I primi due secoli della storia di Firenze, v. 1 - 09

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parti da vicinanza a vicinanza, con le torri armate, le quali erano
alte da 100 a 120 braccia. Se ne costruirono anzi delle nuove per le
Comunità delle contrade, coi danari delle vicinanze, e le chiamavano
Torri delle Compagnie. Si continuò cosí a combattere per due anni, con
molte uccisioni; e venne questo perpetuo guerreggiare in tale uso fra
i cittadini, che l'un dí si battevano, e l'altro bevevano e mangiavano
insieme, novellando l'uno all'altro delle loro imprese e prodezze.
Finalmente si pacificarono per stracchezza, e i Consoli restarono in
signoria; ma queste cose crearono poi e partorirono le maledette parti,
che furono appresso in Firenze».[172]
Il pseudo Brunetto Latini, invece, pone al 4 agosto 1177 il primo
incendio da Ponte Vecchio fino a Mercato Vecchio. Ma, continuando,
aggiunge subito che nello stesso anno cominciò «discordia e guerra
durata ventisette mesi tra i Consoli e gli Uberti, i quali non
ubbidivano né Consolato, né Signoria, né eziandio per loro facevano
reggimento. Questa battaglia cittadinesca portò gran mortalità,
rubamenti ed incendi. In cinque parti diverse della Città fu messo
il fuoco, che arse il Sesto d'Oltrarno, e da S. Martino del Vescovo
a S. Maria».[173] Il 4 novembre del 1178 sarebbe, secondo lo stesso
cronista, caduto il Ponte, e la guerra cittadina sarebbe finita
solamente nel 1180, con la vittoria degli Uberti, uno dei quali,
Uberto degli Uberti, entrò poi nel consolato. «Da ciò derivò piú
tardi la creazione dei Podestà, che furono gentiluomini, possenti e
forestieri».[174]
Non ostante alcune apparenti contraddizioni dei due cronisti,
risulta pur chiaro da essi e da altri ancora, che nel 1177 vi fu una
rivoluzione capitanata dagli Uberti, la quale durò circa due anni, con
incendi, uccisioni e rubamenti. La loro vittoria fu parziale, perché
il consolato restò; ma essi vi entrarono piú spesso di prima, insieme
coi loro amici, e però il pseudo Brunetto Latini li dice vittoriosi.
Tutto ciò diede nel governo maggior forza ai nobili, ed apparecchiò
la riforma aristocratica, che poi sostituí il Podestà ai Consoli,
e seminò il germe delle parti e delle guerre civili, che dovevano
cosí lungamente lacerare ed insanguinare la Città. Tale in sostanza
è la conclusione dei cronisti: i documenti e i fatti posteriori la
confermano pienamente. Nondimeno la pace interna fu ristabilita, e
la politica fiorentina non fu punto alterata. Il parziale trionfo
dell'aristocrazia, rendendola, per ora almeno, contenta, giovò anzi
a fare, col suo efficace aiuto, prosperare sempre piú le cose di
tutta la Repubblica. Ne è prova la ricordata sottomissione del 1182,
con cui gli Empolesi promisero di pagare un tributo ai Rettori della
Città, ed in loro mancanza ai Consoli dei mercanti, obbligandosi a
far guerra, secondo il volere dei Fiorentini, salvo però contro i
conti Guidi, da cui in parte gli Empolesi dipendevano ancora.[175] Il
4 di marzo si sottomisero gli uomini di Pogna, che dipendeva invece
dai conti Alberti.[176] I Pognesi si obbligavano non solo a far
guerra, secondo la volontà de' Consoli fiorentini, ma a non costruire
nuove mura o fortezze nella loro terra o nella vicina Semifonte:
se a ciò altri si provasse, dovevano essi opporvisi ed avvertirne
subito i Fiorentini, che dalla loro parte promettevano amicizia
e protezione.[177] Nello stesso anno presero anche il castello di
