I primi due secoli della storia di Firenze, v. 1 - 20

Total number of words is 4404
Total number of unique words is 1510
39.8 of words are in the 2000 most common words
56.8 of words are in the 5000 most common words
65.6 of words are in the 8000 most common words
Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
1390 con Faenza, Ravenna, e a poco a poco, con la piú parte delle città
d'Italia.[356]
Questo continuo crescere del commercio dei Fiorentini sul continente,
rendeva sempre maggiore e piú insistente il bisogno d'avere uno sbocco
libero al mare. Ma sia che mirassero a Porto Pisano, sia che mirassero
a Livorno, i due soli porti agevoli al loro commercio, dovevano
sempre passare per Pisa, repubblica vicina, potente e rivale. Se essi
s'erano fatti padroni di quasi tutto il commercio toscano per terra,
i Pisani erano invece padroni del mare, e non volevano quindi lasciare
opportunità d'impadronirsene ad un popolo cosí energico ed industrioso,
come erano i loro vicini e rivali. Per raggiungere il loro scopo,
ai Pisani bastava mettere forti tasse sul passaggio delle merci dei
Fiorentini, ai quali, in questo caso, non restava altro rimedio che
la forza delle armi. Quindi l'occasione a guerre continue, l'eterna
rivalità delle due repubbliche. Nel 1254, dopo la presa di Volterra,
colle minacce di un esercito vittorioso, i Fiorentini obbligarono i
Pisani a concedere libero passaggio alle loro merci, e cosí nel '73,
'93, nel 1317, e '29 li obbligarono a confermare i medesimi patti, il
che questi fecero sempre di mala voglia, e solo per evitare la guerra,
o dopo una battaglia perduta.
Intanto i Fiorentini continuavano a spingere sempre piú oltre le
loro mercanzie in Oriente, dove facevano nuovi trattati. Il che da un
lato cresceva in essi il bisogno d'aver libero il mare, e dall'altro
ridestava sempre piú la gelosia dei Pisani. Il Pagnini, nella sua opera
sulla _Decima_, ha pubblicato la _Pratica della mercatura_, composta,
nella prima metà del secolo XIV, da Balducci Pegolotti, agente della
compagnia dei Bardi. Quest'opera che, dopo il _Milione_ di Marco Polo,
è una delle piú importanti a farci conoscere i viaggi ed il commercio
degl'Italiani in Oriente, ci dà minutissimi ragguagli specialmente sul
traffico de' Fiorentini. Da ciò che il Pegolotti dice di sé stesso,
noi possiamo argomentare che cosa facevano tutti i suoi concittadini.
Per essi, egli riusciva nel 1315 ad ottenere in Anversa e nel Brabante
franchigie simili a quelle che già godevano i Genovesi, i Tedeschi e
gl'Inglesi. Andò poi in Oriente, dove vide che a Cipro solo i Bardi ed
i Peruzzi pagavano sulle mercanzie il 2 per cento d'entrata e uscita,
al pari di tutti i Pisani; gli altri Fiorentini dovevano pagare il
4 per cento, o adoperarsi a passar per Pisani, e questi allora, con
mille angherie, li trattavano _peggio che schiavi o giudei_. Sdegnato
il Pegolotti per tali fatti, sebbene fosse della compagnia dei Bardi,
pure s'adoperò molto, e riuscí a fare estendere le medesime franchigie
a tutti i Fiorentini (1324). Cosí essi, aiutandosi a vicenda,
coll'attività dei privati non meno che del governo, continuavano sempre
i loro progressi in Oriente, ed i Pisani sempre piú se ne ingelosivano.
Nel 1343 questi vollero infatti limitar la franchigia concessa alle
merci fiorentine, decidendo che solo fino al valore di 200,000 fiorini
potessero passar libere per la loro città; il resto doveva pagare
due soldi per lira, cioè il 10 per cento. Ai Fiorentini non restava
allora che o far la guerra, o abbandonare la via di Pisa, se trovavano
il modo. E per mostrare che il loro commercio non era poi davvero
dipendente dai Pisani, prescelsero il secondo partito. Fecero quindi un
trattato coi Senesi, col quale ebbero da essi Porto Talamone, dove con
grandissima spesa, e superando molte difficoltà, riuscirono finalmente
a fare un grande emporio delle loro mercanzie. La via per giungervi era
assai lunga e scomoda; ma i Pisani dovettero subito accorgersi, che ad
essi ne seguiva un danno maggiore di quella che recavano ai Fiorentini;
e che se potevano dar loro noia, non era in alcun modo sperabile di
distruggerne il commercio: s'indussero perciò nuovamente a lasciar
libero il passo alle mercanzie. E cosí i Fiorentini pigliavano animo
sempre maggiore a proseguire il loro cammino in Oriente.[357]
La via piú facile e diretta di questo commercio era quella dell'Egitto;
ma ivi i Sultani ed i Califfi chiudevano il passo ai cristiani.
