La guerra del Vespro Siciliano vol. 1 - 14

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Neocastro, magnificator delle lodi messinesi, porta 24 mila
cavalli e 90 mila fanti. Speciale novera soltanto le navi a 300.
L'Anonymi chron. sic. dice solo: _cum magno, immo cum maximo
exercitu_. Il Villani dà a Carlo «più di 5 mila cavalli e
popolo senza numero», e 130 legni grossi, senza contar gli altri
di servigio. Saba Malaspina, cont., pag. 381, 60 mila fanti dopo
le stragi dell'assedio. Montaner 15 mila cavalli, e 100 navi, e
fanti senza numero. D'Esclot 15 mila cavalli, 150 mila fanti, e 80
tra teride e galee, senza i legni minori, nè le grosse navi. Il
frate autore delle Geste de' conti di Barcellona, a cap. 28, nella
Marca Hispanica del Baluzio, dice 14 mila i cavalli di re Carlo.
Scrivean 60 mila fanti e 22 mila cavalli gli Annali di Genova,
aggiugnendo _ut comuniter fertur ab omnibus_. In questo luogo
degli Annali di Genova è da notare che, certo per error di copia o
di stampa, si dice portato quest'esercito dal _Dictus vero rex
Petrus_, quando il capitolo parla dell'Angioino, e dello sbarco
a Santa Maria di Roccamadore; e di re Pietro avea già narrato
l'arrivo a Trapani, e tante altre particolarità da non lasciar
luogo a dubbio. La Cron. an. sic. porta 15 mila cavalli.
[13] Bart. de Neocastro, cap. 31.
[14] Bart. de Neocastro, cap. 32 e 34.
[15] Bart. de Neocastro, cap. 33, 35, 36.
Nic. Speciale, lib. 1, cap. 5.
Gio. Villani, lib. 7, cap. 66.
Dei quali il primo porta 500 cavalli e 5,000 fanti su 35 tra
teride e galee; il secondo con maggiore verosimiglianza, 1,000
uomini su 60 navi; e l'altro 800 cavalieri e più pedoni.
Saba Malaspina, cont., pag. 373, porta 500 cavalli e 1,000 pedoni,
ma riferisce questa fazione come avvenuta dopo il cominciamento
dell'assedio di Messina. In questo s'accordan con esso Gio.
Villani, e la Cron. della cospirazione, loc. cit., pag. 266.
A me è parso, quanto al tempo, seguir Neocastro e Speciale, sì per
esser nazionali, e sì perchè non è probabile che i Messinesi
quando furono assediati da tanto esercito, volessero o potessero
mandar gente alla difesa di Milazzo.
I documenti che è venuto fatto di trovare ai tempi presenti,
aggiungono molta fede all'autorità del Neocastro e dello Speciale,
attestando irrefragabilmente molti particolari riferiti da loro.
Tale il riscatto di Arrigo Rosso, di cui il Neocastro. Si ritrae
dal diploma ch'io pubblico nel docum. XII, e da un altro dato di
Avellino il 26 marzo 1284, che al par di moltissimi altri citerò
senza pubblicarlo, per non raddoppiar la mole di questo libro, che
non è codice diplomatico. La somma di tal diploma del 26 marzo,
tratto come il primo dal r. archivio di Napoli, reg. 1283, A. fog.
125, a t. è questa: «per misericordia» abbiam liberato Arrigo
Rosso da Messina, preso nel conflitto di Milazzo: egli ha
domandato quetanza dall'amministrazione della Segrezia di Calabria
che un tempo maneggiò, ed ha offerto a ciò mille once: accettiamo
il danaro, e accordiam la quetanza.
Ma notisi che l'ordine della liberazione è dato il 29 marzo, e la
quetanza per le mille once il 26, nella quale si dice, per salvar
le apparenze, essersi già messo in libertà il prigioniero. Il
ripiego fu trovato naturalmente perchè non volea confessarsi
riscatto per un cittadino non preso, come credeano gli angioini,
in giusta guerra, ma ribelle colto con le armi alla mano.
