no alla impresa in favor del figliuolo del re. Adirossene
il papa; rispose a Filippo il nove gennaio dell'ottantaquattro,
chiamando scandalosa l'inchiesta delle annate dei beneficî; orribile a
udirsi quella delle concessioni nel caso che il parlamento
sconsigliasse; assurda l'altra delle decime in tutta cristianità; e in
bel modo rimproverò Filippo e il parlamento di mala fede, d'incostanza,
d'ignavia, d'abbandonar la santa sede e la casa d'Angiò, di macchiare il
nome francese e dar argomento alle lingue de' suoi nemici. Ma, come fa
chi ha maggior voglia, cominciò a piegarsi alle stesse inchieste di cui
lagnavasi[9]; mandò al legato, in tante lettere diverse, l'assentimento
alle varie condizioni; e gli commise che persistendo il re, gli
cedesse[10]. Queste concessioni e le arti del legato conseguiron
l'intento.
Chiamati in Parigi i prelati e i baroni, il venti febbraio
milledugentottantaquattro, il re lor significava le ultime
negoziazioni; e metteva il partito della guerra. Presero tempo d'un
giorno a deliberare, di tre a rispondere; e il dì {312} ventuno assai
per tempo adunavansi nel palagio reale; divisi in due sale i prelati
da' baroni, e assente il re. Il legato che non era lontano nè si
rimase a man giunte, fingea poi gran maraviglia della ispirazione per
cui virtù le due camere, lontane e ignare de' procedimenti l'una
dell'altra, deliberassero la guerra in un medesimo istante. La camera
de' baroni mandò prima il messaggio a' prelati; il legato non tardò a
far venire il re co' suoi cortigiani; e il medesimo giorno in pien
parlamento, innanzi a gran moltitudine l'arcivescovo di Bourges e
Simone de Nigel annunziavano a Filippo la deliberazione; Filippo
ringraziava, e assentiva l'impresa: il giorno appresso, convocato di
nuovo il parlamento, fe' intender la scelta fermata in persona di
Carlo di Valois, suo secondo figliuolo[11]. Giurò per costui il padre;
il cardinale conferì al fanciullo l'investitura de' regni d'Aragona e
Valenza e del contado di Barcellona[12] con istrano rito di porgli in
capo un cappello; onde, perchè la terra poi non ebbe, re del cappello
il motteggiavano[13]. Ratificò il papa a dì primo marzo; die' la bolla
di concessione in buona forma il tre maggio[14]. Lo stesso giorno
trasferisce al cardinal di Santa Cecilia piena autorità in Francia,
Navarra, Aragona, Valenza, Maiorca, e tutt'altre province ov'era
intendimento di levar genti, o {313} portar la guerra; concede per
quattro anni le decime dei beni ecclesiastici nel reame di Francia, e
nelle province del Viennese, Lione, Liege, Metz, Verdun, Toul,
Besançon, Tarantaise, Embrun; e fino in città appartenenti allo impero
e altre lontane contrade[15]. Indi commette al legato di predicar la
croce; accorda le indulgenze come in guerra di luoghi santi[16]; e
oltre le decime, anco i legati pii[17], e un prestito su le somme già
raccolte per l'impresa di Gerusalemme, e altri favori che il re
domandava, uno dei quali era richiesto da' baroni, dichiarando tenuti
i crociati a pagar loro le taglie e prestazioni solite[18]. Ebbe anche
le decime ecclesiastiche ne' suoi dominî Giacomo re di Maiorca e conte
del Rossiglione, fratello di re Pietro. Ei volendosi scioglier
dall'omaggio feudale alla corona aragonese, avea colto il destro di
voltarsi contro il fratello, mostrando d'ubbidire alla Chiesa[19]. Fu
di tanto più vile, che dissimulò a lungo lo accordo co' nemici della
sua {314} schiatta, fermato nell'ottantatrè, riconoscendo anco tener
dal re di Francia Montpellier e Lans; e che promise per solenne
scritto di dargli i passi della Catalogna, vittuaglie, fortezze, e di
combatter contro il fratello: patti d'empietà che giurò sul
vangelo[20], e che attiraron su la sua patria le più atroci calamità.