Soltanto i Veneti, i quali si diceva che concludessero trattati, «nel
nome santo di Dio e di Maometto», v'aveano fatto qualche progresso, e
con molta gelosia ne tenevano lontani gli altri Italiani, che perciò
pigliavano generalmente la via di Costantinopoli e del Mar Nero,
dove, massime i Genovesi, avevano fondato città popolose e fiorenti.
Piú oltre, nel mar d'Azoff, a pochi chilometri dall'imboccatura del
fiume Don, eravi la Tana (Azov), grande emporio di mercanti russi,
arabi, persiani, armeni, del Mogol, della China meridionale; e vi si
faceva il piú grande scambio di prodotti orientali ed occidentali.
Gl'Italiani portavano tessuti di lana o di seta, olio, vino, pece,
catrame e metalli bassi, che mutavano con perle, pietre preziose,
oro, droghe, zuccheri, stoffe orientali di lana o di seta, cotone,
seta greggia, pelli di capra, legni per tingere, schiavi e schiave
orientali, che si trovano fra noi sino a tutto il secolo xv.[358] Tutto
questo commercio, iniziato una volta da Amalfi e da altre repubbliche
meridionali, era poi venuto in mano dei Veneti, Genovesi e Pisani. Le
loro navi solcarono in ogni direzione l'Arcipelago, il Bosforo ed il
Mar Nero. L'italiano era parlato in tutti gli scali d'Oriente, dove
non vi erano solo banchi, officine, opifici italiani; ma si ritrovava
l'architettura di Genova e di Venezia in città fondate ed abitate da
soli Italiani, come l'architettura italiana, massime la veneta, si
modificava, pigliando ispirazione dalla orientale. Grandissimo era
il numero dei Genovesi che si trovava colà. E per dare un'idea della
forza che i Veneti avevano sul mare, basti ricordare che nella Crociata
del 1202, essi avevano apparecchiato un naviglio capace di condurre
4,500 cavalieri, 9,000 scudieri, 30,000 fanti, e viveri per nove
mesi. Le loro galee, non mai piú corte di 80 piedi, arrivavano a 110
di lunghezza e 70 di larghezza, ed erano 45 nel sec. XV, con 11,000
marinai. Avevano inoltre nello stesso tempo 3,000 legni fra le 10 e
le cento botti, con 17,000 marinai, e 300 navi grosse con altri 8,000
marinai. In tutto 3,345 legni, con 36,000 marinai,[359] potenza che
passa i limiti dell'immaginazione, quando si pensa, che la Serenissima
Repubblica veneta era una città fondata sugli scogli della laguna; che
tutto l'indirizzo della sua politica e del suo commercio era nelle mani
di coloro solamente che erano nati nei confini della medesima laguna.
S'immagini, che cosa dovesse poi essere la potenza riunita di tutte
queste repubbliche di mare, e che animo dovessero avere i Fiorentini,
quando gareggiavano cosí ostinatamente con esse per il commercio
dell'Oriente.