[16] Bart. de Neocastro, cap. 36 e 37.
Nic. Speciale, lib. 1, cap. 5.
[17] Diploma del 15 agosto 1282, in Gallo, Annali di Messina, tom.
II, pag. 131.
Diploma del ..... 1282, nei Mss. della Bibl. com. di Palermo, Q. q.
H. 4, fog. 117.
Si ritrae che questo nobil uomo era stato nel 1274 giustiziere in
Principato e terra Beneventana, da un diploma di agosto 1274,
pubblicato dal sacerdote Buscemi nella vita di Giovanni di
Procida, docum. 4, sopra una copia ms. della Bibl. com. di
Palermo, cavata dal r. archivio di Napoli; nella quale è l'errore:
_Alaymo de Lentini militi Justitiario Principatus et Terræ
Laboris_ in vece di _Terre Beneventane_, come dice
l'originale, ch'io ho riscontrato nel registro segnato 1273, A,
fog. 267 a t.
In un altro diploma del r. archivio di Napoli, reg. segnato 1270,
B, fog. 9, a t. in data del 29 ottobre 1279, per alcune
prestazioni alla chiesa di Messina, si legge al margine: _Alaymo
de Lentini et sociis secretis Sicilie_. Donde si conferma che
Alaimo era nobile uomo, adoperato ne' maggiori ufici dello stato,
e ricco da prender in affitto quel della Segrezia. Un altro
diploma del penultimo febbraio 1278, r. archivio di Napoli, reg.
1268, A, fog. 141, è indirizzato a Giovanni di Lentini milite,
consigliere e famigliare del re: e questo Giovanni si vede
portulano e procuratore di Sicilia in molti altri diplomi dello
stesso anno 1278, reg. citato, fog. 96, 137, 138, ec.
[18] Bart. de Neocastro, cap. 38.
Gli Annali di Genova, in Muratori, R. I. S., tom. VI, pag. 576,
portan lo sbarco a 3 agosto, forse confondendolo col cominciamento
degli assalti.
Gio. Villani, lib. 7, cap. 65, seguendo Giachetto Malespini, cap.
211, dice a 6 luglio.
Saba Malaspina, cont., nota come le ciurme si dessero a mangiar le
uve già mezzo mature per la bella esposizione del luogo; il che
ne' primi di luglio non potea certo avvenire.
E ciò sempre più mi conferma della poca fede che meritino il
Villani e i suoi guidatori, o seguaci in queste istorie del
vespro.
D'Esclot, cap. 82, dice senza data lo sbarco a _Santa Maria de
Rocha-Mador_.
[19] Bart. de Neocastro, cap. 38.
Nic. Speciale, lib. 1, cap. 5 e 7.
Saba Malaspina, cont., pag. 368 e 369.
D'Esclot, cap. 82.
Il Neocastro dice, che in questa torricella si ascondeva un
_pantaleone_. Forse era nome proprio di quelli che si davano
alle macchine, come oggidì alle navi e alle campane. D'Esclot,
cap. 42, e Buchon, nota, pag. 597, ed. 1840.
[20] Ribaldi si diceano i saccomanni, o i soldati più vili. Questa
voce appunto in sua latinità adopra lo Speciale.
[21] Nic. Speciale, lib. 1, cap. 6.
Saba Malaspina, cont., pag. 369-70.
Giachetto Malespini, cap. 211.
Gio. Villani, lib. 7, cap. 68.
Cron. della cospirazione di Procida, loc. cit., pag. 268.
Fra Tolomeo da Lucca, Hist. Ecc., lib. 21, cap. 6, in Muratori, R.
I. S., tom. XI.
[22] Bart. de Neocastro, cap. 39. Si noti che qui e in altri luoghi
io talvolta riporto le parole medesime dello storico
contemporaneo, là dove mi sembrano più vivaci.
Gio. Villani, lib. 7, cap. 68.
[23] Bart. de Neocastro, cap. 40.
