I primi due secoli della storia di Firenze, v. 1 - 22

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«Dardanus Iovis filius et Electræ, profectus de Corytho (Cortona),
civitate Tusciae, primus venit ad Troyam». Piú oltre (com. al lib.
III, 187) dice che «Dardanus et Iasius fratres... cum ex Etruria
proposuissent sedes exteras petere ecc.». E nel fare la genealogia
d'Enea, incomincia: «Ex Electra Atalantis filia et Iove Dardanus
nascitur». Di qui deve in parte essersi ispirata la leggenda, secondo
la quale però Elettra è moglie di Atalante, non di Giove, che invece ne
è padre. V. Hartwig, I, XXI.
[52] Anche Brunetto Latini, nel primo libro del _Tesoro_, pose
in relazione la leggenda di Catilina con le origini di Firenze, e
ricordò la grande uccisione, seguita nella battaglia, in cui questi fu
disfatto, come pure la peste che ne venne. «E per quella grande peste
di quella grande uccisione, fu appellata la città di Pistoia». Lib.
I, cap. 37, nel volgarizzamento di Bono Giamboni. Le fonti principali
delle notizie storiche nel _Tesoro_, sono Ditti cretense e il _De
excidio Troie_, che veniva attribuito a Darete frigio. Questo secondo
libro è di certo anche una delle fonti della nostra leggenda. Vedi Thor
Sundy, _Della vita e delle opere di Brunetto Latini_, trad. del prof.
R. Renier, con molte aggiunte: Firenze, Successori Le Mounier, 1884.
[53] Il _Libro fiesolano_, invece di Franchi, dice Africani, _una
compagnia venuta d'Africa_, come altrove, invece di _Ottone_ o _Otto_,
dice _Ceto_, errore che si riscontra anche nel codice su cui fu fatta
la stampa. Sono probabilmente errori di qualche rozzo copista della
leggenda, i quali venivano poi spesso ripetuti dagli altri. Giovanni di
Salisbury (_Polikratikus_, VI 17, ediz. Giles), parlando delle città
che, secondo la storia, furono edificate da Brenno, ripete per Siena
lo stesso racconto della leggenda. Egli osserva, che tutto ciò non è
veramente storia, _sed celebris traditio est_, aggiungendo però che la
tradizione trovata conferma nel fatto che i Senesi, per costituzione,
bellezza, costumi, somigliano «ad Gallos et Britones, a quibus originem
contraxerunt». Queste parole di Giovanni di Salisbury sono ricordate
anche da Benvenuto da Imola, nel suo Comento alla _Divina Commedia_,
per dire che a tale somiglianza vuole alludere Dante (_Inf._ XXIX, 121)
nei versi:
Or fu giammai
Gente sí vana come la senese?
Certo non la francesca sí d'assai.
La medesima spiegazione è data anche dal Boccaccio nel suo Comento agli
stessi versi.
[54] La compilazione latina dice: _quingentos annos et plus_; le
italiane, piú moderne, dicono solo: cinquecento anni.
[55] Anche secondo la storia, Totila fu in Toscana verso la metà del
sesto secolo.
[56] _Libro fiesolano_, cap. XV.
[57] Anche di ciò s'è occupato l'HARTWIG, I, XXIV e segg.
[58] Il primo a far questa osservazione fu l'HEGEL: _Ueber die Anfange
der florentinischen Geschichtschreibung_, nel già citato giornale del
Sybel, I fasc. dell'anno 1876.
[59] I cap. XVI e XVII nella ediz. Follini.
[60] Villani I, 41.
[61] MILANI, in _Notizie degli Scavi_ (aprile 1887) pubblicate
dall'Accademia dei Lincei.
[62] V. HARTWIG. Op. cit.; G. ROSA nell'_Arch. Stor. Ital_. Serie III,
vol. II, pag. 62 e segg.
[63] Ciò specialmente perché la iscrizione fu trovata nella Savoia. Ed
egli proponeva la lezione: Jul. AUG. FLOR. V[_ienna_]. Vedi _Hermes_,
XVIII, 1883, pag. 180, in nota.
[64] _Hermes_, 1883, pag. 176. Piú esplicitamente la dichiararono
colonia sillana BUMBUBY, _Dictionary_ of gr. and rom. Geography; Zumpt,
_De Colon_.