Prima d'avere una sola galea sul mare, essi avevano già molte case
e banchi per ogni dove, ed in tutti gli scali principali d'Oriente
avevano fatto penetrare le loro mercanzie. Non solamente li troviamo
operosi ed intraprendenti alla Tana, ove facevano grandissimo traffico;
ma di là si spinsero assai oltre, ed il Pegolotti ci descrive per filo
e per segno la via che tenevano, il tempo che impiegavano, ed il loro
modo di viaggiare. Andavano, egli dice, per Astracan (Gittarchan), poi
Saracanco (Sarai) presso il Volga, di là per Organci nel Zagataio,[360]
non molto lungi dal Caspio, e traversando l'Asia, per molti altri
luoghi, i cui nomi non sono riconoscibili, perché non rispondono piú
a quelli di oggi, arrivavano fino a Gambaluc o Gamalecco, la _città
mastra_ della China, cioè Pechino. Impiegavano otto o dieci mesi, per
andar dalla Tana a Pechino. Cosí computando andata, ritorno e dimora,
ci volevano poco meno di due anni; e se poi s'aggiungono l'andata ed il
ritorno da Porto Pisano o Livorno alla Tana, si vedrà che il Fiorentino
il quale si partiva di sua casa per Pechino, di rado tornava prima che
fossero scorsi tre anni.[361]
A misura che questi traffici nell'Oriente, condotti con tanta e cosí
tenace perseveranza, crescevano fra mille difficoltà, i Fiorentini
miravano sempre al mare, senza mai perder di vista l'assoluta necessità
di avere un porto. E quando finalmente, colla presa di Pisa nel 1406,
lo scopo dei lunghi desideri fu raggiunto, incominciò un'era novella
pel loro commercio. Tutti gli affari aumentarono rapidissimamente, e la
prima metà del secolo XV fu quella appunto, in cui essi accumularono
le maggiori ricchezze. Nel 1421 crearono i Consoli di mare, dando
loro ordine di costruire subito due grosse _galee di mercato_ e sei
sottili, continuando a costruirne un'altra grossa ed una sottile ogni
sei mesi, per il che assegnarono la somma di 100 fiorini al mese,
da prelevarsi sulle rendite dello Studio pisano. Cosí in poco tempo
ebbero una marineria mercantile di 11 galee grosse e 15 sottili,
che facevano continuamente, per ordine della Repubblica, il viaggio
d'Oriente. Ad ognuna di esse era determinata la via che doveva
tenere, i porti che doveva toccare, le mercanzie che poteva caricare.
L'annunzio della partenza e del ritorno veniva affisso sotto le logge
di Mercato Nuovo; i privati noleggiavano le navi, ed il governo teneva
cosí aperte a tutti le vie dell'Oriente senza sua spesa. Nel 1422,
quando, come abbiamo già notato, fu battuto il fiorino di galea,
i Fiorentini accettando il consiglio di Taddeo Cenni, che aveva
lungamente esercitato la mercatura a Venezia, mandarono in Egitto due
oratori, per poter aver chiesa, fondachi, propri facchini o portatori
in Alessandria. Ottenuto il loro intento, dettero nel 1423 ordine
ai Consoli di mare, di creare altri consoli ovunque potevano essere
utili al commercio fiorentino. Già ve n'erano, da piú o meno tempo, a
Costantinopoli, a Pera (1339), a Londra (1402); ma da questo momento
li troviamo in Alessandria, Maiorca, Napoli, per ogni dove. Avevano
cancelleria, ufficiali propri, interpreti, uomini d'arme, chiesa, e
pagavano tutto ciò colla tassa che riscuotevano sulle mercanzie, dalla
quale dovevano trarre anche il proprio stipendio.[362]
Ma se vogliamo comprendere davvero, come e quanto i Fiorentini
sapessero profittare delle nuove condizioni in cui li poneva la
conquista di Pisa, ci è forza osservare che questo fatto segna non solo
il tempo d'una maggiore prosperità nel loro commercio, ed il principio
della loro marineria militare e mercantile; ma anche il tempo in cui
essi cominciarono a darsi agli studî nautici ed astronomici. Ed è
un'altra prova della grande intelligenza e della instancabile loro
attività, il vedere come, datisi una volta a tali studî, affatto nuovi
per essi, riuscissero ad iniziar quella splendida êra della scienza,
che s'aprí con Paolo Toscanelli, il primo ispiratore di Colombo,
continuò con Amerigo Vespucci, si chiuse con Galileo Galilei e la sua
scuola immortale.

V
Le sette Arti, che noi abbiamo sino ad ora esaminate, si chiamavano
maggiori, appunto perché erano le piú importanti, ed avevano in mano
la ricchezza ed il commercio principale della Repubblica. Non poche
di esse potevano, come vedemmo, dirsi piú una riunione di mestieri
diversi, che un'industria sola; occupavano moltissime braccia,
raccoglievano e adoperavano ingenti capitali. Tuttavia c'erano in
Firenze parecchie altre Arti, che si chiamavano minori, ed arrivavano
a quattordici:
Linaioli e Rigattieri — Calzolai — Fabbri — Pizzicagnoli — Beccai e
Macellai — Vinattieri — Albergatori — Correggiai — Cuoiai — Corazzai —
Chiavaiuoli — Muratori — Legnaiuoli — Fornai.[363]
Anche alcune delle minori industrie fiorentine avevano molta
reputazione in Italia, come, per esempio quella degl'intagliatori in
legno o in pietra, che erano stimati fra i primi nel mondo. Ogni volta
che all'opera dell'artigiano s'univa, poco o molto, l'arte del disegno,
i Toscani non avevano piú rivali. Cosí pure i lavoratori fiorentini
d'immagini in cera (lo nota anche il cronista Dei), erano tenuti
inarrivabili per la loro perizia. Gli uni e gli altri non s'erano
però costituiti in associazione, e si potrebbero dire piú artisti
che operai. Comunque sia di ciò, le Arti minori, sebbene numerose
ed operose, non poterono mai acquistare una grande importanza. Esse
differivano dalle Maggiori, principalmente perché provvedevano solo al
commercio interno della Repubblica, e quindi restavano chiuse in una
cerchia assai angusta d'affari e d'interessi, a differenza delle altre,
che, facendo il commercio dell'Oriente e dell'Occidente, poterono
salire ad una grande importanza, anche politica, ed impadronirsi
addirittura del governo.
