I primi due secoli della storia di Firenze, v. 1 - 24

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perché il Consiglio della Città, o Senato, è già chiamato Consiglio
generale, il che suppone lo speciale: _In Florentia, in ecclesia S.
Reparate, coram generali Consilio Civitatis, iuraverunt_. SANTINI, I,
doc. XXVIII, pag. 53.
[214] SANTINI, I, doc. XXX.
[215] SANTINI, I, doc. XXXIV.
[216] Questo trattato fu concluso il 27 aprile 1201; nei giorni 28, 29
e 30 venne giurato da circa 500 degli abitanti di Colle. SANTINI, I,
doc. XXXV e XXXVI.
[217] _ Per quinquennium guerra durante, et eidem omnibus de Tuscia
prestantibus patrocinium... Tacere tamen nolo magnalia quae inter
caetera vidi, guerra durante_. SANZANOME, ediz. fiorentina pag. 134-5.
[218] Il doc. si trova in Ildefonso di San Luigi, Delizie, VII, 178. Si
esentavano da ogni imposta, in perpetuo, il Gonella ed i suoi compagni,
_qui mortui fuere in turre de Bagnuolo et in muris apud Summumfontem,
in servitio Communis Florentie_. V. anche HARTWIG, II, 100.
[219] SANTINI, I, XXXVIII, XXXIX. Il trattato di pace fu fatto tra
Alberto da Montanto, signore di San Gemignano, pei Semifontesi, e
_Claritus Pillii_, Console dei mercanti, per Firenze.
[220] Questa lettera, pubblicata dal Winkelmann (_Philipp von
Schwaben_, I, 556) da un Ms. del fiorentino Boncompagni, nell'Arch.
di Berna, n. 322, fol. 18, è in parte riferita anche dall'HARTWIG, II,
102.
[221] I patti furono da circa 800 Montepulcianesi giurati in mano del
Console fiorentino. SANTINI, I, doc. XL, 19 e 24 ottobre 1202.
[222] SANTINI, I, doc. XLII XLIII, XLIV e XLV. Questi doc. dell'aprile
e del maggio 1203 contengono i nomi dei cittadini e contadini senesi,
che accettarono l'arbitrato in nome della Città; l'ultimo ha le
deposizioni dei testimoni interrogati da Ogerio. Il doc. XLVII, 4
giugno 1203, è il lodo da lui pronunziato.
[223] Nei giorni 4, 7 e 8 giugno, il vescovo ed il Comune di Siena
cedevano a Firenze tutto ciò che dovevano, secondo la sentenza.
SANTINI, I, documento XLVIII. Il 6 dello stesso mese, 150 Consiglieri
senesi giuravano l'osservanza dei patti. SANTINI, I, doc. XLIX.
[224] SANTINI, I, doc. LII.
[225] SANTINI, I, doc. XLVI.
[226] MURATORI, _Antiq. It._ IV, 576-83. V. ancora FICKER (II,
parag. 312, pag. 229 e seg.), che da questo importante documento
cavò la serie dei Podestà messi nel Senese, i quali dai testimoni son
chiamati: _Comites teutonici, Comites comitatus senensis pro imperatore
Federigo_, ed anche qualche volta _Comites contadini_.
[227] REPETTI, art. _Capraia e Montelupo_; HARTWIG (II, 106-9), che qui
corregge la cronologia ed alcuni altri errori del Villani.
[228] Il trattato dovrebbe trovarsi nell'Arch. di Pistoia. Il Repetti,
riferendolo dagli Aneddoti del Zacaria, lo dice del 3 giugno; altri lo
dicono del luglio.
[229] Del 29 ottobre e 7 novembre 1204, in SANTINI, I, doc. LIII. Il
giuramento fatto al console Guido Uberti diceva, che si starebbe ai
comandi, _que... fecerint Potestas Florentie vel Consules Civitatis
vel maior pars vel priores aut prior eorum._ E cosí nominavasi prima
il Podestà anche in un anno nel quale erano in ufficio i Consoli,
ai quali infatti si prestava il giuramento, in presenza _Angiolerii
Beati, Doratini et Burniti Paganiti sexcalcorum Comunis Florentie_.
