La guerra del Vespro Siciliano vol. 1 - 19

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CAPITOLO X.
Nuovi preparamenti degli Angioini contro la Sicilia. Capitoli del
parlamento di Santo Martino nel regno di Napoli. Nuove intimazioni del
papa a re Pietro e a' Siciliani: bando della croce: sentenza di
deposizione di Pietro dal reame d'Aragona, e altre pratiche. Aperta
ribellione di Gualtiero da Caltagirone. Vittoria dell'armata siciliana
su la provenzale, nel porto di Malta, il dì 8 giugno 1283, e
conseguenze di essa. Pratiche del papa a sturbare il duello. Andata di
re Pietro in Catalogna e a Bordeaux: esito della scena del duello.
Umori dei popoli del regno di Napoli. I nostri occupano alcune terre
in val di Crati. Preparamenti di una nuova impresa sopra la Sicilia.
Loria assalta con l'armata il regno di Napoli. Battaglia del golfo di
Napoli il 5 giugno 1284, e presura di Carlo lo Zoppo. Sollevazione
della plebe in Napoli. Maggio 1283 a giugno 1284.

In questo tempo il nimico apprestossi a una seconda prova contro la
Sicilia; di che s'eran maturati i disegni a corte di Roma, quando
Carlo, tornato di Calabria, appresentossi al papa e a tutto il sacro
collegio a chiedere aiuti[1]. Tentar doveasi il colpo nella state
dell'ottantatrè, per cogliere il destro dell'assenza di Pietro. A ciò
preparavansi navi e armi, men poderose che l'anno innanzi, per
diffalta di moneta, e perchè faceano assegnamento maggiore sugli animi
de' popoli, simulando mansuetudine quand'era tornata vana la forza.
Par che in Sicilia tenessero a questo disegno, secondo l'indizio della
spia presa a Geraci, i principi di controrivoluzione testè detti. Al
medesimo effetto or trattavasi più solenne e larga la riforma del mal
governo in terraferma. E 'l papa suscitava i nemici di Piero;
spaventava gli amici; e a sviar le forze di lui, principiava a
minacciare il reame d'Aragona.
Re Carlo dunque nell'andar di Roma a Parigi, era soprastato {231}
alquanti dì in Marsiglia; ove al suo vicario di Provenza avea commesso
che, allestite in fretta venti galee, e armatele della miglior gente
di mare di tutta Provenza, mandassele in Puglia, d'aprile o di maggio
al più lungo[2]: ed ei medesimo poco appresso, tornato a Marsiglia, e
trovate le galee munitissime di attrezzi e armi e ciurma al doppio
dell'ordinaria, aveale affidato a Guglielmo Cornut e Bartolomeo
Bonvin, marsigliesi; giurando Guglielmo che darebbegli morto o
prigione l'ammiraglio nimico[3]. Il principe di Salerno al tempo
stesso armava nel reame di Puglia novanta tra teride e galee, che a
mezzo giugno si trovassero a Reggio[4]. Abbandonato egli avea nel
corso d'aprile gl'infelici alloggiamenti di Santo Martino, ove per
disagio e febbri consumavasi come in atroce pestilenza la gente
francese; ch'eravi anco morto con grande compianto Piero conte di
Alençon, e sì scarseggiavan le vittuaglie e lo strame. Presso Nicotra
sulla marina il principe s'attendò, per esser più pronto all'imbarco:
otto galee fe' racconciare in quel porto; tutto intendendo al
passaggio sopra la Sicilia[5]. {232} Ma prima di mutare il campo avea
tenuto nelle pianure stesse di Santo Martino un solenne parlamento,
del quale è mestieri qui far parola.