Se ci riconduciamo per poco a quel tempo, in cui le Arti Maggiori
arrivarono al potere, noi le vedremo, in una medesima ora, aver
nelle mani il commercio, la ricchezza ed il governo della Repubblica
fiorentina. E ci sarà facile capire con quanta energia esse dovessero
adoperarsi per far servire la politica all'aumento della ricchezza,
che nelle nuove condizioni d'Italia, era divenuta la forza maggiore
dei nostri Comuni. I mercanti fiorentini, i quali da lungo tempo
avevano compreso, che l'avvenire apparteneva ad essi, furono sempre
i piú tenaci sostenitori del partito guelfo contro il ghibellinismo
imperiale dei nobili, cui avevano giurato un odio eterno. Noi possiamo
ora immaginarci Firenze come una grossa casa di commercio, la quale
posta nel centro della Toscana, era circondata da altre, che tutte
le facevano concorrenza. Il Medio Evo non conosceva le leggi e
l'equità del diritto internazionale; quindi nulla era piú naturale
ad uno Stato geloso del suo vicino, che chiudergli il passaggio sul
proprio territorio, ponendo sui prodotti dell'emulo temuto, dazi
incomportabili. E cosí Firenze, che pel continuo aumento del suo
commercio destava ogni giorno gelosie maggiori, e per la mancanza del
mare si sentiva come mancar l'aria da respirare, sarebbe stata subito
ridotta all'impotenza, se non avesse ricorso alla forza delle armi
contro i suoi vicini. La necessità di difendere la propria esistenza,
la condusse perciò ad una serie non interrotta di guerre, che si
concludevano sempre con vantaggiosi trattati di commercio, nei quali
essa dette prova della sua non mai smentita accortezza.
Noi l'abbiam vista, sin dal principio, combattere i vicini baroni,
per assicurare il suo nascente commercio; aprirsi poi, pel Mugello,
la via ai maggiori traffici con la Romagna e la Lombardia. Piú tardi
la vedemmo combattere fieramente e, dopo varia fortuna, vincere quasi
tutte le città ghibelline della Toscana, come Volterra, Siena, Arezzo.
E quando chiedemmo, perché Firenze, con tanta ostinazione d'animo,
restasse sempre guelfa, anche se minacciata dal Papa, e ripetemmo la
domanda medesima, che il ghibellino Farinata faceva a Dante:
Dimmi, perché quel popolo è sí empio
Incontro a' miei in ciascuna sua legge?[364]
la risposta fu sempre che, oltre le ragioni politiche di un ordine
piú generale, bisognava ricordarsi che quest'aristocrazia del danaro,
salita al potere, s'era cominciata ad arricchire facendo con Roma i
suoi piú grossi affari. Siena, Arezzo, Volterra, che si trovavano
sulla via di Roma, e ad essa piú vicine, venute una volta in gara
con Firenze, dovettero inevitabilmente soccombere. Sicura che fu la
Repubblica degli affari di Roma e del commercio di Lombardia, noi
vedemmo il bisogno d'arrivare al mare divenuto irresistibile, e una
guerra di sterminio con Pisa, inevitabile. Supporre che la lunga,
eterna, sanguinosa guerra pisana nascesse solo da un odio cieco
ed istintivo, quando vi sono altre cagioni manifeste e gravissime,
sarebbe un voler rinnegare l'evidenza dei fatti. Era un vero e violento
conflitto d'interessi. I Pisani sapevano bene che il concedere libero
il passo a chi faceva già il principale commercio nell'interno
d'Italia; a chi, senza avere ancora una sola galea sul mare, era
già penetrato in tutti gli scali d'Oriente; a chi, con tanto ardore,
mirava all'assoluto primato in Toscana, era un volersi mettere per
sempre alla sua dipendenza. Quindi essi resisterono con tutte le loro
forze. Queste forze veramente eran tali, e cosí grande era il numero
di coloro i quali mal tolleravano il predominio dei Fiorentini, che
questi non avrebbero mai potuto sottomettere i Pisani, se, oltre alle
arti della guerra, non avessero saputo costantemente adoperare tutta la
loro accortezza. Niuna cosa, infatti, dimostra tanto il genio politico
dei Fiorentini, quanto il modo che tennero in questa guerra, e le vie
che presero per raggiungere uno scopo, che, in tutta la loro storia,
ebbero costantemente in mira. Noi li vediamo sempre amici di Lucca,
sempre pronti a soccorrerla con ogni sacrifizio, perché Lucca non fu
mai amica dei Pisani, e perché la sua alleanza poteva essere d'una
grandissima utilità in una guerra contro di questi. Noi li vediamo
sempre amici di Genova, fuggire ogni occasione di mal umore con essa,
che era la rivale naturale di Pisa sul mare. E questa rivalità i
Fiorentini cercarono, con ogni arte, di tener sempre viva, giacché
fino a quando non trovavano chi avesse per loro distrutta la potenza
dei Pisani sul mare, non sarebbe mai stato ad essi possibile domarli.