[65] Il prof. Milani si è occupato di ciò in molte sue pubblicazioni.
_Scavi di Mercato Vecchio_ nelle _Notizie degli Scavi_ (aprile 1887);
_Scoperte epigrafiche nel centro di Firenze_, nella _Nazione_ del 15
Aprile 1890. In una di queste iscrizioni si leggono le parole,
... GENIO COLONIAE
... FLORENTIAE.
_Tomba italica a pozzo del centro di Firenze_ nelle _Notizie degli
scavi_ (dicembre 1892); _Reliquie di Firenze antica_ nel vol. VI dei
_Monumenti antichi_, pubblicati dall'Accademia dei Lincei, 1895.
In una sua lunga lettera a me diretta lo stesso prof. Milani narrava
come nei lavori fatti pel fognone in Borgo dei Greci, l'anno 1886,
fu in sua presenza, sotto il pavimento dell'Anfiteatro, trovato un
mezzo asse onciale, in tal posizione, dentro lo smalto, che esso lo
ritenne «coevo alla costruzione dell'Anfiteatro». Il corso di tali
assi tagliati collo scalpello, egli prosegue, non può essere anteriore
all'89 a. C., né posteriore al secondo triumvirato (43 a. C.).
«Parrebbe dunque stringente la conclusione che l'Anfiteatro sillano
sia dei tempi sillani». E se Dione ci dice che il primo Anfiteatro di
pietra fu costruito a Roma solo 30 a. C., bisogna pure ricordarsi che
Cicerone accusò Silla «di profondere tesori in fastose costruzioni,
nel tempo appunto in cui si trovava sotto Fiesole». E però egli crede
di poter «sostenere a buon diritto la data sillana per la costruzione
nell'Anfiteatro fiorentino». Aggiunge poi, concludendo, che le basi
di alcune colonne, da lui dette _tuscaniche_, e rinvenute presso
l'Anfiteatro, come alcuni avanzi di architettura, trovati nel 1887
presso S. Maria del Fiore, «confermano l'opinione che alcune delle
principali costruzioni edilizie di Firenze, fossero in relazione coi
tempi sillani e cogli ultimi tempi della Repubblica». Tutto questo è
però un problema la cui soluzione spetta solo agli archeologi.
[66] MILANI, _Scavi di Mercato Vecchio_, nelle _Notizie_ ecc., 1887.
[67] VILLANI, II, 1 e 2, e la _Chronica de Origine Civitatis_.
[68] VILLANI, III, 1, 2, 3.
[69] Vedi HODGKIN, _Italy and her invaders_, vol. IV, pag. 446 e segg.
[70] Il LAMI, _Lezioni_, parte I, pag. 292, fa questa affermazione,
appoggiandola sopra un documento di donazione fatta da Carlo Magno alla
Badia di Nonantola, _circiter annum 774_, nel quale si parla delle
chiese Fiorentine di S. Michele e di S. Miniato tra le torri, come
esistenti _in comitatu fossolano, in civitate fossolana_. Il documento
fu pubblicato la prima volta dal Muratori (Antiq. V. 647), che lo dice
tratto _ex reliquiis tabularii monasterii nonantulani_, e dopo avere
esposti molti dubbi sull'autenticità di esso, finisce col credere che
la carta sia sincera, ritenendola però una scrittura privata di Carlo
Magno, non un diploma. Non gli par possibile che un falsificatore
volesse immaginare luoghi e paesi, dei quali appena si ha notizia, ed
in molti dei quali il Monastero non aveva diritti, né poteva sperare
di acquistarne con quella carta. Il Tiraboschi ripubblicò il doc.
nella sua _Storia della Badia di Nonantola_ (II, 27 e segg. Num.
XII), dicendolo _apographum XII, nel XIII saec_. Egli crede invece
che il doc. sia apocrifo ma compilato da qualche monaco dell'undecimo
o duodecimo secolo, sopra _non pochi antichi strumenti ora smarriti_
(vol. I cap. XI, pag. 365). Sebbene apocrifo, esso però conterrebbe,
secondo lui, la nota vera dei possedimenti che il monastero aveva
in Toscana. E ciò dice, dopo aver prima esaminato e ponderato le
osservazioni del Muratori. Quanto poi alle chiese fiorentine in
_civitate fossolana_; il Tiraboschi (pag. 366-7) se ne rimette a quanto
ne dice il Lami da noi citato.