Montegrossoli.[178] Il 21 luglio 1184 strinsero alleanza coi Lucchesi,
che s'obbligarono ad aiutarli ogni anno, per venti giorni almeno, con
150 militi e 500 fanti, nelle guerre che i Fiorentini farebbero nel
proprio contado.[179] Questi nell'ottobre assalirono in Mugello il
castello di Mangona, appartenente agli Alberti, i quali fecero perciò
ribellare la terra di Pogna, che i Fiorentini allora andarono subito ad
assalire.[180] Nel conflitto che ne seguí, par certo che fosse presente
il conte Alberto, perché nel novembre noi lo troviamo prigioniero,
e costretto ad accettare durissimi patti per sé, per la moglie ed i
figli. Dové promettere di distruggere nel prossimo aprile il castello
di Pogna, salvo il palazzo e la torre; demolire la torre di Certaldo,
né piú ricostruire quella di Semifonte; cedere ai Fiorentini una delle
torri di Capraia, a loro scelta; dividere con essi, a metà, un accatto
o dazio da porsi in comune sui beni che egli possedeva fra l'Arno e
l'Elsa. Finalmente, appena uscito di prigione (_postquam exiero de
prescione_), doveva far giurare obbedienza a tutti i suoi uomini, e
pagare 400 libbre di buoni denari pisani. I suoi figli abiterebbero
in Firenze due mesi dell'anno in tempo di guerra, uno in tempo di
pace.[181] Questa sottomissione ed umiliazione del conte Alberto era
per sé stessa un fatto di grande importanza. Ma, se vi si aggiunge che
ciò avveniva dopo che Firenze aveva abbattuto i Cadolingi, umiliato i
conti Guidi, fatto vantaggiosissima alleanza con Pisa, Siena e Lucca,
si capirà facilmente la fortissima e quasi minacciosa posizione, che
essa aveva saputo, in cosí breve tempo, prendere.

IV
Tutto questo contribuí di certo non poco ad affrettare la venuta
dell'imperatore Federico I in Toscana, dove lo troviamo infatti nel
1185, con animo deliberato a sottomettere il paese. Venne però senza
un esercito, fidando nell'autorità dell'Impero, nella sua propria
accortezza e reputazione. Credeva di poter riuscire ne' suoi intenti,
staccando da Firenze alcune delle città toscane, riducendole a favorire
contro di essa l'Impero. Faceva soprattutto assegnamento su Pistoia,
che si trovava fra Lucca e Firenze, nemica d'ambedue; su Pisa, che con
larghe concessioni sperava di poter ricondurre al partito imperiale,
cui essa aveva piú volte aderito in passato. E ciò gli appariva anche
piú facile quando, arrivato a San Miniato nella state del 1185, molti
dei nobili del contado vennero ad ossequiarlo, levando alti lamenti
contro le città libere che li opprimevano. Il 25 di luglio liberò
dalla giurisdizione di Lucca molti di loro, ed alcune terre ad essa
sottostanti.[182] Il 31 dello stesso mese entrò in Firenze, ed anche
ora fu circondato dai nobili del contado, i quali, scrive il Villani,
amaramente si dolevano contro la Città, «che aveva occupato i loro
castelli, a grande dispregio dell'Impero».[183] E qui i cronisti
affermano che Federico tolse a Firenze la giurisdizione sul proprio
contado, fino alle mura; anzi la stessa deliberazione egli avrebbe,
secondo essi, presa per tutte quante le città toscane, salvo Pisa e
Pistoia.[184] Ma su di ciò è sorta grave disputa, non volendo molti
prestar fede alla possibilità di un tal fatto, il quale non trova
conferma in nessun documento. Altri invece ne vorrebbero vedere la
prova in un altro fatto posteriore, che non solo è narrato da parecchi
cronisti, ma è anche confermato dai documenti.