E il giorno venne, in cui i Pisani furono disfatti alla Meloria dai
Genovesi (6 agosto 1284). D'allora in poi la vittoria dei Fiorentini
su Pisa, sebbene ancor lungamente contrastata, era pur certa, e da
quel momento la loro amicizia pei Genovesi cominciò ad intiepidirsi.
Volevano essere aiutati a domar Pisa; ma non volevano accrescere la
preponderanza d'un'altra repubblica, ghibellina e già potentissima sul
mare. Quindi li vediamo, dopo che hanno con tanto ardore assalito ed
indebolito Pisa, aiutarla a reggersi in piedi contro i Genovesi, fino
a che questi, avendo abbandonato il pensiero di conquistarla, poterono
provarsi a conquistarla essi per proprio conto, e vi riuscirono.
La stessa via, con uguale accorgimento, tennero negli anni in cui si
videro minacciati dalla potenza dei duchi di Milano, i quali volevano
impadronirsi di tutta Italia, ed in quelli in cui ebbero a mezzogiorno
nemico il re Ladislao di Napoli. E quando le armi non bastavano, allora
appare straordinario davvero l'accorgimento politico, col quale seppero
salvarsi da avversarî che avevano forze assai maggiori. L'arte di
rivolgere i loro nemici gli uni contro gli altri, di sostenere i deboli
contro i piú orgogliosi vicini, di trovar sempre modo di raccoglier
mezza Italia contro chi saliva a tanta potenza da minacciar la
Repubblica, fu costantemente quella con cui l'indipendenza e la libertà
fiorentina poterono esser salvate in mezzo a Stati che da ogni lato le
andavano perdendo, in mezzo a nemici molteplici e potenti, che da ogni
lato la circondavano. E tutto ciò fu l'opera delle Arti maggiori o sia
dei popolani grassi.
Questa aristocrazia mercantile governò la Repubblica con tanta energia
e con tanto ardore, perché essa accresceva nello stesso tempo la
potenza fiorentina e la propria ricchezza, il proprio commercio. Cosí
fu che una città, la quale di rado superò i 100 mila abitanti, e molte
volte ne ebbe assai meno, con un territorio ristretto e circondato da
tanti nemici, poté divenire uno Stato minaccioso in Italia e rispettato
in Europa. Questi mercanti erano cosí gelosi della loro libertà, che
non conoscevano limiti ai sacrifizî necessarî a sostenerla, né si
lasciavano illudere o spaventare da pericoli di sorta, neppure quando
si minacciava il loro proprio commercio. Noi li vediamo, infatti,
sebben guelfi tenacissimi, con tante relazioni ed interessi commerciali
in Roma, pronti a combattere anche il Papa, quando esso combatteva la
loro libertà, e chiamare _Otto Santi_ quei magistrati che dovevano
condurre la guerra contro Gregorio XI (1376). E li vediamo del pari
sostenere contro i Visconti di Milano una guerra, che costava ogni anno
milioni e milioni di fiorini, senza che le forze della Repubblica si
esaurissero mai, senza che l'animo de' suoi reggitori si stancasse mai.