Perchè ai «prelati, conti, baroni, cittadini e probi uomini,» in
grande numero adunati (novella temperanza de' governanti angioini),
chiedeva il principe i sussidj; e gli erano assentiti in merito della
riforma, mal abbozzata già nei capitoli del dieci giugno
dell'ottantadue, e peggio osservata; {233} della quale or trattandosi
con quei grandi e rappresentanti della nazione, nuovi capitoli
sancironsi e pubblicaronsi in questo parlamento medesimo, il dì trenta
marzo milledugentottantatrè. Cominciavano con accettare apertamente in
che orrendo servaggio e povertà fosse venuto il reame, per vecchia
colpa, diceasi, dei tiranni Svevi, e fresca malizia de' ministri e
officiali del re, tradenti il suo paternale buon volere. Larghissimi
indi i favori conceduti e raffermi agli ecclesiastici, per lor averi,
persone, case ed autorità; chè si corse fino ad accordare la
franchigia delle tasse su lor beni ereditarj, e, strano capitolo in
una riforma di abusi, si ordinò la punizion civile degli scomunicati.
Gli aggravj che più ai baroni incresceano furon rivocati; moderato il
servigio militare; disdetto ogni impedimento a' matrimonj delle
figliuole, e alla scossione dei giusti aiutorj (quest'era il vocabolo)
su i vassalli; ristorato il privilegio del giudizio de' pari; cessata
la molestia dei servigi al fisco. A beneficio di tutta la nazione, il
principe francò di dogane il trasporto delle vittuaglie da luogo a
luogo nel regno; promesse coniar buona moneta; vietò le inquisizioni
spontanee de' magistrati; menomò la taglia per gli omicidj non
provati; consentì i matrimonj delle figliuole de' rei di fellonia;
corresse gli abusi de' servigi, e le baratterie degli officiali,
simul, il fisco non rivendicasse beni, altrimenti che per decisione di
magistrato; non incorporasse le doti alle mogli degli usciti; nè gli
artieri si sforzassero a racconciar le navi regie, nè la città a murar
nuove fortezze; i giustizieri e altri ufficiali, usciti dalla carica,
restasser nel paese quaranta dì a rispondere di mal tolto. Quanto alle
collette e altre imposte generali o parziali, il principe bandì:
godessero i cittadini del reame di terraferma tutte le franchigie e
gli usi de' tempi di Guglielmo il Buono. Ma sendone oscure ormai le
memorie, rimetteva in papa Martino descriver quelle consuetudini entro
due mesi; comandava che due legati d'ogni giustizierato, a tale
effetto si trovassero prestamente innanzi il papa: intanto nulla
fornirebbero le città o provincie, nè anco in presto, fuorchè nei casi
stabiliti dalle costituzioni. In ultimo, richiamò in vigore i recenti
capitoli di re Carlo; {234} a vegliar la osservanza dei presenti,
deputò inquisitori a posta in ogni città e terra. Questi nuovi frutti
raccoglieano i popoli di terraferma dalla siciliana rivoluzione[6]!
Intanto papa Martino senza studiarsi ad occultar la fiera passione
dell'animo suo, vibrava anatemi sopra anatemi contro Piero, e'
ministri, e' guerrieri, e' Siciliani tutti. Da Montefiascone a
diciotto novembre dell'ottantadue, dichiarolli involti nelle
scomuniche comminate già prima; e a Pietro ricantò: sgombrasse di
presente la Sicilia; non usurpasse il titolo, non esercitasse atto
alcuno di re. Al Paleologo, scomunicato d'altronde, comandò per nuovi
scongiuri di spezzar ogni legame con l'Aragonese. E, altro che
minacciar non potendo, diè nuovi termini a obbedire; a Piero ed a'
dimoranti in Italia, infino al due febbraio; al Greco e agli altri,
infino ad aprile e a maggio: fornito il qual tempo, i trasgressori si
rimarrebbero spogliati d'ogni feudo, possessione o diritto; sciolti
lor vassalli dal giuramento; date le facultà e le persone in balìa de'
fedeli che volessero occuparle, quest'era la formula, tolto il
pericolo di mutilazione e di morte[7]. {235}
Ma poco appresso proruppe a comandar guerra e morte, non aspettato
pure il decorso de' termini, «Sorga il Signore, esordiva da Orvieto a
tredici gennaio milledugentottantatrè, sorga il Signore, giudichi la
sua causa, per le offese che gli stolti vengongli recando ogni dì:» e
sermonando del racquisto di Terrasanta, attraversato da Piero e da'
Siciliani con molestar la Chiesa, «Iddio però, ripigliava, muova
contr'essi a battaglia; e noi, per divina misericordia forti
dell'autorità degli apostoli, esortiamo i cristiani tutti a levarsi
per noi, per Carlo nostro figlio diletto; qual muoia nella impresa
sciogliam dalle peccata, come se in guerra di luoghi santi[8].»
