I primi due secoli della storia di Firenze, v. 1 - 10

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che si vedevano ridotti cosí a fare il solo interesse di Firenze. La
quale, non curandosi d'altro, era pronta a cominciare la guerra contro
Semifonte, a ciò essendosi andata spianando la via con tutti questi
trattati.
Da un pezzo essa meditava la presa di quel castello, la cui strategica
posizione e la facilità grande che esso aveva di ricevere aiuti da
tutti i vicini, lo rendevano come un pruno negli occhi della ormai
superba Repubblica, deliberata perciò a disfarsene. Il conte Alberto,
sebbene si fosse nel 1184 obbligato a non farlo, come due anni prima
s'erano obbligati i Pognesi, aveva, non ostante, poco dopo, costruito
sul colle di Petrognano il castello di Semifonte, profittando della
venuta di Federico I, e della posizione assai difficile in cui si
erano allora trovati i Fiorentini, che mai non glielo perdonarono.
Egli aveva in quell'occasione assunto anche il titolo di _Comes de
Summofonte_. Presso il castello s'andò subito formando un borgo, che
crebbe rapidamente, perché v'accorrevano molti dalle vicine terre, che
Firenze andava via via sottoponendo e tassando. E già si ripeteva nel
contado:
Firenze, fatti in là.
Che Semifonte si fa città.
Per queste ragioni la Repubblica aveva insistentemente cercato
assicurarsi dei vicini, con i molti trattati già ricordati, e con
altri ancora, condotti a termine dal suo operoso Podestà. Rimaneva
però sempre Siena, che poteva dar valido aiuto al nemico, il quale
si dimostrava già pronto alla difesa. E però il 29 marzo del 1201 i
Fiorentini conchiusero con essa un'alleanza, promettendo d'aiutarla
contro Montalcino, che aveva di fronte a Siena la stessa minacciosa
posizione di Semifonte contro la loro Città.[215] Anche Colle fu
obbligato a giurare di non dare aiuto ai Semifontesi.[216] Finalmente
la guerra incominciò.
Il cronista Sanzanome, che vi si trovò presente, la fa, con la sua
solita esagerazione, durare cinque anni, forse tenendo conto di tutte
le precedenti scaramucce.[217] Certo però la lotta fu dura, perché,
non ostante i trattati, Semifonte venne d'ogni parte aiutata, essendo
la gelosia contro Firenze assai cresciuta. Oltre di che, la forte
posizione di quel castello e la condotta del suo valoroso podestà
Scoto, fecero sí che potesse resistere con molto vigore all'esercito
che d'ogni parte lo circondava, tanto che i Fiorentini, non fidando
nella sola forza, ricorsero anche al tradimento. Un tal Gonella, che
s'era colà dalle vicine terre rifugiato con altri compagni, aveva
insieme con essi avuto la guardia della torre detta di Bagnuolo, di cui
si valse invece per tradire la terra al nemico. Quando furono però a
compiere il tradimento, trovarono tale resistenza nei terrazzani che
vi lasciarono la vita. L'effetto, non ostante, s'ottenne lo stesso,
perché, poco dopo, Semifonte dovette arrendersi. E se di ciò non fu
causa unica il tradimento, come credé il Villani (V, 30), dovette
pure avervi non poco contribuito. Il 20 febbraio 1202, infatti, i
Consoli, che allora erano tornati in ufficio a Firenze, esentarono in
perpetuo da ogni gravezza i discendenti del Gonella e de' suoi compagni
morti per la Repubblica,[218] ed il 3 dell'aprile seguente furono
sottoscritti e giurati i patti della resa. I Fiorentini promettevano
perdono, protezione e restituzione dei prigionieri ai Semifontesi, i
quali però dovettero distruggere la torre e le mura; discendere dal
poggio al piano; pagare 26 danari l'anno per ogni focolare, salvo i
militi e le chiese.[219]
Il Papa rimproverò vivamente i Fiorentini, per la loro condotta
crudele contro Semifonte: ma i Consoli, dopo essersi difesi con una
lettera,[220] continuando per la loro via, attaccarono briga coi
Senesi. Fu a cagione del castello di Tornano, nella valle di Paterno,
che essi volevano, e che i Senesi dicevano di non poter dare, perché
in possesso di signori da loro indipendenti. I Fiorentini allora
incominciarono, al solito, coll'indurre Montepulciano, grossa terra
dei Senesi, a giurare sottomissione, con l'obbligo anche di un
annuo tributo.[221] La guerra perciò sarebbe subito necessariamente
scoppiata, se Ogerio, podestà di Poggibonsi, non si fosse intromesso.