Anche questo ufficio di _Sexcalcus_ (che trovasi ricordato pure in
altro documento del 30-31 maggio 1203, in SANTINI, I, XLVI) è nuovo, ed
accenna, secondo noi, al mutamento verso forme piú aristocratiche in
Firenze. Il giuramento del Comune, dato il 29 ottobre 1204 (SANTINI,
I, doc. LIV), incominciava: _Hec sunt sacramenta, quae Potestas et
Consules Comunis et Consules militum, mercatorum et Priores Artium
et generale Consilium, ad sonum campane coadunatum, fecerunt Guidoni
Borgognoni comiti et filiis et Caprolensibus_. Giuravano i Consoli,
non il Podestà, che non v'era, ma che anche qui veniva ricordato primo
nella formula.
[230] La notizia si trova negli _Acta Sanctorum_, 1 maggio, pag. 14, e
nello elenco di Consoli e Podestà, detto di S. M. Novella. V. HARTWIG,
197. Il nome non si trova però nei documenti di questo anno, i quali
accennano in genere all'ufficio di Consoli o Podestà.
[231] Sizio Butrigelli o Butticelli trovasi nel catalogo di S. M.
Novella. HARTWIG, II, 197.
[232] SANZANOME, pag. 139-40, HARTWIG, II, 111-12.
[233] SANTINI, I, doc. LVIII e LIX. Il giuramento fu dato da un
grandissimo numero di Senesi al Podestà Gualfredotto Grasselli,
_vice et nomine Comunis Florentie recipienti_, senza i _Consiliarii_.
Trattandosi però d'una lunga operazione, egli si fece rappresentare,
_procuratorio nomine_, da Ildebrandino Cavalcanti. I documenti di
questa pace sono parte a Firenze, parte a Siena. I primi si trovano nel
Santini; degli uni e degli altri dà notizie l'HARTWIG, II, 113-14.
[234] _Politecnico_ di Milano, luglio e settembre 1866.
[235] I particolari del fatto sono narrati diversamente dal Villani
(V. 38), dal pseudo Brunetto Latini (_ad annum_) e da Dino Compagni in
principio della sua _Cronica_. La sostanza però è la stessa, e noi ci
siamo attenuti sopra tutto ai due primi, che ne parlano piú a lungo e
con piú precisione.
[236] VILLANI, V, 38.
[237] VILLANI, VI, 5.
[238] Il VILLANI (VI, 33) dice: «Benché poi fossono le dette parti
tra' nobili di Firenze, e spesso si guerreggiassono tra loro di proprie
nimistadi, e erano in setta per le dette parti», pure il popolo ancora
«si mantenea in unitade, a bene e onore e stato della Repubblica».
(Vol. I, pag. 253). Gli _Annales II_, all'anno 1236, dicono che furono
distrutti i palazzi del Comune e dei Galigai, il che sarebbe invece
prova d'una vera rivoluzione.
[239] AMMIRATO, _Storie_, Lib. II (accresciuto da Ammirato il giovine),
anno 1240.
[240] Questo è l'anno in cui si trova la prima menzione ufficiale dei
Guelfi fiorentini. Federico II, dolendosi della loro condotta, dice:
_pars Guelforum Florentiae, cui dudum nostra Maiestas pepercerat_.
Gli _Annales II_ nominano la prima volta i Guelfi nel 1239, e nel
1242 nominano i Guelfi ed i Ghibellini. V. HARTWIG, QUELLEN, ecc., II,
pag. 159-60 e 164. Questo autore crede che il nome dei due partiti in
Firenze si sia cominciato ad usare nel 1239.
[241] LAMI, _Antichità toscane_, Lezione XV, Passerini, _Istituti di
Beneficenza — Il Bigallo_: Firenze; Le Monnier, 1853.
[242] Vedi _Statuta Populi et Communis Florentiae_, pubblicati colla
data di Friburgo, Vol. I; CANTINI, _Saggi_, Vol. III, cap. XVI;
_Delizie degli Eruditi Toscani_, Vol. IX, pag. 256 e seguenti.