Ed in vero, con un diploma che ha la data del 24 giugno 1187, Errico
VI, in premio, esso diceva, dei servigi resi dai Fiorentini a suo padre
ed a lui stesso, concedette loro la giurisdizione nella Città e nel
contado, fino ad un miglio dalla parte di Fiesole, a tre verso Settimo
e Campi, a dieci in tutto il resto.[185] Anche in cosí ristretti
confini, però, i nobili ed i militi dovevano restare indipendenti
dalla Città. In riconoscenza di questa liberalità dell'Impero, i
Fiorentini dovevano ogni anno dare ad esso un buono sciamito, _bonum
examitum_.[186] Simili concessioni, limitate del pari, furono fatte ad
altre città.[187] Si disse perciò: — se Errico restituí ai Fiorentini
la giurisdizione, è chiaro che essa era stata loro tolta dal padre.
Noi sappiamo infatti che Federico mise in tutta Toscana Podestà
imperiali, che presero nome dalle città.[188] — E andando di questo
passo, s'arrivò anche a voler vedere Firenze privata della sua propria
giurisdizione fin dentro le mura. Se non che, il diploma d'Errico non
parla di restituzione, parla solo di liberalità usata in premio dei
servigi resi dai Fiorentini, i quali servigi non si sa in verità quali
possano essere stati.[189] È probabilmente un modo di dire, giacché
simili concessioni furono da lui fatte a molte città. Da un altro lato
riesce assai difficile credere che Firenze, la quale, quando era tanto
piú debole, aveva osato combattere a mano armata i messi dell'Impero,
uccidendo Rabodo, ponendo in fuga Cristiano di Magonza, potesse, quando
si trovava tanto piú forte, alla testa di tutta Toscana, lasciarsi,
senza alcuna resistenza, privare della propria giurisdizione in
tutto il contado e fin dentro le mura. Oltre di ciò, la esistenza de'
suoi Consoli in questi medesimi anni, non par dubbia, il che farebbe
senz'altro crollare l'ipotesi di Podestà imperiali dentro la Città.
Infatti nel 1184, i documenti ci dànno i nomi dei Consoli. Nei tre
anni successivi, è vero, ce li dà solo il pseudo Brunetto Latini; ma
è difficile supporre che egli li abbia tutti inventati, o che siasi
per tre volte consecutive ingannato. Ed anche in questo triennio, se i
documenti non ci dànno nomi di Consoli, indirettamente però accennano
di continuo alla loro esistenza.[190]
Bisogna, io credo, cominciare dal riconoscere, che, secondo le idee e
la politica di Federico I, il suo diritto d'esercitare giurisdizione
nella Toscana, non era disputabile; che se le città l'avevano di fatto
esercitata, senza una speciale concessione, esse avevano violato i
diritti dell'Impero, il quale poteva, anzi doveva riprenderli. Perciò
egli aveva mandato Rainaldo e Cristiano a mettere per tutto suoi
Podestà,[191] a far tornare le cose in quello che per lui era il solo
stato legale e normale. Se non che, la difficoltà qui non stava nel
provare il suo diritto, secondo la teoria imperiale; stava invece nel
farlo valere. Era una quistione di fatto, che solamente la forza poteva
risolvere. I Podestà imperiali, come noi abbiamo già visto, furono per
tutto istituiti; ma se nel contado riuscirono ad ottenere obbedienza,
non senza contrasto e parzialmente, nelle città piú grosse, invece,
massime a Firenze, non riuscirono punto. I _Potestates Florentiae_
o _Florentinorum_, come di Siena o dei Senesi, e simili, che noi
incontriamo assai di frequente, son quasi sempre, e per Firenze può
dirsi addirittura sempre, Podestà imperiali, messi nel contado, di