In fine, a diciannove marzo, fulminò da Orvieto l'altra sentenza.
Rinfacciò a Piero i primi suoi armamenti in Catalogna; il passaggio
sopra l'Affrica, con forze non pari a tanta impresa; i messaggi a'
Palermitani per indurarli nella ribellione; le perfide ambascerie alla
corte di Roma; la fraudolenta occupazione del reame di Sicilia. Ma la
Sicilia, dicea, terra è della Chiesa; e anco feudo nostro l'Aragona,
per l'omaggio prestato a papa Innocenzo terzo dall'avol di Pietro.
Questo dunque sleale vassallo per tradigione deponghiam noi dal regno
d'Aragona; altri ne investiremo a piacer nostro. Con ciò scomunicollo
una terza volta: scagliò interdetto su quantunque città tenessero per
lui[9]. Nella quale sentenza allegò Martino l'avviso dei cardinali;
onde, se non mentì netto, cavillò; leggendosi nelle istorie del suo
medesimo segretario, come parecchi fratelli del sacro collegio forte
la dissentissero. Di ciò, segue il Malaspina, arduo sarebbe, e più da
indovino che da fedel narratore, a scrutar la cagione: e anco toccando
l'autenticità dei titoli del papa sopra Aragona, e {236} il suo
diritto alla deposizione di Piero, si dilegua in ambagi, con meschin
temperamento tra istorico e cortigiano[10].
Instava il papa inoltre a dissuadere Eduardo d'Inghilterra dal
matrimonio della figliuola col primogenito di Pietro; costui dicendo
persecutor di santa Chiesa; incesto il nodo per un quarto grado di
consanguineità[11]. Sturbava per un vescovo suo fidato gli accordi tra
l'Aragonese e la repubblica di Venezia, vogliosa dell'equilibrio del
potere in Italia; onde parecchi suoi cittadini avean ricevuto messaggi
di Pietro, e a lui mandatone[12]. Consentiva a Carlo differisse pure
il pagamento del censo alla Chiesa[13]. Esortava nel reame di
Castiglia i prelati, i Templari, i Gerosolimitani, e altre fraterie
armeggianti a muover contro Sancio, presuntivo erede della corona,
ribellatosi al padre, e collegato con re Pietro[14]. Liberava e
preponeva al comando degli eserciti della Chiesa in Romagna il conte
di Monteforte, quel sacrilego uccisore del principe Arrigo
d'Inghilterra[15]. E come or tutte ritrar le brighe d'un tal
potentato, stigato da ira di parte e vicin pericolo? Aspramente in
vero travagliossi la pontificia corte in Italia a quel fortuneggiare
di Carlo: smugneasi di danari per sovvenirlo[16]: vedea la Romagna
corsa dal conte Guido da Montefeltro e sollevata; Roma più che mai
immansueta[17]; {237} e, vero o non vero, si disse di pratiche di que'
cittadini con lo stesso re di Aragona[18].