Accettato che fu il suo arbitrato, egli esaminò con gran diligenza la
questione dei confini, e li determinò coscienziosamente. Il suo lodo
fu pronunziato il 4 giugno 1203.[222] A Firenze restò tutto il contado
fiesolano e fiorentino, secondo la delimitazione esattamente data
da Ogerio, nella quale la valle di Paterno veniva compresa. I Senesi
dovevano adoperarsi a far cedere anche il castello da coloro che ne
erano signori. Questo trattato dalle due parti accettato, e dai Senesi
rispettato scrupolosamente,[223] venne il 15 maggio 1204 sanzionato da
papa Innocenzo III, secondo l'espresso desiderio dei Fiorentini.[224] I
quali però continuarono i loro segreti accordi con Montepulciano, che
avevano, nei giorni 30 e 31 maggio 1203, indotto a giurare di nuovo
alleanza offensiva e difensiva contro Siena.[225] Quindi, non appena
che ciò si seppe, nuovi rammarichi, nuove proteste di Siena, che portò
l'affare dinanzi alla Lega, i cui Rettori furono perciò espressamente
radunati il 5 aprile del 1205, a S. Quirico di Osenna, sotto la
presidenza del vescovo di Volterra, avendo ricusato di presentarsi i
Fiorentini e gli Aretini. Dall'esame dei testimonî risultò chiaro che
Montepulciano apparteneva ai Senesi.[226] Non sappiamo se venne allora
pronunziato il lodo, né quale risultato definitivo ebbe la disputa.
Sembra però chiaro che questo fu il momento in cui la Lega di fatto si
sciolse, per opera dei Fiorentini stessi che l'avevano iniziata. Lo
scopo che s'erano proposto, essi lo avevano in gran parte raggiunto;
ora non potevano dagli alleati aspettarsi altro che ostacoli al
conseguimento dei loro fini ulteriori, perché tutti erano piú o meno
insospettiti della loro ambizione, di cui nessuno voleva piú a lungo
continuare ad essere strumento passivo.
Ma ciò non arrestava punto nel loro cammino i Consoli fiorentini,
che ora attaccarono briga coi conti di Capraia, i quali avevano un
castello di tal nome sulla riva destra dell'Arno, vicino al confine
dei Pistoiesi. Unendosi con questi, potevano essi facilmente chiudere
la via dell'Arno ai Fiorentini, che perciò, sin dal 1203, avevano
deliberato costruire sull'opposta riva del fiume, nel luogo chiamato
Malborghetto, un altro castello, cui dettero il nome di Montelupo, nome
che spiegava chiaramente quale era il loro scopo. Infatti già s'andava
ripetendo il motto:
Per distrugger questa capra.
Non ci vuol altro che un lupo.[227]
Anche qui la guerra sarebbe necessariamente scoppiata, se profittando
della intromissione amichevole dei Lucchesi, l'accortezza diplomatica
dei Fiorentini non avesse trovato modo d'evitarla, come sempre,
a proprio vantaggio. Nel giugno del 1204: infatti si concluse un
trattato, mediante il quale essi s'obbligavano a non recare molestia
sulla destra, e i conti di Capraia a non recarne alcuna sulla sinistra
del fiume.[228] Il Conte poco dopo giurò addirittura alleanza e fedeltà
ai Fiorentini, insieme co' suoi uomini, i quali restarono obbligati a
pagare un tributo di 26 denari per focolare, ad eccezione dei militi.