cui disputavano la giurisdizione ai Consoli. Or siccome pel Comune
il contado era suo proprio territorio, e voleva perciò comandarvi;
per l'Impero, invece, il contado doveva, insieme con la Città, essere
sottoposto ai Podestà imperiali, cosí ne seguiva naturalmente che
essi venivano da tutti chiamati Podestà di Firenze o dei Fiorentini,
e per le stesse ragioni, Podestà di Siena o dei Senesi, d'Arezzo o
degli Aretini, ecc. Nel fatto però, essi non solamente non riuscivano
a comandare dentro le mura delle grosse città, ma nel contado stesso
erano in conflitto continuo con l'autorità dei Consoli, ed abbiamo
già visto quanta confusione ne nascesse. È tuttavia assai naturale il
credere, che, con la venuta di Federico I in Toscana, l'autorità di
questi Podestà dovesse immensamente crescere, e che, per qualche tempo
almeno, riuscissero davvero ad esercitare la propria giurisdizione in
tutto il contado, fin sotto alle mura delle città. Questo fece dire ai
cronisti, che l'Imperatore aveva tolto a Firenze il contado. È certo
però, che quando egli partí, le cose tornarono subito nello stato di
prima; i Consoli cioè continuarono a rendere ovunque, piú che potevano,
vana l'opera e l'autorità degli ufficiali imperiali. Il sorgere dei
Comuni aveva creato un nuovo stato di cose, del quale l'Impero poteva
non ammettere il valore legale, ma che non aveva poi la forza di
distruggere. Questo fu che indusse finalmente Errico a riconoscere
in parte, e sotto forma di liberale elargizione, lo stato di fatto,
che egli sperava cosí di potere almeno circoscrivere entro limiti
determinati.
E veramente, col diploma 1187, egli concedeva ai Fiorentini meno assai
di quanto essi già da un pezzo possedevano. Se infatti il territorio
del Comune non avesse dovuto estendersi piú d'un miglio dalla parte
di Fiesole, ne sarebbe rimasta fuori questa città, già sottomessa
con le armi, insieme con tutto il suo contado, il quale sin dal 1125
faceva parte del territorio fiorentino, come era stato sempre nei
trattati riconosciuto. E quasi ciò non bastasse, anche in sí angusti
confini, Errico dichiarava esenti dalla giurisdizione della Città
tutti i nobili, cioè anche quelli che ad essa si erano legalmente e
solennemente sottomessi. Ma, ciò non ostante, a Firenze conveniva
d'accettare la concessione imperiale. Lo stato di fatto sarebbe
rimasto quale era, essa avrebbe cioè continuato sempre a comandare ed
a prendere piú che poteva. Il cronista Paolino Pieri, nel ricordare
questa concessione, dice che i Fiorentini riebbero il contado, «cioè
che si ritolsero,» espressione con la quale inconsapevolmente egli
manifesta la vera condizione delle cose. Intanto l'Impero cedeva nel
punto di diritto, riconoscendo la giurisdizione dei Consoli nella
Città ed in una parte del contado. Il resto sarebbe stato in avvenire,
come pel passato, risoluto dalla forza. A noi pare che tutto ciò ponga
in chiaro le cose, e spieghi ancora le inesattezze e la confusione
dei cronisti, i quali, non sapendo distinguere la questione di fatto
da quella di diritto, mescolarono di continuo l'una con l'altra. E
veramente non era agevole distinguerle, quando di fronte al fatto
stavano due, anzi tre diritti, ognuno dei quali non riconosceva
gli altri: il diritto cioè dell'Impero, quello del Comune e quello
finalmente del Papa, che ripeteva sempre, quantunque sempre invano, che
la Chiesa era l'erede di Matilde.