Rocco Pirri, Sicilia Sacra, tom. I, pag. 407.
[24] Nic. Speciale, lib. 1, cap. 7.
Saba Malaspina, cont., pag. 372.
Gio. Villani, lib. 7, cap. 6º.
Giachetto Malespini, cap. 211; i quali due trascrivono il
principio della canzone:
Deh com'egli è gran pietate
Delle donne di Messina,
Veggendole scapigliate
Portando pietre e calcina.
Iddio gli dea briga e travaglia
A chi Messina vuol guastare, ec.
Bart. de Neocastro, cap. 42, narrando un assalto dato alla città,
fa menzione degli stessi particolari.
Gli aiuti delle altre città confermansi da un diploma del 15
agosto 1282, in Gallo, Annali di Messina, tom. II, pag. 131, nel
quale si legge il titolo: _Tempore dominii sacrosanctae Romanae
Ecclesiae, et felicis Communitatis Messanae anno primo. Nos
Alaimus de Leontino, Miles, Capitaneus civitatum Messanae,
Cataniae, et a Tusa usque ad Aguliam Augustae; consilium et comune
praedictae civitates Messanae, etc._
Per questo fu accordata ai cittadini di Siracusa nel comune e
distretto di Messina, la franchigia delle dogane, dritti di pesi e
misure, e altre gravezze, in merito d'aver mandato giusta forza di
cavalli e di fanti, nel presente assedio _dell'ingente
esercito_ di re Carlo, e d'aver tenuto fede a Messina.
[25] Bart. de Neocastro tien la prima di queste opinioni; Giachetto
Malespini, seguito dal Villani e dalla Cron. an. sic., la seconda;
Saba Malaspina, senza dir nè l'uno nè l'altro, porta il fatto
della venuta del cardinale a Messina.
[26] Saba Malaspina, cont., pag. 371, scrive _quidam Antropi cives
archipopulares_. Alla interpretazione dell'_Antropi_
indarno mi sono affaticato. L'egregio mio amico G. Daita,
professor di eloquenza in Palermo, giovane d'alto ingegno e molta
perizia nelle lettere latine, pensa che con quella voce, che in
greco suona _uomo_, Malaspina volesse significar filantropi,
o veramente scaltri, bravi, uomini di tutta botta. Io aggiognerei
che forse l'_Antropi_ (che si vede così con la prima lettera
maiuscola nel testo pubblicato dal di Gregorio) potrebbe essere
nome proprio di qualche famiglia.
[27] Bart. de Neocastro, cap. 41.
Saba Malaspina, cont., pag 370-71.
Gio. Villani, lib. 7, cap. 66 e 67.
Giachetto Malespini, cap. 211.
Cron. della cospirazione di Procida, pag. 267.
Nic. Speciale, lib. 5, cap. 9.
La risposta d'Alaimo, e le rampogne de' Messinesi al legato quando
si ruppe il trattato, l'ho cavato in gran parte da Neocastro e da
Malaspina.
[28] Gio. Villani, lib. 7, cap. 66.
[29] Nic. Speciale, lib. 5, cap. 9.
[30] Saba Malaspina, cont., pag. 371.
[31] Bart. de Neocastro, cap. 41.
Saba Malaspina, cont., pag. 371-72-73.
Di questo tempo v'hanno nel r. archivio di Napoli pochi diplomi,
com'è ben naturale. Ne noterem tre, i quali se non ispargon molta
luce su i fatti che narriamo, servono ad attestare la permanenza
di re Carlo nel campo. L'uno è dato _in castris in obsidione
Messane_, a 3 settembre undecima Ind. (1282) per armenti in
terraferma; l'altro nello stesso luogo il 10 settembre per alcuni
cavalieri mercenari, reg. segnato 1283, E, fog. 1 e 14. Ibid., a
fog. 14 si legge un diploma più importante, con la stessa data del
campo sotto Messina a 7 settembre. Carlo rifiutava tre galee di
Marsiglia che voleano entrare ai suoi soldi, e diceva egli averne
pur troppe. Su queste galee la principessa di Salerno sua nuora,
era andata da Marsiglia fino alla riviera di Genova, ove sbarcò
per venire a Napoli per terra col marito. Le galee erano andate
anco a Napoli, e s'offrivano ai servigi del re.