[243] Il Villani dice: «Levarono la signoria alla podestà che era
allora in Firenze, e tutti gli ufficiali rimossono» (VI, 39). Il
Malespini copia al solito il Villani (cap. 137). Ma leggendo piú
oltre si vede chiaro, che il Podestà continuò ad essere eletto, che
fu costruito per esso un palazzo, e che il cronista vuol dir solo:
fu mutata la forma di governo, furon tolti d'ufficio coloro che
governavano. La parola podestà è ivi adoperata in senso generico di
magistrato supremo.
[244] VILLANI, VI, 39 e 40. V. anche COPPO STEFANI.
[245] Attribuito a Lapo o Iacopo, creduto maestro d'Arnolfo.
[246] VILLANI, VI, 39.
[247] Marchionne di Coppo Stefani, nella sua Storia fiorentina (Lib.
II, rubr. 63), parlando della prima divisione de' Guelfi e Ghibellini,
dice: «Quasi tutte le famiglie che teneano ghibellina parte, cioè con
Imperio, erano nobili del contado, perché teneano feudo o castella
dell'Imperio». E l'Ammirato, che aveva assai studiato le cronache e i
documenti del tempo, facendo discorrere i popolani, a proposito appunto
delle riforme del 1250, dopo aver notato che gli Uberti, come capi dei
nobili, eran la cagione di tutti i mali di Firenze, ecco in che modo
fa continuare il discorso: «Chi ora sono i dissipatori dei nostri beni
e delle nostre fatiche, con le immoderate tasse e imposte, se non gli
Uberti? Questi dispettosi uomini reputarono per cosa onorata, fra gli
altri lor belli e nobili costumi, d'esser nostri nimici; perciocché
vantandosi d'essere discesi dai principi d'Alemagna, chiamano noi altri
villani e contadini, e ci disprezzano, come fossimo composti d'un'altra
massa.» AMMIRATO, _Storie_, Lib. II, _ad annum_.
[248] Infatti il Villani ne parla solo assai piú tardi. La loro
esistenza però apparisce dai documenti. Uno ne dà l'_Arch. Stor.
Ital._, S. III, Vol. 23, pag. 222. Doc. del 30 apr. 1251. Vedi M. di
Coppo Stefani, rub. 90.
[249] GIANNOTTI, _Opere_, ediz. Le-Monnier, Vol. I, pag. 82.
[250] MACHIAVELLI, _Storie_, Lib. II. A questo proposito sarà
bene riconfermare l'osservazione da noi fatta altra volta, che il
Machiavelli, cioè, assai spesso è tanto poco esatto nel determinare
i fatti, quanto è profondo nell'indagarne il carattere e lo spirito.
Finito il primo libro delle sue Storie, in cui fa una generale
introduzione sul Medio-Evo, comincia nel secondo a narrare la storia
di Firenze. Egli è, dopo L. Aretino, il primo che abbandoni quasi del
tutto i favolosi racconti dei cronisti sulle origini, ed incominci coi
fatti veramente storici. Se crede ancora alla distruzione di Firenze
per opera di Totila, ed alla sua riedificazione per opera di Carlo
Magno, non che alla distruzione di Fiesole, nel 1010, pei Fiorentini,
noi possiamo facilmente scusare questi errori, pensando quanti altri
racconti leggendari abbandonò, e quanto tempo ci è voluto, per trovare
la verità storica in quelle tradizioni meno incredibili, che egli
ancora seguiva. Se non che, il Machiavelli va quasi d'un salto dal
1010 al 1215, senza nulla dirci della prima e seconda costituzione di
Firenze, né dei moltissimi fatti d'armi, né delle rivoluzioni politiche
che in quel tempo seguirono. Ed in ciò tutti i cronisti potevano
aiutarlo. Egli ancora pone la prima radice, e l'unico principio delle
discordie dei Fiorentini nel fatto del Buondelmonti, e da questo errore
potevano anche i cronisti, e doveva il suo acume storico salvarlo.
Continuando poi a dimostrare la piú singolare e strana noncuranza,
salta nuovamente dal 1215 al 1250, per dirci che allora Guelfi e
Ghibellini si posero d'accordo, e «parve loro tempo da pigliar forma
di vivere libero», quasi fosse questa la prima volta, che i Fiorentini
pensassero ad ordinarsi in libertà. Ora noi abbiamo visto come nel 1115
la libertà e la prima costituzione fiorentina furono fondate, e come
quella del 1250 non era la prima, ma la terza costituzione, e non fu
fatta dai Guelfi e dai Ghibellini d'accordo, come dice il Machiavelli,
ma dai popolani guelfi a danno dei nobili ghibellini. Né ciò è tutto.