V
L'esistenza dei Podestà o conti tedeschi nel contado non fu però
senza un'azione, per lo meno indiretta, nell'interno della Città. Essi
contribuirono anzi a modificarne la costituzione, promuovendo in certo
modo la creazione d'una nuova magistratura municipale, che portò lo
stesso nome. In vero, il nome latino di _Potestas_, Potestà o Podestà
era dato nel Medio Evo ad ogni superiore autorità: noi lo abbiamo visto
già attribuito nel 1068 a Goffredo duca di Toscana. Piú tardi fu dato
ai conti tedeschi, insediati nel contado, in nome di Federico I. Da
essi passò poi a magistrati municipali. Sembra che dapprima venisse
dato ad ufficiali che il Comune mandò nel contado, quando v'erano già
i conti tedeschi, ad imitazione di essi e contro di essi. Tali almeno
dobbiamo credere che siano alcuni, i quali hanno nomi italiani; e
portano il titolo di Podestà fiorentini o di Firenze, prima che una
tale magistratura fosse Stata creata dentro la Città. Ne conosciamo
almeno due, Renuccio da Stagia e Guerrieri,[192] che i testimoni di
Rosano ricordano piú di una volta. Renuccio sembra, con abbastanza
probabilità, aver tenuto l'ufficio prima del 1180,[193] quando cioè in
Firenze v'erano certamente i Consoli.[194] Bisogna quindi ritenerlo
ufficiale del contado. Si ammetta però o non si ammetta una tale
ipotesi, è qui da notare che nei documenti fiorentini, ogni volta
che s'allude ora ai Consoli, si comincia costantemente ad aggiungere
le parole: _sive Rector vel Potestas vel Dominator_. Dapprima non
è che una formola vaga e generica, la quale accenna, in modo assai
indeterminato, alla possibilità di un'altra magistratura. Ma a poco a
poco la formola assume un carattere piú concreto; la parola _Potestas_
prende una importanza sempre maggiore, tanto che spesso precede quella
di _Consules_.[195] E allora la nuova magistratura è vicina a nascere;
essa infatti comparisce finalmente l'anno 1193, nella persona di
Gherardo Caponsacchi, un Fiorentino di famiglia consolare.
L'Ammirato s'ingannò quando credette di ritrovare un tal magistrato
nel 1184, perché nella lega tra Firenze e Lucca vide ricordato non un
individuo in particolare, ma l'ufficio in genere del Podestà.[196]
Questo però, come notammo, segue troppo spesso nei documenti, anche
quando a Firenze v'erano di certo i Consoli, per poterne tirare una tal
conclusione. Può darsi che anche prima del 1193 vi sia stato in Firenze
un qualche Podestà; ma sino a che non si trovi il nome dell'individuo
in un documento, che ce lo mostri in ufficio, noi non possiamo
asserirlo.
L'istituzione della nuova magistratura fu, in ogni modo, preceduta da
un incremento della nobiltà dentro le mura cittadine. Questo anzi ne
fu una delle cause efficienti. Le carte del tempo ci hanno dato di ciò
prove continue, che sono confermate dai cronisti. Il pseudo Brunetto
Latini dice, che nel 1192 erano Consoli «Messer Tegrino dei conti
Guidi, paladino in Firenze, e Chianni de' Fifanti». Ora il vedere al
Consolato in Firenze un conte ed un conte palatino o paladino che sia,
è un fatto assolutamente insolito. Lo stesso cronista ci dice che, nel
medesimo anno, si fece ordinamento in Firenze, che li conti Guidi et li
conti Alberti et li conti da Certaldo, Ubaldini et Figiovanni, Pazzi et
Ubertini, conti di Panago et altri nobili assai, cittadini, dovessero
abitare i quattro mesi dell'anno nella città di Firenze». Sia qualunque
il valore che si voglia attribuire a questo cronista, la sua asserzione
è in armonia colle notizie che si cavano dai documenti, e spiega
l'origine della nuova magistratura. Non poteva certo ai nobili piacere
di sottostare al governo popolare dei Consoli, contro cui fin dal 1177
avevano combattuto, e specialmente poi essere giudicati da coloro che
essi ritenevano inferiori per grado e dignità. Inoltre, quanto piú gli
elementi di cui la cittadinanza si componeva, divenivano eterogenei,
e piú si avvicinava perciò il pericolo di guerra civile, tanto piú la
possibilità di essere giudicati dai proprî avversarî politici, doveva
apparire incomportabile. E quindi si cercava una magistratura nuova,
d'indole diversa, preferibilmente aristocratica, e si prese a modello
una istituzione imperiale, quale era quella del Podestà. Esso non è già
un semplice giudice, come molti credettero e scrissero; è addirittura
il capo e rappresentante del Comune; firma i trattati e comanda
l'esercito; piglia il posto dei Consoli.