[32] Nic. Speciale, lib. 1, cap. 14.
[33] Stromento da batter le mura, che terminavasi in un capo di
gatto, come appo gli antichi l'ariete.
Chiamavasi anche gatto una fortissima tettoia mobile su ruote o
altrimenti, di che coprivansi gli assalitori mentre percotean le
mura. Era la tettoia di grosse travi a graticcio, coperta di assi,
e foderata di cuoio, e talvolta anche sormontata di uno strato di
terra, da scemare e sostener l'urto di ciò che gettasser d'in su i
muri gli assediati. Vedi d'Esclot, cap. 161 e seg., e Bartolomeo
de Neocastro, cap. 110, che ne fanno menzione, l'uno nell'assedio
di Girona, l'altro in quel d'Agosta.
[34] Torricciuole di legno mobili su ruote interiori. In cima v'era
congegnata una lunga trave, che serviva di ponte agli assalitori,
calandosi sul muro quand'era approcciata la torricella. Questa
così somigliava a una cicogna che stenda il lungo collo; e
propriamente si chiamava cicogna o telone la trave. Veg. Niccolò
Speciale, lib. 3, cap. 22, nell'assedio del Castel d'Aci.
[35] Bartolomeo de Neocastro dice _maestro_. Questo vocabolo
aggiunto a titoli d'uficio era dignità: maestro giustiziere,
maestro de' conti; aggiunto ad arte avea il significato che oggi
conserva in Italia. Ma par che ai soli dottori in medicina o altra
scienza si dicesse assolutamente maestro, in titolo d'onore: di
che, per lasciar le tante memorie pubblicate e notissime de'
secoli XIII e XIV, citerò solo le numerose
cedole reali ad avvocati, medici, e cerusici, chiamati tutti
assolutamente _magister_, ch'è appunto _il dottore o
professore_ d'oggidì.
[36] Nic. Speciale, lib. 1, cap. 14.
Bart. de Neocastro, cap. 42.
[37] Bart. de Neocastro, cap. 43.


CAPITOLO VIII.
Cagione della debolezza del governo preso nella rivoluzione. Si pensa
a Pier d'Aragona. Sua partenza di Catalogna per Affrica; fatti
militari; ambasceria a Roma. Parlamento in Palermo, che sceglie Pietro
a re. Com'ei guadagna gli animi de' suoi, e accetta la corona. Viene a
Trapani. È gridato re in Palermo. Disposizioni per soccorrer Messina;
oratori di Pietro a Carlo; ultimi fatti d'arme nell'assedio. Carlo sen
ritrae con perdita e onta. Giugno a settembre 1282.

Degno argomento è di considerazione come venendo re Carlo sopra la
Sicilia, debolmente qui si reggesse lo stato, poco appresso
rivoluzione sì violenta, e mentre le municipalità vigorosamente
operavano. Perciocchè in queste gli uomini, vedendosi in viso,
s'intendean tra loro molto vivamente ne' bisogni comuni; e i capitani
e i consigli di popolo lor forze drizzavano a pronti fatti. Ma nella
nazione, i parlamenti gridando il nome della Chiesa s'eran rimasti dal
creare una signoria, o, come oggidì suona, potere esecutivo; e indi
mancava nel maggior uopo la virtù del comando. Non ebbela il
parlamento, perchè non si fe' permanente; e perchè d'altronde la
riputazion dello stato, passando in questo tempo dai popolani ne'
nobili, nell'atto del mutamento non era forte in alcuno. Dapprima, il
dicemmo, tutto fu brio di repubblica, e ordini democratici. Poi,
dileguandosi quella spinta, la parte baronale preponderò, per
l'avvantaggio delle sostanze, e le consuetudini degli uomini; e perchè
all'ostil contegno di Roma, agli armamenti di re Carlo, il popolo non
pensò più a tenere il governo dello stato, ma soltanto a fuggir
l'empio giogo; onde affidossi a coloro che sopra ogni altro parean
savi e possenti. Perciò al primo capitan di Messina succedea Alaimo, e
chiamavanlo allo stesso uficio tutte le terre per gran tratto delle
costiere di settentrione {173} e levante; perciò Macalda, moglie
d'Alaimo, ne tenea le veci in Catania[1]; perciò se nei primi
parlamenti leggiam solo di sindichi e capitani di popolo, vanta
Speciale in cotesti successivi la frequenza degli adunati nobili e
savi personaggi[2]. La quale mutazione condusse a un'altra maggiore.