VI
Ma chi supponesse, che questo dominio delle Arti maggiori fosse, almeno
nell'interno della Città, sicuro e non contrastato, anderebbe assai
lungi dal vero. Il giorno in cui, nella corte di Calimala, si concepí
la prima volta il disegno di farle salire al governo, esse dovettero
subito riconoscere che ciò era possibile solamente perché, con l'aiuto
delle Minori, avevano combattuto e vinto i nobili. E quindi da un lato
avevano ora gli avanzi di questa aristocrazia feudale, la quale doveva
nutrire contro di esse un odio inestinguibile, e da un altro avevano
le Arti minori, che chiedevano di partecipare a quel governo, che col
loro aiuto s'era potuto costituire. Cosí nella Repubblica si trovarono
tre ordini di cittadini e tre partiti diversi. Certo le Arti maggiori
costituivano di gran lunga il partito piú forte; ma gli altri due,
riunendosi, potevano divenire un nemico assai minaccioso. E questa
riunione non era impossibile.
Le Arti maggiori e minori, infatti, non differivano solo per essere piú
o meno ricche, piú o meno potenti; ma perché avevano interessi diversi,
che le spingevano ad una diversa politica. Il mercante della lana
o della seta era sempre pronto a sacrificare il suo ultimo fiorino,
purché Livorno e Porto Pisano cadessero in potere della Repubblica.
Egli teneva perciò sempre l'occhio aperto a vegliare sulla politica
dei Lucchesi e dei Genovesi, perché non s'avvicinassero ai Pisani. Il
banchiere fiorentino voleva, che la Repubblica tenesse sempre accorti
ambasciatori e Consoli, che ragguagliassero costantemente di tutto
ciò che si faceva a Roma, ad Anversa, a Caffa; che non lasciassero
colà pigliar troppo vantaggio ai Senesi, ai Genovesi, ai Veneti, ai
Lombardi. Quando uno di questi interessi era in pericolo, essi si
trovavano sempre pronti a promuovere anche una guerra lunga, costosa
e pericolosa, sottoponendo sé medesimi e la Repubblica ad ogni
sacrifizio. Ma tutto ciò importava assai poco al fabbro ferraio, al
muratore, al legnaiuolo, ad un membro qualunque delle 14 Arti minori,
le quali pure costituivano una grandissima parte della popolazione
fiorentina. Ad esse importava molto piú che in Firenze vi fossero
ricchi e splendidi signori; che s'innalzassero sontuosi palazzi, ville
e chiese monumentali; che il lusso e l'agiato vivere di quella ricca
e nobile cittadinanza, sulla quale essi vivevano, andasse sempre
crescendo. Le guerre, invece, lo frenavano; e le Arti Maggiori, a
cagione appunto dei bisogni delle guerre, che di continuo promovevano,
facevano sempre nuove leggi contro il lusso. Il popolo minuto perciò
odiava questi popolani grassi, che da esso erano stati aiutati ad
impadronirsi del governo, dal quale poi lo avevano insieme coi nobili,
escluso; che accumulavano milioni e milioni, per vivere assai spesso
in Città con una parsimonia spartana; che ogni giorno facevano nuove
leggi contro il lusso delle donne; che vietavano gli ornamenti d'oro
e d'argento; che nelle feste e nei conviti per nozze, proibivano ogni
lauta spesa; che presumevano di limitare perfino il numero e la varietà
delle vivande, e non volevano nei conviti vasellame d'oro o argento; ma
erano poi prontissimi a gettar milioni per fare la guerra ai Pisani,
al re di Napoli, ai Visconti di Milano, o anche per avere una chiesa,
un Console di piú a Caffa o a Pera. Questa diversità di umori generava
odio di parte. Né è da tacersi, che fra coloro che piú aspramente si
lamentavano delle Arti maggiori, v'erano le donne fiorentine, come
suole avvenire, nemiche della guerra ed amiche del lusso, il quale
esse non volevano ristretto da leggi, che trovavano vessatorie, ma che
sapevano eludere con indicibile scaltrezza.[365]
È ben facile intendere l'opportunità che si presentava ai Grandi di
soffiare in queste passioni, per trovar favore nel popolo minuto.