Ma Pietro saputa la prima sentenza del papa, e preparandosi a renderla
vana coi fatti, volle combatterla anco nelle forme. Richiamossene
prima per ambasciadori; dei quali altri dal nimico fu preso, alla
romana corte pervennero Arnaldo di Rexach e Bernardo de Orlè[21]; che
esposte le ragioni del re, per lui chiedean sicurtà a difendersi in
persona innanti il sacro collegio; e proponean compromesso in cinque
principi di cristianità; ma rispinti dal papa assai duramente,
protestarono, e della sentenza appellaronsi, scrive il Montaner, a Dio
e a san Pietro, con uno scritto in buona forma per man di notaio[22].
Fantasia che bene sta ai tempi; e nascea da un giusto argomento di re
Pietro, comune a' più alti ingegni di quell'età, e fortemente scolpito
in tutte le memorie nostre d'allora, ch'era, distinguer sempre la
religione dalla Chiesa; lagnarsi ove occorresse del papa, ma esaltar
sempre la fede cristiana. Nè da altro forse fu dettato il motto degli
agostali d'oro battuti in Sicilia con l'aquila siciliana nel dritto, e
il nome della regina Costanza e sopra quello il motto «Cristo vince,
Cristo regna, Cristo comanda;» e nel rovescio l'armi d'Aragona, il
nome di Pietro, e su quello «La somma possanza in Dio è[23].»
Apparecchiavasi come ultimo {315} capo di difesa, per ischivar anco la
quistione del dritto della corte di Roma, quella donazione de' reami
ad Alfonso, di cui parlammo di sopra[24]; ma Pietro non l'usò perchè
la lite si trattò poi con la spada. Anzi sentendo la propria sua forza
nel navilio, e negli ordini d'entrambi i reami d'Aragona e Sicilia,
scherzava su la sentenza del papa, chiamandosi non più re, ma Pier
d'Aragona, cavaliere, padre di due re, e signor dei mari[25]. Con la
stessa non curanza e col brio d'un cavalier trovadore, ei poetò in
provenzale: turbarlo sì questa mostra de' gigli; ma si vedrebbe alle
prove se gli torrebbero il baston giallo e vermiglio, o se troverebbe
la perdizione in Ispagna chi verrebbe a cercarvi la perdonanza: per sè
ei non chiedeva armadura in questa guerra, sol che la sua donna lo
confortasse con un sorriso[26].
Un'altra ambasceria inviò in Francia a dolersi della rotta fede; ove
ai suoi legati non pur fu dato di vedere il {316} re[27]: e lo stesso
avvenne alla reina Margherita, madre di Filippo, che parlar volle di
pace[28]. Indarno ancora ne mosse pratiche Eduardo, re d'Inghilterra,
prima per suoi ambasciadori in Guascogna, poscia per lettere all'abate
di San Dionigi; perchè il legato, ben trascelto da papa Martino,
sturbò ogni mite consiglio[29]. Nondimeno non potè Pietro portar
l'Inglese alla guerra contro Francia, che pur non ne mancavano altre
cagioni. Non altrimenti gli tornò il chieder soccorsi all'imperatore
Ridolfo, profferendo cedergli suoi dritti sulla contea di Savoia, e
aiutarlo in Italia contro parte guelfa[30]. Più assegnamento facea
sopra Sancio di Castiglia, da lui favoreggiato nella ribellion contro
il padre; il quale or morto, e usurpato il reame da Sancio, venne
Pietro con esso lui a spessi abboccamenti, e fermarono aiuto
scambievole, e larghe promesse n'ebbe, ma all'uopo non sel trovò[31].
Nei quali maneggi affaticatosi indarno il re d'Aragona da giugno
dell'ottantatrè infino allo entrar dell'ottantacinque, vedea già le
armi di Francia alle porte, nè era un sol potentato straniero che si
levasse per lui.
Nè meglio avea da sperare in casa, ove a que' liberi spiriti spagnuoli
forte increbbe l'impresa di Sicilia, cominciata {317} senza voler
delle corti, compiuta senza pro del reame: che anzi per aver Pietro
occupato gli altrui, vedeano in tanto rischio i propri lor focolari; e
frugavali anco la paura del cielo[32], perchè papa Martino, sapendo
non osservato l'interdetto, ribadillo per aspri comandi
all'arcivescovo di Narbona[33]; ond'or vedeansi serrate le chiese,
furtiva e tetra celebrar una sola messa ogni settimana, null'altro
sagramento che il battesimo ai nati, la penitenza ai moribondi,
maledetta miseramente la terra che i lor maggiori aveano bagnato di
tanto sangue per la cristiana fede. Perciò in lor dispetto, chiamavan
Sicilia l'isola del dolore[34]. Adontavali inoltre quel cupo governar
di Pietro, senza consiglio delle corti nè di uomini del reame, ma
d'usciti italiani o sudditi di Sicilia. Ma sopra tutto doleansi delle
non osservate franchige, o, come suonano in lor idioma, _fueros_ del
paese; della negata restituzione dei beni occupati una volta a torto
da re Giacomo; della _quinta_ ossia balzello sugli armenti, che
assentito per la guerra di Valenza, ma riprovato dalle corti d'Exea,
tuttavia si levava; dell'autorità del _Justiza_ tenuta in non cale;
delle turbate giurisdizioni de' magistrati, e somiglianti abusi.