Infatti il 14 luglio 1193, il castello di Trebbio si sottometteva al
Comune di Firenze, di cui avevano la legale rappresentanza Gherardo
Caponsacchi _Potestas Florentie et eius Consiliarii_, insieme coi sette
Rettori delle Capitudini delle Arti.[197] I Consiglieri, dei quali il
documento dà i nomi, sono sette anch'essi, e quasi tutti di famiglie
consolari; due sono anzi veri e proprî nobili, un conte Arrigo (forse
da Capraia) ed un Tegghiaio Buondelmonti. Nel 1194 par certo che si
tornasse ai Consoli, anzi il pseudo Brunetto ci dà i nomi di due, fra
i quali un Uberti. Nel 1195 comparisce nuovamente il Podestà nella
persona di _Rainerius de Gaetano, cum suis Consiliariis_, uno dei quali
è _Consul iustitiae_.[198] Si può con certezza ritenere che questi
Consiglieri, il cui numero nei documenti varia di continuo, non sono
altro che i Consoli stessi, che, per qualche tempo, persistono ancora
sotto questa forma transitoria, durante la quale il Podestà è come il
loro capo. Essi rappresentano il Comune insieme con lui, o anche senza
di lui. A poco a poco però la loro importanza diminuisce, e quella
del Podestà aumenta. Insomma è un periodo di trasformazione, durante
il quale la nuova forma, non ancora ben determinata, di governo, si
alterna con quella dei Consoli.
Nel 1200 il Podestà non è piú un fiorentino, ma uno straniero, e
già rappresenta il Comune senza la compagnia de' suoi Consiglieri,
che nel 1207, quando cioè la nuova magistratura piglia la sua forma
definitiva, sono addirittura scomparsi. Per meglio dire, essi si vanno
sempre piú trasformando, ed aumentano di numero, fino a che formano un
Consiglio speciale della Città intiera, accanto all'antico Consiglio
o Senato, che diventa il Consiglio generale. Il governo allora sarà
rappresentato dal Podestà e da due Consigli, i quali qualche volta
voteranno separatamente, qualche altra uniti, e si chiameranno in
questo caso, il Consiglio generale e speciale. L'ufficio dei Consoli si
può dire cosí morto per non piú ricomparire. Salvo infatti un ultimo
tentativo, pel quale essi furono di nuovo eletti negli anni 1211 e
1212, noi piú non li ritroviamo. E da quanto abbiam detto finora può
facilmente intendersi, perché i cronisti pongano in tempi assai diversi
l'origine del Podestà. Il pseudo Brunetto Latini lo fa cominciare
nel 1200, quando cioè esso fu la prima volta un ufficiale forestiero,
qualità che era tenuta essenziale. E però il cronista prima d'allora
sembra vedere in esso piú che altro un capo dei Consoli.[199] E si
capisce ancora perché il Villani lo faccia invece cominciare nel 1207.
Questo è infatti l'anno in cui l'ufficio prende la sua forma definitiva
davvero, giacché il Podestà non solo è forestiero, ma apparisce anche
senza i Consiglieri. Il Villani però s'inganna quando ce lo vuol
dare come un magistrato eletto all'unico ufficio di amministrare piú
imparzialmente la giustizia, e quando aggiunge che allora «non si
rimase la signoria dei Consoli, ritegnendo a loro ogni altra cosa del
Comune». Sono due errori, il secondo dei quali si può credere poco piú
che un semplice anacronismo. Infatti se ciò che egli afferma non può
esser vero nel 1207, tale può ritenersi, in parte almeno, per gli anni
precedenti, quando cioè i Consoli sopravvivevano quasi a sé stessi,
come Consiglieri del Podestà.