[71] Di ciò trattano a lungo il LAMI, il BORGHINI, l'HARTWIG.
[72] VILLANI, III, 3.
[73] VILLANI, IV, 1.
[74] LAMI, _Lezioni_, nella pref. a pag. CVI-VIII; HARTWIG I, 85-6.
[75] VILLANI, IV, 6.
[76] VILLANI, IV, 7.
[77] Cosí dice S. Pier Damiano nella lettera che piú basso citiamo.
[78] PETRI DAMIANI. _Epistolarum libri VIII_: Parisiis ex officina
nivelliana, 1610, V. a pag. 727. La lettera (pag. 721 e seg.) è
indirizzata: _Dilectis in Christo civibus florentinis, Petrus peccator,
monachus, fraternae charitatis obsequium_.
[79] TOCCO. _L'Eresia nel Medio Evo._ Lib. I, cap. 3, pag. 207-228.
[80] PASSERINI. Nell'_Arch. Storico Italiano_, N. S. vol. III, pag.
43-4; PERRENS., I, 85 e seg.; HARTWIG, I, 89-9. CAPECELATRO. _Vita di
S. Pier Damiano_, libro VII. Vol. due: Firenze, Barbèra, 1862.
[81] «Ad hec ille se inquit, neutrum iubere, neutrum velle, neutrum
recipere. «Quin etiam edictum a Preside per legatos suos impetravit, ut
quicumque laicorum, quicumque clericorum se ut episcopum non coleret
suique imperio non obediret, ad Presidem victus non duceretur, sed
traeretur: si quis autem bis minis territus, de Civitate fugeret, ad
dominium Potestatis assumeretur quicquid possedisset». Cosí dice la
lettera scritta _Millesimo LXVIII idus februari, la quale incomincia:
Alexandro prime sedis reverentissimo, ac universali episcopo, clerus
et populus Florentinus sincere devotionis obsequium_. Essa fu stampata
piú volte, ma scorrettamente (V. BROCCHI, _Vite di Santi e Beati_, pag.
145. Firenze, 1742; _Acta Sanctorum_ III, luglio, pag. 359 e 379, nelle
due vite di S. G. Gualberto); trovasi nel Cod. Laurenziano XX, 22, che
è del sec. XI. La lettera, messa in fine del codice stesso, è scritta
da mano diversa e alquanto posteriore; ma anche secondo il prof. Paoli,
che a mia preghiera l'esaminò, la scrittura ha tutti i caratteri del
sec. XI, «e può solo concedersi, che sia della prima metà anzi del
primo quarto del sec. XII». Essa piú che una vera e propria lettera,
sembra una narrazione in forma epistolare. Lo confermerebbe anche il
titolo che ha nel Codice: _Incipit textus miraculi quod Dominus_, etc.
Dovremo ritornare a parlarne.
È chiaro, in ogni modo, che il _Potestas_ qui sopra menzionato, non
ha nulla che fare col Podestà dei tempi posteriori. Si tratta della
podestà superiore, cioè del duca Goffredo. Il Preside poi deve essere,
io credo, il rappresentante di Goffredo nella Città. Sono forme antiche
e spesso retoriche, come quelle che si trovano piú tardi nel Sanzanome.
[82] La medesima lettera, dopo aver narrato che coloro i quali
s'erano rifugiati in un oratorio, ed erano stati minacciati, se non
si riconciliavano d'essere cacciati, «extra Civitatem pellerentur»,
aggiunge che essi non vollero obbedire. «Hincque factum est ut....
municipal. presid.... illos extra emunitatem oratorii.... eiceret».
Le due parole abbreviate nel codice, furono stampate in molti modi
diversi, mutando il verbo, alterando spesso tutta la frase, il che
generò grande confusione. A me e ad altri colleghi che ho consultati,
pare che debba intendersi: _municipale presidium_.
[83] _Nuova Antologia_ di Roma, 1 giugno 1890.