Cedeva inoltre il castello e tutto ciò che possedeva sulla sinistra
dell'Arno, presso Montelupo, che si obbligava anche a difendere.[229]
Se è vero, come si trova nel pseudo Brunetto ed in uno degli antichi
elenchi di Consoli,[230] non però in documenti ufficiali, che il conte
Rodolfo di Capraia, figlio del conte Guido, fu nel 1205 podestà di
Firenze, bisogna credere che ciò avvenisse anche in conseguenza di
questi accordi. Nell'anno seguente pare si tornasse ai Consoli,[231]
ma nel 1207 abbiamo finalmente in Gualfredotto Grasselli da Milano,
il vero e proprio Podestà forestiero, che ormai rappresenta il Comune,
senza piú bisogno d'essere assistito dai suoi _Consiliarii_. Anch'egli
fu riconfermato un secondo anno, perché condusse a compimento le
imprese da tanto tempo, con tanto ardore iniziate dai Fiorentini.
E l'occasione a ricominciare non si fece aspettare. La faccenda di
Montepulciano s'era inasprita; i Senesi erano perciò decisi ad assalire
quella terra, su cui credevano avere giusto diritto di possesso.
Montepulciano, sicuro d'essere aiutato, si difese con ostinato ardore;
e i Fiorentini dapprima lasciarono fare, poi nel 1207 corsero anch'essi
alle armi. Uniti ad amici lombardi, romagnoli, aretini, andarono col
Carroccio ad assalire il castello di Montalto della Berardenga, fra
l'Ambra e l'Ombrone, che i Senesi avevano circondato coi loro amici
pistoiesi, lucchesi, orvietani. Tutti questi furono il 20 giugno messi
in fuga, lasciando in mano del nemico un gran numero di prigionieri,
che Paolino Pieri fa ascendere a 1254. Il castello venne distrutto; ma
la guerra continuò, sebbene il Papa si fosse interposto per la pace. I
Fiorentini assalirono quasi con ferocia il castello di Rigomagno, ed
essendosi rotte le scale, salirono gli uni sulle spalle degli altri,
riuscendo cosí ad entrare. Con Rigomagno essi furono padroni della
valle dell'Ombrone.[232] I Senesi dovettero allora (febbraio 1208)
sottomettersi a durissime condizioni di pace, che ben presto giurarono
(fra il 13 e 20 ottobre),[233] rinunziando con esse a tutto ciò che
possedevano in Poggibonsi, obbligandosi a cedere Tornano con la torre,
a rispettare in ogni sua parte il lodo di Ogerio, né piú molestare
Montepulciano. I prigionieri furono vicendevolmente resi.
Ma questa guerra segna già il principio di un nuovo periodo nella
storia di Firenze. Ormai non si trattava piú di conquistare il proprio
contado, che la Repubblica già possedeva. Si trattava invece di
aprire le vie del grande commercio ad una città, che, per le molte
sue conquiste, prosperava ogni giorno piú. Siena e Firenze erano in
conflitto continuo, non solo per la incertezza dei loro confini, che
ognuno voleva allargare; ma per la gara delle loro manifatture nei
mercati d'Italia, e specialmente del commercio colla vicina Roma,
la quale, per le grandi relazioni che la Chiesa aveva per tutto, era
divenuta il centro principale degli affari bancarî nel mondo civile.
Firenze mirava da un pezzo ad avere il monopolio di tali affari, ed
anche perciò si mantenne sempre guelfa. Essa contrastò piú volte con
Arezzo, Volterra, sopra tutto con Siena, la piú potente delle città
che trovava sulla via di Roma. Questo fu causa permanente di nuove e
piú grosse guerre fra le due rivali, come il bisogno irresistibile,
che Firenze cominciò ben presto a sentire d'arrivar sino al mare,
fu principale causa di guerre non meno lunghe e sanguinose con Pisa,
che gliene sbarrava la via. Ma su di ciò dovremo tornare in seguito,
giacché per ora questi conflitti non sono anche cominciati. Dopo la
pace con Siena, abbiamo infatti alcuni anni di tregua, fuori però, non
dentro la Città, dove invece sono già pronti a germogliare i semi della
guerra civile.