Il Machiavelli continua: «e per levar via le cagioni delle inimicizie
che nei giudicii nascono, provvidero a due giudici forestieri, chiamato
l'uno Capitano e l'altro Podestà, che le cause cosí civili, come
criminali, intra i cittadini occorrenti giudicassero». E cosí riduce
questi due magistrati politici a semplici giudici; non pone alcuna
differenza fra di essi, e non osserva che se il Capitano veniva creato
adesso, il Podestà esisteva già da piú di un mezzo secolo. Egli dice
del pari che, per dare maestà agli eserciti, fu nel '50 ordinato il
carroccio, che già da piú tempo era in uso presso i Fiorentini. E nel
determinare l'ordine degli eserciti, dimostra una uguale trascuraggine,
né pone differenza alcuna tra le milizie del Comune e quelle del
Popolo, sebbene i cronisti apertamente ne parlino. «Poiché avemo,»
cosí scrive il Villani, «detto de' gonfaloni e insegne del Popolo,
è convenevole che facciamo menzione di quelle de' cavalieri e della
guerra». Con tutto ciò Machiavelli riman sempre colui che meglio d'ogni
altro definisce il carattere generale delle rivoluzioni fiorentine,
ogni volta che si ferma a parlarne, massime dopo il 1250.
[251] Nel novembre del 1252.
[252] _Arch. Stor. It._ Serie III, vol. 23, pag. 220.
[253] VILLANI ed AMMIRATO, _ad annum_.
[254] VILLANI, VI, 51. AMMIRATO, _ad annum_.
[255] AMMIRATO, _ad annum_, dà il sunto del trattato.
[256] VILLANI ed AMMIRATO, _ad annum_.
[257] VI, 70.
[258] Cintura di cuoio con fibbia.
[259] Pezzo di panno quadro, attaccato al mantello e da potersi portare
in capo.
[260] VILLANI, VI, 70.
[261] V. _I Capitoli del Comune di Firenze, inventario e regesto_, vol.
I pubblicato da C. Guasti: Firenze, Cellini, 1866.
[262] L'AMMIRATO, _ad annum_, dà il sunto del trattato.
[263] VILLANI, VI, 62. Questo fatto che dal Villani venne molto
esaltato, come esempio di magnanimità, servi invece a qualcuno, per
provarsi a dimostrare la pretesa corruzione del popolo fiorentino, in
un tempo nel quale si decretava singolar monumento ad un cittadino,
solo perché non aveva venduto la patria. Ma prima di tutto è da notare,
che il monumento fu decretato, non per questo fatto solamente, ma, come
dice lo stesso Villani, perché «Aldobrandino morí in tanta buona fama,
per le sue virtuose opere fatte per lo Comune». E se poi si vogliono
trovare troppo enfatiche le lodi del Villani pel fatto stesso, ed in
ciò vedere un segno di corruzione, bisognerebbe attribuirla ai tempi
del Villani, non a quelli, assai piú antichi, di Aldobrandino e del
Primo Popolo, che furono, senza alcun dubbio, tempi di molta virtú e di
vero patriottismo.
[264] Storie, Lib. II.
[265] VILLANI, VI, 65.
[266] C. PAOLI, _La battaglia di Montaperti_ (Estratto dal Vol. II,
del _Bollettino della Società senese di Storia patria_): Siena, 1869. A
questo lavoro il prof. Paoli aggiunse nel 1889 un'altra pubblicazione
importantissima: _Il libro di Montaperti_, nei _Documenti di Storia
italiana_ della R. Deputazione per la Toscana, Umbria e Marche, Vol.
IX.
[267] MARCHIONNI DI COPPO STEFANI, _Stor. fior._ rubr. 120.
[268] VILLANI ed altri cronisti fiorentini.
[269] Queste cifre date dai cronisti fiorentini sono sempre incerte; si
possono ritener solo come approssimative.