Rinnaspriali il timore di molto scempio in questa guerra; perchè da re
Filippo s'aspettavano audacissimi fatti, e spaventava l'oro e la
riputazione di Roma[35].
Poco appresso l'avventura di Bordeaux questi umori parver fuori, a una
prima scorrerìa che re Filippo movea in segno d'animo ostile dal
finitimo regno di Navarra, già {318} da lui occupato[36]. Molte
migliaia di cavalli e pedoni francesi entraron per quattro leghe a
dare il guasto in terra d'Aragona; nè pur ciò bastava a spuntare gli
Aragonesi che al re ubbidissero, sopraccorso in Tarragona, e
chiamanteli alle armi. Indi ei convocò le corti a Tarragona. Dove
baroni e cavalieri e popolani, con meraviglioso accordo, prepostisi di
troncare i passi alla usurpazion del potere, faceano il dì primo
settembre milledugentottantatrè gravissimi richiami; conchiudendo,
consultasse il re con loro intorno l'imminente guerra. Altero rispose,
non reggersi a consigli altrui; richiederebbe le corti al bisogno.
Ripigliaron dunque, riparasse gli aggravî; ed ei, che tempo era non a
disputare, ma a combattere. A ciò le corti, addandosi che le parole
erano niente, secondo lor esempi antichi, strinsersi in una lega, o
_giura_, come si chiamava dal giurar tutti, che le libertà della
nazione manterrebbero con avere e persone; chi fallasse tal giuramento
sarebbe sfidato a duello da tutti gli altri, come fedifrago e vile;
tutti difenderebbero i perseguitati dal re senza condanna del
_Justiza_ e de' pari; se Pietro s'ostini, chiamisi al regno il
figliuolo; si sforzi con l'arme chiunque ripugni alla lega. Allor
Piero con vaghe promesse differì le corti al tre ottobre, in
Saragozza: e quivi, trovandole anzi più salde e disposte a qualunque
sbaraglio, piegossi a confermar le franchige, sperando pur farsene
gioco ne' fatti; e pronto alle frontiere di Navarra volò. Ma que'
della lega che il conosceano, pria di tornarsi a lor case, adunati nel
tempio del Salvadore a Saragozza, rinnovano il giuramento; rafforzanlo
con istaggir ville o castella a guarentigia comune; {319} e
trascelgono lor deputati col nome di conservatori, che veglino al ben
del paese, e richieggano gli altri di entrar nella lega[37].
Queste civili dissensioni d'Aragona non ritrarrò più largamente,
perchè fuor del mio disegno sarebbe. Giova sol ricordare, che il
medesimo confermamento di franchige assentì Pietro al reame di
Valenza; e più volentieri a' Catalani, quando nel richiesero
all'entrar dell'ottantaquattro, assembrate lor corti a Barcellona;
perchè lì vedea pronti a seguirlo in tutte imprese, e a' fatti di
Sicilia pensava. {320} Ma sforzato da' bisogni o dalla sua propria
natura, indi a poco raccese gli sdegni con la lega d'Aragona,
richiedendo anzi tempo la moneta delle tasse: onde i collegati,
spagnuoli quant'esso, adunavansi in arme, spregiavano i comandi del
re, da sè trattavano col governador di Navarra e col papa. Più volte
poscia, costretto dalla lega, ei con Alfonso erede del trono,
ripromesse por fine agli abusi; più volte le promesse eluse. Tardi e
male perciò l'aiutarono gli Aragonesi, nella guerra che fuor di loro
confini in Catalogna si combattè[38]. E intanto alle discordie
senz'armi si mescolavan turbamenti d'altra indole. Stigato da Francia,
ribellossi don Giovanni Nuñez di Lara signore di Albarazzin, ma non
ebbe seguito; tantochè quella città dopo lungo assedio s'arrese[39].