La tempesta preparata per cotal modo, cominciò a scaricarsi appena
allontanato di Sicilia re Pietro, quando Gualtiero da Caltagirone
ripigliando animo, levossi alfine scopertamente; assalì in Caltagirone
i leali stretti a schiera sotto lo stesso stendardo del re; e sparso
assai sangue, occupò la terra, destò per tutto val di Noto uno
spavento di novità. Ma l'infante Giacomo, che percorrendo la region
settentrionale dell'isola, giovanetto vivo e benigno, era stato per
ogni luogo onorato come re, e con grande amore accolto, e giuratagli
fedeltà, sapute in Palermo le rie novelle di Gualtiero, insieme co'
suoi consiglieri sen turbò forte, ma forte provvide. A Guglielmo
Calcerando vicario, e a Natale Ansalone da Messina giustiziere in
quella provincia, fu scritto: andassero mansueti a Caltagirone;
cautamente facesser gente e armi; poi d'un colpo di mano, per forza o
per frode, prendesser Gualtiero. Fecerlo; chè pari allo stato non era
animo nè senno in costui, nè la ribellione avea altre radici: e furono
catturati con esso Francesco de' Todi e Manfredi de' Monti; sì
prestamente, che l'infante cavalcando appresso i suoi spacci, non era
giunto a Piazza che 'l seppe. Andò il ventuno maggio a Caltagirone: il
dì appresso Gualtiero e i consorti, convinti dall'aperto sollevamento,
e sì dalle confessioni {238} di Bongiovanni e Tano Tusco, furono dal
gran giustiziere Alaimo condannati, e immantinenti nel pian di Santo
Giuliano dicollati; gridando il popolo: ammazza, ammazza. Bongiovanni
e l'altro morian sulle forche a Mineo. A dì venzette maggio,
racchetata ogni cosa, entrava l'infante, applaudito e festeggiato, in
Messina[19].
Dove fu mestieri allestir subito l'armata contro una prima fazione del
nimico; il quale ignorando che la controrivoluzione fosse stata spenta
sì tosto con arte e fortuna, si mostrava ne' mari di Sicilia in questa
stagione. Perchè venute a Napoli di maggio le venti galee provenzali,
e tolti secoloro assai cavalieri del regno e Francesi, e sette legni
da ottanta remi, a Nicotra s'erano avviate a trovare il principe. Il
quale vedendo così rassicurati i mari da' corsali siciliani, e
mercatanti di Terra di Lavoro e Principato ricominciare a navigarvi, e
recar vittuaglie alle sue stanze; e sentendosi già forte alle offese,
per prima dimostrazione, mandò l'armata provenzale a girar intorno la
Sicilia dal mar Tirreno e dall'Affricano, e, s'altra occasione non si
presentasse, vettovagliare il castel di Malta, che i nostri sotto
Manfredi Lancia, occupata l'isola, stringean d'assedio, e con macchine
percoteano[20]. {239}
Ruggier Loria stavasi pronto nel porto di Messina con ventidue galee
catalane e siciliane, quando ebbe avviso della nemica flotta da' suoi
legni sottili, o da barche di Principato, che navigavano con frutta e
vini furtivamente alla volta di Sicilia; le quali imbattutesi nella
flotta provenzale presso Ustica, se ne liberavano fingendo esser
indirizzate per Tunisi, e poi, volto il corso, approdavano a Palermo,
a Messina e a Trapani[21]. Presupposta a quell'avviso la fazion de'
nemici, la regina incontanente spacciò a Malta un legno da quaranta
remi a comandar che lasciato l'assedio della rocca, s'afforzassero i
nostri in città: e Loria, cercando la flotta di Provenza, die' ai
venti le vele. D'Ustica la seguitò a Trapani e a Terranova, restando
indietro sempre due giorni; onde com'ei toccò Gozzo, a Malta la seppe,
che già avea sbarcato le genti, e investito, ancorchè invano, gli
assedianti in città. Indi a mezza notte innanzi l'otto giugno
milledugentottantatrè, salpando dal Gozzo, fu surto a traverso la
bocca del porto di Malta, con le ventidue galee ordinate a scaglioni.
Questa era la prima impresa che Ruggiero governava da ammiraglio: tra
la sua gente e la provenzale s'aveva a contendere il primato ne' fatti
di mare. Perciò, sdegnando assaltare il nemico sprovveduto, fa suonare
a {240} battaglia tutti gli stromenti; manda un legno a sfidare
Cornut; e accorgendosi come cento uomini francesi dal castello
correano ad imbarcarsi, da non curante li aspetta. Fe' il nimico
ammiraglio riconoscer le nostre galee; e più baldanzoso per falso
avviso che fossero sol dodici, co' suoi ventisette[22] legni
impaziente die' dentro, che appena facea l'alba.
