I primi due secoli della storia di Firenze, v. 1 - 04

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citavano un altro codice della Cronica, appartenuto alla Biblioteca
Gaddi; tutto ciò gli fece a buon diritto affermare, che per risolvere
definitivamente il problema occorreva prima trovare il codice gaddiano,
da lui invano sino allora cercato. Il prof. Santini invece sostenne, in
una sua tesi di laurea, che il codice gaddiano doveva essere la copia
di quello scoperto dall'Hartwig, che egli giudicava essere l'originale
mutilo. Non molto dopo la questione fu definitivamente risoluta da un
altro alunno del nostro Istituto Superiore, il sig. Alvisi, il quale
scoprí nella Laurenziana il codice gaddiano, che è in fatti una copia
del secolo XV.[38] In esso i varî brani, che nell'originale erano stati
scritti in colonne separate, sono fusi cogli altri, ma in modo spesso
arbitrario. Anche qui c'è la lacuna 1249-85, ma la Cronica, invece di
cominciare dal 1181, comincia, come la prima compilazione di Martin
Polono, da Gesú Cristo, _primo e sommo Pontefice_, e da Ottaviano
imperatore. Cosí noi possiamo ora affermare, che nel codice della
Biblioteca Nazionale di Firenze, abbiamo una vera fotografia del metodo
seguíto nelle prime compilazioni di storiografia fiorentina. Con esso
vediamo l'autore lavorar quasi sotto i nostri occhi.
Un altro esempio, ma assai piú imperfetto, di questi lavori, lo abbiamo
nel codice lucchese qui sopra citato. L'autore ci dice esso stesso
di averlo composto fra gli anni 1290 e 1342. Egli trascrive tutta
la leggenda sull'origine di Firenze; prosegue quindi col rifacimento
italiano di Martin Polono, incominciando da Ottaviano imperatore. Di
tempo in tempo v'introduce però «molte cose, le quali pertengono ai
fatti di Toscana e specialmente di Firenze... la maior parte si trovano
in diversi libri di Toscana, e qual na piú, qual na meno». Arrivato
cosí all'anno 1309, continua la sua narrazione, valendosi del Villani,
che nel 1341 aveva già pubblicato alcuni libri della sua storia, e con
questo aiuto va fino al 1342. Continua, riproducendo una descrizione
latina di Firenze, scritta nel 1339, e poi, anche in latino, la
introduzione che Martin Polono aggiunse alla sua storia. Il compilatore
riconosce che l'ordine da lui seguíto non è né logico né cronologico;
ma si scusa col lettore, dicendo che ha voluto porre insieme prima le
parti italiane e poi le latine di questa sua opera, con l'intendimento
però di meglio ordinarle piú tardi, e fonderle insieme, scrivendole
tutte in latino, al che pare gli mancasse poi il tempo. Anche da questo
codice furono estratte e stampate le notizie attinenti a Firenze.[39]
Il metodo seguíto dal compilatore, come si vede, è sempre lo stesso,
quantunque piú meccanico e materiale del solito, perché non v'è alcuna
intrinseca unione fra le parti diverse. Quello però che v'ha di nuovo,
si è l'avere trascritta, nella sua integrità, la leggenda, per farla
servire da introduzione alla storia di Firenze, esempio che fu poi,
come vedremo, imitato anche da altri.
Per quanto però questo sistema di fondere la storia del Comune nella
storia universale, potesse piacere all'amor proprio fiorentino,
era tuttavia chiaro che la prima ne rimaneva come soffocata. Non
mancarono quindi nel secolo XIV tentativi di esporla separatamente.