Entratovi il re, aduna quante forze ei può; passa l'Ebro; cavalca a
sua volta terra di nimici; e tornane con molto bottino. Indi
accomiatatosi con mal piglio dai collegati in Saragozza, sopraccorre a
Barcellona, poco men che repubblica, ove macchinava pericolosi
movimenti contro i nobili un Berengario Oller, popolano: e i seguaci
di costui sperde Pietro con la riputazione del venir suo; dissimula
con Berengario; il cattura egli stesso; e lo fa con altri sette
impiccare per la gola il dì di Pasqua dell'ottantacinque[40]. Repente
poi tolta con se picciola mano d'uomini d'arme, che non sapeano dove
si andassero nè a che, valica i Pirenei; piomba su Perpignano, ov'era
il re di Maiorca, già pronto a scoprirsi {321} per Francia, e darle
passaggio per lo Rossiglione, terreno di gran momento nella guerra che
sovrastava. Occupata da Pietro la città; guardato per lui il castello;
Giacomo fuggì da una fogna, lasciando prigioni moglie e figliuoli; e
senz'altro aspettare passò a' nimici[41].
I quali, deliberata che fu in Francia la impresa, adunarono da
mezz'Europa forze smisurate. Correano al bando della croce e del
soldo, Francesi, Piccardi, Provenzali, Guasconi, Borgognoni, Tolosani,
Brettoni, Inglesi, Fiamminghi, Alemanni, Lombardi; e più fu l'italica
gente nell'armata, di navi pisane e genovesi, oltre quelle di Provenza
e Guascogna. Cencinquanta galee, navi di trasporto assai più, e
nell'esercito noveraronsi diciassettemila uomini d'arme, diciottomila
balestrieri armati da capo a pie', sopra centomila fanti, e più numero
di guastatori, saccomanni, e bagaglioni, e ottantamila vetture; nel
che accordansi a un di presso gl'istorici tutti dei tempi, e il grave
d'Esclot aggiugne non potersi credere da chi non l'avesse visto con
gli occhi. Tardamente questa gravosa moltitudine si adunò alfine a
Tolosa, nelle feste di pasqua del l'ottantacinque. Ivi la mostra si
fece[42]; si spiegò l'orifiamma: e la seguiano con molta baronia lo
stesso re Filippo e' figliuoli {322} Filippo il Bello e Carlo, col re
di Maiorca, e il legato. Primo stigatore di crudeltà fu costui in
tutto l'esercito, quasi ereditando le passioni di papa Martino; e
innestavale a natura inflessibile ed efferata. Filippo il Bello, al
contrario, da ammirazion di re Pietro fratel della madre, o invidia di
Carlo novello re d'Aragona, veniva di mala voglia, guardando bieco il
legato. Cominciò l'astio a scoppiare un dì a corte; ove lacerandosi il
nome di Pietro, come autor di scandali e più ladrone che re, il
giovane aspramente dava sulla voce al legato; e ne bisticciò col padre
e col fratello, costui nel calor della disputa chiamando re del
cappello, e che sol questo guadagnerebbe dalla concessione del papa.
All'entrar di maggio irruppe la formidabil oste in Rossiglione[43].
Spartita mosse in sei schiere o piuttosto eserciti; un dei quali col
gonfalon della Chiesa ubbidiva al legato. E prima inviperito costui,
perchè la sola Elna resistesse nell'occupazion di Perpignano e di
tutto il contado, raccende i soldati a metter tutti gli abitatori al
taglio della spada; chè contro nimici della Chiesa o non era peccato,
o ei l'assolvea. Quindi nè ad età, nè a sesso, nè a religione
perdonaron entro la misera villa le genti crociate: e violaron le
suore ne' monisteri, e trucidarono i sacerdoti, e le donne dopo averle
sforzate, e infransero a' muri i tenerelli bambini[44], perchè Pier
d'Aragona non potesse aiutar la Sicilia, e restasser soddisfatte le
voglie di casa d'Angiò, di parte guelfa, della romana corte in Italia.