Uguagliavansi i combattenti di cuore, d'orgoglio, e a un di presso di
forze; perchè il nimico ci vantaggiava nel numero degli uomini e de'
legni; cedea negli ordini del combattere, per cagion di que' suoi
terzi vogatori[23], nè pratichi nè aitanti al saettare, da meno assai
de' balestrieri stanziali, freschi e spediti, ch'avea l'ammiraglio
nostro, contento di due uomini soli a ciascun remo. Dapprima
s'affrontano con ugual furore, con saette e sassi e calce e fuochi; ma
Loria comanda a' suoi, che copransi alla meglio, e sostengan lo
scontro, lasciando i soli balestrieri a ferire: e così infino a
mezzogiorno si battagliò, e si sparse assai sangue; incalzando gli
uni, difendendosi gli altri soltanto. Ma come Loria s'accorse che già
mancavano i tiri a' Provenzali, i quali invano li aveano sparnazzato;
e che prendean essi a lanciare fino gli utensili delle {241} galee,
passò a ripigliar vivamente l'assalto. Leva il gridò: «Aragona
sovr'essi!» e robusti arrancando i nostri, feriscon di sassi e dardi,
e tutte lor armi i Provenzali, sprovveduti e stracchi; urtan di costa
le navi; spezzan remi, fianchi, prore; saltan all'abbordo con le spade
alla mano. Quest'impeto trionfò. Nol sostenne Bonvin, che con otto
galee sdrucite e insanguinate, a randa a randa la punta del porto,
prese largo alla fuga. Facil preda caddero i rimagnenti. Ma Guglielmo
Cornut disperatamente strignesi a combattere con Loria; spicca un
salto sulla galea catalana, o quei sulla provenzale, che in ciò
variano i racconti; e il Marsigliese cercando l'emulo suo, tanto menò
a cerchio d'un'azza, che sgombrò la ciurma, con lui scontrossi sotto
l'albero della nave. Ferillo alla coscia d'un lanciotto; e 'l finiva
con l'azza, se un colpo di pietra non gliela traea di mano: onde
Ruggiero, colto il tempo, strappandosi l'asta dalla ferita,
ritorcegliela in petto, e 'l passa fuor fuora. Così fornissi la zuffa.
Cinquecento rimaser de' nostri tra feriti ed uccisi; ottocento
sessanta i nimici prigioni; morti poco più. Bonvin, sostato a cinque
miglia da Malta, fea gittare i cadaveri, affondar tre galee incapaci a
mareggiare; e con le altre cinque, sol avanzo dell'armata, tornò
portatore di lutto alle costiere di Provenza, ove pochi erano che non
avessero congiunto o amico da piangere. S'arrese poi a Manfredi Lancia
il castello: Malta e il Gozzo presentaron Ruggiero di munizioni,
gioielli, moneta. Egli, approdato a Siracusa, fa cavalcar corrieri per
tutta l'isola col nunzio della vittoria; spaccialo con un legno al re
in Aragona. Tornasi indi a Messina, strascinando a ritroso le navi
cattivate, e le nimiche bandiere, e tanto stuol di prigioni; de' quali
la reina mandava a Piero in Ispagna dodici cavalieri; i gregari fea
lavorar nell'arsenale di Messina e al risarcimento delle mura; fu
chiuso in carcere Nicoloso de Riso, perdonandogli la pia regina {242}
quella morte ch'ei ben meritava per le portate armi contro la
patria[24]. Ma l'ammiraglio non posando a pascersi di lodi in corte,
di plausi e festeggiamenti in città; e volendo trarre del tutto a'
nemici la voglia di venir sopra l'isola, rifornita in pochi giorni la
flotta, spingeasi lungo le costiere di Calabria e Principato;
presentandosi minaccioso infino allo stesso porto di Napoli. Il
presidio fe' prova a rispingerlo saettando; ed ei, messi all'opra i
suoi balestrieri, spazzò la riva. Allora fa appiccar fuoco a navi,
attrezzi e munizioni navali, accatastati nel porto: passa indi a Capri
e ad Ischia; prende d'assalto quelle deboli castella; e pieno di
preda, torna in Sicilia a svernare[25].