[84] Nel codice laurenziano già da noi ricordato.
[85] _Rhetor_ era allora sinonimo di _causidicus_.
[86] Di tutto questo si occupò molto il FICKER nelle sue _Forschungen_,
e dopo di lui il FITTING, _Die Anfänge der Rechtsschule zu Bologna_:
Berlin und Leipzig, 1888.
[87] _Lege Digestorum libris inserta, considerata._ Cosí si legge
in un placito del 1076 pronunziato dal messo di Beatrice in Marturi,
presso Poggibonsi (_prope plebem Sancte Marie, territurio fiorentino_),
dove si nota anche la presenza di Pepone, il precursore d'Irnerio. Un
Fiorentino, che contendeva il possesso di alcune terre al monastero,
adduceva la _temporis praescriptio_, e si fondava sul Digesto, che,
secondo la procedura del tempo, portava nel tribunale. Vedi FITTING,
op. cit. pag. 88; ZDEKAUER, _Sull'Origine del manoscritto pisano
delle Pandette giustinianee_: Siena, Torrini, 1890. In un documento
del 1061, in cui si tratta d'una lite fra due Chiese di Firenze (V.
DELLA RENA e CAMICI Vol. II, 2, pag. 99) si legge: _Indices secundum
romanae legis tenorem, utramque ceperunt inquirere partem_. Secondo
il Ficker, i giudici qui sarebbero fiorentini: _und zwar scheinen das
die gewöhnlichen städlischen Indices von Florenz zu sein_. Ficker,
III, parag. 469 pag. 90. Il cronista Goro Dati, che morí ai primi del
secolo XV, affermava nella sua cronica, che i notai fiorentini erano i
piú reputati di tutti, sebbene i piú celebri dottori in legge fossero
quelli di Bologna. Vedi Dati, _Storia di Firenze_, ediz. fiorentina del
1735, a pag. 133.
[88] Petrus Damiani. _De parentelae gradibus_, nelle Opere, Opusc.
VIII, Cap. I e Cap. VII. Ivi combatte l'opinione espressa dai sapientes
di Ravenna, contraria al diritto canonico, sui gradi di parentela
che impediscono il matrimonio. Di colui che esso dice fiorentino,
scrive: _promptulus, cerebrosus ac dicar, scilicet acer ingenio, mordax
eloquio, vehemens argumento_.
[89] Il FICKER, parlando del sopra citato documento del 1061, dice:
_Diese Romagnolen scheinen nun weiter kaum nur zufüllig zu Florenz
gewesen zu sein_.
[90] Quanto all'azione sempre crescente del diritto romano in Toscana,
notissimo è il passo negli Statuti di Pisa del 1161, nel quale si dice
di questa città: _a multis retro temporibus, vivendo lege romana,
retentis quibusdam de lege longobarda_. In un documento senese del
1176, pubblicato dal Ficker (Vol. IV, doc. 148), i Consoli dicono:
_Item nos professi sumus lege romana cum tota Civitate vivere_. La
mescolanza della legge romana con la longobarda o con altre, è in
tutto il secolo XI, ed anche dopo, frequentissima. Spesso donne che
professavano di vivere secondo la legge romana, dichiaravano nel
medesimo tempo di essere sotto il mundio del figlio o di altri.
[91] LAMI, _Lezioni_, pref. pag. CXV e segg. Vedi anche i documenti
pubblicati dal Fiorentini nelle _Memorie della gran contessa Matilde_
(Lucca, 1756), e da DELLA RENA e CAMICI, _Serie cronologico-diplomatica
degli antichi duchi e marchesi di Toscana_, parte II. Da siffatti
documenti chiaro apparisce come era formato il tribunale di Matilde.
[92] V. FIORENTINI, doc. a pag. 168; DELLA RENA e CAMICI, parte II,
vol. II. doc. XV e XVI, a pag. 106 e 108; Vol. III, pag. 9; Vol. IV,
doc. XIV, a pag. 61.
[93] _Unthätiger Vorsitzende_, dice il Ficker, che ha dato la chiara
dimostrazione di questo fatto. Vol. III, parag. 573, pag. 294 e seg.