[270] Eccone un esempio tratto da una legge del 1284. — «Item quod
nullus presumat consulere, vel arengare super aliquo quod non sit
principaliter propositum per dominum Potestatem, vel aliquem loco sui.
Et qui contrafacerit, in soldos sexaginta florenorum parvorum vice
qualibet puniatur, et plus et minus ad voluntatem domini Potestatis.
Et quicquid dictum vel consultum contra propositionem, non valeat,
nec teneat». _Consigli Maggiori, Provvisioni e Registri._ I, carte 12
retro. _Archivio di Stato_ in Firenze.
[271] VILLANI, VI, 78.
[272] ALDOBRANDINI, _Croniche_, pag. 9; PAOLI, _La battaglia di
Montaperti_, pag. 46.
[273] Nel Duomo di Siena si conservano anche oggi le antenne che la
tradizione crede essere appartenute al carroccio fiorentino. Ma gli
eruditi senesi, con ragione credono ora, che appartenevano invece al
carroccio della loro città.
[274] PAOLI, op. cit., pag. 58.
[275] Il Sismondi, dopo aver paragonato i cronisti, fa ascendere a
10,000 i morti, ad altrettanti i feriti.
[276] VI, 19.
[277] Signore del castello di Poppi in Casentino, s'era separato dagli
altri conti Guidi, ch'erano guelfi.
[278] Tutto ciò è narrato dal Villani e da altri cronisti, è ricordato
anche da Dante nella _Divina Commedia_. Alcuni han voluto mettere in
dubbio il fatto, ma a ragione osservò l'Hartwig, non essere facile
supporre che i cronisti guelfi avessero voluto inventare una leggenda,
tutta a favore del capo dei Ghibellini.
[279] Su queste demolizioni dà molte notizie il Del Lungo, nel suo
scritto: _Una vendetta in Firenze_, nell'_Arch. Stor. It_. Serie IV,
vol. 18 pag. 355 e segg.
[280] P. ILDEFONSO, _Delizie_, ecc., Vol. IX, pag. 19 e segg.
[281] MACHIAVELLI, _Storie_, Lib. I, pag. 37.
[282] Si dice che Manfredi, nel vederli combattere, ammirasse il loro
ardire, esclamando: di chiunque sarà la vittoria, quei Guelfi non
perderanno.
[283] DANTE (_Purgatorio_, III, 121-32) pose Manfredi nel Purgatorio,
sebbene, al pari di Federico, di Farinata e di molti altri Ghibellini
fosse allora tenuto eretico.
Orribil furon li peccati miei,
Ma la bontà infinita ha sí gran braccia
Che prende ciò che si rivolve a lei.
Se il pastor di Cosenza, che alla caccia
Di me fu messo per Clemente, allora
Avesse in Dio ben letta questa faccia,
L'ossa del corpo mio sarieno ancora
In co' del ponte presso a Benevento,
Sotto la guardia della grave mora.
Or le bagna la pioggia e move il vento,
Di fuor del Regno, quasi lungo il Verde,
Ove le trasmutò a lume spento.
[284] MACHIAVELLI, _Storie_, Lib. II, pag. 73.
[285] Questo è un fatto cominciato assai prima, che si ripete
costantemente in tutta quanta la storia fiorentina, ed ora apparisce
piú visibile che mai. Il Malespini, nella sua Cronica, cap. 104, prima
della incoronazione di Federico II, già parla di alcune famiglie che,
«cominciavano a essere grandi, che prima di poco tempo non se ne faceva
menzione.... I Mozzi, i Bardi, i Iacopi detti Rossi, i Frescobaldi,
tutti questi erano venuti in piccolo tempo, perocché ancora erano
mercatanti e di piccolo cominciamento: poi i Tornaquinci e i Cavalcanti
di piccolo cominciamento, ed erano mercatanti, e 'l simile i Cerchi, e
molto cominciarono questi sopra detti in piccolo tempo a sormontare».
[286] La piú parte di queste lettere si trovano pubblicate nel Martène,
altre ne dà il Del Giudice nel suo Codice diplomatico di Carlo I e
Carlo II d'Angiò.
[287] MACHIAVELLI, Storie, Lib. II, pag. 75.