La istituzione del Podestà forestiero, non piú circondato e frenato da
quelli che potrebbero dirsi Consoli-consiglieri, è ormai definitiva.
Salvo la loro breve ripristinazione negli anni 1211 e 12, i Consoli
sono ora, come già dicemmo, per sempre scomparsi. Questo era di certo
un trionfo evidente dell'aristocrazia, al quale il popolo artigiano
s'era momentaneamente piegato, per averla cooperatrice nella difficile
impresa di sottomettere colle armi il contado. Ed una tale conquista
dette straordinario incremento all'industria, al commercio, cui apriva
ogni giorno campo piú vasto, e faceva nascere voglia d'ingrandirlo
sempre di piú. Non era quindi in modo alcuno sperabile, che quella
Repubblica la quale nell'industria e nel commercio trovava la sua
prosperità, e da essi riceveva la sua forza, potesse o volesse, a lungo
andare, rimaner contenta d'un governo favorevole all'aristocrazia,
la quale mirava a divenire ogni giorno piú forte, piú prepotente e
superba. La lotta fra il popolo ed i Grandi si può perciò ritenere
ormai inevitabile. La lunga serie delle guerre civili, che dovranno
lacerare ed insanguinare la Città, è infatti già vicina a cominciare.


CAPITOLO IV
I PARTITI, LA COSTITUZIONE DEL PRIMO POPOLO E DELLE ARTI MAGGIORI IN
FIRENZE[234]

I
Dopo che l'ufficio del Podestà era stato nel 1207 stabilmente
costituito, l'aristocrazia, che piú di tutti lo aveva desiderato e
promosso, crebbe di ardire, s'ordinò sotto di esso militarmente, e
prese parte sempre maggiore a tutte le guerre esterne. Le cose pareva
che dovessero perciò procedere con rapida fortuna, quando invece nel
1215 il fatto del Buondelmonti fece scoppiare la guerra civile. Per
pacificare i mali umori, che già serpeggiavano fra alcuni dei nobili,
specialmente fra i Buondelmonti da una parte, gli Uberti e i Fifanti
dall'altra, con molti aderenti di qua e di là, s'era concluso un
matrimonio fra Buondelmonte Buondelmonti ed una giovane degli Amidei.
Ma quando tutto era fissato, la moglie di Forese Donati, chiamò il
Buondelmonti, e gli disse: «Oh! cavaliere vituperato, che prendi in
moglie una donna degli Uberti e dei Fifanti, meglio faresti e piú
saresti onorato, se togliessi questa». Ed in cosí dire gli mostrò la
propria figliuola, che il Buondelmonti accettò e sposò ben presto,
abbandonando l'Amidei. I parenti e gli amici della giovane tradita
s'unirono in casa Amidei, ove giurarono di vendicare l'ingiuria.
Fu allora che Mosca Lamberti, rivolgendosi a chi doveva eseguir la
vendetta, disse: «Chi batte o ferisce solamente, s'apparecchi la
sepoltura». E poi a significare che bisognava farla finita, aggiunse le
memorabili parole: «Cosa fatta, capo ha». E si venne al sangue.
Il giorno di Pasqua, del 1215, Buondelmonte Buondelmonti, che era
bellissimo giovane, venendo d'Oltrarno, sopra un bianco cavallo,
elegantemente vestito, con una ghirlanda in testa, passò il Ponte
Vecchio, e appena che giunse ivi ai piedi della statua di Marte,
fu aggredito. Schiatta degli Uberti, con un colpo di mazza lo gettò
a terra, gli altri congiurati gli corsero subito addosso, e con un
coltello gli segarono le vene. Allora il cadavere fu messo nella bara,
e con la sposa che gli teneva il capo, vennero portati in giro per
la Città, ad eccitare nuovi odî, nuove vendette.[235] E cosí ebbe
origine una serie di guerre intestine, con le quali molti cronisti
fanno cominciare in Firenze la divisione dei Guelfi e dei Ghibellini.