Paolino Pieri incomincia la sua Cronica dal 1080, anno in cui anche
gli altri cronisti dànno la prima notizia storica di Firenze, e
continua, accennando poco dei Papi e meno degl'Imperatori, sino al
1305, raccogliendo le scarse notizie fiorentine «di piú cronache, di
piú libri trovate, et di nuovo per me Paolino di Piero vedute et _ad
memoriam_ scripte». Simone della Tosa, che morí nel 1380, comincia
invece i suoi _Annali_ con l'elenco dei Consoli e Podestà (1196-1278),
e poi va subito dalla morte della contessa Matilde (1115) fino al
1346, aggiungendo, verso la fine, alle magre notizie su Firenze, anche
quelle della sua famiglia. Ma tali modestissimi sunti di poche pagine,
meno che mai potevano contentare nel secolo XIV una città, che era già
fra le prime d'Italia, che nel suo crescente orgoglio si poneva alla
pari di Roma, e voleva nella sua storia veder qualche cosa di simile a
quella dell'antica capitale del mondo.
Questo fu l'ambizioso problema che si propose di risolvere Giovanni
Villani, come egli stesso ci narra. Mi trovavo, egli dice, a Roma pel
Giubileo, l'anno 1300, ammirando le grandi memorie di quella città,
leggendone le gloriose imprese, narrate «da Virgilio, Sallustio,
Lucano, Tito Livio, Paolo Orosio e altri maestri d'istorie, che
scrissero non solo i fatti di Roma, ma eziandio degli strani
dell'universo mondo; presi lo stile e forma da loro».[40] Ripensando
che «per gli nostri antichi Fiorentini poche e non ordinate memorie
ai trovino di fatti passati della nostra città di Firenze»,[41] e che
essa «figliuola e fattura di Roma era nel suo montare e a seguire
grandi cose, siccome Roma nel suo calare», deliberai «di recare in
questo volume e nuova cronica tutti i fatti e cominciamenti della
città di Firenze,... e seguire per innanzi _stesamente_ i fatti de'
Fiorentini, e dell'altre notabili cose dell'universo in _brieve_».[42]
Connettere quindi la storia di Firenze con quella del mondo, come
già altri avevano fatto; ma in modo che non vi si perdesse, avesse
anzi la parte principale, ecco quale doveva essere la via da tenere,
secondo il Villani. Egli quindi non fa piú un lavoro meccanico e di
mosaico; coordina, divide la sua storia in libri e capitoli, al modo
degli antichi. Noi non conosciamo quali sono tutte le sue fonti,
perché su questo argomento non si è fatto ancora uno studio compiuto.
Sappiamo però con certezza che sono molte. Per la storia generale,
Martin Polono resta sempre la fonte principale; ma vi si aggiungono
i _Gesta Imperatorum et Pontificum_ di Thomas Tuscus; la _Vita di
San Giovanni Gualberto_;[43] le _Cronache di San Dionigi_, la cui
traduzione italiana fu stampata (1476) prima dell'originale; il _Libro
del Conquisto d'Oltremare_, che è una storia delle crociate, tradotta
nel Medio Evo dal francese in quasi tutte le lingue.[44]
Quale sia il gran valore del Villani per la storia fiorentina, a
cominciare dalla fine del secolo XIII, tutti lo sanno e non è questo il
luogo da parlarne. Quanto alle origini, le notizie veramente storiche
che egli ci dà, sono assai poche. Incominciano al solito dal 1030, e
vi si trova piú o meno tutto quello che è disseminato negli altri,
non di rado coi medesimi errori, spesso anche colle stesse parole.