[94] A tale proposito il Ficker osserva: _Dass schön früher die
Gerichtsbarkeit in der Stadt nicht durch die Feudalgewalt, sondern
durch Bürger der Stadt als rechtskundige Königsboten geübt wurde_. Vol.
III, par. 584, pag. 315-16.
[95] _Consuetudines etiam perversas a tempore Bonifactii Marchionis
duriter eisdem impositas, omnino interdicimus._ FICKER, Vol. I,
parag. 136, a pagine 255-6, e il doc. stesso nel vol. IV, pag. 124-5;
PAWINSKI, _Zur Entstehungsgeschichte des Consulats in den Comunen Nord
und Mittel-Italiens_: Berlin, 1867, pag. 29.
[96] _Nec Marchionem aliquem in Tusciam mittemus sine laudatione
hominum duodecim electorum in Colloquio facto sonantibus campaniis._
MURAT. _Antiq._ IV, 20. Vedi anche FICKER e GIESEBRECHT, piú sopra
citati, e PAWINSKI, pag. 31. Si è dubitato che in questi diplomi (di
cui non si ha l'originale, ma una copia antica), e piú specialmente nel
secondo, possa esservi stata qualche interpolazione, cosa che il Ficker
ed il Pawinski contrastano. In ogni modo la sostanza dei due documenti
è ora ammessa dai piú autorevoli scrittori. V. Ficker, vol. III, pag.
408; Giesebrecht (4ª ediz.), vol. III, pag. 537-8.
[97] AMARI, _Storia dei Musulmani in Sicilia_, Vol. III, pag. 1 seg.
[98] Per maggiore chiarezza usiamo qui la parola Grandi, sebbene in
questo senso preciso venisse in uso generale a Firenze solo piú tardi,
specialmente ai tempi di Giano della Bella, nel 1293.
[99] PAWINSKI, pag. 31, nota 3.
[100] _Nec domum in predictis terminis relevari, neque ad triginta sex
brachia interdici permittemus._ PAWINSKI, pag. 34.
[101] BONAINI, _Statuti inediti della città di Pisa_, I, pag. 16.
[102] Si parla assai spesso di conti e di vicecomiti, che in Firenze,
finora almeno, non troviamo mai ricordati. Piú tardi ne vedremo entrare
qualcuno per le ragioni che diremo.
[103] Il Pawinski, secondo me, ha torto, quando fermandosi su questo
carattere del Comune pisano e di altri simili, trascurando l'elemento
popolare, commerciale, che anche a Pisa, come altrove, aveva parte
grandissima, vorrebbe far nascere il Comune italiano per opera dei soli
nobili.
[104] _Nisi fortitan communi Consilio Civitatis, vel maioris
partis Bonorum vel Sapientum... ad commune Colloquium Civitatis...
supradictorum hominum consensu et omnibus Pisae habitantibus._ BONAINI,
op. cit., Vol. I, 16.
[105] MURAT. _Antiq._ III, 1099. Una poesia attribuita a Guido da
Pisa, narrando la guerra fatta nel 1087 dai Pisani, insieme con Genova,
Amalfi, Roma, contro i Saraceni in Africa, dà i nomi di quattro Pisani,
_Vocat ad se Petrum et Sismundum_
_Principales Consules,_
_Lambertum et Glandulfum_
_Cives cari (clari?) nobiles._
Si tratta però d'una poesia, e per credere alla esistenza di questi
Consoli nel 1087, bisognerebbe portare almeno a quell'anno la prima
Concordia del vescovo Daiberto, il che non sarebbe impossibile, giacché
egli fu vescovo dal 1085 al 92, quando venne nominato arcivescovo. V.
PAWINSKI, pag. 31, nota 3. Leonardo Vernese nel suo _Carmen_, in cui
parla della impresa delle Baleari, (1113-15) dice:
_Inde duo et denos de culmine nobilitatis_
_Constituere viros, quibus est permissa potestas_
_Consulis atque ducis._
Ma l'esistenza dei Consoli in questo tempo è già provata da altri
documenti. V. PAWINSKI, pag. 38-9.