[288] _Il Codice diplomatico di Carlo I e II d'Angiò_, pubblicato dal
Del Giudice a Napoli, vale qui a correggere molti errori dei cronisti.
[289] «Quasi spenta del tutto o almeno invecchiata quell'antica
cittadinanza, s'incominciava a veder sorgere, quasi in una nuova città,
un'altra propagine di genti». AMMIRATO, _Storie_.
[290] Ecco in che modo s'esprime il VILLANI (Lib. VII, cap. 16):
«Fatti Dodici buoni uomini, a modo che anticamente faceano gli
Anziani, che reggeano la Repubblica, si riformarono il Consiglio di
Cento Buoni Uomini di popolo, sanza la deliberazione de' quali, nulla
grande cosa né spesa si potea fare; e poiché per quello Consiglio si
vincesse, andava a partito, a pallottole, al Consiglio delle Capitudini
dell'Arti maggiori e a quello della Credenza, ch'erano ottanta. Questi
Consiglieri, che col Generale erano trecento, erano tutti popolani
e guelfi. Poi vinti ai detti Consigli, convenía il dí seguente le
medesime proposte rimettere al Consiglio della Podestà, ch'era il
primo di 90 uomini grandi e popolani, e con loro ancora le Capitudini
dell'Arti, e poi il Consiglio Generale, ch'erano 300 uomini d'ogni
condizione. E questi si chiamavano i Consigli opportuni, ecc.». Queste
notizie, come ognuno vede, sono assai oscure; ma gli altri cronisti
sono ancora piú confusi, e non se ne trovano due che fra loro vadano
precisamente d'accordo. Il Malespini dice assai meno e piú oscuramente
del Villani, che esso copia, e Marchionne di Coppo Stefani (Lib.
II, rub. 140) dice, che, vinto il partito fra i 12 Buoni Uomini, «si
ragunavano le Capitudini delle sette maggiori Arti, ed eravi un officio
de' Consiglieri, che si chiamavano quegli della Credenza Ottanta, e
trenta Buoni Uomini per Sesto, tutti erano guelfi o popolani; sicché
in numero erano trecento, e quello era il Consiglio Generale chiamato.
E vinto in questo Consiglio, s'avea a vincere in quel del Podestà
un altro dí seguente, nel qual Consiglio, erano popolani e Grandi
mescolati, cioè dieci per Sesto popolani e dieci Grandi, ed ancora
le Capitudini». E il Machiavelli dice che crearono «un Consiglio di
ottanta cittadini, il quale chiamavano la Credenza; dopo questo erano
i popolani, trenta per Sesto, i quali con la Credenza e i dodici Buoni
Uomini, si chiamavano il Consiglio di 120 cittadini popolani e nobili,
per il quale si dava perfezione a tutte le cose negli altri Consigli
deliberate, e con quello distribuivano gli uffici della Repubblica».
(Storie, Lib. II). E cosí, per quanti se ne possano riscontrare, si
troveranno tutti fra loro discordi, il che nasce, in parte dall'essere
stati quei Consigli sottoposti a varie mutazioni, e però ognuno li
descriveva, piú o meno, come erano ai suoi tempi; in parte dalla
poca cura che gli antichi cronisti ponevano nel raccogliere questi
particolari.
Volendo però venire ad una qualche certa conclusione, noi prendemmo
per punto di partenza il Villani, come quello che fra i piú antichi
ha maggior riputazione e piú s'avvicina al tempo che descrive. E
considerando bene le sue parole, si vedrà, che i Consigli debbono
distinguersi in quelli propri dei Dodici, del Capitano e del Podestà.