Essi non esercitavano alcuna industria, vivevano colle loro entrate,
ma facevano tutte le maggiori e piú laute spese in Firenze. Ogni
volta quindi che volevano fare un nuovo tentativo, per impadronirsi
del governo, o non perdere affatto la parte che ancora v'avevano,
s'alleavano con quel popolo minuto, che viveva, o almeno credeva di
vivere, solo alle loro spalle, e sollevavano le sue passioni contro
i popolani grassi, facendogli notare che tutte le Arti esercitavano
del pari l'industria ed il commercio, ma che una parte non piccola
di esse trovavasi esclusa da quel governo, di cui le altre facevano
monopolio a loro esclusivo profitto. Con questi mezzi i Grandi non
riuscirono certo a salvarsi, molto meno a ripigliare il potere, perché
lo spirito democratico era troppo vivo in Firenze; affrettarono invece
quelle leggi draconiane, che a piú riprese furon fatte contro di loro;
ma riuscirono a stimolare nel popolo minuto un desiderio ardente,
irresistibile di partecipare al potere, ed a destare nell'infima plebe
passioni rivoluzionarie. Cosí, nel momento stesso in cui dovettero
rinunziar per sempre a comandar nella Città, si vendicarono lasciando
dietro di loro una lunga eredità di odi, che tennero la Repubblica
divisa e ne affrettarono la rovina.
Le Arti minori, infatti, arrivarono pure un giorno ad aver parte
nel governo, ed allora non andarono mai d'accordo colle Maggiori. Si
osteggiarono continuamente nei Consigli, nei magistrati, in piazza; e
qualche volta ricorsero al pericoloso partito d'infiammare le passioni
piú sfrenate dell'infima plebe, che, come sempre, si dimostrò docile
strumento delle mire degli ambiziosi. Si scatenarono cosí quelle
passioni anarchiche, che ora portarono al tumulto dei Ciompi, ora alla
necessità di cercare un protettore alla Repubblica, e finalmente al
dominio de' Medici. Ma prima di giungere a questi estremi, corsero
due secoli di lotte, in mezzo alle quali la politica fiorentina fu
quasi costantemente diretta dai popolani grassi. Il potere piú volte
parve sfuggire dalle loro mani; ma essi sapevano ritener sempre tanta
autorità da restar costantemente padroni delle elezioni dei magistrati.
Cosí la loro volontà trionfava di nuovo, e s'impadronivano da capo del
governo. Quando invece le passioni anarchiche trionfavano per modo,
che era necessario ricorrere ad un protettore, e questi, chiamato a
difender la Repubblica, appoggiandosi agli scontenti, cercava farsi
tiranno, allora i popolani grassi sapevano riunire tutti i partiti, in
nome della libertà, e restaurar la Repubblica, che cosí poté rimanere
lungamente in vita. Non è credibile l'accortezza, l'ardire e la
costanza, con la quale essi seppero lottare, in mezzo a mille pericoli
interni ed esterni. Costretti a combattere di continuo con coloro che
volevano la pace, e chiedevano sempre maggiori libertà; circondati
da nemici esterni potentissimi, che ora volevano distruggere il loro
commercio, ora la Repubblica stessa, l'attività ed il patriottismo
loro non ebbero mai posa, non si stancarono mai. Era una lotta, una
febbre, una violenza continua, in cui la libertà sempre in pericolo
di perdersi, fu per due secoli salvata sempre, in mezzo a Municipi
che l'andavano perdendo. E come questi popolani grassi avevano saputo
creare mille istituzioni di credito, per aumentare l'industria e
moltiplicare la ricchezza, cosí fu inesauribile del pari il loro
ingegno, nell'immaginare sempre nuovi trovati e nuove istituzioni, che
prolungarono la vita della Repubblica.
Nella politica estera i diplomatici fiorentini s'acquistarono tale
e tanta reputazione d'accortezza e di prontezza, che in alcune parti
superarono perfino quella grandissima dei Veneti ambasciatori. Questi,
infatti, con una lunga tradizione di sapienza politica, seguivano
le norme costanti d'un governo forte, tranquillo, sicuro di sé. La
loro forza veniva dalla forza e dal senno d'una repubblica rispettata
e temuta, che sembrava parlare essa stessa per la bocca de' suoi
ambasciatori. Il Fiorentino aveva, invece, un'azione individuale
e diretta, che veniva dall'acume del suo ingegno, dalla conoscenza
straordinaria che aveva degli uomini, da un'attitudine maravigliosa di
tutto comprendere e tutto far comprendere. La Repubblica operava certo
in lui e per suo mezzo; ma non tanto perché parlasse per la sua bocca,
quanto perché aveva invece saputo ridestare ed affinare in lui tutte
quante le facoltà dello spirito umano, formare la sua intelligente,
indipendente personalità. Il mercante, il notaio, l'amministratore,
You have read 1 text from Italian literature.