[106] Il cronista dà nome di _anteriores_ alle principali famiglie,
forse perché vennero prima in Venezia; ce le rappresenta come un ceto
che aveva supremazia e governava, e nel catalogo che ce ne dà, ricorda
ancora i mestieri che esercitavano. — _Cerbani de Cerbia venerunt,
anteriores fuerunt de omni artificio ingeniosi._ — _Signati_ (variante:
_Cugnati_) _Tribuni Ianni appellati sunt, anteriores fuerunt, mirabilia
artificia facere sciebant caliditate ingenii_ — _Aberorlini...
anteriores fuerunt; non aliud operabantur nisi negocia, sed advari
et increduli._ E cosí di altre famiglie, che tradizionalmente
esercitavano l'industria, il commercio e le professioni liberali.
Quanto ai _ministeria_, troviamo molte espressioni che accennano alla
loro organizzazione embrionale. _Hetolus autem appellatus est, quia
ipse erat princeps de his qui ministerii erant retinendis._ — Erano
sellai, guardiani di animali, ecc. Molte altre di queste famiglie sono
nominate nell'elenco dato dalla Cronica, e tutto ha l'apparenza di una
continuazione di ciò che esisteva nel basso Impero.
[107] Il doc. è nella Vaticana (Urb. 440) e fu esaminato anche dal
Gfrôrer. Il fabbro-ferraio Giovanni Sagomino, _insimul cum cunctis meis
parentibus_, ricorre al Doge Pietro Barbolano (1026-31), e poi al Doge
Domenico Flabiabico (1032-43) contro il Castaldo dell'Arte, il quale
voleva costringerlo a lavorare il ferro per le carceri, nell'atrio del
Palazzo, e Sagornino sosteneva d'aver diritto, secondo le consuetudini,
di prestare questo gratuito servizio lavorando il ferro a casa sua. Un
regolare processo fu fatto, il ricorrente ebbe ragione, e poté lavorare
il ferro nella sua officina. Tutto questo prova l'esistenza di ben
determinate consuetudini tradizionali prima degli statuti dell'Arte
(sec. XIII), i quali, se fossero allora esistiti, sarebbero stati qui
ricordati.
Il documento citato, una volta dice, il Castaldo del Doge, un'altra,
il Castaldo dei fabbri, perché infatti esso dirigeva l'Arte ed
era nominato dal Doge, come si vede chiaro nel secolo XIII da una
promissione ducale di Iacopo Tiepolo (6 marzo 1229), e da un'altra
di Marco Morosini (13 giugno 1249). Cosí da un lato apparisce quanto
diverso da quello di Firenze fosse l'ordinamento delle Arti in
Venezia, e da un altro lato possiamo osservare quanto antico e quanto
persistente fosse nei Comuni italiani il carattere generale delle
istituzioni loro in genere, e delle Arti in ispecie. Le notizie date
in questa e nella nota precedente, le dobbiamo al prof. Monticolo,
dottissimo nella storia veneta, su cui sta facendo studi importanti,
i quali speriamo che presto vedranno la luce. Intanto ci è grato
rendergli qui pubbliche grazie. — Aggiungiamo ora che il prof.
Monticolo ha già cominciato le sopra indicate pubblicazioni tra _Le
Fonti della Storia d'Italia_, stampate dall'Istituto Storico Italiano.
[108] REPETTI, art. _Gangalandi_ e _Monte Orlando_.
[109] _Dum in Dei nomine. Domina inclita Comitissa Matilda, Ducatrix,
stante ea in obsedione Prati_, etc. _Anno_ 1107. V. FIORENTINI, op.
cit., lib. II, pag. 299. VILLANI, IV, 25 e 26; HARTWIG, II, 45 e 47;
REPETTI art. _Prato_; _Arch. Stor. It._ Storie V., vol. V., disp.
I, pag. 108 e seg. La narrazione del Villani è però piena di notizie
fantastiche su Prato. La distruzione di Monte Orlando non è menzionata
negli _Annales I_, che incominciano solo coll'anno 1110; ma è ricordata
nel Cod. nap. ed in Tolomeo da Lucca.