Se poi riscontriamo nell'Archivio di Stato le Consulte o il primo
volume delle Provvisioni, che incominciano alcuni anni dopo la riforma
di cui discorriamo, troveremo che ora si raduna il Consiglio dei 100;
ora il Consiglio speciale del Capitano, ed il Consiglio generale
e speciale dello stesso; ora il Consiglio speciale chiamato anche
Consiglio dei 90 del Podestà, ed il Consiglio speciale e generale
di 390 (300 + 90). E di questi quattro ultimi Consigli si trova che
generalmente facevano parte le sette Capitudini delle Arti maggiori,
le quali coll'andar del tempo crebbero di numero, e qualche volta
venivano radunate ancora come un Consiglio separato. Guardando poi al
numero dei voti nelle deliberazioni dei Consigli, si trovano abbastanza
chiaramente confermate le notizie che dà il Villani. La votazione nei
Consigli speciali facevasi colle palle bianche e nere, notandosene il
numero; nei generali facevasi allora solo per alzata e seduta, e non si
soleva scrivere il numero de' voti. In tutte queste cose regnava però
un certo arbitrio, spesso dandosi ai magistrati facoltà di deliberare
_con quelli Consigli che credono_.
Nelle faccende di maggiore importanza, e nelle discussioni fatte
rigorosamente secondo le leggi, le proposte dovevano, come abbiam
detto, essere approvate prima dai Dodici Buoni Uomini, che potevano
consultarsi anche con persone di loro fiducia, piú tardi chiamate i
Richiesti. Poi s'andava ai 100, poi ai due Consigli del Capitano, poi
ai due del Podestà. Tutto ciò si cava anche dai documenti in Archivio,
e per citare un esempio piú facile a riscontrarsi, sebbene sia
posteriore al tempo di cui qui si ragiona, ecco in qual modo comincia
lo Statuto dell'Esecutore di Giustizia, pubblicato nell'Appendice alla
_Storia de' Municipi italiani_ del Giudici, pag. 402, 1ª ediz. «Al
nome di Dio, Amen. Nell'anno della sua salutevole incarnazione, 1306
ecc., in prima nello Consiglio de' Cento uomini e susseguentemente
nello Consiglio e per lo Consiglio speziale di messere lo Capitano e
le Capitudini delle 12 maggiori arti (erano allora già cresciute di
numero).... e poscia, incontanente senza mezzo, nel Consiglio e per
lo Consiglio generale e speziale di messere lo Capitano e del popolo
di Firenze e delle Capitudini dell'Arti... fatto, rivolto e vinto il
partito a sedere e a levare, secondo la forma dei detti Statuti....
Ancora dopo queste cose, in quelli anno, indizione e die, nel Consiglio
e per lo Consiglio generale di 300 e speciale di 90 uomini del Comune
di Firenze e delle Capitudini dell'Arti predette, per comandamento
del nobile uomo, mess. conte Gabrielli d'Agobbio, della detta cittade
e comune di Firenze, Podestà, ecc.». Qui per altro è da notare che,
sebbene i Consigli del Podestà siano stati radunati nello stesso
giorno che quelli del Capitano, pure la legge e l'uso volevano che si
radunassero il giorno dopo o anche piú tardi.
[291] V. _Delizie degli eruditi Toscani_ del P. ILDEFONSO Vol. VII,
pag. 203-286.
[292] DEL LUNGO, _Una vendetta in Firenze, Arch. Stor. It._, Ser. IV,
Vol. 18, pag. 354 e seg.
[293] Il BONAINI pubblicò nel _Giornale Storico degli Archivi toscani_,
anno I, disp. I, lo _Statuto di Parte guelfa_, del 1335, cui aggiunse,
nei fascicoli successivi, un dotto comentario. Il VILLANI (VII, 17)
dice: «Feciono, per mandato del Papa e del Re, i detti Guelfi _tre_
cavalieri rettori di parte». Ma deve essere un errore, invece di
tre cavalieri e tre popolani, come dice lo Statuto della Parte. Un
documento del 12 dic. 1268, pubblicato dal DEL LUNGO, _Una vendetta_
ecc., dice: _Unus de sex Capitaneis Partis Guelforum_. Nello stesso
capitolo il Villani confonde papa Clemente con Urbano, morto nel 1264.
Lo Statuto del 1335, ai due Consigli ne aggiunge un terzo, di Cento,
che sta forse a rappresentare quello che nella Repubblica era il
Parlamento.
[294] Modista, in inglese, si disse allora e si dice ora _millener_, da
Milano.
[295] Pare che il nome derivasse dalla via dove era posta l'Arte, via
che conduceva ad un postribolo, e però _Calis malus_, quasi Via mala.