Ma dopo il facil conquisto {323} del Rossiglione, l'esercito forza fu
che s'arrestasse alle chiuse de' Pirenei, sotto il colle di Paniças,
donde valicar disegnava, per non discostarsi gran tratto dall'armata e
dal mare. A tal intoppo la immensa moltitudine si disordinò: tutti
doleansi; molti partiansi dall'oste; i quali a dileggio andavan prima
a pie' del colle con tre sassi, e scagliandoli, «Questo, diceano, per
l'anima di mio padre, questo di mia madre, questo alla mia:» e preso
un pugno di terra spagnuola, riponendoselo in tasca, «Questo,
aggiugneano, guadagnerammi la perdonanza.» Donde il legato, impaziente
e inesperto di guerra, tanto peggio sbuffava. Garrì una volta di poco
animo i capitani francesi; al che re Filippo non potè starsi, che non
rispondesse brusco: gran parlar militare ei facea; prendesse le sue
schiere e salisse ei primo le chiuse. Un'altra ne toccò il legato da
re Pietro, quando ingiuntogli per messaggio superbamente di sgombrare
dalla terra della Chiesa e di Carlo re d'Aragona: «Poco, Pietro lor
disse, poco questa terra costa e a chi donolla e a chi l'accettò: i
miei maggiori la guadagnavano col sangue; chi la vuole, comprila
adesso a tal prezzo[45].»
Nè millantavasi il grande, il quale con maravigliosa costanza,
audacia, e intendimento di guerra si resse tra cotanta rovina,
ancorchè da tutti abbandonato, in pena della sua violenza troppa al
comando; chè nè esercito avea per sè, nè flotta, nè danaro, nè zelo
de' popoli. Com'adunata seppe l'oste di Francia a Tolosa, ma non qual
via terrebbe, fidando pur nell'indole de' suoi, che a niun patto non
avrebbero sofferto dominazione straniera, chiama all'armi {324} i
nobili e le città d'Aragona, che guardino lor confini; ingiunge lo
stesso in Catalogna alle città e a' cavalieri del Tempio e di san
Giovanni; a Barcellona con la campana a martello, com'era usanza, leva
il popol all'arme. Indi, agli avvisi dell'occupato Rossiglione, corre
a quelle frontiere; quivi dà ritrovo a ragunarsi le genti; ed egli,
soprastato alquanto a Junquera per esser senza forze, penetrando che
il nemico presenterebbesi la dimane, gittasi il dieci maggio a
prevenirlo alle chiuse, o almeno morirvi re: con ventotto cavalli soli
e settanta pedoni, monta sul colle di Paniças, che risguarda da un
canto il golfo di Roses, dall'altro sovrasta a una stretta gola di
monti, aspra sì, ma la meno in quelle giogaie. Quivi la notte fe'
porre sparsi e molti fuochi per finger grand'oste; e guadagnati con
tale stratagemma uno o due dì, attendovvi poi le genti di Catalogna
che s'andavano ragunando; la gola afforzò di ridotti, e munizion di
botti piene di sabbia, e massi da rotolare dall'alto. Gli altri passi
guardò con le poche forze che tor si potea d'allato; più tosto velette
che schiere. Al campo di Paniças veniano a Pietro gli ambasciatori di
Bohap, re di Tunis; e quivi stipulossi il due giugno un trattato di
tregua e commercio per quindici anni, che dava reciprocamente
sicurezza e favore alla navigazione e al commercio de' sudditi dei due
re, compresi espressamente in que' di Pietro i Siciliani; e fruttava a
Pietro il pagamento dell'antico tributo di Tunis alla corona di
Sicilia, co' decorsi di esso non pagati a Carlo d'Angiò. Con tal
sicuro animo il re d'Aragona affrontò l'immensa ruina che gli
sovrastava! Tenne ben tre settimane a pie' de' Pirenei l'esercito di
Francia, che una volta fe' prova a sforzar le chiuse, e funne
respinto[46].
Ma, come avviene, non mancò (e fu questa volta dei {325} monaci d'una
badia tra que' monti) un traditore che mostrasse altro passo al
nemico[47] per burroni asprissimi, e però men guardati; pei quali
alfine traghettava di mezzo giugno l'oste francese. Allor Pietro,
lasciata l'inutil postura di Paniças, muta secondo necessità i modi e
gli ordini della guerra; licenzia le genti; vieta consumar le forze a
difesa di picciole terre; egli stesso abbandona dietro breve
avvisaglia Peralada, che i suoi bruciarono; mal si ritrae se per
antivenir nel saccheggio i nemici, o da eroico pensiero del visconte
di Rocaberti, signor della terra, ch'altro modo non vedea d'arrestare
per poco il Francese. Indietreggiò dunque Pietro per Castellon e
Girona; chiamò frettoloso i rappresentanti delle città. I quali
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