Questa singolare somiglianza, che fu poi notata, pei primi tempi, fra
tanti cronisti fiorentini, si spiegava facilmente quando si poteva
supporre che gli uni avessero copiato dagli altri. Ma quando, il che
seguiva piú volte, si poteva invece dimostrare che essa esisteva anche
fra scrittori l'uno dall'altro affatto indipendenti, la soluzione del
problema non era ugualmente facile. Fu questa la ragione per la quale
il prof. Scheffer Boichorst, con giuste ed acute indagini, notando il
fatto, mise innanzi l'ipotesi, che i varî cronisti avessero attinto
ad una fonte comune, ora perduta. E siccome Tolomeo da Lucca, il
quale aveva già finito i suoi Annali prima che il Villani cominciasse
a colorire il proprio disegno, cita piú volte i _Gesta_ e gli _Acta
Florentinorum_, i _Gesta_ e gli _Acta Lucensium_, cosí il critico
tedesco dette il nome di _Gesta Florentinorum_ a quella che sarebbe
stata, secondo lui, la fonte comune dei cronisti fiorentini fino ai
primi del secolo XIV. Una tale ipotesi, che in modo assai probabile,
spiegava un fatto certo, il quale altrimenti rimarrebbe del tutto
inesplicabile, venne generalmente ammessa. Quando però si vollero un
po' troppo determinare la natura e i confini dei _Gesta_, la lingua non
solo e l'anno in cui cominciarono, quello in cui finirono, ma anche lo
stile ed il carattere preciso dell'opera e dell'autore, fu forza allora
restare spesso sopra un terreno assai disputabile. Io perciò lascio
da parte siffatte discussioni, estranee ad una sommaria esposizione.
Ritengo bensí col prof. C. Paoli,[45] che i _Gesta_ non furono un
lavoro veramente personale, ma piuttosto una raccolta di notizie
fiorentine, assai magra in sul principio, la quale s'andò poi via via
accrescendo di nuove notizie annalistiche e di nuove aggiunte, secondo
che passava di mano in mano. Una di tali compilazioni, piú autorevole
e piú nota (ora sfortunatamente perduta), dovette venire nelle mani di
alcuni cronisti, che l'adoperarono, senza che l'uno sapesse dell'altro.
Da questi copiarono poi parecchi di coloro che vennero piú tardi.
Il Villani incomincia dalla Torre di Babele e dalla confusione delle
lingue, per darci subito la leggenda sulle origini di Firenze, che
egli divide in capitoli, ed espone come se fosse una vera storia,
portandovi però alcune alterazioni, di cui parleremo piú oltre.
Segue poi la storia generale del Medio Evo, in cui, a cominciare dal
1080, l'autore introduce tutte quelle notizie che poté raccogliere su
Firenze, e queste sono anch'esse piú o meno alterate da altre leggende
assai diffuse allora nel popolo, da considerazioni spesso fantastiche,
che egli vi aggiunge di suo. Che cosa di certo possiamo noi cavare da
tutto ciò? In sostanza abbiamo solo una leggenda, ed un piccolo numero
di notizie storiche di non dubbio valore, ma non senza errori, che
galleggiano qui, come altrove, in un mare di notizie affatto estranee a
Firenze, con brani di tradizioni o leggende mal sicure, con spiegazioni
o considerazioni affatto arbitrarie. La prima questione da risolvere è
perciò questa: quale è l'origine della leggenda, che valore ha essa?
Se ne può direttamente o indirettamente cavare nulla di storico? La
seconda è: si può con sicurezza determinare quale sia quel nucleo
primitivo di notizie autentiche, che si dovevano trovare nei _Gesta
Florentinorum_? La seconda almeno di tali questioni non presenta gravi
difficoltà, perché, quando noi paragoniamo i varî cronisti, massime
quelli che sono tra loro indipendenti, e ne caviamo tutto ciò che hanno
di comune, spesso anche con identiche parole, su Firenze, lo scopo
è in gran parte raggiunto. Ma dopo di ciò, e dopo che s'è cercato di
cavar qualche costrutto (assai scarso, come vedremo) dalla leggenda,
quello che rimane di certo è ben poco. E però bisogna assolutamente
aiutarsi con tutti quanti i documenti pubblici o privati, che possono
trovarsi negli archivi, colle indagini dei dotti moderni sulla storia
medioevale in genere, e su quella di Firenze in particolare. Queste
ultime, incominciate già dall'Ammirato, furono con ardore proseguite
nel passato secolo dal Borghini, dal Lami, da molti e molti altri
eruditi fino ai nostri giorni. I resultati definitivi però di sí
lunghe indagini e di sí vasta dottrina, rimasero sempre scarsissimi.