Next - I primi due secoli della storia di Firenze, v. 1 - 21
  • Parts
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 1 - 01
    Total number of words is 4335
    Total number of unique words is 1484
    40.5 of words are in the 2000 most common words
    57.6 of words are in the 5000 most common words
    66.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 1 - 02
    Total number of words is 4404
    Total number of unique words is 1510
    40.3 of words are in the 2000 most common words
    59.0 of words are in the 5000 most common words
    67.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 1 - 03
    Total number of words is 4439
    Total number of unique words is 1478
    40.6 of words are in the 2000 most common words
    56.2 of words are in the 5000 most common words
    64.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 1 - 04
    Total number of words is 4543
    Total number of unique words is 1538
    41.5 of words are in the 2000 most common words
    56.7 of words are in the 5000 most common words
    65.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 1 - 05
    Total number of words is 4470
    Total number of unique words is 1583
    42.2 of words are in the 2000 most common words
    57.8 of words are in the 5000 most common words
    65.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 1 - 06
    Total number of words is 4428
    Total number of unique words is 1434
    42.6 of words are in the 2000 most common words
    57.0 of words are in the 5000 most common words
    64.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 1 - 07
    Total number of words is 4437
    Total number of unique words is 1500
    42.0 of words are in the 2000 most common words
    57.2 of words are in the 5000 most common words
    66.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 1 - 08
    Total number of words is 4409
    Total number of unique words is 1429
    43.0 of words are in the 2000 most common words
    57.9 of words are in the 5000 most common words
    66.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 1 - 09
    Total number of words is 4449
    Total number of unique words is 1398
    44.0 of words are in the 2000 most common words
    59.5 of words are in the 5000 most common words
    67.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 1 - 10
    Total number of words is 4421
    Total number of unique words is 1463
    43.7 of words are in the 2000 most common words
    59.9 of words are in the 5000 most common words
    68.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 1 - 11
    Total number of words is 4437
    Total number of unique words is 1539
    44.4 of words are in the 2000 most common words
    62.2 of words are in the 5000 most common words
    69.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 1 - 12
    Total number of words is 4419
    Total number of unique words is 1535
    44.4 of words are in the 2000 most common words
    61.3 of words are in the 5000 most common words
    69.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 1 - 13
    Total number of words is 4462
    Total number of unique words is 1493
    42.5 of words are in the 2000 most common words
    59.0 of words are in the 5000 most common words
    67.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 1 - 14
    Total number of words is 4451
    Total number of unique words is 1573
    42.5 of words are in the 2000 most common words
    60.4 of words are in the 5000 most common words
    69.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 1 - 15
    Total number of words is 4480
    Total number of unique words is 1549
    44.7 of words are in the 2000 most common words
    62.2 of words are in the 5000 most common words
    69.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 1 - 16
    Total number of words is 4457
    Total number of unique words is 1550
    42.9 of words are in the 2000 most common words
    59.3 of words are in the 5000 most common words
    68.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 1 - 17
    Total number of words is 4427
    Total number of unique words is 1569
    43.7 of words are in the 2000 most common words
    60.0 of words are in the 5000 most common words
    68.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 1 - 18
    Total number of words is 4135
    Total number of unique words is 1753
    30.3 of words are in the 2000 most common words
    43.0 of words are in the 5000 most common words
    49.2 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 1 - 19
    Total number of words is 4445
    Total number of unique words is 1483
    41.0 of words are in the 2000 most common words
    57.1 of words are in the 5000 most common words
    64.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 1 - 20
    Total number of words is 4404
    Total number of unique words is 1510
    39.8 of words are in the 2000 most common words
    56.8 of words are in the 5000 most common words
    65.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 1 - 21
    Total number of words is 4256
    Total number of unique words is 1599
    42.3 of words are in the 2000 most common words
    56.4 of words are in the 5000 most common words
    64.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 1 - 22
    Total number of words is 4137
    Total number of unique words is 1724
    32.1 of words are in the 2000 most common words
    44.9 of words are in the 5000 most common words
    52.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 1 - 23
    Total number of words is 4163
    Total number of unique words is 1342
    36.9 of words are in the 2000 most common words
    49.2 of words are in the 5000 most common words
    56.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 1 - 24
    Total number of words is 4177
    Total number of unique words is 1487
    40.6 of words are in the 2000 most common words
    54.5 of words are in the 5000 most common words
    60.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 1 - 25
    Total number of words is 1422
    Total number of unique words is 676
    49.5 of words are in the 2000 most common words
    62.8 of words are in the 5000 most common words
    68.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.