VI
Certo dal 1196 al 1199 c'era stato un ritorno ai Consoli.[200] Ma
in questo tempo seguí anche un fatto assai importante, che mutò
profondamente la politica generale di tutta la Toscana, e sul quale
perciò dobbiamo ora fermarci. Il 27 settembre 1197 moriva l'imperatore
Arrigo VI, e questa morte portò prima l'abbandono, poi la totale caduta
di quel sistema imperiale, con tanta cura e persistenza iniziato da
Federico I nell'Italia centrale. I Samminiatesi distrussero la rocca,
che era in mano dei Tedeschi; poi le mura di S. Genesio.[201] I
Fiorentini ripresero per denaro Montegrossoli, che era stato rioccupato
e fortificato da nobili, che davano noia continua.[202] E dopo di ciò
Firenze si pose ad un'assai maggiore impresa, iniziando una lega delle
città toscane contro l'Impero. Essa fu conclusa il dí 11 novembre 1197,
a S. Genesio, dove giurarono primi i Lucchesi, poi i Fiorentini, i
Senesi, i Samminiatesi, il vescovo di Volterra, presenti, per maggiore
solennità, due cardinali di Santa Chiesa. I patti principali erano:
alleanza a comune difesa contro chiunque attaccasse la Lega; non far
pace o tregua _cum aliquo Imperatore vel Rege seu Principe, Duce vel
Marchione_, senza il consenso dei Rettori della Lega stessa; muover
guerra contro le città, conti, vescovi o borghi, che, invitati ad
entrarvi, si ricusassero.[203] Ma dove era il pericolo imminente?
Perché questa alleanza contro l'Impero, ora appunto che esso piú non
minacciava? Uno dei patti ci spiega, meglio d'ogni altro, lo scopo
vero cui si mirava. I castelli, i borghi, le piccole terre, cosí esso
diceva, possono essere ammessi solo come dipendenti da coloro, che sono
legittimi possessori del territorio in cui queste terre o castelli si
trovano. Unica eccezione era fatta per Poggibonsi,[204] perché di esso
molti si disputavano il dominio. Montepulciano sarebbe stato ammesso
come dipendente da Siena, appena che questa fosse riuscita a provare il
suo diritto di dominio su di esso.
Da tutto ciò adunque par chiaro che, in sostanza, quello che veramente
si voleva era: profittare della morte dell'Imperatore, per assicurare
alle città il pieno dominio dei propri territori. A questo fine
occorreva essere in Toscana uniti, e però si voleva che la Lega fosse,
per quanto era possibile, obbligatoria. Gli atti posteriori di essa non
lasciano alcun dubbio sul vero suo fine; provano anzi assai ampiamente
che Firenze l'aveva promossa, perché tutta Toscana l'aiutasse ora
ad impadronirsi subito del suo contado. Se però la Lega era contro
l'Impero, non per questo essa era a difesa del Papa, delle cui pretese,
come erede di Matilde, non teneva anzi conto nessuno. Si dichiarava,
è vero, di non riconoscere imperatore, re, duca o margravio, senza
l'approvazione della Romana Chiesa; ma si aggiungeva che se il Papa
voleva entrare nella Lega, doveva accettarne i patti, altrimenti ne
sarebbe restato fuori. Se chiedeva aiuto, per riconquistare le proprie
terre, si doveva far solo ciò che i Rettori della Lega avrebbero
ordinato. Non si sarebbe però, in nessun caso, tenuti ad aiutarlo, se
le terre da lui richieste fossero già tenute in possesso di qualcuno
dei Comuni o città alleate. Piú chiaro non si poteva parlare. E però
quando ai primi del 1198 fu eletto papa Innocenzo III, questi, sebbene
avverso all'Impero, e fautore dello spirito nazionale in Italia, si
dimostrò, come vedremo, assai scontento di un tal modo di procedere.