La prova ne è, che l'illustre Gino Capponi, dopo alcune poche pagine
d'introduzione alla sua storia di Firenze, è costretto, come gli
antichi, a fare un salto sino alla morte della Contessa Matilde, ed
incomincia, si può dire, a parlar del Comune, quando esso era già da
un pezzo formato. Seguono dodici pagine, in cui si fa la storia di
quasi due secoli, sino al 1215 circa, e solo dal secolo XIII in poi il
racconto procede davvero ampiamente.
Ma ai nostri giorni la critica dei documenti medievali ha fatto,
massime in Germania, uno straordinario progresso, e la questione è
stata perciò ripresa in esame. Il primo che, con un metodo scientifico
e con molta dottrina, si accinse all'opera, fu il D.r O. Hartwig.
Egli studiò non solo tutto quello che s'era pubblicato, ma fece nuove
indagini nelle biblioteche ed archivi italiani; ebbe dal D. Wüstenfeld
appunti preziosi di nuovi diplomi, da questo scoperti in Toscana. Cosí
poté nell'opera, che abbiamo già piú volte citata, darci una raccolta
di preziosi documenti e di dotte dissertazioni, le quali servirono
e serviranno di base alle future ricerche, e sarebbero anche meglio
note e pregiate, se fossero state scritte in una forma piú popolare.
Molto ha cercato, moltissimo ha letto il prof. Perrens, che dedicò la
sua vita alla storia di Firenze, scrivendo un'opera di cui sono già
usciti otto volumi. Il primo dei quali, di 550 pagine, arriva solo
alla metà del XIII secolo, e tratta quindi lungamente, dottamente
delle origini. Di ciò gl'Italiani tutti debbono essergli grati; ma è
pur forza riconoscere che allo zelo indefesso, alla vasta dottrina, ad
una lettura veramente prodigiosa, non rispondono sempre la precisione
delle notizie e la sicurezza del metodo. Trattandosi d'un tempo,
pel quale bisogna tutto ricostruire sopra un assai scarso numero di
fatti conosciuti, se questi non sono bene accertati, le conseguenze
possono essere disastrose davvero. Quando, per esempio, egli cerca
le prime origini dei Consoli, si fonda ancora sopra quel documento di
Pogna con la data del 4 marzo 1101, in cui essi sono nominati, e non
osserva che il Capponi, il quale pure è da lui continuamente citato,
aveva dimostrato che quella data sí lungamente creduta esatta, era
sbagliata, e bisognava mutarla in 4 marzo 1181, stile fiorentino,
il che vuol dire 1182, stile moderno. Cosí egli vede i Consoli prima
assai che nascessero.[46] Altrove entra nella disputa molto intricata
della giurisdizione, che i Fiorentini del XII secolo avevano sul
proprio contado. Ripete cogli antichi cronisti che nel 1186 Federico I
lo tolse loro del tutto, sino alle mura; ma che essi lo riebbero nel
1188. E aggiunge che, morto poi l'imperatore Federico nel 1190, il
suo successore Enrico VI, «comme don de joyeux avénement, multiplie
les privilèges». Né riflette, che il diploma citato a sostegno di
quest'ultima asserzione, ha la data, da lui stesso riportata in nota,
del 1187.[47] Come può il lettore piú dipanare l'arruffata matassa? E,
per addurre un altro esempio, diremo che l'autore ci dà come storia,
la narrazione leggendaria sull'origine della festa della colombina, il
sabato santo. I Fiorentini sono spinti alla crociata dall'Arcivescovo
Ranieri nel 1099, cioè alcuni secoli prima che a Firenze vi fosse un
arcivescovo. Pazzino dei Pazzi, pel valore dimostrato nella presa di
Gerusalemme, ottiene la _corona murale_ da Goffredo Buglione, il quale
gli concede anche il privilegio di mutare la propria arme, adottando
le croci e i delfini, cosa che i Pazzi fecero solo qualche secolo
piú tardi.[48] Egli torna in Firenze come un conquistatore, sopra un
carro, di cui ci è data la descrizione; è accolto come un trionfatore
romano dal popolo, dal clero e dai magistrati, in un tempo in cui il
Comune non era ancora formato.[49] Porta seco tre pietre cavate dal