Ma nessuno storico moderno vorrà dare cosí grande importanza ad un
fatto d'indole privata, e credere che la mancata promessa alla giovane
Amidei, fosse la vera causa di due partiti, i quali già dal 1177 noi
abbiamo visto insanguinare piú volte la Città. Lo stesso Villani,
che pure al fatto del Buondelmonti attribuisce l'origine dei Guelfi e
dei Ghibellini, aggiunge: «Con tuttoché dinanzi assai erano le sette
tra nobili cittadini e le dette parti, per cagione delle brighe e
questioni dalla Chiesa allo 'mperio».[236] Il fatto del Buondelmonti
venne di certo, con gli odî privati, ad infiammare sempre piú le
passioni politiche di due partiti, che già esistevano, ma che a
tempo di Federico II acquistarono una importanza politica assai piú
generale, connettendosi con tutta quanta la storia d'Italia, e solo
allora presero in Firenze il nome tedesco di Guelfi e di Ghibellini.
Ed è da notarsi, che appunto nel luglio del 1215, Federico II entrò
solennemente in Aix-la-Chapelle, e prese la corona di Re di Germania,
il che non è senza importanza, per la storia dei partiti in Italia.
Tutto ciò può spiegar facilmente perché i cronisti attribuissero al
fatto del Buondelmonte, seguíto in quello stesso anno, l'origine dei
Guelfi e dei Ghibellini. Ma i nomi, non i partiti cominciarono allora.
Il Villani, nella sua cronica, (V. 39) ci dà ora la lista delle
principali famiglie ghibelline e guelfe, dalla quale si cava già che
quelle di piú antica nobiltà erano quasi sempre ghibelline, mentre
che tra i Guelfi v'erano molti «non di grande antichità», ma che pure
«già cominciavano a divenire possenti». Piú tardi, quando i Ghibellini
saranno distrutti, i nobili guelfi formeranno il partito del popolo
grasso. Per ora essi sono nobili avversi agli Uberti, e cominciano
perciò ad avvicinarsi alle famiglie dei nuovi ricchi, ed anche al
popolo, parteggiando per la Chiesa. Fortunatamente, in questo medesimo
tempo, papa Innocenzo III iniziava una Crociata, e molti dei potenti
fiorentini andarono in Oriente, a portare in servizio d'una causa piú
nobile, il loro ardore bellicoso. Nella presa di Damiata infatti si
fecero grande onore, e Bonaguisa dei Bonaguisi fu primo a salir sulle
mura, piantandovi, insieme con la bandiera cristiana, quella della
Repubblica. Fino ai tempi di Giovanni Villani si conservava e teneva in
grandissimo onore questa bandiera.
Nel 1218 si ricominciò la guerra nel contado, e fino al '20 si
conquistarono altre terre e castelli, facendo giurare fedeltà a tutti
quelli che venivano sottomessi. Ma poi si venne subito ad una guerra
assai piú grossa coi Pisani. La gelosia fra queste due repubbliche
rivali andava sempre crescendo, gareggiando esse già da un pezzo
fra loro, per avere l'assoluto predominio commerciale in Toscana.
L'una era padrona del mare, l'altra comandava sul continente, e però
l'una aveva bisogno dell'altra. Facevano quindi sempre accordi e
trattati, ma erano pur sempre in continua gelosia. Firenze si manteneva
costantemente amica della Chiesa; Pisa, invece, dell'Impero. Ma le cose
erano a poco a poco giunte a tale, che la piú piccola occasione poteva
bastare a promuover la guerra, anzi a cominciare una serie di guerre
interminabili, che dovevano dar nuovo carattere ai partiti in Toscana.