Degli ottimati, alcuni per le pratiche anteriori tenean forse a
Pietro: riconosceano i più il dritto della Costanza: tutti la
monarchia più che la repubblica amavano; nè vedeano in tanto pericolo
altro migliore partito che ubbidire ad un solo. A chiamarlo intesero
dunque; e in ciò affidati si rimaser da tutt'altro generoso
imprendimento, mentre Messina fortuneggiava, e con lei la comun
libertà. Solo con le forze che vi s'eran chiuse, e con quegli spessi
ardimenti di trafugarvi armati e vivanda[3], soccorreanla, chè tenesse
contro l'esercito nemico infino all'avvenimento del re d'Aragona.
Questi diversi umori de' popolani e de' nobili, questo mutamento dello
stato da' primi ne' secondi, richiedendo e tempo e opportune
circostanze al pien loro effetto, ne seguì che irresoluti e divisi
ondeggiarono i Siciliani a lungo sul partito di chiamar l'Aragonese.
Le pratiche s'incominciaron private ed occulte da' partigiani, non in
modo pubblico dalle città. Indi vaghe notizie abbiamo del primo
appicco di quelle; che i diversi scrittori diversamente narrano,
perchè pochi potean saperne, o amavano a dirne il vero[4]. Ma certo e'
pare che Pietro dopo la rivoluzione caldamente {174} si fece a brigar
qui coi suoi partigiani per usarla a suo pro; e ch'ei della Sicilia
avea brama assai più ardente, che non la Sicilia di lui.
S'armava e tacea tuttavolta il re d'Aragona, quando l'isola si
sollevò; restando sepolti per sempre in quel cupo animo i primitivi
disegni; che tal non sembra la finta guerra d'Affrica, perch'ei non
avrebbe operato da savio a tacerla sì pertinace al papa e a re
Filippo, con certezza di fomentare i sospetti. Ritraesi inoltre, che
segretissime pratiche avesse ei tenuto col principe di Costantina; il
quale minacciato dal re di Tunisi, gittavasi a implorar cristiani
aiuti, e a Pietro[5], profferia riconoscerlo per signore, e aprirgli
la via a larghi acquisti in Affrica, dove alle armi d'Aragona si
sarebber voltati i moltissimi cristiani che a' soldi di Tunisi
militavano[6]. Sia dunque che Pietro tentasse doppio gioco, d'Affrica
e di Sicilia, o che macchinasse quella impresa come scala a
quest'altra, cominciò a scoprirsi alquanto con mandare un oratore a
chieder al papa aiuti per guerra contro Saraceni: a che non
rispondendo Martino[7], l'Aragonese in fin di primavera, {175} quando
gli erano pervenuti senza dubbio gli avvisi de' fatti di Sicilia,
affrettò ogni suo apparecchiamento alla guerra. L'opra d'un mese, dice
Montaner, in otto dì fornivasi sotto gli occhi del re. Adunossi
picciola forza di cavalli, e molta di eletti fanti leggieri[8]: la più
parte dell'oste si trovò a porto Fangos presso Tortosa il dì venti
maggio[9]: e allor Pietro con estrema cura ogni cosa ordinò
all'assetto della regia casa e del regno. Accelera il matrimonio
d'Alfonso suo con Eleonora figliuola d'Eduardo I d'Inghilterra;
deputando i vescovi di Tarragona e di Valenza a dare per lui il
paterno assentimento[10]. Destina a reggenti dello stato il medesimo
Alfonso e la regina Costanza. Fa testamento, con istituire Alfonso
erede de' reami d'Aragona e Valenza e del contado di Barcellona: e
leggiamo ancora che di presente ne cedea la sovranità al figliuolo,
chiamando in gran segreto testimoni alla rinunzia, Pietro Queralto,
Gilaberto de Cruyllas, Giovanni di Procida, Blasco Perez de Azlor, e
Bernardo de Mopahon; atto consigliato da antiveggenza dì ciò che
avrebbe fatto contro di lui la corte di Roma, o piuttosto finto dopo
la deposizione, per eluderla nelle forme, e mostrar ceduta la corona
al figliuolo, innanzi che il papa si avvisasse strapparla al