[296] Uno Statuto dell'arte di Calimala, del 1332, fu pubblicato dal
Giudici nell'Appendice alla sua _Storia dei municipi italiani_. Il D.r
FILIPPI ne pubblicò ed illustrò uno del 1301-2, _Il piú antico Statuto
dell'Arte di Calimala_: Torino, Bocca, 1889. Gli statuti formulavano
quello che già da un pezzo, secondo leggi speciali, esisteva.
[297] Tutto ciò che diciamo sull'_Arte di Calimala_ trovasi negli
Statuti piú sopra citati. Noi ci siamo attenuti al piú antico.
[298] _Politecnico_ di Milano, Novembre e Dicembre 1867.
[299] AMMIRATO, (ediz. Firenze, Batelli, 1846), I, 248.
[300] I cronisti dicono, Guido di Monforte, che però venne solo nel
1269. Vedi Del Giudice, _Cod. dipl_. II, 23.
[301] VILLANI, VII. 19. Il numero di ottocento cavalieri si ripete ora
tante volte dai cronisti, che fa dubitare della loro esattezza, alla
quale del resto non si può mai credere molto, quando si tratta del
numero dei soldati. Ottocento cavalieri formavano probabilmente una
specie d'unità di misura, uno squadrone degli uomini d'arme francesi.
[302] VILLANI, VII, 19; MARCHIONNE STEFANI, rubr. 138. AMMIRATO, lib.
III, pag. 248.
[303] GREGOROVIUS, Vol. V, cap. 8; CHERRIER, _Storia della lotta dei
Papi e degl'Imperatori_ di casa Sveva, libro X.
[304] AMMIRATO, I, 262; _Delizie degli Eruditi_, IX, pag. 41.
[305] MACHIAVELLI, _Storie_, Vol. I, pag. 77: Italia, 1813.
[306] «Ipsas petitiones benigne accessimus et audivimus cum effectu,
primo de conservando iure et honore Comunis Florentie; contra Pisanos
et Senenses invasores et Gibellinos et exiticios terre vestre et
infideles Podiibonizi proditores nostros proponimus, cum Dei auxilio
atque vestro, facere vivam guerram, donec peniteant de commissis,
et vos de factis vestris habeatis comodum et honorem.... Vicarium
ytalicum virum providum discretum et fidelem, cuius devotionem, fidem
et probitatem in magnis factis nostris cognovimus, firmiter et ab
experto vobis concessimus, secundum quod vestra postulatio continebat,
et volumus quod sit contentus salario et expensis et emendis, prout in
ipsius civitatis statutis continetur, nec ultra aliquid exigat». Del
Giudice. _Codice Diplomatico_, II, 116-7. D'ora in poi parecchi sono i
Podestà italiani, nominati da Carlo in Firenze.
[307] VILLANI, VII, 54.
[308] RAYNALDI, Ann. 1278; SISMONDI, Vol. II, cap. VII.
[309] VILLANI, VII, 56.
[310] AMMIRATO, Vol. I, p. 274.
[311] Il primo che di questa pace dette un minuto ed esatto ragguaglio,
cavato dai documenti, fu l'Ammirato il giovane, nelle sue aggiunte alla
storia d'Ammirato il vecchio. (Anni 1279 e 1280). Parecchi documenti
si trovano nelle _Delizie degli Eruditi toscani_ del P. Ildefonso,
Vol. IX, pag. 63 e seg. Un ragguaglio ancora piú ampio ne dette il
Bonaini (_Della Parte guelfa in Firenze_), nel _Giornale Storico degli
Archivi toscani_, Vol. III, pag. 167 e seg. V. anche _Le Consulte della
Repubblica Fiorentina_, nuova e importantissima pubblicazione fatta da
A. Gherardi: Firenze, Sansoni. — L'atto originale della Pace (mutilo)
si conserva nell'Archivio di Stato di Firenze.
[312] _Consulte_, I, 28.
[313] Questi Quattordici, che compariscono insieme coi Dodici anche
nella pace del Cardinale, continuano un pezzo nelle _Consulte_ a
comparire insieme con essi, come seguiva sempre a Firenze quando
s'istituivano nuovi magistrati. Poi restano soli, e i Dodici scompaiono
del tutto.
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