[110] Gli _Annales fiorentini II_, seguiti dal Villani, pongono
semplicemente la distruzione del castello nel 1113, né dicono altro,
perché la notizia che segue in essi è del 1135. Gli _Annales florentini
I_ tacciono al 1113, e pongono al 1114 la _secunda et ultima destruccio
murorum_. Nel 1119 ricordano altri due assalti dati al castello, _quem
marchio Rempoctus defendebat_: col secondo di essi i Fiorentini _Monte
Cascioli ignem_ (sic) _consumpserunt_. La successione di tre assalti a
noi par chiara, e ogni altra disputa superflua.
[111] Gli _Annales I_ e _II_ tacciono del fatto. Il Cod. nap. lo
pone, come il Villani, all'anno 1117, dicendo senz'altro che i Pisani
partirono per le Baleari, e «li Fiorentini guardaron la città di
Pisa». (In Hartwig, II, 272). Lo stesso dice Tolomeo da Lucca, che
però pone il fatto nel 1118, come fa pure il pseudo Brunetto Latini,
il quale accenna al dono delle due colonne di porfido, «per cagione
che li Fiorentini guardarono la loro terra, quando erano ad hoste»,
né aggiunge altro. Quanto all'errore di data, vogliam solo notare
che il Capmany, nelle sue _Memorias historicas sobra la marina.... de
Barcelona_. Vol. I, pag. 10, dopo aver narrato la impresa del 1113-15,
dice che Raimondo Berengario III venne nel 1118 a Pisa ed a Genova,
per promuovere un'altra spedizione. La ricordanza di ciò poté forse
contribuire all'errore di data, che, una volta commesso, venne poi
ripetuto da molti.
[112] Il dott. Hartwig cita la notizia che ebbe dal dott. Wüstenfeld
d'un diploma del 1114, da cui apparirebbe che anche i Fiorentini
avessero preso parte alla spedizione, nel qual caso, egli osserva, le
colonne sarebbero non un dono dei Pisani, ma parte della preda fatta in
comune. Feci cercare il diploma nell'Archivio di Pisa, e lo ebbi dalla
cortesia del prof. Lupi. Esso trovasi inserito in un altro, che ha la
data: _VI idus Augusti 1233_, col quale il re Iacopo d'Aragona conferma
ai Pisani i privilegi, che, col precedente diploma, _Berengarius
Barchinione gloriosissimus Comes Pisanis fecit_. Questo piú antico
diploma è riprodotto nel documento, ed ha la data: _M. C. quarto
decimo... septimo idus septembris, indictione sexta_. Sebbene tra le
parole _decimo_ e _septimo_ ve ne siano altre non poche, un tal modo
di scrivere la data potrebbe aver dato un'altra occasione all'errore di
quei cronisti che posero il fatto nel 1117.
Comunque sia però di queste ipotesi molto discutibili, è certo invece
che i privilegi sono concessi _populo pisano_, e ne vengono investiti
tre dei loro Consoli, che ricevono _vice aliorum Consulum tociusque
pisani populi_, e questa concessione fu fatta, _coram marchionibus,
comitibus, principibus romanis, lucensibus, florentinis, senensibus,
volterranis, pistoriensibus, longobardis, sardis et corsis, aliisque
innumerabilibus gentibus, que in predicto exercitu aderant_. Non fu
dunque un'alleanza di città, ma fu il popolo pisano, cui si erano
uniti molti nobili di altre parti d'Italia. Il cancelliere dei Consoli
pisani redasse il diploma, presenti l'arcivescovo di Pisa, _qui Dompni
apostolici in predicto exercitu vicem gerebat_, due vice-comiti e nove
Consoli: di questi ultimi si dànno anche i nomi. Il diploma non fu mai
pubblicato in Italia, e però l'Amari a cui ne mandai copia, e che molto
se ne occupava pochi giorni prima di morire, voleva darlo alle stampe,
sebbene avesse riscontrato che era stato pubblicato nella Spagna dal
Moragues y Bover nelle note alla ediz. della _Historia de Mallorca_ di
Don Vincente Mut, stampata in Palma, 1841. Pochi giorni dopo avermi
data questa notizia, venutagli di Spagna, il senatore Amari moriva
improvvisamente a Firenze (luglio 1889).