padre[11]. Il tre giugno {176} infine[12], accomiatatosi dalla reina,
e benedetti con molta tenerezza i figliuoli, salpa con l'armata: ed
era tuttavia {177} segreta l'impresa. Discosto che fu venti miglia,
l'ammiraglio percorrendo sur un battello tutte le navi, fè volgere a
porto Maone; diè ad ogni capitano un plico suggellato da aprirsi poi
all'uscir da quel porto. Stettervi pochi dì finché, avuti avvisi da
Costantina, Pietro comandò di far vela: e allora l'almossariffo di
Minorca, saracino e minacciato sempre dalle armi d'Aragona, appostosi
al vero disegno dal corso delle navi e altri indizi, ne mandò avviso
in Affrica per una saettia, che passò inosservata oltre la flotta
catalana[13]. Arrivò questa il ventotto di giugno[14], con dieci o
dodici migliaia tra fanti e cavalli[15], al porto di Collo[16] nella
provincia di Costantina. {178}
Trovò Pietro mutata quivi ogni cosa per l'annunzio precorso, o
loquacità del Saraceno alleato, o tradimento altrui. Abbandonato era
in Collo il porto, e la città: e da mercatanti pisani seppe indi a
poco, ucciso il signore, e Costantina in man dei nemici: ma quanto più
perduta parea l'impresa, tanto più per grand'osare e gran vedere ei
rifulse innanti i Catalani, e con la gloria si cattivò quegli
indipendenti animi. Al veder solinga e muta la spiaggia, il soldato
temea frode de' barbari; esitava fino al predare; e negava entrar
nella terra, se non era pel re. Tutto solo con un compagno si fa egli
alle porte; smonta di cavallo, mette l'orecchio a fior di terreno per
coglier qualche leggiero rimbombo: e fatto certo che persona viva non
v'ha, rassicurando i suoi, entra egli primo. Solo indi, o con pochi,
cavalcava a riconoscere il paese; con pronte arti rafforzava il campo;
guardava i passi; spiava ogni movimento dei nemici: e venendosi alle
mani, tra i più feroci quasi temerario pugnava. Le geste non ci faremo
a narrare, scorgendone le memorie maravigliose tutte, e diverse tra
loro; perchè gli ambasciadori mandati al papa, o i soldati che
raccontaronle o scrisserle, ingrandian favoleggiando le migliaia di
migliaia di barbari; gli spaventevoli scontri; il macello; la virtù
dei fedeli; i memorabili fatti de' baroni dell'oste. La somma è, che
da religione e abborrimento di violenza straniera, le torme de'
cavalli arabi piombaron su i Catalani, che li avanzavano d'arte e
d'animo e li respinser indi con molta uccisione. Ma non bastavan essi
nè ad espugnar Costantina, nè ad innoltrarsi altrimenti nel nimico
paese[17]. {179}
Dopo questi fatti d'arme, nuov'arte, suggerita da Loria e dagli altri
usciti italiani, divisava il re ad aggirar le genti sue; e insieme
tener a bada il papa, che non vibrasse anzi tempo i suoi colpi;
onestare appo gli altri potentati la meditata impresa; vincer le
ultime dubbiezze in Sicilia. Chiamati i principali dello esercito, di
loro assentimento inviò al papa con due galee Guglielmo di Castelnuovo
e Pietro Queralto, che sponessero la sconfitta degli infedeli, e
chiedessero i favori soliti in tali guerre: legato apostolico; bando
della croce; protezion della Chiesa sulle terre del re e de' suoi in
Ispagna; e le decime ecclesiastiche, raccolte già e serbate. Queste
grazie, ei pensava, consentite renderebbel sì forte da potersi scoprir
senza pericolo, negate darebber pretesto a volgersi ad altra
impresa[18]. Ma gli oratori navigando d'Affrica a Montefiascone, ove
papa Martino fuggiva il caldo della state, o i romori già surti in
Italia contro parte guelfa[19], approdarono, come se sforzati da'
venti, in Palermo; mentre i baroni e i sindichi delle città ragunati a
parlamento, in gravissima cura si travagliavano[20].