Infatti, il primo pretesto alla guerra, quale almeno lo narra il
Villani (VI. 2), è cosí futile da sembrare assolutamente ridicolo. Alla
incoronazione dell'imperatore Federico II in Roma (1220), assistevano,
secondo il cronista, molti ambasciatori, e fra gli altri quelli di Pisa
e di Firenze, che da un pezzo si guardavano in cagnesco. Avvenne che
uno degli ambasciatori fiorentini, andato a convito da un cardinale,
gli chiese in dono un bellissimo canino, che il cardinale promise. Il
giorno di poi questi invitò i Pisani, uno dei quali chiese lo stesso
canino, che il cardinale promise del pari. Il Fiorentino però mandava
prima del Pisano a prenderlo, e l'ebbe. Da ciò nacquero ire e ferite,
non solo tra gli ambasciatori e tra i loro seguaci; ma anche tra i
Pisani e i Fiorentini che si trovavano a Roma. È difficile dare a
questo racconto un valore storico: esso vale però a dimostrare che
gli animi erano allora concitati in modo, che ogni occasione bastava
per far venire alle mani. Il fatto vero è, come si ritrae anche dal
Sanzanome, che Fiorentini e Pisani s'azzuffarono tra loro in Roma. I
Pisani furono primi ad assalire, ma ebbero poi la peggio. Giunta a Pisa
la notizia della contesa, vi destò grandissimo sdegno: si voleva una
pronta riparazione, e furono perciò sequestrate colà le mercatanzie dei
Fiorentini. Questi pare che allora facessero di tutto per evitare un
conflitto, ma invano. Gli apparecchi continuarono un pezzo da una parte
e dall'altra, fino a che, nel 1222, essendo scoppiata la guerra tra i
Lucchesi ed i Pisani, i Fiorentini presero la occasione, per assalire
i secondi presso Castel del Bosco, e li disfecero, facendo, secondo i
cronisti, 1,300 prigionieri. Seguirono poi altri assalti e conquiste di
piccoli castelli fino al 1228, quando vediamo i Fiorentini in guerra
piú grossa coi Pistoiesi, che dovettero con essi venire a patti. In
questo anno si trova per la prima volta, nelle guerre dei Fiorentini
menzionato il carroccio.[237] Iniziato già da piú tempo a Milano, era
stato a poco a poco, con leggiere modificazioni, adottato dalle altre
città italiane, quando le guerre e gli eserciti ingrossando, avevano
sentito il bisogno d'un centro intorno a cui far testa. Tirato da buoi
coperti di scarlatto, portava due grosse antenne dalle quali sventolava
il grande stendardo, bianco e rosso, della Repubblica. Seguiva, sopra
un altro piccolo carro, una campana detta la Martinella, la quale
serviva a dare ordini militari. Qualche tempo prima che si dichiarasse
la guerra, la Martinella veniva attaccata alla porta della chiesa
di S. Maria in Mercato Nuovo, e colà sonando, avvisava i cittadini
ed i nemici che si tenessero pronti alle armi. Intorno al carroccio
stavano a guardia i piú valorosi cittadini; la sua resa era tenuta come
l'ultima disfatta ed umiliazione dell'esercito.
Si cominciò ancora una lunga e sanguinosa guerra coi Senesi, che fu
continuata quasi ogni anno dal 1227 sino al 1235. I Senesi soffrirono
gravissimi danni, ma presero Montepulciano, di cui disfecero le mura e
le torri, e danneggiarono Montalcino, che era in lega coi Fiorentini.
Questi però, non solamente guastarono molte volte il contado senese,
e fecero numero grande di prigionieri; ma posero l'assedio alla
stessa città nemica, e, sebbene non potessero pigliarla, pure vi
si avvicinarono tanto da manganarvi dentro degli asini, in segno di
disprezzo. Finalmente, per la mediazione del Papa, si concluse la pace,
che fu fatta a grande vantaggio dei Fiorentini. I Senesi dovettero
pagare grossa somma di danaro, per far ricostruire le mura e le
torri di Montepulciano, terra che non dovevano piú disturbare, e si
obbligarono anche a rifornire il castello di Montalcino, a richiesta
dei Fiorentini, che restarono padroni di Poggibonsi.