[113] Nei _Documenti che illustrano la memoria di una monaca del secolo
XIII_ (_Arch. stor. it._ Serie III, vol. 23), che sono dei primissimi
del secolo XIII, e contengono deposizioni di testimoni, i quali
alludono quasi sempre a fatti del secolo XII, si parla continuamente
del monastero di Rosane e di chi _defendit ipsum monasterium a
Teutonicis_ (V. pag. 206, 391-2, ed altrove).
[114] Gli _Annales I_ parlano di due incendi (1115 e 1117), che arsero
tutta la terra; il Cod. nap. parla solo del secondo. Thomas Tuscus,
che scriveva circa il 1279, in Firenze, parla d'ambedue gl'incendi
ne' suoi _Gesta Imperatorum et Pontificum_, attribuendo a ciò la
distruzione di molte croniche, che supponeva dovessero essere esistite,
e che probabilmente non esistettero mai. Il Villani lo seguí in questa
ipotesi, non sapendosi neppur egli persuadere, che il Comune non avesse
storici piú antichi.
[115] _Petrus f. Mingardole_, il quale, _ad defendendum se de
crucifixo_, passò illeso attraverso il fuoco. Alcuni storici, non
volendo credere alla esistenza allora dell'eresia in Firenze, hanno
disputato sulle parole _de crucifixo_, proponendo che si leggesse
invece: _cum crucifixo_, o _de crimine infixo_. Ma il fac-simile del
codice, pubblicato dal prof. Paoli, non lascia dubbio.
[116] Infatti Simone della Tosa, posteriore al Villani, che forse copia
in questo luogo, parlando del secondo incendio, nel 1117, aggiunge che
vi fu allora in Firenze «la resia de' Paterini». Papa Innocenzo III
(1198-1216), discorrendo degli eretici scriveva: _impii Manichaei,
qui se Catharos vel Patarenos appellant_ (Ep. lib. X, ep. 54, ed.
Migne, vol. II, pag. 1147). E negli _Annales Camaldulenses_ (III, App.
pag. 396) si trova un giudicato di Sutri, 1141, nel quale si legge:
_Igitur universi qui vulgo Paterenses vocantur, eo quia, sub iugo
peccati, retinebant omnia que de predicta ecclesia sancte Fortunate
accipiebant_. È chiaro dunque che qui si dava nome di Paterini (che
pur furono seguaci d'una setta speciale e ben distinta dalle altre)
anche a coloro che occupavano i beni della Chiesa, o in qualche modo la
combattevano. HARTWIG, II, p. 17 e 21.
[117] Vedi la Cronica, _ad annum_. Come abbiamo già detto, tutto quello
che si riferisce a questi tempi, trovasi solo nel codice gaddiano, che
fu scoperto pochi anni sono nella Laurenziana. La parte che comincia
dal 1181, trovasi anche nell'autografo, da piú tempo conosciuto; ma
questo è assai difficile a leggersi, e però anch'esso fu poco studiato.
[118] «Advegna Dio che Ghibellini fussero pubblicati Paterini». Cosí
dice il pseudo Brunetto Latini all'anno 1215.
[119] Il Codice degli _Annales I_, dice: _Rempoctus_, non
_Remperoctus_, come fu da altri stampato.
[120] FICKER, II, pag. 223-4, par. 310; MURAT., _Antiq_. III, 1125.
[121] MURAT., _Antiq_. I, 315.
[122] Gli _Annales I_ dicono: _deo auctore, Florentini Monte Cascioli
igne consumpserunt_. Il codice veramente par che dica: _de auctore_,
il che non avrebbe senso. Il Lami propose che si leggesse: _de
auctoritate_, che neppure avrebbe senso. L'interpretazione da noi
adottata, fu data dal prof. Paoli, e ci pare assai preferibile. I
Fiorentini, combattendo contro l'Impero e parteggiando per la Chiesa,
si credevano protetti da Dio, di cui dichiaravano nemici i propri
avversari, ai quali perciò davano nome di eretici e Paterini.
[123] «Teneanla certi gentiluomini Cattani, stati della città di
Fiesole, e dentro vi si riducevano masnadieri e sbanditi e mala gente,
che alcuna volta faceano danno alle strade e al contado di Firenze».
(IV, 32).
[124] Gli _Annales I_ la fanno durare meno di tre mesi, che nel
Sanzanome diventano tre anni. Si può supporre che egli riunisse in uno
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