sepolcro di Cristo, le quali sono pietre focaie, da cui anche oggi si
cava la scintilla, per accendere il carro della colombina. E tutto
ciò è fondato sulla _Storia genealogica_ del Gamurrini, che non ha
valore alcuno.[50] Al lettore parrà stranamente odioso l'essermi io
qui fermato a notare alcuni errori d'un'opera, di cui sono primo a
riconoscere i pregi, e della quale piú volte ho profittato. Ma dovevo
spiegar la ragione, perché, pure lodandola, cosí di rado la cito. È
un'opera che contiene di certo un vasto materiale storico, scritta
con brio e chiarezza, che ha osservazioni spesso acute, e fa onore al
suo autore, cui gl'Italiani debbono riconoscenza; ma se per tutto ciò
è necessario studiarla, non è possibile valersene, senza un continuo
riscontro delle fonti che cita.
E qui dobbiamo ricordare un altro lavoro assai piú modesto, del quale
però ci siamo potuti piú francamente giovare. Il prof. Santini, che in
alcuni suoi brevi scritti, pubblicati nell'_Archivio storico italiano_,
aveva dato saggio di molto acume nelle indagini sulla storia primitiva
di Firenze, adesso ha avuto il felice pensiero di raccogliere tutti
quanti i documenti editi o inediti, che intorno al medesimo soggetto
si trovano negli archivi fiorentini. Dopo averli copiati e riscontrati
sugli originali, li ha già stampati in un grosso volume, che vedrà
presto la luce. Sarebbe assai desiderabile che egli o altri potesse
fare lo stesso per tutte almeno le città toscane, che tante relazioni
hanno fra loro. Ma intanto il suo libro sarà una nuova e solida base
alle indagini storiche fiorentine. E noi dobbiamo essergli doppiamente
grati, perché ci ha consentito di studiarlo sulle bozze di stampa. Cosí
ce ne siamo potuti valere prima che sia pubblicato, e lo citeremo assai
spesso. Di altri lavori non parliamo qui, ma il lettore li troverà
ricordati nelle note.

II
Lasciando per ora da parte i documenti e gli autori, veniamo a parlare
della leggenda, la quale, come dicemmo, presenta un primo problema
da risolvere o almeno da discutere. Essa si diffuse di certo assai
largamente nel popolo. Anche la _Divina Commedia_ (_Par._ XV, 125), ci
descrive la donna fiorentina che, filando,
Favoleggiava con la sua famiglia
De' Troiani, di Fiesole e di Roma.
Ciò non ostante, la sua origine apparisce piú letteraria che veramente
popolare. Non è infatti che uno strano amalgama di tradizioni
classiche e medievali, la piú parte cavate da libri, e piú o meno
arbitrariamente alterate, sull'assedio di Troia, la fuga di Enea, le
origini di Roma, con le quali l'orgoglio municipale voleva connettere
quelle di Firenze, raccogliendo cosí le poche ed incerte cognizioni o
piuttosto tradizioni, che su di ciò si avevano. La leggenda comincia
con Adamo, e subito lo abbandona, arrivando rapidamente alla fondazione
di Fiesole, per opera di Atalante e di sua moglie, col consiglio di
Apollonio astrologo. Fiesole fu la prima città, costruita nel luogo
piú sano d'Europa, e di qui il suo nome: _Fie sola_. I loro figli si
sparsero sulla terra, che andarono popolando. Il primo si chiamò Italo,
e diede il suo nome all'Italia; il terzo si chiamò Sicano, e dette il
suo nome alla Sicilia, che conquistò. Il secondo, Dardano, andò piú
lontano a fondare la città di Troia.[51] Qui la leggenda corre di nuovo
rapida fino alla guerra di Troia, alla fuga d'Enea, alla fondazione
di Roma, di cui Firenze è la figlia prediletta. Si procede quindi
assai piú lentamente a parlare di Catilina, e su di esso (tanti sono
i particolari che di lui si narrano) deve esserci stata una speciale
leggenda, la quale o venne piú tardi a congiungersi con le altre,
che formarono la cosí detta _Chronica de origine Civitatis_, o piú
probabilmente si svolse prima da questa, e vi fu poi ricongiunta nelle
compilazioni posteriori.