Il 4 dicembre 1197, a Castel Fiorentino, giurarono i Rettori della
Lega, fra cui primi il vescovo di Volterra ed il Console fiorentino
Acerbo, che ne fu il capo effettivo, sebbene il titolo venisse dato
al Vescovo, a cagione della sua ecclesiastica dignità. Pisa e Pistoia
per ora ne restarono fuori; ma ad esse, come ad altre città toscane,
era serbato libero l'aderire, cosa che Arezzo aveva già fatto il 2
dicembre.[205] Il 5 febbraio 1198 giurò il conte Guido, ed il 7 giurò
il conte Alberto. I Fiorentini però espressamente dichiaravano nel
secondo di questi due trattati, che essi si serbavano liberi d'assalire
Semifonte, e di sottoporre anche colla forza Certaldo e Mangona, terre
degli Alberti.[206] E cosí continuarono a procurare una quantità di
altre adesioni alla Lega, con atti che erano piuttosto di sottomissione
a Firenze.
Fu questo il momento in cui papa Innocenzo, da poco eletto, nel mese
stesso di febbraio in cui fu consacrato, scriveva ai due cardinali
stati presenti alla Lega, che in molte cose essa _nec utilitatem
contineat, nec sapiat honestatem_, non essendosi tenuto conto alcuno
che il Ducato di Toscana apparteneva alla Chiesa, _ad ius et dominium
Ecclesiae Romanae pertineat_. Egli intendeva perciò far valere i
suoi diritti. Se i collegati a lui si sottomettevano, avrebbe colla
minaccia d'interdetto obbligato anche i Pisani ad unirsi a loro,
contro l'Impero; altrimenti li avrebbe lasciati liberi di fare quel
che volevano.[207] Non gli fu però dato ascolto, e gli convenne fare
di necessità virtú, moderando non poco il suo linguaggio.[208] Pare
nondimeno che alcune concessioni di forma gli fossero fatte (sebbene
non sappiamo quali), perché, scrivendo poi ai Pisani, si dimostrava piú
contento, e li spingeva ad entrare nella Lega. Certo è però che essi
ne restarono sempre fuori, e che se egli, fatto accorto dagli eventi,
si dichiarò piú tardi fautore energico degl'interessi nazionali,
e promotore della Lega contro l'Impero, poté cosí riuscir solo ad
aumentare la sua autorità morale e politica, non a guadagnare un sol
palmo di terra, né a far valere alcuno de' suoi pretesi diritti sulla
Toscana.
Chi ogni giorno ne cavava invece vantaggio erano i Fiorentini. Il 10
aprile 1198 Figline entrava nella Lega, sottomettendosi a Firenze,
pagando anche un annuo tributo;[209] ed il dí 11 maggio Certaldo faceva
lo stesso.[210] La Repubblica continuava a procedere non solo con
energia, ma con grande accortezza per la via intrapresa. Lasciava che i
nobili pigliassero sempre maggior parte al governo, perché cooperassero
di buona voglia al compimento della deliberata impresa. Quel conte
Arrigo da Capraia, che nel 1193 trovammo fra i Consiglieri del podestà
Caponsacchi, lo troviamo ora, nel 1199, addirittura fra i Consoli.[211]
Nell'anno 1200 si eleggeva finalmente a Podestà uno straniero,[212]
Paganello Porcari da Lucca, cosa a cui, come già notammo, da un pezzo
miravano i nobili. Ed egli venne confermato nel 1201, perché condusse
la guerra con energia e valore. Infatti, nel febbraio del 1201, il
conte Alberto giurò di cedere ai Fiorentini il poggio di Semifonte col
castello e le mura; di aiutarli, ogni volta che fosse necessario, ad
impadronirsi di Colle, Certaldo, Semifonte.[213] Il vescovo di Volterra
giurò anche esso di aiutarli nelle medesime guerre.[214] E tutto ciò si
faceva come se fosse conseguenza e parte degli obblighi della Lega, il
che incominciava naturalmente a stancare ed insospettire gli alleati,
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