Intanto i due re in ponente menavano gran rumore per lo duello, del
quale è bene i particolari tutti narrare. Ad ovviarlo s'era adoprato
papa Martino, solo in questo moderato e pio tra tanta intemperanza
d'ira: di che ci restano irrefragabili documenti, e distruggono una
fola di Giachetto e del Villani, che favoleggiaron pattuito innanzi
Martino il combattimento; posta premio al vincitore la corona di
Sicilia; Pietro, per la diffalta a quella tenzone, scomunicato e
spoglio del regno[26]. Tutto al contrario, il papa indirizzò a Carlo
una grave epistola il dì cinque febbraio {243} dell'ottantatrè. Severo
assai perchè assai l'amava (così scriveagli), il riprenderebbe di
quegli stolti patti, di quelle disoneste imprecazioni stipulate nei
diplomi, di quella, non prova di ragione, ma di vanità e ferocia. E
non s'accorgea della magagna dell'Aragonese, che, minore assai di
esercito, l'adescava a misurarsi da uguale? Vietati, dicea, dalla
religion del vangelo questi certami alle private persone, non che ai
reggitori de' popoli. Pertanto non s'attentasse a combattere: ei,
vicario di Cristo, lo sciogliea da' giuramenti presi; persistendo,
minacciavalo di censure, e di quanti i altri gastighi sapesse trovar
contro di lui la romana corte[27]. Rincalzò lo scritto con la viva
voce del cardinale di san Niccolò in carcere Tulliano, e di quel di
santa Cecilia, mandato in Francia con lo stesso Angioino[28]. A re
Eduardo, per un'altra epistola del cinque aprile, sotto l'usata
minaccia, inibì di star guardiano del campo, di far entrare in
Guascogna i combattenti[29]: al medesimo effetto, scrisse non guari
dopo a Filippo l'Ardito[30]. Ma alfine lasciò fare, o perchè vide non
poter vincere la pertinacia di Carlo, o perchè entrò nei disegni di
Carlo e della corte di Francia, che sembrano men lievi e men innocenti
d'uno sfogo cavalleresco[31].
E l'Inglese, richiesto da Carlo, dopo alquanto differimento,
rispondea, gli manderebbe messaggi; e Goffredo {244} di Grenville e
Antonio Bek inviò, portatori d'una lettera, ove conchiudea: non se a
lui ne tornassero ambo i reami di Sicilia e Aragona, lascerebbe
compier tanta crudeltà al suo cospetto, nè in sua terra, nè in altro
luogo ove potess'egli attraversarla[32]. Significò al principe di
Salerno avere risposto a Carlo un no assoluto[33]: gli stessi legati
mandò a re Pietro[34]. Alfine, a trarsi d'impaccio del tutto togliendo
ogni luogo all'assicurazione del campo, comandava al siniscalco di
Bordeaux, che tenesse la città a disposizione di Carlo e del re di
Francia[35].