Dopo aver cospirato contro Roma, egli venne a Fiesole, dove i Romani
lo inseguirono e lo combatterono, sotto il comando dei consoli Metello
e Fiorino, il secondo dei quali morí in battaglia, ed il loro esercito
fu pienamente disfatto presso l'Arno. A vendicarli però venne Giulio
Cesare, il quale pose l'assedio a Fiesole, la distrusse, e poi sul
luogo stesso dove era stato ucciso Fiorino, fu edificata una città
nuova, che da lui prese il nome di Fiorenza. Catilina fuggí verso
l'Appennino pistoiese; colà fu inseguito e disfatto. La mortalità
fu tale e tanta, che ne scoppiò una peste, da cui venne il nome a
Pistoia.[52] Il nome delle città toscane è dalla leggenda spiegato
sempre collo stesso metodo, Pisa viene da pesare. Ivi i Romani
riscuotevano i loro tributi, i quali erano tanti che essi dovevano
pesarli in due luoghi diversi; e questa è la ragione per la quale
usarono il nome di questa città al plurale: _Pisae Pisarum_. Lucca
viene da lucere, perché essa fu la prima città, che si converti alla
luce del Cristianesimo. Dello stesso genere è l'origine del nome di
Siena. Quando i Franchi[53] vennero a combattere i Longobardi nel
mezzogiorno, si fermarono in un luogo dell'Italia centrale, dove
lasciarono tutti i loro vecchi. Cosí alla città che ivi poi sorse, fu
dato il nome, usato anch'esso in plurale, di _Senae Senarum_. Firenze,
invece, ebbe, secondo la leggenda, il suo nome da Fiorino, sebbene
altri piú tardi lo facessero derivare da _Fluentia_, perché posta
sul corso del fiume Arno; altri, dai molti fiori che crescono sul suo
terreno. Essa fu costruita a similitudine di Roma, col Campidoglio,
il Foro, il Teatro, le Terme, e fu perciò chiamata la piccola Roma.
Suoi amici sono sempre gli amici di Roma, e nemici dell'una son sempre
quelli dell'altra.
Dopo cinquecento anni, cosí continua la leggenda, Totila _flagellum
Dei_ venne a distruggerla, ricostruendo subito Fiesole, la città
rivale. Qui è chiaro che si voleva dire Attila, perché questi ebbe
il titolo di _flagellum Dei_, e fu nel Medio Evo il tipo vero del
devastatore e distruttore di città. Ma esso non era venuto a Firenze,
e perciò fu mutato in Totila, che v'era stato, ma che non aveva avuto
lo stesso appellativo. A questo scambio dei due nomi, contribui anche
la loro somiglianza, né è il solo esempio che quella età ci presenti di
confondere Attila con Totila. Dante nella _Divina Commedia_, (_Inf._
XIII, 148-9) attribuisce ad Attila la distruzione di Firenze, là dove
ricorda
Quei cittadin che poi la rifondarno
Sovra il cener che d'Attila rimase.