II
E cosí, fra tutte queste guerre, nelle quali l'azione del Papa e
dell'Imperatore si faceva da un lato o dall'altro sentire, noi possiamo
vedere come s'andassero costituendo i partiti in Toscana, e come
andasse cominciando il predominio politico e commerciale di Firenze.
Le sue rivali sono ora Pisa e Siena, che aderiscono all'Impero; essa
invece aderisce sempre di piú alla Chiesa. Pisa le chiudeva la via del
mare, onde l'origine della loro rivalità, e delle guerre continue, rese
inevitabili quando la potenza commerciale di Firenze le fece sentire
piú che mai insistente il bisogno d'uno sbocco al mare. Siena da un
altro lato rivaleggiava con Firenze, per porre in mano dei proprî
banchieri tutti gli affari della curia romana, i quali erano tali e
tanti che bastavano ad arricchire coloro che li trattavano. Queste
gelosie continue spingevano costantemente Pisa e Siena a favorire
l'Impero. Lucca, invece, per la rivalità che aveva con Pisa, s'accostò
a Firenze, e fu guelfa. Pistoia si trovava fra due città guelfe, che
sempre la minacciavano, e divenne perciò ghibellina. Cosí dunque si
divisero i partiti in Toscana, e reagirono poi sulla formazione dei
partiti in Firenze, i quali, a cagione del carattere piú generale
che andavano ora assumendo, per la crescente azione dell'Imperatore
Federico II in Italia, presero il nome germanico di Guelfi e di
Ghibellini. Firenze, avendo umiliato Pisa, Siena e Pistoia, si trovò
di fatto alla testa della Toscana; ma c'era il pericolo che aumentasse
la potenza di Federico II, nemico del Papa, che lo aveva scomunicato,
e dei Guelfi. Egli s'era prima allontanato, per andare alla Crociata
in Asia; ora si trovava in Germania a lottare contro il proprio figlio,
che gli s'era ribellato, e tutto ciò aveva molto contribuito alla buona
fortuna dei Fiorentini. Ma doveva ben presto tornare, e ciò poteva far
rialzare la testa a tutti i loro nemici.
Intanto, sotto la signoria dei varî Podestà, che s'erano in questo
tempo seguiti, Firenze prosperava nella guerra, s'ordinava ed abbelliva
nella pace. Per opera del podestà Torello da Strada (1233) furono
chiamati a scriversi presso i pubblici notai tutti gli uomini del
contado, secondo la loro condizione di liberi, servi, o dipendenti,
perché si potesse cosí conoscere lo stato vero della popolazione, e
meglio amministrare. Il podestà Rubaconte da Mandello (1237 e 38) fece
costruire un nuovo ponte sull'Arno, che da lui si disse a Rubaconte,
e piú tardi, alle Grazie, dalla vicina chiesa. Furon del pari, per
opera sua, lastricate la prima volta tutte le vie di Firenze, ed
eseguite altre opere pubbliche, utili alla salute dei cittadini, o
di ornamento alla Città. Cosí un magistrato che, secondo i cronisti,
aveva cominciato con l'ufficio di semplice giudice, lo vediamo sempre
piú operare come capo della Repubblica. E l'aristocrazia sotto di
esso cresceva ogni giorno piú d'ardire e di potenza, massime quando
la venuta di Federico II cominciò a sollevare il partito ghibellino
in tutta Italia. All'assedio che questi pose a Brescia nel 1237,
vediamo pigliar parte molti nobili Fiorentini. Le amicizie e gli
aiuti che l'Imperatore trovava nella loro Città andavano ogni giorno
crescendo, il che fu causa di molti tumulti, per la viva opposizione
che a tutto ciò faceva la nobiltà guelfa, unita al popolo, che era
guelfo anch'esso.[238] Nel 1240 noi troviamo che furono nominati tre
cittadini, per raccoglier danari in aiuto dell'esercito imperiale,[239]
cosa strana veramente in una repubblica dove il popolo era tutto
guelfo. Non è però strano, che tali fatti portassero l'inevitabile
conseguenza, d'una reazione.