Ma i due nemici re tuttavia sceneggiavano. Pietro, di Sicilia commise
ad Alfonso in Aragona, che scegliesse i campioni; che ne scrisse poi
cencinquanta, perchè in ogni caso non mancassero i cento; ed eran
Catalani, Aragonesi, Italiani, Siciliani, Alamanni, e anco un figliuol
del re di Marocco, disposto a convertirsi alle fede di Cristo se
n'uscisse con vittoria. Carlo dal suo canto fabbricar facea a Parigi
cento armadure finissime; e, partitosi da corte di Francia, tutto
ordinava al duello, o a farne mostra; e raccolse infino a trecento
campioni, per la ragion medesima dell'avversario; che de' cento primi,
sessanta eran Francesi, Provenzali il resto. Vi si pose in lista
ancora {245} Filippo; e a tutti i suoi baroni comandò si trovassero al
duello[36]: onde tal romore ne corse per lo reame, che in ogni luogo
la nobiltà fremeva arme, cavalcava, sperando entrar nella battaglia,
o, se non altro, vederla: e traeano a torme a Bordeaux, come se già si
rompesse la guerra. Indi in que' piani re Carlo fe' costruire assai
capace la lizza, bislunga, girata di gradi a guisa d'anfiteatro,
saldissima di legname e di ferro, con due alloggiamenti per le due
bande nimiche, affortificati di steccato e fosso; l'uno all'un capo,
l'altro all'opposto presso la porta, ch'unica se n'aprì per l'entrata
e l'uscita. Ma queste vicine stanze ai Francesi, le prime assegnavansi
a que' d'Aragona; onde si bucinò, che divisassero i Francesi, restando
vincitore il nimico, occupar con gente di fuori la porta, e, chiuso
nello steccato, farne macello. Maggiori sospetti destava il raccontato
armamento universale di Francia, e 'l sapersi tutti i passi d'intorno
Bordeaux occupati da gente francese.
Navigò Pietro di Trapani ver ponente a golfo lanciato; ch'entrato in
mare il dì undici maggio, forte il travagliava un timore di non
giugnere a tempo. A ostro da Sardegna, l'investe un tempo fortunale;
ed egli accorgendosi che a vele non si facea, rinforzate di remiganti
due delle galee, passavi dalla sua nave con tre soli cavalieri:
comanda di guadagnar l'isola a ogni costo, mare e venti spregiando, e
i pirati frequentissimi; e a Ramondo Marquet, l'ammiraglio, che lo
scongiurava non si gettasse tra tanti rischi: «No, rispose, perch'io
mi trovi alla battaglia, quanto mortale far possa, io il farò. Il mio
fato, qual che siasi, è scritto, è immutabile; e meglio conviene a'
mortali darsi impavidi alla fortuna, che far vani sforzi a fuggirla.»
Con tale animo, rifocillatosi a terra un istante, si commette di nuovo
sul legno, contro un ponente che il traportò fino a vista d'Affrica.
Maledisse allora i fati che 'l traeano a parer {246} mancatore e
spergiuro: per ansia e travaglio tre dì non prese alimento. Ma fur sì
destri i suoi, che al terzo giorno toccavan Minorca. Quivi il re
cibossi; valicò il mar fino a Cullera; e co' tre soli cavalieri, si
trovò il diciannove maggio a Valenza.
Trafelato ancor dal viaggio, ivi intende que' sospetti e quel
romoreggiar de' Francesi, fatto, se non altro, a spaventarlo sì che
non vada a Bordeaux. Pensava non poter con sè condurre tant'oste da
fronteggiarli; nè fallar volea la promessa, nè sprovveduto gittarsi in
gola ai nimici: ma poco penò a trovare un partito. Ai suoi campioni,
già pronti e venuti presso i confini, comanda che ciascun resti là
dove abbia saputo prima il sopruso degli avversari. Spaccia Gilberto
Cruyllas al siniscalco del re d'Inghilterra, a domandarlo di sicurare
il campo; e gli fa cavalcar appresso un nuovo messaggio ogni dì, per
aver frequenti avvisi, e render solita per quelle strade la vista
d'uomini del re d'Aragona. Ei co' tre fidatissimi cavalieri, Blasco
Alagona, Berengario Pietratallada e Corrado Lancia, cavalcò senz'altra
brigata con Domenico Figuera da Saragozza, mercatante di cavalli,
usato a trafficare in Guascogna, pratichissimo de' luoghi; dal quale
volle sagramenti terribili del segreto; nè altri in corte seppe questo
viaggio, non lo stesso infante Alfonso. Armossi il re d'un giaco di
maglia sotto i panni, d'una celata sotto il berretto, s'avvolse in un
vecchio mantello azzurro, prese in mano una zagaglia, la valigia sul
caval suo per parer famigliare del mercatante; e gli altri più
poveramente si vestian da mozzi; il Figuera in onorevole arredo e
sembianza; li maltrattava, albergava solo; servialo a mensa il re, e
gli dava acqua alle mani. Così prendeano la via di Tarragona, montati
su veloci palafreni, mutandoli di posta in posta; così richiesti ai
passi, rispose il mercatante che con que' famigliari andasse per sue
faccende; e, deluse le insidie, il dì trentuno maggio a nona si
trovarono sotto Bordeaux. {247}
Incontanente il re manda a città Berengario, figliuolo del Cruyllas,
chè trovato segretamente costui, venir facesse fuor le mura il
siniscalco inglese Giovanni di Greilly, con dir che un cavaliere amico
suo il dovea richiedere d'alto affare, e sì menasse un notaio.