E s'allontana doppiamente dalla leggenda, perché secondo essa furono
i Romani, che vennero a ricostruirla, e questa volta naturalmente a
similitudine di Roma cristiana, con le chiese di S. Piero, S. Giovanni,
S. Lorenzo ecc., come nella Città eterna.
Passarono cosí tranquilli piú di altri 500 anni,[54] quando finalmente
Firenze volle vendicarsi della sua eterna rivale, ed improvvisamente
assalí e distrusse Fiesole. Ora noi possiamo qui osservare, che se
Firenze fu la prima volta fondata ai tempi di Cesare; se piú tardi
fu ornata di monumenti romani; se, trascorsi 500 anni, fu distrutta
da Totila,[55] e dopo piú di altri 500 anni essa distrusse Fiesole, è
chiaro che la cronologia stessa della leggenda ci porta per lo meno al
secolo XI. Se poi aggiungiamo che l'assalto e la parziale distruzione
di Fiesole avvennero storicamente nel 1125, ne segue che la leggenda
non può essersi formata prima del secolo XII, come già dicemmo.
Qui essa sarebbe finita, e dovrebbe aver principio la storia. Il
Sanzanome infatti, che è il cronista piú antico, incomincia appunto
dalla distruzione di Fiesole. Il _Libro fiesolano_ però, che qualche
volta inverte a capriccio l'orditura della leggenda, vi fa infine
una giunta, che merita d'essere ricordata, perché dimostra quanto
era l'arbitrio con cui questi strani racconti s'andavano formando.
La giunta si riferisce agli Uberti, potenti cittadini di Firenze,
stati sempre avversi al governo popolare della loro Città. Secondo la
tradizione essi erano venuti di Germania cogli Ottoni. Questo però
evidentemente non piaceva al compilatore del _Libro fiesolano_, che
forse era amico degli Uberti, e però afferma, con un certo sdegno, che
gli Uberti erano invece discesi dal sangue di Catilina, «nobilissimo re
di Roma», il quale discese dai Troiani. Questi ebbe un figlio chiamato
Uberto Cesare, a cui una moglie fiesolana diè 16 figliuoli, dopo di
che fu da Augusto mandato a riconquistare la Sassonia, la quale s'era
ribellata. Colà suo figlio Uberto Catilina sposò una gran dama tedesca,
da cui nacque «il lignaggio del buon Ceto (Ottone) di Sansognia».
Cosí è falso che gli Uberti siano «nati dallo Imperatore della Magna,
ma la veritade è questa, che lo Imperatore è nato di loro».[56] Con
tale giunta, posteriore al resto della leggenda, si vede che l'autore
vuol glorificare gli Uberti; ma, ricordandosi che essi furon sempre
nemici del governo della Città, li fa discendere da Catilina e da
una Fiesolana. Non potendo però neppure disconoscere affatto il loro
carattere ghibellino, la loro origine germanica, se non sa decidersi a
farli discendere dagli Ottoni, li muta in loro progenitori. Cosí sono
soddisfatte la tradizione e l'ambizione o piuttosto l'adulazione del
compilatore.
Uno studio delle fonti di questa leggenda, che non ha certo una vera
importanza storica, ci condurrebbe fuori del nostro tema, perché non
getterebbe nessuna nuova luce sulle origini di Firenze. Diremo solo
che, oltre a Darete, _De excidio Troiae_, ed al comento di Servio
a Virgilio, essa attinge alla Storia di Orosio, alla Storia Romana
di Paolo Diacono ed alle altre parti della _Historia Miscella_,
ecc.[57] Ma, lasciando ora siffatto argomento, noteremo invece che,
incominciando con essa le loro storie, il Villani ed il Malespini, non
solo ricorrono a due diverse compilazioni, ma se ne valgono in modo
affatto diverso.[58] Ciò serve anche a provare che, se il Malespini
deriva dal Villani, non ne è però sempre ed in tutto una copia.
Egli si vale del _Libro fiesolano_, aggiungendovi di suo due interi
capitoli,[59] i quali contengono una vera e propria novella, che
probabilmente deriva da qualche episodio della leggenda di Catilina.
Piena di stranissimi anacronismi, essa è però scritta in una forma piú
corretta e assai piú vivace di tutto il resto.