Sin dal 1246 Federico II aveva mandato vicario generale in Toscana,
il suo figlio naturale Federico d'Antiochia, e pose ancora in Firenze
suoi vicarî a tenere l'ufficio di Podestà. Questo suscitò il malumore
dei nobili guelfi, che volevano invece ricondurre la Città alla
loro parte. Allora Federico II, che l'anno 1247[240] trovavasi nella
Lombardia, in guerra sempre piú aperta col Papa, il quale ripeteva
le scomuniche, gli toglieva il titolo d'Imperatore, e gli suscitava
nemici per tutto, mandò suoi messi agli Uberti in Firenze, avvisandoli
ch'era venuto per essi il momento d'impadronirsi del governo della
Repubblica. Osassero pur di pigliare le armi, che i suoi aiuti non
sarebbero fra poco mancati. E gli Uberti non furono sordi. Raccolti
i capi delle piú potenti famiglie ghibelline, decisero di venire
senz'altro alla prova delle armi. La Città si trovò subito divisa: da
un lato era l'aristocrazia ghibellina, dall'altro tutto il popolo coi
nobili guelfi, e fu levato il rumore. Si combatteva da una contrada
all'altra, continuando di giorno e di notte, dai serragli, dalle
torri, con manganelle e con altri strumenti di guerra. A poco a poco
gli animi si riscaldarono per modo, che la lotta divenne generale.
I Ghibellini, sicuri nella speranza dei vicini aiuti, e piú destri
nelle arti di guerra, avevano unità di comando, e fecero testa alle
case degli Uberti, donde partivano gli ordini. Il popolo, invece, che
si batteva senza alcun ordine, si vide ben presto circondato. Pure
vi fu un momento, in cui pareva che ciò appunto dovesse assicurargli
la vittoria. Stretto da ogni lato, si trovò poco a poco forzato a
raccogliersi intorno al serraglio dei Bagnesi e dei Guidalotti, di
dove, facendo testa con gran vigore, sembrava che fosse per ripigliare
il terreno perduto. Ma in quel punto arrivarono gli aiuti imperiali,
e allora tutto fu perduto. Federico, figlio e vicario generale
dell'Imperatore, entrò in Firenze conducendo 1,600 cavalieri tedeschi,
i quali con molto impeto assalirono il popolo, che per tre giorni
ancora si difese con grande ostinazione d'animo. Ma era una resistenza
vana del tutto. I Ghibellini da per ogni dove soverchiavano, e
l'Imperatore avrebbe, all'occorrenza, potuto mandar loro sempre nuovi
aiuti. Rustico Marignolli, uno dei piú valorosi Guelfi, che aveva
fino allora tenuto nella mischia la bandiera del popolo, venne ferito
e morto d'un quadrello nel viso. I capi della parte perciò decisero
finalmente di cedere, e di esulare la notte della Candelora (2 febbraio
1249). Radunatisi in armi tutti quelli che erano decisi a partire,
andarono a pigliare il corpo del Marignolli, e con grandissima pompa di
popolo, di armi e di fiaccole, lo seppellirono di notte in S. Lorenzo,
portando la bara sulle spalle i piú onorati cavalieri, e trascinando
per terra la bandiera vinta, ma non umiliata. Tutto aveva somiglianza
piú d'un giuramento di futura vendetta, fatto sul cadavere del morto
guerriero, che d'un funebre convoglio.
Dopo di ciò i capi de' Guelfi partirono, e si rifugiarono nei vicini
castelli, quei medesimi castelli, da cui con tanto sangue avevano
snidata la nobiltà feudale, che, venuta poi in Città, ripagava ora
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