Nella chiesa di Santa Maria dell'Ammiraglio, bel monumento de' tempi
normanni, ch'or addimandasi della Martorana, sedeva il parlamento
costernato e ansioso per {180} l'assedio di Messina, trovando scarsi
tutti i partiti, e dall'uno correndo all'altro, com'avviene negli
estremi pericoli. E parlava alcun già da disperato di fuggir dalla
misera patria, quando il Queralto, testè arrivato, appresentossi in
parlamento a mostrare una via di salvezza: chiamassero al regno Pier
d'Aragona, principe di gran mente, di gran valore, vicino con gente
agguerrita, spalleggiato da indisputabili dritti alla corona. Messo
questo partito dunque tra i consapevoli e gli sbigottiti, d'un subito
fu vinto; deliberandosi d'offrire a Pietro la corona, a patto
ch'osservasse tutte leggi, franchige, e costumi del tempo di Guglielmo
il Buono, e soccorresse la Sicilia con le sue forze fino a scacciarne
i nimici[21]: del quale messaggio mandavansi apportatori in Affrica
con lettere e pien mandato di tutte le siciliane città, Niccolò
Coppola da Palermo e Pain Porcella catalano[22]. Bartolomeo de
Neocastro aggiugne {181} fede alle sollecitazioni del re d'Aragona e
alle disposizioni degli animi nel parlamento, col narrar
semplicemente[23], che Giovanni Guercio cavaliere, il giudice
Francesco Longobardo professor di dritto, e il giudice Rinaldo de'
Limogi, inviati già prima da Messina a Palermo per trattar la chiamata
di Pietro, avvenutisi in Palermo con gli oratori del re, speditamente
il negozio ultimavano. Mentr'ei così scrive, il semplice Anonimo porta
il Queralto approdato per caso in Palermo; e il cortigiano Speciale o
favoleggia o simboleggia d'un vecchio ispirato, fattosi di repente nel
costernato parlamento ad arringare. Ma niuno non vede che nè fortuito
caso fu, nè miracolo questo meditato colpo di scena, sviluppo delle
pratiche de' nostri ottimati con re Pietro. Se tramaron essi fin dai
tempi di Niccolò III, se v'ha parte di vero ne' maneggi del Procida in
Sicilia, trionfava in questo parlamento, non già nel vespro, l'antica
congiura.