Giovanni a sera andò: al quale Piero, infingendosi ambasciador
novello, ridomandava se venir potesse il re d'Aragona; e quei risoluto
rispondea che no: saper vicine grosse torme di cavalli francesi: re
Eduardo non aver assicurato mai il campo: nè or, volendo, il potrebbe,
congiunte ancor le sue forze a quelle del re d'Aragona: ciò aver ei
poco innanzi protestato a Gilberto. E Piero il pregava che gli
mostrasse la lizza: alla quale condotto, gittatosi alle spalle il
cappuccio, al siniscalco si appalesò. Que' premurosamente lo
scongiura, s'involi per Dio ai nemici. Il re montato il suo destrier
di battaglia, tre volte accerchia l'arena; surto nel mezzo, dice
solennemente al siniscalco e al notaio, esser venuto a mantener la sua
fede; non restar per lui che non si combatta, ma per la perfidia de'
nemici. Una protestazione fe' stenderne in buona forma; attestandovi
il Greilly la venuta del re d'Aragona, e l'ordine d'Eduardo di
rassegnar la città a Filippo ed a Carlo. Lasciò all'Inglese il re
d'Aragona le armi sue; pregollo che soprastasse alquanto a divulgare
il fatto; e speditamente galoppò, tornandosi per la via di Baiona.
Giunto a questa città tutto spunto e rabuffato, che da tre dì non
chiudea ciglio, promulga una protestazione; manda lettere e nunzi a'
principi di cristianità; e aspettandosi la guerra, richiama in patria
i sudditi suoi che si trovassero in Francia.
Carlo dall'altro canto, trovatosi infin dal venticinque maggio a
Bordeaux, come il dì stesso del duello seppe dal siniscalco la venuta
dell'avversario, indragato mandava cavalli a inseguirlo, che per
l'avvantaggio delle mosse invano s'affaticarono; e col Greilly n'ebbe
acerbissime parole, {248} e trapassò infino a farlo sostenere in
palagio, ma tosto liberollo vedendo ammutinarsi i cittadini a tal
violenza. Poi quel dì stesso, armato di tutto punto coi suoi campioni,
stette Carlo infino a meriggio nel campo: e una oste francese, chi
dice di tremila cavalli, chi di cinquemila, e chi assai più,
baldanzosa ingombrava i dintorni della città. Carlo protestò
superbamente, gridando in palese falso e codardo re Pietro; ma entro
di sè mordendosi, dice lo stesso Saba Malaspina, d'aver ordito tela di
ragni: e narra d'Esclot, ch'ei chiamava questo fier nimico: non uomo,
sì demonio d'inferno, e peggiore, perchè al segno della croce il
diavol dileguasi, ma contro costui non avvi argomento; tel credi lungi
le mille miglia, e tel senti sul collo. L'undici giugno infine
lasciata Bordeaux, non tardava il Francese a promulgar in Italia una
interminabile diceria de' torti di Pietro, e delle ingiurie ch'avea
ingozzato costui. Così la commedia terminossi. Nei raccontati fatti a
un di presso accordansi tutti gli storici contemporanei, ancorchè
diversi in qualche particolare, e secondo lor parte sforzantisi ad
accusar chi Pietro e chi Carlo. Noioso e inutilissimo parmi entrare in
questo giudizio. Ma è indubitato che il Francese con tanto stuolo,
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