Fiorino, che qui diviene un re di Roma, aveva in moglie la piú
bella donna mai vista, chiamata perciò Belisea. Dopo la disfatta e
morte di suo marito, ella restò prigioniera d'un pessimo cavaliere,
chiamato Pravus, che Catilina fece uccidere, pigliando seco Belisea,
di cui s'era perdutamente innamorato. Ma essa trovavasi in preda al
piú disperato dolore, perché non sapeva che cosa fosse mai avvenuto
della sua bellissima figlia Teverina, che stava chiusa nella casa
di Centurione, il quale l'aveva presa prigioniera e se n'era poi
invaghito. Baciandone le bellissime trecce, egli esclamava: «Queste
sono quelle che mi hanno incatenato, che io non vidi mai le somiglianti
trecce di bellezza». Il giorno della Pentecoste, la madre andò a
sentire la messa nella Canonica di Fiesole, dove a calde lacrime
piangeva la figlia perduta. Colà fu sentita da una fantesca, che
conosceva dov'era la giovinetta, e lo rivelò alla madre. Saputolo
Catilina, assalí subito Centurione nel proprio palazzo, e dopo fiera
battaglia lo prese prigioniero. Questi dovette allora la vita alle
intercessioni di Belisea, la quale, avuta la figlia, volle salvarlo;
ne curò le ferite, e lo indusse a partire, perché non fosse preda
dello sdegno di Catilina. Persuaso a partire, e già salito a cavallo,
Centurione chiese di rivedere Teverina, per darle l'ultimo addio. Ma
quando l'ebbe vista, distese a lei la mano, la tirò sull'arcione, e se
ne fuggí subito con le sue genti, menandola seco a galoppo. La madre
tramortí per dolore, e Catilina «con tutta la sua baronía», con mille
cavalieri e due mila pedoni, inseguí il traditore, che raggiunse a
dieci miglia di distanza, nel castello di Nalde, dove pose l'assedio.
Ma in quel momento gli giunse novella che i Romani correvano verso
Fiesole, e fu costretto a ripartire subito, per arrivare colà prima
che vi ponessero l'assedio. E cosí finisce questo singolare episodio,
aggiunto alla leggenda, quando essa, perduto il suo primitivo
carattere, pretendeva di essere una storia, e diveniva una novella.
Il Villani segue invece una piú antica compilazione, e non accoglie la
novella di Belisea; conosce anche il _Libro Fiesolano_, e se ne vale,
ma lo respinge come poco autorevole, appunto là dove abbiam visto che
il Malespini lo segue. Ricordando infatti la pretesa discendenza degli
Uberti da Catilina, egli aggiunge: «questo non troviamo per alcuna
autentica storia, che per noi si provi».[60] Oltre di ciò, volendo dare
alla leggenda, per quanto gli è possibile, una forma piú autorevole
e storica, vi porta piú d'una volta alterazioni, che cava ora dalle
fonti medesime da cui essa ha attinto, ora da poeti e storici romani
che cita, come Ovidio, Lucano, Tito Livio, e specialmente Sallustio,
del quale si giova per aggiungere particolari storici ai racconti
leggendari su Catilina. Resterà pur sempre un fatto psicologico
eternamente istruttivo quello che ci presentano gli uomini di questo
tempo, massime il Villani, il quale, contemporaneo di Dante, pratico
degli affari, culto, intelligente, acuto osservatore, poteva a
tanta intelligenza, cultura e buon senso, unire tanta e cosí puerile
credulità.
Ma che cosa, in sostanza, si può cavare di certo dalla _Chronica de
origine Civitatis_? Oltre all'ambizione, che avevano quasi tutte
le città italiane, di ricondurre le loro origini ai Romani ed ai
Troiani, essa vuol farci sapere che Fiesole, etrusca, fu l'eterna
rivale di Firenze, romana, la quale non poté prosperare fino a che non
l'ebbe distrutta. E però Catilina, nemico di Roma, è il difensore di
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