Giunti Castelnuovo e Queralto a Montefiascone, lietamente li udì il
papa; per vero credendo rivolto addosso a' Mori quel sospettato
armamento del re; ma non assentia di leggieri le inchieste,
avvolgendosi negli indugi della romana curia; e dicea le decime
ecclesiastiche servire a' soli luoghi santi, non a tutta guerra contro
Saracini: tanto che gli ambasciadori, sdegnati o infingendosi, tolto
commiato appena, tornavansi in Affrica[24], ammoniti forse da
cardinali nimici a parte francese, che Pietro nulla sperasse da papa
Martino, ma pensasse egli a' suoi fatti[25]. E in Affrica già aveano
gli oratori siciliani con accomodate parole {182} offerto a Pietro il
trono[26]; ed ei sceneggiando avea replicato: gradire questa lealtà al
sangue svevo: stargli a cuore la Sicilia: pure gli desser tempo a
risolversi su partito sì grave. Rappresental tosto, dissimulando quel
suo ardentissimo desiderio, agli adunati baroni e notabili dello
esercito; tra' quali chi consigliava l'andata al bello e facile
acquisto, e chi dissuadeala, mostrando: provocherebbe sul reame
d'Aragona l'ira del papa, le armi di Francia; per ambizione di novella
corona metterebbesi a repentaglio l'antica; essere Carlo potente
troppo; e le genti di Aragona use a battagliar co' Mori, non contro
cavalleria sì forte; rifinite chieder la patria e il riposo; ripugnare
a una aggression sopra cristiani: e d'altronde come prenderebbesi
guerra sì grande senza la sovrana autorità delle corti di Catalogna e
Aragona? A quegli ostacoli tacque parecchi dì Pietro, nè fiatò perchè
molti, senza tor pure commiato, facean ritorno in patria[27]: ma
lavorando occulto, prese a poco a poco gli animi de' principali
dell'oste. Quando ne fu sicurato, rispondeva agli oratori di Sicilia:
accettar la corona secondo gli ordini del buon Guglielmo, e promettere
la difesa[28]; scrivea al re d'Inghilterra, e forse {183} anco ad
altri potentati, lasciare pe' nieghi del papa la guerra sopra
infedeli, e chiamato in questo dalle città di Sicilia, andarvi a
rivendicare i dritti della Costanza e dei suoi figli[29].
Risolutamente poi comanda la partenza, con ciò che libero sia ciascuno
a rimanersi; che se i compagni d'arme l'abbandonino, ei solo andrà.
Per queste arti, seguito da' più, con ventidue galee, una nave, e
altri legni minori, e poche forze di terra diè ai venti le vele[30].
Il dì penultimo d'agosto, dopo cinque di viaggio, prese terra a
Trapani, con giubilo grande del popolo, e maggiore de' nobili,
affaccendati a gara nelle cerimonie della corte che quel dì risorgeano
in Sicilia: e baroni montarono sulla nave del re, lo addussero a
città, resser su quattro lance il pallio di seta e d'oro sotto il
quale egli incedeva; e fu più lieto chi tenne le redini del destriero;
gli altri a piè seguianlo, e con essi giovanetti e donzelle, danzando
e cantando al suon di stromenti; il popolo a gran voce: «Benvenuto,
gridava, il suo re, mandato dal Cielo a liberarlo dall'atroce nemico.»
In queste prime allegrezze Palmiero Abate il presenta di ricchi doni,
e largamente dispensa grano alle soldatesche. Pietro cavalcò il
quattro settembre alla volta della capitale: mandovvi con l'armata e
le bagaglie Ramondo Marquet. E quivi a maggiori dimostrazioni
s'abbandonò il popolo, più frequente, e stato primo nella rivoluzione,
onde peggiore aspettavasi la vendetta angioina. Per ben sei miglia si
fece incontro al principe, il menò a trionfo, e all'entrare in città
sì forte surse {184} il plauso della moltitudine, il grido de'
soldati, e lo squillo delle trombe, che rintronò, scrive Saba
Malaspina, fin a Morreale, città a quattro miglia in sul poggio a
libeccio di Palermo. Con tal gioia andò Pietro in palagio; ebber le
sue genti larga ospitalità per le case de' cittadini[31].
Ma da' festeggiamenti, le luminarie, le ferie de' lavorieri, e i
presenti di danaro, che Montaner dice ricusati dal re, si venne a
solennità più augusta. Al terzo dì, scrive d'Esclot, adunavasi in
Palermo il parlamento de' baroni, cavalieri, e rappresentanti delle
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